Terremoti nei Monti Sibillini

Terremoti nei Monti Sibillini
(disastri naturali e disastri innaturali, cioè quelli compiuti dagli uomini)
di Paolo Caruso
(articolo già pubblicato su http://www.metodocaruso.com/uploads/MPA/Articoli/TerremotiNeiMontiSibillini.pdf)

 

Il giorno 28 agosto 2016 insieme all’amico e istruttore IAMA Paolo Aprile compiamo la perlustrazione della zona ovest del Monte Vettore, da Forca di Presta al Vettoretto e, passando per lo Scoglio dell’Aquila, dal M. Redentore alla Cima di Prato Pulito fino alla Sella delle Ciaule (Rif. Zilioli). La perlustrazione, che ha incluso la salita della parete dello Scoglio dell’Aquila, è avvenuta pochi giorni dopo il terremoto principale che ha distrutto Amatrice, Accumoli, Arquata e gli altri paesi limitrofi. L’obiettivo era quello di verificare la pericolosità della zona ed eventuali crolli delle pareti di roccia.

Crepe del terremoto sul sentiero di Forca di Presta
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Numerose e notevoli le crepe sul terreno, sia sul sentiero che sui lunghi pendii che portano allo Scoglio dell’Aquila. Sotto la parete, in alcuni punti, le lunghe fratture del terreno larghe fino a 30/40 cm. ricordano le “crepacce terminali” dei ghiacciai, ma la differenza è, appunto, che si tratta di terreno più o meno ghiaioso, non certo di ghiaccio.

Crepa del terremoto alla base dello Scoglio dell’Aquila
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Ci sono stati alcuni crolli di blocchi dalla parete ma tutte le aree più compatte non hanno subito danni evidenti. In alcuni casi, i detriti hanno raggiunto il ghiaione presente alla base della parete.

La salita è avvenuta per l’itinerario La Cresta delle Fate che, come indica il nome, essendo per lo più una via di cresta, era più protetta considerando le eventuali scariche che potevano essere provocate da altre scosse di terremoto. Alla fine degli anni ’90 avevo individuato questo itinerario che ho poi aperto a più riprese con diversi compagni.

Lo Scoglio dell’Aquila
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I criteri di apertura sono stati quelli generalmente utilizzati dagli alpinisti di esperienza: protezioni naturali (clessidre e spuntoni) e veloci (dadi e friend) là dove possibile, chiodi tradizionali e tasselli a espansione nei tratti non proteggibili in altro modo. D’altronde, questo è lo stile di apertura degli itinerari alpinistici che ho sempre prediletto e che ho seguito fin dagli inizi della mia attività alpinistica, a iniziare dalla via Cavalcare la tigre del 1982 sul Corno Piccolo del Gran Sasso. Si potrebbe riassumere in queste due frasi che mi frullavano in testa fin da ragazzo: la protezione giusta al posto giusto e, come seconda, le protezioni devono avere un ruolo secondario rispetto all’itinerario e all’azione arrampicatoria dell’uomo. In altri termini, l’ingegno, la capacità, l’esperienza dovevano prevalere sugli strumenti. Aprire una via nuova per me è sempre stato paragonabile a tracciare un’opera d’arte, in cui i segni dell’uomo sulla montagna dovevano essere di minor impatto possibile. Non è questione di quantità di vie aperte quanto piuttosto di qualità. Aprire le vie per dare sfogo al proprio narcisismo o alla propria mitomane ricerca di vanagloria mi è sempre sembrata cosa molto misera e degenere. Solo in questo modo, fin dalle prime salite compiute ormai molti anni fa, credevo fosse possibile entrare con rispetto nel mondo della montagna per comprenderne l’essenza. Da questo è nata la via più importante che ho aperto, anzi che sto tutt’ora aprendo, la via che ha portato alla nascita e allo sviluppo del Metodo Caruso… ma questa è un’altra storia.

Sulla Cresta delle Fate allo Scoglio dell’Aquila: Paolo Aprile a metà via dopo il terremoto
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Il Parco Nazionale dei Monti Sibillini
C’è da considerare che siamo nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, l’area protetta più criticata dalle persone che ci vivono e lavorano (e non solo) che io attualmente conosca. Il suddetto parco, a partire dal 2009, ha manifestato chiare tendenze di avversione verso la nostra disciplina e altre attività tradizionali e “sostenibili”, culminate addirittura in preoccupanti divieti, come quello di accesso al M. Bove, la zona forse più importante dal punto di vista alpinistico dell’intero gruppo. Tutto ciò malgrado il bassissimo numero di presenze alpinistiche e turistiche che caratterizza il Parco. Infatti, se non fosse per i grandi flussi attirati dalle fioriture della Piana di Castelluccio e il turismo richiamato in agosto da altre rare ed eccezionali zone, come il lago di Pilato, il parco sarebbe semi deserto. E non stupisce, visto che per anni le informazioni turistiche e quelle su come fruire l’ambiente sono state carenti, o del tutto assenti, così come il coinvolgimento delle popolazioni locali e dei “portatori di interesse”, in barba alle disposizioni internazionali, come la Convenzione di Aarhus, oltreché nazionali. Ciò non ha impedito al Parco di elargire multe a diversi tipi di frequentatori. Multe a chi camminava con il cane al guinzaglio o anche a chi pubblicava su qualche sito una semplice foto con il cane al guinzaglio (vedi il noto caso di Luigi Nespeca)! Multe ai negozi di generi alimentari che utilizzavano il termine “Parco” per indicare l’origine dei loro prodotti; a chi, in assenza delle aree di sosta, parcheggiava toccando con una ruota un ciuffo d’erba; a chi praticava il volo a vela (attività di vecchia data nella zona) e perfino alle guide alpine mentre esercitavano il loro lavoro, come successo al sottoscritto sul M. Bove.

Insomma, nei Sibillini le attività “compatibili” e tradizionali vengono penalizzate, vietate, multate, abolite, in chiaro contrasto con quanto scritto nella legge Quadro sulle aree protette che, invece, indica chiaramente tra gli obiettivi dei parchi quello di favorire queste attività, e in controtendenza rispetto a quanto accade in altri parchi nazionali di montagna, in Italia e all’estero. Citando testualmente la legge, oltre a salvaguardare la natura, i parchi dovrebbero “applicare metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale”, favorire e incentivare le attività tradizionali e sostenibili (tra cui indubbiamente figura l’alpinismo), valorizzare le eccellenze del territorio e coinvolgere i portatori di interesse… In altri termini, un Ente parco dovrebbe collaborare con le comunità locali anche per mettere a frutto, in base a criteri di sostenibilità, quelle risorse che permetterebbero di evitare ulteriori e gravi spopolamenti dei paesi che si trovano al suo interno, e non certo perseguire personalistiche e discutibili visioni di tutela della natura, incluse le attività come la caccia, predilette ad esempio dal direttore uscente del Parco… Le aree protette sono nate per cercare di realizzare scopi più nobili che non l’essere un capriccio privato delle solite “caste”.

