Tavolara (Hermaea Insula)

Tavolara (Hermaea Insula)
di Giuliano Stenghel (Sten)

L’isola di Tavolara è un immenso scoglio di roccia calcarea, poggiato su un basamento di rocce granitiche; si erge per quasi seicento metri con pareti verticali e falesie dolomitiche che strapiombano sul mare blu turchese; una montagna in mezzo al mare ricca di vegetazione. La sua mole condiziona tutto il panorama della costa nord-orientale della Sardegna.

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Leggende e misteri narrano di quest’isola, dove convivevano pirati e reali con la famosa – ormai estinta – specie delle capre dai denti d’oro, allo stesso modo dei topi e ragni giganti, delle foche monache, degli asinelli bianchi e altre specie. Meta di re e letterati, di poeti e naviganti, e di uomini potenti e ricchissimi, luogo di tanti naufragi, ma anche di una piccola comunità che viveva di pastorizia, di pesca e successivamente estraendo la calce dai numerosi e ancora ben visibili forni. Poi, interessi di vario tipo hanno diviso l’isola in tre parti, la più bella addirittura off limits. E ciò purtroppo non è leggenda. Peccato!

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Speriamo che qualcuno si mobiliti per liberare al più presto questo posto tra i più belli al mondo.

Infatti, questa piccola isola che dovrebbe essere il più minuscolo regno del mondo, ufficialmente è “frazione” di Olbia, in gran parte di proprietà della famiglia Marzano, anche se una zona è stata espropriata dalla NATO, e della famiglia Bertoleoni (“re di Tavolara”) che gestisce i ristoranti.

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Tavolara, un posto unico, magnifico, che merita di essere visitato. Chiunque s’avventura lungo i sentieri che dal ristorante – punta d’approdo dei battelli o delle imbarcazioni – s’intrecciano lungo la costa e sullo Spalmatore di Terra, non può fare a meno di godere dei profumi del mirto, del rosmarino e delle tante specie di piante, alcune endemiche. Ma l’isola è prima di tutto una montagna che ammalia, soprattutto gli alpinisti. Salire in vetta a punta Cannone (565 metri) non è facile, anzi: i diversi percorsi e purtroppo poco segnalati e difficilmente individuabili e i tratti in cui bisogna arrampicarsi seppur servendosi di una ferratina o di un percorso con corde fisse, necessitano di una buona esperienza in montagna e di un’attrezzatura adeguata oppure di una guida alpina. Da poco è stata aperta la Via degli Angeli: un percorso con alcuni brevi tratti attrezzati che s’inerpica lungo la cresta che da Punta La Mandria sale fino a Punta di Lucca (550 metri circa) per proseguire su Punta Cannone. Itinerario alpinistico molto impegnativo che si può raggiungere seguendo il sentiero delle calchere lungo la costa.

Via Il Grido del Gabbiano alla parete sud-est
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L’alpinismo su Tavolara si è sviluppato prevalentemente negli anni Settanta sulla parete nord-nord-ovest, grazie a Bodo Habel e altri fortissimi rocciatori tedeschi che hanno aperto le prime vie di estrema difficoltà. Proprio loro hanno portato la Croce in vetta, poi da qualcuno divelta. Prima di loro le salite erano su itinerari più facili e per cacciare.

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Con tutte le montagne del mio Trentino, perché mi sono lasciato sedurre e ammaliare dal fascino di un posto tanto lontano? Di preciso non lo so, ma le forme cariche di mistero di quello scoglio in mezzo al mare mi hanno completamente catturato. E non è soltanto questo, c’è di più, c’è qualcosa che provo dentro, che ho avvertito sin dal principio, una strana sensazione ed emozione, come se qualche forza misteriosa mi avesse chiamato in quei luoghi. Senz’altro ha contribuito la Croce in vetta che ora non c’è più…

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Quando sentii parlare di Bodo Habel e conobbi la sua storia mi feci persuaso di un cammino che doveva proseguire. Bodo era un cittadino tedesco volato da poco in cielo e che anni prima, con alcuni amici, aveva portato sulla cima della Tavolara una Croce, in seguito strappata via con forza. Ma non è tutto, dopo che avevo acquistato la mia casetta in Sardegna, venni a sapere che per una fortuita combinazione era situata proprio nelle vicinanze dell’abitazione di quel signore tedesco. Pensando a quegli avvenimenti tanto insoliti: “Il caso… è tutto così strano e straordinario. Sarà forse che lui stesso dal cielo, mi abbia voluto guidare in quel posto: di fronte all’isola rocciosa della Tavolara e per adempiere a un incarico?”. Inoltre: ”Nulla accade per caso, insomma dovevo mettere una cosa al posto di un’altra, dovevo sostituire la Croce divelta con la statua di una Madonna?”.

