Storie ordinarie di Valcamònica

Le cinque storie seguenti sono cinque articoli tratti dal Giornale di Brescia on-line, scelti nell’arco di poco più di una settimana, dal 30 marzo al 6 aprile 2016. Riguardano avvenimenti della Valcamònica e sono esemplificativi di quanto la realtà possa superare la fantasia: la Valcamònica è qui presa solo a esempio di una più vasta realtà alpina (o montana) in generale.

 

Cevo
Crollo della Croce, cinque persone a processo
a cura della Redazione del GiornalediBrescia.it
30 mar 2016

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Per il sindaco di Cevo, Silvio Citroni, il suo predecessore Mauro Bazzana, un tecnico del comune di Cevo, il progettista e responsabile dei lavori e Mauro Maffessoli, presidente dell’associazione culturale proprietaria dell’opera la Pm Caty Bressanelli ha chiesto il rinvio a giudizio. Altri erano stati indagati per il crollo del 24 aprile 2014 al dosso dell’Androla, posizioni poi archiviate. L’inchiesta avrebbe appurato che la tragedia ha avuto origine dallo stato dell’opera.

Il legno che reggeva il Cristo crocefisso cedette travolgendo e uccidendo Marco Gusmini, disabile 21enne che non aveva avuto il tempo di spostarsi da sotto la croce dove si trovava. Il giovane era in gita con la sua parrocchia.

Ora sarà il gup a pronunciarsi. E nella decisione per un eventuale processo peseranno le perizie tecniche.

Per quanto riguarda l’opera, su iniziativa dell’Unione dei Comuni della Valsaviore, grazie ai fondi del bando «6.000 campanili», la grande Croce sarà ricollocata. Il costo totale dell’intervento sarà di circa 350mila euro.

Sulla vicenda vedasi anche https://gognablog.sherpa-gate.com/la-croce-di-cevo/

 

Berzo Demo
Il caso della pipì da 3mila euro: quando l’urgenza costa cara
di Gianluca Gallinari
30 mar 2016

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Quella del malcapitato pakistano, sorpreso a far pipì vicino a Berzo Demo, è forse la minzione più costosa della storia locale (se non d’Italia): non se ne ricorda altra da 3.333 euro.

I fatti: Statale 42, tratto fra le ultime due gallerie della «nuova» superstrada. Un’auto accosta. Ne scende il pakistano di casa in Valcamonica, che non regge all’impellenza. Si guarda attorno e non scorge anima viva. C’è l’Oglio a due passi, non ci sono case, né chiese, né edifici pubblici, nulla. Vinto da incontenibile urgenza commette l’errore, fatale al conto in banca: fa pipì.

A quel punto un’altra auto accosta. É quella dei carabinieri di Edolo. I quali constatano – si suppone con adeguata discrezione – il reato. E con marziale rigore sanzionano il reo urinatore. Applicando alla lettera (per la prima volta nel Bresciano) una norma fresca fresca: il decreto legislativo 8 del 15 gennaio 2016, che depenalizza gli «atti contrari alla pubblica decenza». Niente carcere, ma supermulta: 5.000 euro (10.000 nel massimo edittale), ridotti a 3.333 (cioè di un terzo) se pagati entro 5 giorni. Ora. Dà fastidio a chiunque imbattersi in chi minge per la via, o anche solo nelle sue maleodoranti tracce. E non ci si scappa: la minzione en plein air rientra tra quelli che la Suprema Corte qualifica come «atti contrari alla pubblica decenza» che «in spregio ai criteri di convivenza e di decoro, provocano disgusto o disapprovazione». Certo la sproporzione della sanzione appare macroscopica, ai limiti della decenza, questa pure.

Un deterrente formidabile contro l’inciviltà di chi, in presenza di bar e bagni pubblici, preferisce «fare alla vecchia», non c’è dubbio. Ma che ancora una volta relega il buon senso italico al palo: qui inteso soprattutto come il «complice che vigila», quello cui i deboli di vescica faranno d’ora in poi ricorso per tutelarsi dall’arrivo, nel momento del bisogno, di una pattuglia.