Cresta delle Fate, primo tratto deturpato. Visibile uno dei tasselli aggiunti
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Cresta delle Fate, Paolo Caruso in apertura sul primo tratto deturpato. C’era un tassello, ora sono tre
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Di fatto, l’attuale gestione del Parco Nazionale dei Monti Sibillini ha fallito, proprio perché non è stata in grado di “applicare metodi… idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale”. Con i divieti e con le sanzioni si ottiene esattamente il contrario. E le conseguenze sono evidenti e il malcontento generale ha raggiunto livelli che mai nella mia vita ho potuto riscontrare altrove.

La lunghezza nuova (autonoma) trapanata a raffica
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Io non so se questo Parco ha realmente protetto la natura, di sicuro sono stati commessi gravi errori: da quelli che si dice siano avvenuti al momento della cattura e del rilascio dei camosci appenninici nell’ambito del Progetto europeo di introduzione di questa specie nei Monti Sibillini, agli “ecomostri” (vedi il nuovo rifugio-caserma costruito a Frontignano – Saliere); dalla musica da discoteca a tutto volume che riecheggia (nonostante i divieti…) perfino sotto le pendici del M. Bicco (vicino alla zona vietata del M. Bove), all’erosione provocata dal bike park di Frontignano, ai mezzi motorizzati utilizzati durante la realizzazione e l’accudimento dei cavalli nel discusso Progetto di Conservazione delle Praterie Altomontane.

Il denaro pubblico va speso per cose importanti, ovvero utili e positive per la collettività. Un ente pubblico che non lavora per il bene comune fallisce il suo compito e sperpera risorse che potrebbero essere utilizzate per risolvere i tanti problemi di questo Paese, non ultimi quelli causati dai terremoti.

L’alpinismo nei Monti Sibillini, tra divieti “anacronistici” e strampalati
Veniamo ora a quanto accaduto sulla parete dello Scoglio dell’Aquila. Il 17 luglio scorso vidi una corda fissa proprio sulla parte alta della parete. Mi domandai allora: chissà a cosa serve, considerando pure che il regolamento del Parco dei Sibillini vieta anche l’uso delle corde fisse?

Si rende qui necessaria ancora un’ultima considerazione: a parte le discriminazioni nei confronti degli alpinisti sancite dal DD. 384/ 2014 che è stato pubblicato all’Albo Pretorio, lo stesso Ente ha recentemente vietato l’apertura di nuovi itinerari alpinistici e perfino di “forare” la roccia, sia a mano sia con l’utilizzo del trapano (a motore o a batteria per loro è uguale). Ma non solo: è anche vietato collocare tasselli a espansione ovunque, perfino nelle sporadiche falesie esistenti all’interno dell’area protetta, così come sistemare o sostituire le soste. Dato che c’è in zona un individuo più o meno noto che schioda soste e spit (ma non quando sono indispensabili a lui…) sembrerebbe esserci un nesso tra il divieto di rinnovare e ripristinare le soste e la schiodatura sistematica delle vie…

Allo stesso tempo, è importante avere ben chiaro che questo regolamento del Parco potrebbe creare dei problemi seri, proprio per il fatto che si vieta di risistemare le soste perfino dove il “noto” schiodatore ha tolto le soste già esistenti. Potrebbe essere molto pericoloso per gli alpinisti e potrebbe anche aumentare il rischio di impatto ambientale a causa dei più probabili interventi dell’elicottero e del soccorso. Se ciò avverrà, la RESPONSABILITA’ non potrà che essere innanzitutto dell’Ente parco, poi del Collegio delle Guide marchigiane, in quanto questo regolamento il Parco lo ha partorito di concerto con detto Collegio (!), e infine del “furbo” schiodatore… Qualora succedesse qualcosa di grave (come già stava per accadere a una cordata di Foligno messa in difficoltà da una di quelle soste schiodate) le persone coinvolte potranno far valere i propri diritti.

A questo proposito è degno di nota anche il fatto che nei Monti Sibillini, a eccezione di una quindicina di itinerari aperti dal sottoscritto con vari compagni precedentemente al divieto, e qualche altra sporadica iniziativa di terze persone, la storia dell’alpinismo è praticamente ferma agli anni ’80! Non siamo certo al Gran Sasso in cui, invece, proprio a iniziare da quegli anni si è avuto un grandissimo sviluppo dell’alpinismo che ha dato luogo a esagerazioni evidenti, un vero pullulare di vie e varianti ovunque che generano ragnatele incomprensibili di itinerari. Per questo, qualcuno ha definito il Gran Sasso la falesia d’alta quota peggio chiodata d’Italia. Volendo attenersi a sani principi di salvaguardia della natura, a un certo momento della storia alpinistica di questa montagna, certamente avrebbe avuto senso vietare l’apertura di ulteriori itinerari, di varianti e viuzze. Ma nei Sibillini no. Qui l’alpinismo è quasi morto e la presenza di alpinisti è meno di 1/10 di quella del Gran Sasso! Qual è, dunque, il reale scopo dei gestori del Parco?

