Tentativo al Castello della Pietra (AG 1962-001)
(dal mio diario, 1963)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
25 aprile 1962. Marco e io volevamo imparare la corda doppia, perciò eravamo andati in via Gramsci in una corderia per comprare trentotto metri di robusta corda. Credevamo che la corda doppia si facesse in questo modo: ci si annodava a un’estremità della corda, si faceva passare la corda nel chiodo, oppure la si poneva ad aggirare una sporgenza di roccia, e poi ci si calava tenendo ben strette le mani sull’altro capo! Esperienze da primitivi! Ignoravamo perfino l’esistenza dei moschettoni.
Comunque partiamo da Ge-Brignole con il treno delle 5 di mattina. A Ronco Scrivia alle 6.02. Usciti dalla stazione, camminiamo per un bel po’ per la Statale che traversa Ronco, poi prendiamo per Pietrafraccia. Attraversiamo lo Scrivia e passiamo sotto all’autostrada. Finalmente ci troviamo tra i campi, nella fresca brezza mattutina. Il cielo è sereno o quasi e camminiamo di buona lena nella bella valle del rio di Picagna. Dopo due km, usufruendo delle scorciatoie che portano al paese, ci troviamo nel bel mezzo di Pietrafraccia, a quota 487 m. Prendiamo acqua alla fontana, riordiniamo un po’ gli zaini, tiriamo fuori la carta militare e ripartiamo dietro alcuni boscaioli su una mulattiera ripida ma agevole. Attraversiamo il rio Serisola a quota 550 m ed entriamo nella boscaglia di arbusti fino ad attraversare un affluente del rio Molino, a quota 675 m.
Sulla carta è segnato un sentiero che ci avrebbe accorciato il cammino. Ci fidiamo e prendiamo una stradetta che sembra corrispondere a quella segnata. Ben presto però ci accorgiamo che abbiamo sbagliato. Saliamo ora senza sentiero in mezzo alle sterpaglie del bosco. Io sono avanti di dieci metri, quando sento Marco urlare e imprecare contro una vipera che gli è sgusciata da sotto i piedi. La sua irritazione passa ben presto e proseguiamo parlando della sorte. Marco mi dice: “Pare impossibile, ma da quando andiamo in giro assieme, le vipere e i colubridi li vedo solo io, tu mai”. E’ vero, effettivamente. Assieme a lui mai avevo ancora visto alcun animale strisciante.
Finalmente arriviamo in cresta a quota 750 m circa. Tentiamo di orizzontarci, anche con la bussola. Ma tanti sono i sentieri tracciati sulla carta in quel punto, come tante sono le tracce in mezzo alla boscaglia: non ci capiamo più nulla. ne seguiamo una, ma finisce subito e ci troviamo in un bosco di castagni che individuiamo sulla carta a quota 725 m. Saliamo su una diramazione della cresta tra il Bric dell’Ajola e il Bric Rebora, a quota 755 m. Anche qui un sacco di tracce. Ci buttiamo giù per una qualsiasi, ma dopo dieci minuti siamo di nuovo senza percorso. Allora mandiamo tutte le tracce a farsi benedire e scendiamo perpendicolarmente (e brutalmente) verso valle, fino a trovare un’altra traccia che seguiamo finché possibile. Poi ci buttiamo giù di nuovo allo sbaraglio verso il rio Grasso, dove arriviamo mezzi morti dopo aver traversato la boscaglia più terribile mai vista. Seguendo un sentierino ci troviamo finalmente di fronte al torrente Vobbia, a quota 421 m. Ora si presenta il problema di attraversarlo. C’è una specie di spiaggetta, dove togliamo scarponi e calze. Nel guado, l’acqua non è tanto fredda. Ci asciughiamo e rimettiamo gli scarponi. Saliamo sulla carrozzabile e ci mettiamo alla ricerca del Seccatoio dei Coppi, che pensiamo sia una casetta. Invece no, è solamente un luogo dove si lascia a seccare la legna, ma questo lo scopriremo solo due-tre giorni dopo, perciò ora ci meravigliamo di vedere solo una catasta di tronchi dove pensavamo fosse una costruzione. Dato che la carta riporta un sentiero che sale al Castello della Pietra partendo dal Seccatoio, e dato che non lo troviamo, passiamo da un’altra parte, quella del torrione occidentale, il più basso. Ora vediamo un sentiero, segnato con un disco giallo. Saliamo fino a un certo punto poi, volendo fare un po’ di scalata, cerchiamo qualche risalto un po’ divertente e lo troviamo. Con i sacchi pesanti potrebbe essere un po’ pericoloso, perciò Marco va su da solo, senza sacco ma con la corda. Poi traversa a destra e sale per roccia, terra e sterpi. Per un po’ non lo vedo più, poi vedo apparire la corda che scende verso di me. Ci attacco i due zaini, lui issa quell’ingombrante peso con il risultato di fare uno “sguaro” al suo zaino. Poi lo raggiungo, in mezzo a sterpi e cumuli di legna. Saliamo fino alla base del Torrione Ovest, giriamo a destra e ci accampiamo su una piazzuola proprio sotto al Castello e ai due Torrioni.