Tutto ciò fa venire in mente quanto accade in alcuni Stati degli Usa, dove chi è sorpreso a far pipì fuori luogo finisce nelle liste dei «sex addicted» con conseguenze pesanti e ripercussioni persino per le forze dell’ordine, che indagando su reati sessuali, si trovano al cospetto di elenchi infiniti, in cui accanto ai nomi di vili stupratori figurano quelli di sfrontati urinatori.

Strascichi giudiziari a parte, resta il paradosso: alcuni automobilisti fermati ebbri alla guida dagli stessi militari sulle medesime strade camune, finiranno col pagare meno di chi ha fatto pipì. Vien da non credere che il legislatore sia lo stesso che ha (finalmente) introdotto l’«omicidio stradale».

 

Vione
Otto figli morti, il dramma di Teresa: «Al cimitero non vado più»
di Sergio Gabossi
1 aprile 2016

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Ha messo in fila gli addii come grani in un rosario di misteri dolorosi. Piccola e smarrita, davanti alla stufa accesa, Teresa Lambertenghi racconta i lutti di una esistenza spietata che ad ogni giro di boa le ha tolto un figlio e un pezzo di cuore. Oriele, Mariuccia e Caterina. Un’altra Oriele, Angiolino, Oliviero, Giovanni e Renzo: in 89 anni di vita e sessanta di mamma, la «Teresa del coraggio» ha seppellito otto figli nel piccolo cimitero di Plemo di Esine.

«Non ci vado più» sussurra con un filo di voce e gli occhi persi nel vuoto. «Ovunque mi giri – spiega – vedo la lapide di uno dei miei figli. A buon mondo, un genitore non dovrebbe portare al cimitero un figlio e mi chiedo che cosa ci faccio ancora qui». Ha un golfino nero sempre a portata di mano, decine di fotografie sulla mensola della televisione e un esercito di nipoti che portano ceste di allegria. In un pomeriggio di inizio primavera, accompagnati dall’amico Gian Battista Zanotti, Plemo diventa un angolo da leggenda greca.

Un filo invisibile ci tiene ancorati qui dove è tutto reale e non esistono castighi divini, ma solo la piccola cucina di Plemo dove Teresa in carne, ossa e coraggio, snocciola parentele lontane, passioni e ricordi. «Mi sono sposata a gennaio del ’48 e abbiamo vissuto quindici anni a Saviore, poi due anni a Erbanno e siamo venuti a Plemo nel Settanta». Il marito Sisto Boldini è morto quando lei aveva 46 anni, una famiglia da crescere e bestiame e terra da curare. La grande casa nella campagna dei Saletti è diventata il luogo dove esistere e resistere.

Due figlie morte piccolissime per malattia, altre due in incidente stradale, Angiolino volato in cielo dopo una caduta in montagna, Oliviero travolto da una gru al lavoro, Giovanni morto a 53 anni per un male incurabile e adesso Renzo, che ne aveva 66.

«Quante volte ho detto: Signore prendi me!». L’uomo propone e Dio dispone: ma, a volte, la sua risposta è no. Forse perché c’è sempre un buon motivo per stare al mondo e, quando non c’è, bisogna cercarlo.

 

Cevo
Un monumento per le vittime del lago d’Arno. Un secolo dopo
a cura della Redazione del GiornalediBrescia.it
4 aprile 2016

La cerimonia d’inaugurazione del monumento per le vittime del lago d’Arno
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Una lastra d’acciaio corten, lunga 15 metri e alta 1, con incisi 96 nomi. Sono gli 86 soldati morti un secolo fa esatto – a causa della valanga che si abbatté sulla caserma di Campiello al lago d’Arno – più una decina di altri militari uccisi negli scontri della Prima guerra mondiale. Giovani vite spezzate che ieri la Valsaviore ha voluto ricordare con una cerimonia semplice ma appassionata.

