Sulle rocce di Argentera e Nasta (AG 1964-012)
(dal mio diario, 1964)
6 e 7 giugno 1964. Siamo stati divisi in tre gruppi: alcuni andranno al rifugio Morelli, altri al rifugio Bozano e altri, tra i quali io, al rifugio Remondino.
Alle Terme di Valdieri ci vado i auto con Vincenzo Bruzzone, Giorgio Brianzi e l’allievo Barbicinti. Dalle Terme proseguo con Giorgio Coluccini, che sarà il mio istruttore, e con Augusto Martini, altro istruttore. L’auto è una scassata “R4”. Per salire al Pian della Casa 1743 m dobbiamo sederci, Augusto e io, sul cofano: per aiutare la trazione. L’ultimo pezzo però me lo faccio sulla “1500” di Devoto. Ci riuniamo tutti al Pian della Casa.
Siamo in tredici. Oltre a Coluccini e Martini c’è anche l’istruttore Stefano Revello, detto Marno. Di allievi ci sono Devoto, Giorgio Campi, Elio Olivari, Giancarlo Negro, Piero Musina, Fascioli e la sig.ra Campolonghi. In più c’è anche Franco Staccione e un suo amico: faranno cordata per conto loro. Sono le 19.40.
Iniziamo a camminare e presto Martini, Negro ed io siamo in testa. Arriviamo al rifugio Remondino alle 21 esatte. E’ un po’ buio, ma qualcosa si vede ancora. Non so l’esatta quota del rifugio, ma pensi si aggiri sui 2400 m. Divertente la strada che abbiamo seguito per venire fino a qui. E’ un sentiero che si svolge con serpentine tra rododendri nella prima parte e tra massi ed erba nella seconda. La valle è magnifica. Le vette sulla nostra destra, compresa la Cima di Nasta, erano rosee, e la neve scintillava con bagliori rossastri. I nevai del versante est della Cima di Fremamorta erano invece grigi, con sfumature perlacee, e contrastavano stranamente con l’azzurro del cielo e con i bei colori da acquerello delle cime a noi più vicine.
Il rifugio è una scatola di metallo, con tetto circolare. Ci sono dieci posti, e noi siamo in tredici, più Salvatore Gargioni che deve ancora arrivare. Vado a prendere acqua. Ognuno prende il suo posto dentro, e tra un fitto intrecciarsi di barzellette e spiritosaggini, lentamente ceniamo. Anche mentre andiamo a dormire, le battute si susseguono alle battute. Infatti cerchiamo di non pensare alla bella notte che passeremo. Al piano superiore di cuccette, più stretto, sono sdraiati in sei. Sotto siamo in otto, con Gargioni che è arrivato. Dopo aver mangiato si è ficcato sotto anche lui. Per di più, sotto, c’è anche la sig.ra Campolonghi e, naturalmente per lasciare un po’ di spazio a lei, per lo meno trenta centimetri li perdiamo. Coluccini e Fascioli, già grossi di loro, si sono per di più imbottiti per la notte. Io ho un ginocchio di Gargioni che mi preme sulla pancia, una mano di Elio Olivari sulla testa e a mia volta i gomiti li ho su carne non mia. In queste condizioni, fino alle 3.20, quando la sveglia di Augusto è salutata con grande gioia di tutti. Nessuno ha chiuso occhio. Io però un po’ ho dormito, e con me qualche altro. Ma il misero sonno non ci è servito un gran che. Comunque, dopo colazione, partiamo. La neve è duretta, a parte qualche punto in cui d’improvviso si sprofonda. Giorgio Coluccini e Augusto Martini sono i nostri due istruttori. Allievi siamo io, Elio, Piero e Giancarlo. Gli altri sono ancora a soffrire nel rifugio e partiranno più tardi, perché la loro salita è molto più breve della nostra. Passeranno dal Colle dei Detriti e da lì in cresta fino alla Cima Genova, dove si ricongiungeranno a noi. Noi intanto procediamo sulla neve, muniti di ramponi e piccozza. Miglioro un po’ di tecnica di ramponi e finalmente, alle 7.20, arriviamo al Colletto Freshfield 2820 m c. Mi è spontaneo il ricordo del canalone, fatto solo dieci giorni fa. Siamo infatti saliti da dove l’altra volta eravamo scesi. Lì al colletto ci leghiamo e attacchiamo la cresta Sigismondi. E’ molto lunga e la grande esposizione compensa le inesistenti difficoltà di arrampicata. In ogni caso è faticosa, e qui si vede se gli allievi sono adatti a salite in montagna. Le difficoltà sono sull’ordine del II grado, con rari passaggi di III e alcuni punti di IV, che però bisogna proprio andare a cercare. davanti a noi è Augusto, con Giancarlo e Piero. Giorgio parte legato a Elio e a me. Andiamo su abbastanza lenti, visto che dobbiamo assicurarci a vicenda, e se ne potrebbe senz’altro fare a meno. Per qualche tratto infatti andiamo “di conserva”. Giorgio scatta un mucchio di foto, e ben a ragione. La giornata è splendida e l’ambiente è di una bellezza e asprezza eccezionali. Così, in un tripudio di colori, arriviamo in vetta alla Cima Purtscheller 3040 m. Ora vediamo di scorcio la parete ovest dell’Argentera. Le rocce di gneiss sfavillano rossastre alla luce del sole. Di qui scendiamo alla vicinissina Forcella Purtscheller 3000 m c. E’ dalle 7 che siamo sopra i 3000 metri di quota. Ci staremo fino alle 17.30. E così assommo dieci ore e trenta minuti alle ore da me già precedentemente passate sopra a quella quota, raggiungendo così il numero di 17 ore e 30 minuti. Infatti avevo passato un’ora sul Piz Boè nel 1961, 0.15 sul Catinaccio d’Antermoia, due ore e un quarto sulla Marmolada e tre ore sul Monte Vioz.