via Cattedrale a Giovanna MariaTavolara-DALLA GROTTA DELLA CATTEDRALE

La Tavolara, una montagna in mezzo al mare, con pareti scoscese sulle quali ci si può avventurare soltanto con una certa esperienza alpinistica e mentalità esplorativa. Se non fosse per il mare, sembrerebbe una delle nostre montagne, con giganteschi pilastri di roccia grigia in alto e, in basso, ripide falesie con grandi grotte. Rocce vive, inquietanti e ardite nelle forme, spettacolari per l’intensità dei colori. Questa piccola isola mi ha stregato a tal punto dal trasformare le mie vacanze, invece dell’assoluto riposo, un libro da leggere, magari qualche nuotata in un mare da sogno in continue arrampicate su pareti vergini e da brivido. Nei miei spostamenti vedo le spiagge con tante persone che sono lì tutto il giorno, sdraiate che si riposano, poi si bagnano e si riposano ancora, dormono… Allora mi viene spontanea una domanda: “Ma quanto dormono questi?”. Forse sono io che sono sbagliato, io che sono sempre in movimento. Spesso ripenso a una frase scritta sulla trave del rifugio Brentei nel gruppo del Brenta: “Non è riposo il riposo, ma mutar fatica alla fatica è riposo”. Insomma, per riposare, si può cambiare genere di fatica.

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Sull’isola di Tavolara ho provato delle sensazioni indescrivibili, immerso in una natura intatta, ho percepito qualcosa di nuovo, di diverso: una strana impressione, come se lasciata l’affollata spiaggia dell’attracco, si varcasse una porta immaginaria che conduce in un’altra dimensione. Infatti, chi si avventura su queste rocce, avverte una sensazione di solitudine ed è cosciente della pericolosità e delle eventuali conseguenze che comporterebbe un incidente di percorso. Nonostante ciò, amo questo grande scoglio, con rocce di bianco calcare a strapiombo e con una vegetazione unica e rara: un insieme di colori che si riflettono nel mare. E che mare! Non è una montagna per tutti, anzi la sua peculiarità la rende un posto dove è ancora possibile scrivere delle belle pagine di alpinismo, aprire nuove vie fuori dal giro dei grandi e più conosciuti massicci, ma non per questo meno difficili e pericolose.

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Ma, a mio parere, il versante sud-est è il più bello e interessante per la moltitudine di possibilità alpinistiche che offre. Si raggiunge via mare e la scogliera è un muro a picco che s’innalza dapprima per 250 metri per poi degradare dolcemente fino alla cresta sommitale. Una bastionata che si tuffa nel mare, lavorata da immense grotte che formano caratteristici, quanto invitanti, strapiombi e s’allunga a oriente per chilometri, originando un paesaggio dall’aspetto selvaggio, grandioso, incantevole. Qui la falesia è prevalentemente magnifica: lavorata e levigata dal tempo, dal vento e dal salmastro del mare che si fonde con la roccia così impervia. Rocce solide, bianche e giallastre, variamente maculate di marron scuro: un calcare dolomitico che all’alba si colora di rosa. Qui l’ecosistema è dominato dallo spettacolo di una natura prevalentemente intatta. Su queste falesie, ricche anche dal punto di vista faunistico, nidificano molte specie di volatili e in particolare i gabbiani. Il paesaggio offre scorci e contrasti unici e indimenticabili: un insieme che colpisce l’anima. Che posto sublime!

via Nella alla Punta Lucca
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Ricordo la prima volta che ho scalato questo versante: una giornata splendida di primavera, sulla barca il silenzio era quasi irreale ma quando, con i miei compagni, abbiamo messo le mani sulla pietra, all’improvviso si è scatenato un trambusto impressionante, centinaia di gabbiani in allarme gridavano e volavano sopra le nostre teste, uno spettacolo inquietante e per noi la paura che gli uccelli ci attaccassero per difendere i loro piccoli nei nidi. E’ difficile spiegare il paradiso di questo immenso scoglio lungo quasi sei chilometri. L’alpinista che vi ci si avventura non potrà non rimanere colpito dalla luce e dai colori: il blu trionfa dappertutto nel mare e nel cielo. Ciononostante per guadagnarsi l’attacco di molte vie ci vuole un’imbarcazione, inghippo che con il tempo e soprattutto con l’aumento d’interesse di chi vorrà scalarla, sono certo, si potrà risolvere. Alcune vie sul tratto di falesia vicino a punta La Mandria si possono già raggiungere via terra arrampicando sul traverso, per ora di oltre mille metri, che ho aperto a pelo d’acqua e dedicato a mia moglie Nicoletta.