Chissà che non si voglia eliminare proprio coloro che si preoccupano realmente della tutela delle nostre montagne così poi, magari, si potrebbero attuare alcune idee malsane, come quelle relative all’eolico, al fine di incassare altri soldi, sacrificando proprio quella natura che sta più a cuore a quelli come noi piuttosto che non a quelli che siedono dietro la scrivania…

Cresta delle Fate, Paolo Caruso in apertura sul secondo tratto deturpato: un tassello nel tratto chiave
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Bene, dopo ore e ore passate a cercare di interpretare una confusionaria pagina web nel sito del parco che sembra fatta apposta per mettere in difficoltà i cittadini (altro che trasparenza!), rimbalzando da un documento all’altro con allegati che non si aprono o non si leggono per i caratteri in miniatura, senza mai avere la certezza di aver ben compreso il senso di quanto si legge, deduciamo che anche sullo Scoglio dell’Aquila non si possono più aprire vie, ripristinare soste e utilizzare qualsiasi tipo di tassello a espansione. E’ assurdo ma questo è… Evidentemente si ignora anche che i chiodi tradizionali possono creare più danni dei chiodi a espansione, soprattutto quando questi ultimi vengono utilizzati oculatamente, e pertanto evidentemente lo ignorano anche i rappresentanti del Collegio regionale delle guide marchigiane essendo, di fatto, gli unici interlocutori dell’Ente o, quantomeno, i responsabili tecnici del regolamento in questione. Da considerare il fatto che un regolamento simile non è mai stato applicato prima in nessun altro parco degli Appennini e delle Alpi (e probabilmente neanche all’estero!) e quindi neanche al Gran Sasso, dove la situazione è quella descritta sopra. Nei Sibillini l’Ente parco dovrebbe, al contrario, preoccuparsi di promuoverlo, l’alpinismo, anche favorendo una formazione e una cultura adeguate. Ci dovremmo poi chiedere come sia possibile che un Collegio delle guide (quindi dei professionisti della montagna) possa anche solo sognarselo un simile regolamento; sarebbe interessante conoscere le referenze alpinistiche che sono alla base di queste assurdità… ma anche questa è un’altra storia…

Via nuova stile falesia: tasselli a espansione a raffica, niente protezioni naturali e veloci e, dulcis in fundo, aggiunta di altri tasselli a espansione (con relative perforazioni) dove detta via interseca un itinerario già esistente
Nella zona dove nel mese di luglio avevamo visto la corda fissa, durante la salita del 28 agosto mi accorgo dapprima che sono stati aggiunti 2 tasselli ad espansione in un tiro della Cresta delle Fate che era stato aperto con 1 solo tassello (oltre a 1 chiodo, 1 clessidra e un paio di friends). In pratica ora ci sono 3 “spit” invece di uno solo. Andiamo avanti. Arrivo in sosta e noto che sulla sinistra è stato aperto un tiro di corda di 30 metri circa con uso sistematico di tasselli a espansione, collocati a goccia d’acqua, stile falesia: nel tiro ce ne sono circa 13 oltre ai 4 di sosta (2 alla base e 2 sopra). Continuiamo. Arriviamo alla sosta sul terrazzo erboso ove è presente una clessidra e perfino una fessura che accetta bene le protezioni veloci (dadi e friend): altro “spit” vicino alla clessidra (!). Poi guardiamo il tiro successivo che era stato aperto con 1 “spit” e 1 chiodo, bene… sono stati aggiunti altri 2 tasselli a espansione oltre a 2 di sosta. Il chiodo è sparito. In pratica, in un tratto di circa 20 metri, ora ci sono 4 “spit” oltre ai 2 di sosta, mentre prima ce n’era 1 solo… Niente male considerando che l’Ente Parco ha introdotto un regolamento che vieta la perforazione della roccia e perfino l’apertura di nuove vie!

Questa via nuova basata sull’uso, anzi sull’abuso, dei tasselli a espansione, perfino deturpando una via esistente, in evidente violazione non solo del regolamento del Parco, ma di qualsiasi regola alpinistica di buon senso, è chiaramente un atto deplorevole o forse provocatorio che fa riflettere molto.

Cresta delle Fate, secondo tratto deturpato. Tre tasselli aggiunti + due di sosta
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Cresta delle Fate, Paolo Aprile sale il secondo tratto deturpato seza curarsi dei tasselli aggiunti e inutili
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Quanto accaduto è un’ulteriore conferma del fallimento di una gestione del territorio basata sui divieti. E’ noto che ai regolamenti assurdi e dittatoriali, alle vere e proprie repressioni, alle esagerazioni e ai radicalismi di qualsiasi natura non può che generarsi un’estremistica reazione contraria. Anche di questo è e sarà responsabile l’Ente parco. Si potrebbe anche pensare che questo stesso Ente consenta, quantomeno indirettamente, scempi come quello inerente questa via nuova, dato che non risulta che siano stati ancora presi provvedimenti di alcun tipo. Di contro, invece, si vieta l’apertura di nuove vie alpinistiche “regolari” e si sanzionano le guide alpine mentre esercitano il loro legittimo mestiere…

Ho sempre creduto che aprire un itinerario fosse un’arte basata sull’equilibrio tra logicità del percorso, rispetto dell’ambiente naturale e della roccia e, come già detto, dell’utilizzo della protezione giusta al posto giusto, della bellezza, dell’intelligenza, dell’esperienza , di ciò che è naturale e del rispetto…

Ma giungere a deturpare tutto con violenza senza, appunto, il minimo rispetto di ciò che esiste già, credo sia la massima espressione di un atteggiamento ignorante, mitomane, arrogante, egoistico, distruttore, una dimostrazione di completa ottusità e incapacità.

Non critico neanche l’apertura delle vie dall’alto in montagna col trapano, come ritengo sia stato fatto, ma per chi non ha le capacità e le competenze specifiche, sarebbe opportuno rimanere nelle sale indoor. Per me è il risultato che conta, e il risultato è una bella via protetta in modo giusto, rispettando la linea e la roccia, ma anche i criteri dell’alpinismo, incluse le protezioni naturali e veloci. Sono contento di percorrere vie aperte da altri quando queste sono belle e ben fatte. Se l’apritore si cala dall’alto, come sembra sia avvenuto in questo caso, è un suo problema, a me non tocca minimamente anche perché l’apritore può influire sulle ripetizioni solo quando la via è stata aperta male. Se invece la via viene aperta correttamente, l’apritore non ha fatto violenza, ha lasciato “emergere” l’itinerario che madre natura ha “disegnato”. Questa allora diventa una bella via. La montagna è un bene comune, non certo privato o del primo strampalato scalatore che chioda in montagna a sua misura o come se fosse in falesia, perfino sopra le vie già aperte, non curandosi neanche dei regolamenti. E dire che personalmente sono sempre pronto a rimettere le mani sulle vie che ho tracciato quando c’è qualcosa che non va. Ad esempio, talvolta ho aggiunto alcune protezioni su vie che ho aperto quando queste risultavano particolarmente sprotette, cosa che di tanto in tanto mi capita di fare in apertura. Molti anni fa credevo anch’io, come oggi tanti ancora credono, che le vie dovessero essere lasciate come le aveva aperte il primo salitore. Ma con le nuove conoscenze e grazie anche all’esperienza, ho capito che questo proprio non è vero. Infatti, non ritengo giusto “costringere” i ripetitori a salire una via troppo sprotetta, o al contrario troppo protetta, o illogica e forzata, proprio perché trattasi di un bene pubblico, non privato: tutti dovrebbero avere il diritto di vivere un luogo pubblico mantenuto il più possibile in modo corretto, senza esagerazioni soggettive. Le vie, quindi, dovrebbero essere aperte bene e il concetto del bene è collegato al giusto. Alcuni penseranno che non è certo facile capire cosa è bene e cosa è giusto, anche perché talvolta si sbaglia, errare humanum est soprattutto per chi invece di fare solo chiacchiere passa all’azione…