Dalla Forcella Purtscheller saliamo su un’esile crestina verso la Cima Genova 3191 m, che non ha un forte rilievo dalla cresta. Qui, mentre raggiungiamo Augusto, ci raggiungono Gargioni, Fascioli e la sig.ra Campolonghi. Marno è già andato oltre con Devoto e Campi. Dopo un po’ continuiamo verso il Colletto Genova 3170 m c. Da lì, per cresta, sempre molto esposti sia a sinistra che a destra, raggiungiamo la Spalla dell’Argentera 3257 m e da lì, in conserva, fino alla cima Sud dell’Argentera 3297 m, la più alta. Qui c’è già della gente, tra cui il direttore del Corso, Cavalieri. Sono le 13 esatte. Mentre arrivano le altre cordate mi guardo in giro, vedo anche il lontano rifugio Genova. Poi scendiamo.
Cavalieri e Martini attrezzano la cengia della via normale di discesa, perché ingombra di neve marcia. Usano 150 metri di cordino. Trovo difficile scendere giù per questo pendio di neve inconsistente. Sarebbe facile attaccarsi alla corda, ma non lo voglio fare. Poi ci fermiamo. Ci sembra che Cavalieri stia dandosi da fare su una cengia di roccia e neve, che da qui sembra difficile. Se non ci fosse neve, sarebbe facilissimo scendere giù di pochi metri e risalire il ghiaione fino al Colle dei Detriti. Ma il ghiaione non si vede, perché è coperto da un buon metro di neve fradicia e da lì con trenta allievi non va bene passare. D’altronde non si può neppure aspettare di passare uno per uno da dove è passato or ora Cavalieri. Arriveremmo alle Terme a Mezzanotte…
Dopo vari minuti di attesa, Pescia butta giù una corda doppia sul nevaio. Anche Martini, dal Colle dei Detriti, butta giù una corda. Così tutto il corso, dopo essere sceso sulla corda di Pescia e aiutandosi con quest’ultima corda riuscirà a risalire al Colle dei Detriti. Giorgio, Elio e io facciamo invece la cengia superata da Cavalieri. Vado per primo io, perché siamo in leggera discesa. me la cavo brillantemente su quello schifo di neve e arriviamo così al Colle dei Detriti 3120 m c. Da lì, per facili pendii di neve, fino al rifugio Remondino. Come gli istruttori e pochi altri allievi, non sono affatto stanco. Al contrario, il resto degli allievi è stanchissimo. Per andare dietro a Vincenzo, che mi deve portare in auto a Genova, parto di corsa assieme ad altri, arrivando dopo poco tempo al Pian della Casa. Vedo due che camminano sulla carrozzabile, verso le Terme. Alle automobili c’è l’allievo Bria che si è fatto un po’ male a un braccio cadendo dalla roccia e volando uno o due metri. Bria era assieme a Bruzzone assieme a quelli del rifugio Morelli, che hanno salito la cresta del Monte Stella. Quelli del Bozano invece erano andati parte alla Diagonale, una via sulla parete ovest dell’Argentera, e parte sulla via del Promontoire, ancora sulla stessa parete. Quelli della Diagonale, tra cui Chicco e la Franca Simondi, hanno dovuto tornare al rifugio Bozano, perché c’era da ostacolo una vasta placca di vetrato. Intanto io inseguo Bruzzone e l’allievo Poli che filano pure loro. Li raggiungo dopo il Gias delle Mosche, arrivando poi assieme alle Terme di Valdieri. Loro, dal Pian della Casa, hanno impiegato 50 minuti, io 42.