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Estate 2013: immerso nella natura intatta dell’isola di Tavolara vivo delle sensazioni indescrivibili. Sono solo ai piedi di questa immensa scogliera in procinto di attraversarla a pelo d’acqua, allo stesso modo del traverso dedicato a Serenella sul lago di Garda. La parete è bellissima, di quelle che non ho mai visto: quasi sempre verticale o addirittura strapiombante. L’arrampicata si rivela costante, con tratti lisci e con piccoli, minuscoli appigli per le dita e appoggi per i piedi: nonostante ciò sono tranquillo in un ambiente sicuro, piacevole e divertente, consapevole che nella peggiore delle ipotesi, in caso di caduta, mi rinfresco in acque turchesi e cristalline. Mi sento agile nei movimenti e soprattutto percepisco che il mio corpo è ancora vivo sul verticale, in piena sintonia con la parete, anzi, motivato dal fatto di essere su un terreno vergine e in procinto di aprire un traverso quasi infinito: una nuova via che dedicherò a mia moglie Nicoletta. Provo l’emozione di una roccia fantastica, di un mare unico, dei colori, dei suoni delle onde che s’infrangono, del caldo riflesso del sole e il dolce sussurro del vento: insomma la gioia e la libertà di un piccolo paradiso in terra. La strana sensazione di scrutare la scogliera, a volte così levigata, e cercare di proseguire con il corpo in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi, e accarezzare la roccia alla ricerca della più piccola rugosità che mi permetta di cambiare posizione, di trovare il modo di abbinare armonicamente mani e piedi nella sequenza giusta. Tanta la concentrazione e la determinazione nel riuscire a combinare ogni mossa, come in una partita di scacchi. Mi sforzo di comprendere, percorrere e capire dove passare, provo forti emozioni e grandi soddisfazioni e nulla conta se non la conquista di un pezzo di parete. Su un tratto per me impossibile mi lascio cadere e a nuoto raggiungo la grande grotta della “Cattedrale”. Al suo interno è l’agognata ombra e la Madonnina che, con Mariano, abbiamo poggiato per Juani, un ragazzo paralizzato e pochi mesi fa miracolosamente guarito: un posto da sogno dove è bello stare soli a meditare e pregare. I miei occhi si perdono sulla volta strapiombante dove, pochi giorni fa con Massimo, abbiamo aperto una via molto bella e rifletto sulla mia passione che ancora mi spinge a scalare le montagne, a continuare a salire, lasciandomi dietro migliaia di appigli ed emozioni, senza rimpianto, ma con la consapevolezza che ogni difficoltà, ogni piccola asperità mi aiuterà a crescere. Rimango a lungo seduto sulle rocce in ombra e poi mi convinco di proseguire nella mia scalata. In un tratto privo di appigli mi lascio trasportare dalla roccia in alto e ritorno con la mente alla concentrazione e alla consapevolezza di non poter più cadere. Su è giù, perdendo così la dimensione dello spazio e del tempo. All’improvviso il sole scompare e la parete entra in ombra, poi si alza il vento e il mare si fa increspato. Lo stesso mare che poco fa era una lavagna nella magia di mille luci e infondeva tanta tranquillità, ora è scuro, mosso, inquieto come il mio animo. La furia delle onde che s’infrangono sulla scogliera crea spruzzi altissimi che m’investono come per mostrarmi che non sono io che domino la natura, bensì il contrario. Mi guardo attorno alla ricerca di qualche imbarcazione per un passaggio fino al punto d’attacco ma, purtroppo, non c’è anima viva. Ispeziono le rocce sovrastanti per un’eventuale scalata libera lungo l’alta scogliera: dovrò superare duecento metri di rocce verticali e poi una lunga arrampicata fino in cresta. Come in tante altre situazioni limite cerco una soluzione, ma ogni situazione è diversa e mi rendo conto che devo fare una scelta: nonostante la roccia bagnata, in alcuni tratti scivolosa, e le onde che disturbano i movimenti, decido di ritornare in arrampicata. Sono stanco morto e ho tanta sete. Su un tratto difficile gli schizzi delle onde mi aggrediscono mettendo a dura prova il mio equilibrio, le dita stringono delle piccole rugosità, carico di peso una minuscola asperità e… scivolo, ruzzolando in mare. Tra le onde la solitudine e una forza che mi vuole scaraventare contro la roccia tagliente; non mi resta che nuotare in mare aperto con tutte le forze in corpo e in direzione della grotta della “Cattedrale”. Sono un buon nuotatore, ma credo che mai nella vita mi sono trovato a sguazzare con tanta fatica e impegno per galleggiare. Finalmente raggiungo la grande spelonca e dopo essere riuscito a risalire sulla roccia mi sdraio sfinito dieci metri sotto la statua della Madonna. Ora non so più come fare e mi viene spontanea una preghiera. Fortunatamente il vento cala e il mare si tranquillizza. Mi riporto all’esterno dell’anfratto e il mio sguardo si perde sull’infinita scogliera. Il mare è ritornato liscio come l’olio e riflette tutti i colori del tramonto. E’ una sera calda d’agosto quando ricomincio a scalare. Le gambe non mi reggono più dalla fatica e le braccia mi fanno male. Per l’ennesima volta mi trovo a scegliere: roccia o acqua? E mi lascio cadere. Colgo una sensazione strana di benessere: sto veramente bene nell’acqua così tranquilla, tutti i muscoli si stano rilassando e mi abbandono. L’ambiente è tutta un’altra cosa e avverto una serenità interiore, l’opposto dell’ansia che avevo con il precedente bagno nel mare mosso. Nuotando lentamente a dorso nella pace di questo momento che prelude alla notte, mi viene da chiudere gli occhi e addormentarmi.