Paolo Caruso in riflessione
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Ma ciò che conta è l’impegno che si mette per capire e per migliorare, anno dopo anno. Certamente non è accettabile che qualcuno privo della capacità necessaria, ma anche della cultura necessaria, trapani a distanze ravvicinate, stile falesia, tratti di itinerari alpinistici già esistenti e soprattutto già tracciati con i criteri descritti sopra. Non credo che occorra essere dei geni per capire che la montagna non è la falesia e che pertanto sia qui opportuno rispettare l’essenza dell’alpinismo e la logicità del percorso. Questi episodi costituiscono aberrazioni pericolose che vanno emarginate e bloccate. Agli estremismi e alle astrusità dei regolamenti corrispondono altrettanti estremismi e astrusità. Al posto dell’equilibrio e dell’armonia degli opposti, si passa da un estremo squilibrio a un altro estremo squilibrio… l’antitesi della saggezza occidentale e orientale messe insieme, oltre che dei principi dell’arrampicata, senza neanche bisogno di scomodare quelli che in prima persona mi impegno a portare avanti…

Sono convinto che l’unica via di uscita consista nel mandare a casa, o all’estero, o altrove, entrambe le tipologie di estremisti e allo stesso tempo sviluppare i valori dell’”equilibrio” e del giusto. Tutto diventerebbe più semplice, facile e saggiamente “normale”; non servirebbero neanche tutte le ingenti risorse impiegate per tenere in piedi baracconi all’italiana e l’armonia sostituirebbe poco a poco il malcontento e la miseria umana.

Non si conoscono al momento gli autori del fatto ma li invito, qualora leggessero queste riflessioni, a tornare sul luogo e a ripristinare la roccia così com’era prima, quantomeno nei tratti in cui si sono sovrapposti alle vie già esistenti. Vedremo poi se l’Ente parco farà finta di nulla su quanto è accaduto, ormai sempre più di pubblico dominio…

Ultima riflessione
Mentre scrivo dell’incompetenza, dell’arroganza e della violenza fatta da chi ha compiuto quel… diciamo, “capolavoro” sullo Scoglio dell’Aquila, mi chiedo che senso abbia dare importanza a un simile fatto avvenuto su una parete rocciosa in certi drammatici momenti. Mi vengono in mente i paesi di Arquata e di Amatrice come li ho visti le innumerevoli volte che sono passato lì. Rivivo la sensazione del terremoto, della terra che viene meno, vedo le crepe nelle nostre case, rivivo l’esperienza dell’incendio della mia casa, che pochi per fortuna conoscono… la natura talvolta è dura, forse anche crudele… Ma che dire dell’uomo? Hanno più colpa il terremoto e l’incendio o gli umani che con il beneplacito delle “caste” costruiscono male o “inciuciano” sulla pelle delle persone? E che non si occupano correttamente della prevenzione? E neanche di risolvere definitivamente i problemi causati dai precedenti disastri?

Il pensiero vola ora più lontano. Ricordo le famose e inesistenti armi di distruzione di massa: fu la scusa che avrebbe dovuto nascondere i vergognosi giochi di potere per i quali sono stati distrutti interi Stati e massacrati milioni di persone, con il consenso e l’ignavia dei molti, principale causa per cui quei Poteri, vero cancro del mondo, hanno la meglio (per ora…). Ricordo anche la Libia, la Siria e le responsabilità di coloro che hanno inventato l’ISIS, armandolo e addestrandolo… ma poi la lista diventa troppo lunga e lo sconforto potrebbe prendere il sopravvento… Non ho dubbi. L’uomo è mille e mille volte più pericoloso e dannoso della natura. Bisogna allora fare il possibile per bloccarla, questa IGNAVIA…

Per questo è importante qualsiasi tipo di impegno teso a scardinare la mentalità e l’ignoranza di questo genere di estremismi. La fiducia nelle Istituzioni è alla base dei valori più importanti che abbiamo: quelli che vengono chiamati “democratici”. Fare finta di nulla e continuare a vivere accettando il fallimento delle Istituzioni equivale a rinunciare alla libertà e alla giustizia: il fallimento totale della vita. E scalare le montagne diventa piccolissima cosa, forse attività di poco conto, se non serve anche a comprendere l’importanza di ciò che è in gioco. Intuisco sempre meglio che il fine ultimo dell’alpinismo dovrebbe forse essere l’acquisizione di una maggiore consapevolezza. E’ troppo limitante ricondurre il senso di ciò che facciamo alla narcisistica esigenza di affermare il proprio ego a qualsiasi costo… La ricerca interiore non può che andare di pari passo con l’acquisizione di consapevolezza. E se l’alpinismo non serve a questo fine… ha fallito come ha fallito l’Ente Parco… La comunità degli alpinisti, se mai è esistita, è nulla, inesistente. Questa è la reale “morte” dell’alpinismo. Ma forse, alla fine, è meglio così…

Gli uomini più consapevoli, i pochi rimasti, devono giocare la loro parte, hanno il dovere di fare chiarezza, devono impegnarsi per far crollare, come nel terremoto, tutto ciò che non va e che genera i veri danni alla terra, alla natura e all’umanità.

Camosci Appenninici sotto la Cima di Prato Pulito: lontani dalla zona interdetta all’uomo e contenti di vederci dopo il terremoto
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Breve aggiornamento sugli ultimi avvenimenti inerenti la “questione” Parco Nazionale dei Monti Sibillini
Le molte vicende e contraddizioni relative all’Ente Parco sono state ampiamente trattate in numerosi articoli all’interno del sito https://gognablog.sherpa-gate.com/category/gogna-blog/.