Questi torrioni, di quote rispettive 625 m e 584 m, si trovano sulle pendici occidentali del Monte Cravì 992 m, 3 km a nord-ovest del paesino di Vobbia. Sono formati da conglomerati ben stratificati. Il castello è un vero e proprio rudere: se ne ha notizia già dal 1252, come appartenente agli Spinola. Mangiamo, scattiamo delle foto, poi andiamo a esplorare l’interno. Con l’ausilio di un grosso ramo d’albero messo davanti, entriamo. Queste mura silenziose e cadenti ci opprimono. Da alcune arcate ci affacciamo verso nord, nella Forra degli Imbusti. Gironzoliamo un poco, poi decidiamo di fare corda doppia. Lui deve tenere la corda e farla scivolare e io devo scendere due-tre metri in quel modo detto prima; per fortuna riconosciamo presto l’inefficacia del nostro metodo e rinunciamo. Allora pensiamo di salire in cima ai due torrioni. Sul più basso, nemmeno parlarne: c’è una parete che non possiamo neppure affrontare. Sull’altro ci proviamo, incamminandoci su per la scaletta diroccata che diventa sempre più stretta e paurosa. Il vuoto sotto di noi è molto pronunciato e non vediamo via d’uscita. Torniamo indietro, uscendo dal castello e tornando dove avevamo mangiato. In seguito, lungo il sentiero questa volta, scendiamo alla carrozzabile. In vista di Vobbia, ci divertiamo a buttare giù nel torrente sassi, anche grossi. Quando riprendiamo a camminare, ci mettiamo a parlare dei miei record. Glieli illustro tutti e Marco decide di contare anche lui ciò che io contavo da tempo. Il suo record di altezza è il Furggen, la stazione di arrivo della funivia di Cervinia, a circa 3500 metri. Perciò mi batte di 151,2 metri.
A Vobbia ci beviamo due birre, poi proseguiamo lungo la valle del torrente Fabio, su per una mulattiera tra i prati fino alle Case del Pio 602 m. Per una carrozzabile in costruzione arriviamo a Crocefieschi 741 m. Lì compriamo della cioccolata sciolta e ce la mangiamo per strada mentre scendiamo a Camarza, ricollegandoci al percorso di quando l’anno scorso eravamo saliti alla Carrega del Diavolo. Anche questa volta temiamo di perdere il treno, cosa che, nonostante il buon passo, avviene regolarmente. Nell’attesa del seguente, facciamo il giro dei caffè di Busalla bevendone cinque o sei tazzine per ciascuno. Poi mi metto a calcolare quanti km avevo fatto in vita mia in treno. Con l’aiuto di un orario ferroviario, sul quale sono riportate tutte le distanze, passo il tempo fino all’arrivo del treno. Marco intanto si legge un giallo. Arriviamo a Brignole alle 19.48, a casa alle 20.20, orario passabile per non avere rimbrotti.
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Sempre bello leggere questi racconti. Dalle informazioni in mio possesso (se qualcuno smentisce può solo farmi piacere!!), mi risulta purtroppo che da anni ormai non si può più arrampicare (divieto) sui torrioni annessi al Castello. Dico bene? Non essendo del posto non sono molto informato.