La comunità di Cevo ha reso memoria di un fatto che era stato dimenticato, riportato in vita qualche anno fa dall’ex maestro Andrea Belotti che ha scritto il libro “Valsaviore 1915-1918. La guerra sull’uscio di casa” per rievocare i fatti. “E’ giusto che i nostri paesi non dimentichino un evento di cui finora nessuno aveva più parlato” ha commentato il sindaco Silvio Citroni.

 

Vezza d’Oglio
Sbranato un asino: l’orso è tornato
a cura della Redazione del GiornalediBrescia.it
6 aprile 2016

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Nemmeno il tempo di risvegliarsi dal letargo degli ultimi mesi, in questa primavera anticipata, e uno degli orsi che hanno fatto tribolare l’alta Valcamonica l’estate scorsa è tornato a colpire.

La sua preda, come già più volte in passato, è stato un asino di proprietà di un agricoltore di Vezza d’Oglio, che tiene i suoi animali in una stalla in località Risolina, a meno di cento metri dalle case della piccola frazione di Grano di Vezza.

L’altra mattina presto, mentre saliva per dar loro da mangiare, come ogni giorno, l’uomo ha fatto l’amara scoperta: qualcuno aveva assalito l’asino, l’aveva sbranato in modo vorace e poi abbandonato in mezzo alla campagna.
L’agricoltore ha così subito avvertito il Corpo forestale dello stato, che è intervenuto sul posto insieme agli agenti guardia parco dello Stelvio. Gli accertamenti sono ancora in corso – e sarà l’esito delle analisi a darne la certezza – ma pare proprio che, dalle impronte lasciate sul terreno e dalla modalità con cui è stato assalito l’animale, si tratti davvero di un orso. Il dispiacere dell’agricoltore è grande, anche perché l’asino veniva pure impiegato per alcune manifestazioni in paese.

Il fatto ha scatenato subito parecchie polemiche, non solo sulla bacheca di Facebook, ma anche in paese a Vezza, dove lo scorso anno cittadini e allevatori si sono riuniti in un comitato per difendersi dagli attacchi dell’orso e arginare i danni provocati dai grandi predatori (non solo l’orso, ma anche il lupo).

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Storie ordinarie di Valcamònica ultima modifica: 2016-05-27T05:32:35+02:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Storie ordinarie di Valcamònica”

  1. Caro Luca, c’è poco da sperare… nelle valli l’oscurantismo e la sottomissione religiosa sono ancora argomenti estremamente attivi. Probabilmente, ma solo probabilmente, molto meno visibili o eclatanti di qualche decennio fa e a fare specie sono episodi come questo che ad un comune mortale mediamente religioso (ma non completamente cieco, IO SONO ATEO E QUINDI NON FACCIO MEDIA…!) farebbe pensare come minimo al castigo di Babilonia… ma… certi estremismi che sfociano nell’esibizionismo più sfrenato e nell’idolatria (termine che dopo più di due secoli dall’illuminismo dovrebbe essere scomparso ma così non è …) e feticismo non sentono da quell’orecchio e mentre si sentono tanto buoni a natale e davanti alle immagini delle stragi perpetrate in giro per il mondo, buttano i soldi nel cesso per costruire croci invece di dare contributi a chi veramente si da da fare a spesso a spese proprie… paradossi umani??? Direi bigottismo sfrenato ed ipocrisia che sfociano in un cattivo gusto vomitevole che tocca il suo apice nel voler ricostruire sulle rovine auto-distrutte…
    MISTERO DELLA FEDE…

  2. Quella della croce è tremenda e il fatto che ci vogliano riprovare, con quei costi poi, è inquietante. Siamo solo qualche secolo meno indietro rispetto ad altri contesti, ma la storia è la stessa. Sperèm!

  3. Le prime due storie sono raccapriccianti, nella loro italianita’.
    La terza muove a pieta’ per la povera signora Teresa, che verrebbe voglia di abbracciarla…
    Le ultime due – secondo me – fanno parte della quotidianita’ di una montagna vera…

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