Questi i link relativi ad alcuni articoli:
https://gognablog.sherpa-gate.com/numero-chiuso-nel-parco-dei-sibillini/
https://gognablog.sherpa-gate.com/monti-sibillini-lettera-aperta-chi-e-nemico-della-natura/
https://gognablog.sherpa-gate.com/la-lunga-notte-dei-sibillini-1/
https://gognablog.sherpa-gate.com/la-lunga-notte-dei-sibillini-2/
https://gognablog.sherpa-gate.com/la-lunga-notte-dei-sibillini-3/
https://gognablog.sherpa-gate.com/monti-sibillini-una-possibile-alba-1/
https://gognablog.sherpa-gate.com/monti-sibillini-quando-tornera-il-sereno/4

Come è noto il sottoscritto è stato sanzionato per aver svolto il lavoro di Guida Alpina a divieto decaduto, secondo quanto affermato dall’Ente Parco in una riunione pubblica, e dopo aver fatto regolare richiesta come previsto dallo stesso Ente (!).

Inoltre, il divieto riguardava la zona del M. Bove, area in cui si svolge il discusso “Progetto di Conservazione delle Praterie Altomontane”, menzionato in precedenza. Per realizzare questo progetto, che si svolge proprio presso l’area interdetta del M. Bove, sono stati utilizzati mezzi motorizzati per accudire alcuni poveri cavalli che sono costretti dentro recinti elettrificati, senza riparo e acqua corrente, a mangiare il “falasco” (un’erbaccia coriacea che potrebbe essere falciata da qualche disoccupato con una spesa pari alla metà, della metà, della metà…dei fondi che il parco spende per questo “progetto”).

Ebbene, nel tentativo di svicolare dalle contraddizioni, il Parco nega perfino l’evidenza: il direttore uscente ha scritto al Ministero che quei cavalli NON sono stati accuditi con mezzi motorizzati: GENIALE! Peccato, però, che oltre a decine di prove testimoniali, fotografiche e filmate, esiste un documento del Corpo Forestale dello Stato in cui si conferma, di fatto, che per fini produttivi è lecito utilizzare i mezzi motorizzati addirittura al di fuori delle sedi stradali… Già, abbiamo capito bene: noi a piedi non possiamo andare dove invece, per gli interessi del parco, i mezzi motorizzati scorrazzano quotidianamente per alcuni mesi all’anno… Ovviamente ho chiesto delucidazioni al Ministero competente: sto ancora aspettando di ricevere una risposta per sapere se è lecito discriminare alcuni fini produttivi, come quelli inerenti l’attività di Guida Alpina, considerando inoltre che in questo caso si va a piedi e non si provoca alcun impatto acustico o ambientale dovuto ai motori…

Anche per quanto riguarda le discriminazioni nei confronti degli alpinisti sancite dal DD. 384/ 2014, quello pubblicato all’Albo Pretorio, in cui si fa divieto agli alpinisti di percorrere determinati sentieri, ho chiesto chiarimenti al Ministero preposto: ancora sono in attesa di una risposta.

Il bello è che lo stesso DD. 384/2014 originale, proprio quello pubblicato all’Albo Pretorio, ora è divenuto introvabile nel sito del parco ed è stato sostituito, stranamente e forse irregolarmente, da un’altra versione. Sempre più GENIALE…! Quindi, dapprima è stato imposto e sostenuto un documento assurdo e discriminatorio ma, quando l’Ente Parco si è trovato alle strette, miracolosamente è sparito il documento ufficiale e lo si è sostituito con un altro posticcio.

Logicamente sono anche in mio possesso i documenti in cui, a seguito delle richieste di chiarimenti, l’Ente Parco mi risponde intimandomi di rispettare pedissequamente le norme sancite proprio dal DD 384/2014 originario (!).

Non so se tutto ciò sia lecito ma, stando alle normative, sembrerebbe che ci siano diverse “cosucce” irregolari (!). E se è vero che non siamo in dittatura, prima o poi qualcuno dovrà fornire le necessarie risposte…

Da pochi giorni è arrivato il nuovo Direttore del parco in questione che sostituisce Franco Perco: Carlo Bifulco. Le premesse ci lasciano perplessi, se è vero quanto emerge dai seguenti link:
http://www.irpinianews.it/inchiesta-parco-nazionale-vesuvio-il-direttore-si-e-costituito/
http://qn.quotidiano.net/2007/06/12/17431-truffe_parco_vesuvio.shtml
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/06/13/parco-vesuvio-la-grande-truffa.html.

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Terremoti nei Monti Sibillini ultima modifica: 2016-10-08T05:25:28+02:00 da GognaBlog

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20 pensieri su “Terremoti nei Monti Sibillini”

  1. La legge 6/89, all’articolo 14, afferma che è compito del collegio regionale delle Guide Alpine “vigilare sull’osservanza, da parte dei componenti del collegio, delle regole della deontologia professionale” (lettera b) e che spetta al direttivo del collegio regionale “contribuire alla diffusione della conoscenza e del rispetto dell’ambiente montano e della pratica dell’alpinismo”.
    In merito allo schiodatore (anche a me è giunta la stessa voce, che si tratti di una GA, mah…spero di no, per gli stessi motivi espressi nel commento di Ale), se vigilanza c’è stata, è arrivata tardi; se non c’è stata, o si è preferito voltare la testa e far finta di nulla, la cosa è ancora più grave perché coinvolge di fatto non il singolo professionista ma un intero collegio. Se questo è il rispetto dell’ambiente montano (ma anche, aggiungo, dei suoi frequentatori) che dovrebbe essere portato avanti dal direttivo dei collegi in base alla legge, allora bisogna davvero mettersi le mani dei capelli…

  2. Schiodatore a parte: che dire del nuovo Direttore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini???
    Sembra che, per quanto riguarda lo scandalo che lo ha coinvolto, dopo un periodo di latitanza si sia consegnato alle forze dell’ordine.
    Ma poi? Cosa è successo?? E’ stato assolto o condannato??? Oppure ha patteggiato????
    Sembra impossibile ottenere ulteriori notizie anche dalla rete…..
    Come sono andate realmente le cose?
    Si, mi piacerebbe saperlo, sicuramente per conoscenza personale, ma fondamentalmente per il bene dei Monti Sibillini, della Res Publica e della Montagna che amiamo.
    Buona montagna a tutti…
    Marco

  3. Articolo particolarmente interessante. Complimenti. Anche i commenti.
    Credo che se si affrontassero di più questo genere di argomenti, anche nei modi, anche le tante diatribe tra scalatori acquisterebbero un’altra luce.
    Per quanto riguarda le guide alpine delle marche direi che se è vero quanto si evince ne escono male, molto male. E penso che sia molto grave che nessun altro Collegio nè tantomeno il Collegio Nazionale abbiano il coraggio di prendere posizione e opporsi a quelle incredibili azioni. D’ora in poi ci penserò bene prima di rivolgermi ancora a una guida alpina: chi non si oppone alle ingiustizie, soprattutto quando sono gravi, è in qualche modo partecipe e responsabile.