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Sul sentiero, nella solitudine della sera, mi perdo in un cielo pieno di stelle che si sono improvvisamente accese formando tante costellazioni e la luna piena, argentea che si specchia con un lungo cono di luce sul mare piatto e lo ricopre con il suo chiarore. In questo ambiente da sogno, è bello stare solo con la natura e farmi prendere dai pensieri e dai ricordi: tanti i sogni realizzati o infranti, il calore di forti emozioni provate, moltissime le gioie e le soddisfazioni, altrettanto l’entusiasmo, ma anche le delusioni e un’infinità di lacrime. Ma ancora desideri nel cassetto che mi fanno lottare affinché i miei sogni divengano realtà. In alto, l’ombra di Punta Cannone si staglia nel cielo, maestosa, imponente e incomparabile. M’incute timore e mi riporta indietro nel tempo, a quando muovevo i primi passi sulla roccia. Sono passati oltre quarant’anni e sono ancora qui che cammino… spesso sul verticale: è una passione, forse la ricerca di certi valori, di sicuro qualcosa di essenziale della mia vita. Una stella cadente attraversa la volta celeste e mi ricorda che è la notte di San Lorenzo: la notte in cui le stelle si staccano dal firmamento. Si dice che quando se ne vede una precipitare in cielo si può esprimere subito un desiderio e si realizzerà. Chiudo gli occhi e…”.

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Tavolara (Hermaea Insula) ultima modifica: 2016-09-21T05:24:07+02:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Tavolara (Hermaea Insula)”

  1. Grazie. Sono capitata su questa pagina per caso, digitando il nome del mio caro amico Bodo. Ho subito riconosciuto alcune foto contenute nel suo libro. Tento da anni di conservare il ricordo di Bodo, ho curato la traduzione del suo libro in lingua italiana, poi mai pubblicato, trovammo enormi difficoltà. È strano, Bodo trova sempre il modo di comunicare, forse è una coincidenza, ma mi fa enormemente piacere che venga ricordato. Ancora grazie Patrizia Piselli

  2. Grazie Giuliano di questo racconto così profondamente sentito. Tavolara è davvero un luogo fatato.
    Mi sarebbe piaciuto tanto fare lì qualche via di arrampicata ma non l’ho fatto. Comunque in cima ci sono salito due volte, la prima sulla ferrata, con un’atrezzatura ormai in disfacimento, la seconda appunto per sostituire almeno alcuni spezzoni di corda. Lo so che la cosa è criticabile, ma mi pareva più pericoloso lasciare lì quegli spezzoni inaffidabili. Magari ora anche queste corde andrebbero sostituite.
    Allora chiesi il permesso di salire, che mi fu negato, così salimmo clandestinamente. Non si sa cosa augurarsi: se l’accesso fosse permesso, magari l’isola sarebbe invasa da torme di falesisti che la snaturerebbero;però non va bene nemmeno che si minacci chi ci vuol salire, com’è capitato a me. Mi dissero che c’erano in giro le guardie armate, e di stare ben attento…
    Come che sia, è un incanto da conservare intatto per chi verrà dopo.

  3. Caspita! Ammetto grande ignoranza perchè la conoscevo solo di nome ma non mi ero mai documentato al riguardo. Spettacolare! Molto belle anche le foto.

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