Comincia a far buio e partiamo. per tutto il viaggio non faccio che dormicchiare ed entro a casa mia alle 0.50. Altra gente, tra cui Chicco, arriverà alle 4.05 e altri ancora dopo! Tutto per colpa di quel piccolo particolare non previsto dagli istruttori: la neve marcia.
13 e 14 giugno 1964. La nostra meta è lo spigolo Ovest della Cima di Nasta 3108 m, alla testata della valle in cui è il rifugio Remondino. Lo spigolo è di II e III grado con qualche passo di IV, per 450 metri di dislivello. Dopo aver dormito alle Terme di Valdieri, dato che stanno aggiustando il rifugio Remondino (anzi forse ne costruiscono uno più grande accanto) partiamo nella Volkswagen di Gianni Pàstine e arriviamo al Pian della Casa. Ore 04.10. Tempo belloccio. Siamo al rifugio Remondino alle 5.50. Qui c’è gente che ci ha dormito… Porca miseria! Noi abbiamo dormito alle Terme spendendo un mucchio di soldi in più! Questa è gente conosciuta e ci salutiamo. Intanto da ovest il maltempo avanza. C’è un fronte di nuvole nere che copre tutto l’orizzonte. Gianni Pàstine e Vincenzo Bruzzone decidono di fermarsi un momento, magari per venire su dopo per la via normale. Io, Gianni Calcagno e Margherita, la moglie di Pàstine, partiamo. Cerco di imprimere al gruppo maggiore velocità possibile su per il pendio di neve. Così, se ci prenderà il temporale, avremo già attacato e non se ne parlerà più.
Purtroppo Gianni, quasi all’attacco, decide di tornare, e non fa grande fatica a convincermi. Così scendiamo sul nevaio sottostante per vedere di raggiungere Gianni e Vincenzo. Scendiamo neri di rabbia, poi cominciamo a risalire. Siamo accompagnati anche da tutti gli altri del rifugio. Anche qui andiamo veloci, ma siccome Margi rimane un po’ indietro, ci fermiamo. Margherita suggerisce a Gianni di fare come via di ripiego la via Ellena-Giuliano alla Cima Paganini. Urlando, Gianni chiede a Pàstine informazioni su difficoltà e attacco di questa via. Margi non viene con noi, perché è stanca dopo i vari sali-scendi che abbiamo fatto.
Gianni e io saliamo a un terrazzino e tiriamo fuori il materiale. Siamo a circa 30 m a destra dello spigolo nord-ovest della Cima Paganini. Quindi, scopriremo, più spostati rispetto all’attacco della via Ellena. Gianni attacca e, dopo una decina di metri (III-) giunge a una fessura che parte in strapiombo. Mentre pianta un chiodo, attacca a piovere. La temperatura si abbassa di colpo. Su per la fessura non si va, mentre capiamo di non essere sulla via Ellena che non dovrebbe superare il IV grado. Qui, in questa fessura, altro che IV! Gianni, in spaccata, passa a sinistra. Piove abbastanza forte. Sotto, Gianni Pàstine, Margi e Vincenzo stanno a guardare con un po’ di apprensione. Gianni è costretto ad andare in diagonale a sinistra su difficoltà di IV+ e V-. Le fessure sono tutte cieche, quindi non si riesce a piantare un chiodo.
– Se trovo una fessura, ci pianto un chiodo e scendo in doppia – afferma Gianni. Ma la fessura non la trova ed è costretto a muoversi su roccia non del tutto sicura. Ora pianta un chiodo, ma è cattivo. Ci si assicura ma deve andare avanti. Arriva così alla fine della corda. Si autoassicura e mi fa salire. Tolgo i due chiodi e mi arrangio. Sono passaggi che fatti a mani gelate (fa proprio freddo, direi -5°) non sono piacevoli. Raggiungo Gianni. Constatiamo che il più è fatto. Smette di piovere e si leva un forte vento che asciugherà la roccia in breve. Di sotto spettatori non ci sono più. Procediamo su terreno meno verticale fino alla cresta nord-ovest, che poi seguiamo integralmente, superando, circa a metà, un passo di V e, verso la cima, uno di IV+. A destra l’esposizione è poca, ma a sinistra si fa rispettare. Usciamo in vetta alla Cima Paganini 3051 m, esattamente sulla cima a sud. Qui ci sono anche Pàstine e Bruzzone. Dopo aver sgranocchiato qualcosa scendiamo per la via normale fino al Colle di Nasta e da lì verso il rifugio Remondino. Ora spunta il sole! Siamo un po’ arrabbiati. Pur avendo fatto la mia prima via nuova in montagna, non sono soddisfatto. E’ stato un peccato rinunciare allo spigolo ovest di Nasta per un maltempo così cretino, prima brutto, poi bello. Mangiamo a ridosso di alcuni massi. Dopo un po’ di palestra di roccia, facciamo ritorno all’auto.
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