  4. “No, per me anche se una Guida Alpina ha il brevetto, qualora agisca come nei casi indicati, non può essere definita tale. E ancor di più, non possono essere guide alpine coloro che partoriscono un regolamento pazzesco e discriminatorio come il DD 384 originario del Parco dei Monti Sibillini. Sono le azioni di queste persone che ci mettono in cattiva luce con i parchi e con il mondo esterno.
    Ma pare che su tutto ciò perfino il Collegio Nazionale non ha avuto nulla da dire. Questo è. Le altre guide, a parte alcune eccezioni, non si pronunciano. Aspettiamo fiduciosi prima che simili folli situazioni arrivino a coinvolgere altre montagne…”
    Infatti anch’io non posso fare a meno di domandarmi cosa succederebbe se il DD 384 del Parco dei Monti Sibillini fosse adottato anche in altri parchi montani; ad esempio in quello del Monte Bianco o in quello dell’ Adamello-Brenta… Credo che si aprirebbero degli scenari pazzeschi.
    E comunque, siamo proprio sicuri che l’obbligo di adoperare solamente i tradizionali chiodi a fessura rappresenti davvero il modo migliore di preservare una roccia di qualità non certo ottimale come quella dei Sibillini? Non ne sono affatto convinto.

  5. Che dire..mi tolgo il cappello davanti al commento di Paolo. Semplicemente grandioso. Certo, le guide così non fanno bella figura, tanto meno i vari collegi. Ma il loro silenzio assordante è eloquente…

  6. Le considerazioni e i quesiti posti negli ultimi commenti sono più che legittimi. Ma non posso rispondere a nome della categoria in quanto, negli anni, ho dovuto prendere atto che i valori che considero più importanti relativamente al mio lavoro di Guida Alpina, pur essendo condivisi da altre guide, non sono comuni, almeno attualmente, alla categoria delle guide in generale.
    Ritengo però che ci dovrebbero essere dei limiti che non bisognerebbe oltrepassare. Se una guida supera questi limiti, per quanto mi riguarda, non mi sento di considerarla una guida alpina.
    Il problema di fondo è che il nostro mondo nasce da una storia di individualismo radicato che ha da sempre ostacolato l’acquisizione di una vera identità e cultura. Un esempio a caso? Ho dato un’occhiata all’articolo di Manolo e ai relativi commenti. Quale messaggio culturale emerge? Onestamente non trovo nulla che vada al di là della lotta per dimostrare chi ha il “muscolo” più grande, chi riesce a spingersi al limite, anche del rischio, ma anche del considerare la natura (la roccia, la montagna…) un mero campo di “battaglia” in cui regna un quadro umano abbastanza desolante se non propriamente misero. Con ciò non voglio certo dire che bisogna soprassedere alla cattiveria e alle menzogne, ma qui mi fermo perché non conosco personalmente i fatti. Semplicemente si tratta di prendere consapevolezza su ciò che avviene, dei messaggi che arrivano al pubblico e dal pubblico, dei valori e della cultura che emanano dal mondo della scalata. Personalmente pratico le attività di montagna per tutt’altri scopi e tutto ciò mi è lontano anni luce.
    Ma proprio a causa di quella “cultura”, nonostante personalmente la rifugga, mi trovo a lottare contro i cosiddetti “naturalisti e ambientalisti” che ci vedono come degli esaltati “ingarellati” che agiscono con fini tutt’altro che nobili e perfino che considerano la natura come puro strumento da utilizzare a proprio piacimento individuale per fini quantomeno discutibili, se non realmente diseducativi.
    Chiodare, schiodare, richiodare in parte a seconda del singolo individuo, mettere e togliere protezioni allungandole o meno con cordoni, lavorare le vie per cercare il record, senza altri valori condivisibili a livello sociale….
    Ma bisognerebbe porsi una semplice domanda, come ho già scritto: di chi è la roccia? Di chi sono le montagne? Se si tratta di un bene pubblico e non privato è realmente barbaro credere di avere il diritto di poter incidere sulla natura secondo le proprie esigenze soggettive del momento. Il bene comune dovrebbe essere considerato, appunto, come bene comune e non come terreno privato in cui sfogare le proprie gesta che viste in modo distaccato sembrano delle vere e proprie manie, che qualche terapeuta potrebbe anche identificare come patologiche….
    Ma ammesso che sia discutibile chiodare a piacimento una “propria” via per poi schiodarla, sempre a proprio piacimento, di sicuro non è accettabile che una guida alpina schiodi soste e spit collocati da altri perfino molti anni prima e, quindi, diventati di uso comune. E senza un progetto comune e coerente, a propria discrezione e secondo le proprie esigenze.
    Lucio Marcantonini ha ragione: nei Sibillini, praticamente in tutte, e dico tutte, le vie classiche più frequentate ci sono tutt’ora alcuni spit. Cioè lo “schiodatore” ha schiodato solo quello che pareva a lui e ha lasciato in loco altri spit, sempre sulle stesse vie classiche che risultano pertanto, ora, solo parzialmente schiodate. Saranno rimasti solo gli spit che servono a lui? E come fa il soggetto a giustificarsi in nome della moda di turno, definita ora “trad”? Un genio della coerenza. Forse vuole lanciare una nuova moda, il “demi-trad” o il “personal-trad”! Se questo è il caso, che si palesasse e ci spiegasse la propria filosofia! La verità è che così non se ne esce e, anzi, si invita tutti a una “guerra” in cui ognuno si può sentire nel giusto quando dà libero sfogo all’utilizzo soggettivo del bene comune. E gli estremi sono: dalla via stile ferrata alla schiodatura integrale totale, passando per tutte le sfaccettature intermedie. E magari tutto sullo stesso itinerario…
    Se si capisce il valore della civiltà è opportuno porsi la domanda: come è giusto agire e utilizzare il bene comune in modo equilibrato e senza andare in contrasto con i giusti principi del rispetto?
    No, per me anche se una Guida Alpina ha il brevetto, qualora agisca come nei casi indicati, non può essere definita tale. E ancor di più, non possono essere guide alpine coloro che partoriscono un regolamento pazzesco e discriminatorio come il DD 384 originario del Parco dei Monti Sibillini. Sono le azioni di queste persone che ci mettono in cattiva luce con i parchi e con il mondo esterno.
    Ma pare che su tutto ciò perfino il Collegio Nazionale non ha avuto nulla da dire. Questo è. Le altre guide, a parte alcune eccezioni, non si pronunciano. Aspettiamo fiduciosi prima che simili folli situazioni arrivino a coinvolgere altre montagne….

  7. Ho letto i commenti di Lucio Marcantonini e di Marco Speziale a proposito della schiodatura delle soste e di altre protezioni e, se fosse vero quello che è riportato, non posso fare a meno di chiedermi: ma le Guide Alpine non hanno un’etica deontologica?? Cioè, non dovrebbero avere delle linee guida simili, se non proprio uguali? Una guida che schioda secondo il suo gusto e le sue idee personali compie un gesto eticamente corretto? Marco Speziale ha posto una bella domanda: “Spero che questo tipo di educazione non sia quello auspicato dal suo Collegio di appartenenza e dal Collegio Nazionale…”
    Io, da frequentatrice della montagna, sarei portata ad avere un’immagine ideale delle guide alpine ma forse mi sbaglio e invece si tratta per lo più di cani sciolti che razzolano dove e come meglio credono, senza un progetto coerente e comune. Spero che non sia così, che le guide siano ancora i referenti di un’autentica conoscenza della montagna, fondata sul rispetto dell’ambiente, sull’etica e sulla correttezza verso le persone, clienti e non.
    Però mi chiedo: ma in altre regioni avvengono ugualmente questi episodi, a mio avviso estremamente gravi perché mettono a repentaglio l’incolumità di chi va ad arrampicare?
    Mi piacerebbe avere una risposta.
    Grazie.

  8. Vorrei aggiungere qualcosa alle riflessioni fatte da Marco Speziale riguardo al nostro fantomatico schiodatore: qualche tempo fa, durante un incontro pubblico organizzato dalla dirigenza del Parco dei Sibillini, ho avuto modo di ascoltare un intervento di una guida alpina marchigiana (per altro referente ufficiale del Parco) in cui si sosteneva che, nel territorio in questione, l’unica forma di alpinismo che poteva essere consentita per il futuro fosse proprio quella del cosiddetto “alpinismo trad”. Ora, chiaramente, non posso di certo affermare che il misterioso schiodatore di cui stiamo parlando sia proprio quella guida alpina, non ne ho nessuna prova. Comunque sia ritengo però che una persona responsabile (e a maggior ragione un referente di un ente pubblico), qualora decida di schiodare una via alpinistica, dovrebbe necessariamente avere il buon senso di rendere nota questa sua azione, magari tramite opportuni comunicati, per evitare di fare correre seri rischi a cordate che possono essere del tutto ignare di questo suo atto.
    Vorrei inoltre rendere noto che, durante una salita della Via Alletto-Consiglio al Monte Bove Nord, da me effettuata nel mese di luglio di quest’estate, ho potuto constatare come la schiodatura effettuata su questa via non sia stata eseguita in modo totale. In un suo tratto, infatti, sono stati infatti lasciati in loco diversi chiodi ad espansione dotati di una sorta di piastrina artigianale… Questo modo di agire mi sembra decisamente contraddittorio poiché, come si può ben capire, se si sceglie l’alpinismo trad tale scelta deve essere poi seguita, per coerenza, in maniera integrale. Aggiungo infine che, a mio parere, sia la scelta di installare che quella di non rimuovere piastrine artigianali su chiodi ad espansione è del tutto sconsigliabile, visto che (come dovrebbe essere ben noto) ponendo a contatto leghe metalliche di composizione chimica diversa si creano tra queste delle microcorrenti che provocano pericolosi processi di ossidazione, processi che compromettono inevitabilmente l’affidabilità dei punti di ancoraggio.

  9. E’ da un po di anni a questa parte che seguo gli argomenti inerenti al Parco dei Monti Sibillini e tutte quelle bizzarre e strampalate vicende legate ad esso!!! Multe di ogni genere, cartelli inesistenti, divieti che hanno del ridicolo…e chi più ne ha più ne metta! Indice di come questo Parco abbia delle enormi lagune nella sua gestione!! Se di “gestione” si può chiamare!!! Ciò che si evidenzia nell’articolo di Paolo Caruso è l’ennesimo scempio, deturpamento, che avviene per opera dell’uomo!! Si perché è l’uomo che uccide!!! Che vada da una semplice via di arrampicata, alla costruzione di case fatiscenti!! In riferimento al tragico terremoto di Amatrice, Accumoli, Arquata, dove quanto accaduto non può essere considerato solo frutto della fatalità. Si vive in un mondo di enorme menefreghismo e ignoranza, dove ognuno pensa solo ai propri interessi e al suo orticello, dove tutto finisce sempre e soltanto in un pugno di euro. Leggendo questo articolo mi domando; ma in questo caso dove sono tutte le Istituzioni? Dove sono coloro che devono effettuare i controlli nel Parco? Dove sono coloro che gestiscono il Parco? Dove sono tutte le altre guide alpine? In primis quelle della Regione Marche? Proprio quest’ultime dovrebbero gridare ad alta voce, battere i pugni e far valere le loro posizioni! Possibile che se ne fregano tutti? Possibile che tutti rimangono in silenzio a fare da spettatori?? Possibile che nessuno ha le palle di fare qualcosa e di combattere questa situazione??? SI qualcuno c’è…..e lo sta facendo!!! Paolo Caruso.

  10. Purtroppo in riferimento allo “SCHIODATORE MASCHERATO” anche a me sono arrivate voci che si tratti di una GUIDA ALPINA, cioè di un professionista che oltre ad accompagnare i suoi clienti, dovrebbe svolgere il preciso compito di educarli al giusto comportamento in Montagna…..
    Spero che questo tipo di educazione non sia quello auspicato dal suo Collegio di appartenenza e dal Collegio Nazionale perché se così fosse ogni persona sarebbe autorizzata a schiodare soste e togliere “spit” su qualsiasi via…… quindi a creare situazioni di pericolo!!!
    Ah, poi, sembra anche che lo stesso soggetto tempo addietro volesse prendere a martellate la targa posta sotto la Quinta Piccola……
    Anche io mi auspico che questo personaggio esca finalmente allo scoperto e ci faccia capire il reale motivo dei suoi comportamenti!!!!

    Marco

  11. Un grazie ad Alessandro Gogna in quanto la “questione Sibillini” sta avendo ancora più visibilità al punto che mi hanno contattato alcune persone informandomi che hanno visto lo schiodatore all’opera e sembra proprio che si tratti di una guida alpina (sembrerebbe che in zona molti degli addetti ai lavori lo sanno). Per ora non reputo opportuno fare il nome. Seguirò gli eventi.
    Una Guida Alpina. Mah, che dire…

  12. Concordo pienamente con ciò che ha ampiamente detto e illustrato l’autore dell’articolo. I dirigenti del Parco non sono capaci di gestire un Parco ma i loro interessi. Infatti mettono divieti per chi ama la natura e danno permessi per chi la deturpa e la sfrutta. Vitano di andare a “camminare” nel territorio. Ma danno permessi per costruire un “Carnaio” che a detta del “Parco” (I dirigenti) servirebbe per nutrire i Rapaci. Nella mia totale ingnoranza so che i rapaci come tutti gli animali selvatici sono in grado di trovarsi il cibo autonomamente.

  13. “la scarsa considerazione per il bene comune; il prevalere degli interessi personali su quelli della collettività; l’apatia – per non dire indifferenza – del cittadino “medio” finché non viene colpito in prima persona e duramente da qualcosa, sono mali cronici del Paese e non solo del territorio di cui parla l’articolo. ”

    c’è stato qualcuno che un bel pò di tempo fa disse:
    “abbiamo fatto l’Italia. Ora dobbiamo fare gli italiani”

    Credo proprio che il “dobbiamo fare gli italiani” sia ancora fermo a quel tempo là.

  14. L’articolo di Paolo Caruso prende spunto da fatti reali, vissuti in prima persona e non conosciuti solo per sentito dire, come fanno in molti, per fare considerazioni di livello molto più generale e direi più alto. Le problematiche presentate, come il facile ricorso ai divieti (che invece di educarci e migliorare la nostra comprensione ci rendono tutti sempre più attaccabili, schiavi e limitati); la scarsa considerazione per il bene comune; il prevalere degli interessi personali su quelli della collettività; l’apatia – per non dire indifferenza – del cittadino “medio” finché non viene colpito in prima persona e duramente da qualcosa, sono mali cronici del Paese e non solo del territorio di cui parla l’articolo. Ma è dai problemi reali che occorre partire per operare quel cambiamento che tutti auspicano e che, ahimè, solo pochi attivamente perseguono. Le grandi rivoluzioni avvengono nel regno dell’utopia, ma piccole azioni quotidiane, nel contesto in cui si vive e si opera, sono alla portata di tutti, basta solo volerlo. Perché chi lo conosce non fa nome e cognome dell’allegro personaggio che si diverte a schiodare itinerari storici, o comunque precedenti il regolamento del Parco, mettendo in pericolo inconsapevoli cordate? E visto che l’ha fatto, ed evidentemente è convinto delle sue ragioni, perché non si fa avanti lui stesso per spiegarci, e anche informarci onde evitare che ci facciamo male?
    Ed è possibile che nessuno sappia chi ha violato il suddetto regolamento spittando al metro un itinerario che dovrebbe essere alpinistico? E di nuovo, chi l’ha fatto perché non si palesa per raccontarci la sua filosofia e magari scusarsi perchè non era a conoscenza del regolamento? Oppure dirci, magari, che il suo è stato un gesto di protesta? In questo caso, potrebbe forse anche raccogliere un po’ di simpatia…
    Mai nessuno che esca allo scoperto, se non costretto dalle circostanze.
    Mi sembra che l’accostamento tra terremoti naturali e umani, peraltro fatto con grande delicatezza e umanità da Paolo, abbia anche questo significato: di fronte ai disastri ambientali che provocano morte e distruzione è facile proclamare la propria solidarietà e comprensione e si fa a gara per darsi da fare, ma quante vittime quotidiane di malefatte totalmente umane si ritrovano sole e attorniate dal silenzio più assordante? E’ ora di finirla con i proclami e di rimboccarsi le maniche, perché ognuno di noi è artefice in qualche modo del mondo in cui vive.

  15. Marcello, magari i Sibillini fossero in sudamerica, non saremmo certo in questa situazione! Qui il livello è assurdo, direi ignorantemente folle.
    Quello che dici a proposito del Collegio Nazionale sarebbe un bel punto di partenza. Ma il problema sono le guide alpine “deviate” che per esempio in questo caso hanno contribuito a generare l’allucinante regolamentazione in “combutta” con il parco. Sono perfino stato a Milano per spiegare nei dettagli la situazione al presidente del nazionale ma i risultati sono stati scarsi. E credo che il motivo vero sia la volontà di non prendere una chiara posizione in quanto il responsabile tecnico degli assurdi regolamenti del parco è proprio il Collegio marchigiano… Così siamo combinati.
    Finché la nostra categoria continua a mantenere i rami secchi ma anche quelli che causano tanti problemi alla nostra categoria non andiamo da nessuna parte.
    Ho perfino sentito dire da altre guide con cariche che non sapevano come pronunciarsi in questa vicenda. Figurati tu… come se vietassero l’accesso a metà delle dolomiti per motivi inesistenti come quello dei camosci, mentre i signori delle “caste” se la spassano perfino con i mezzi a motore, e le guide non sapessero come pronunciarsi.. ma dove vogliamo andare? A volte mi vergogno di continuare a essere una guida, considerando anche che le conoscenze più importanti che ho acquisito sono frutto di un percorso che poco a che fare con quello della categoria e non ti nego che a volte mi viene da pensare che sarebbe meglio prendere le distanze più assolute da certi soggetti che sulla carta risultano perfino nostri colleghi…
    Ciao
    PS.
    Per Lucio Marcantonini, non credo valga la pena cercare di far capire ciò che è ovvio a chi non è neanche in grado di capire il senso dell’articolo, a chi non capisce la differenza tra aprire una via nuova e aprire una via sopra a una già esistente, a chi non riesce a capire che il nuovo regolamento del parco vieta l’apertura di nuove vie e qualsiasi tipo di perforazione, tra il menefreghismo e la nullità di coloro che si credono padroni dei monti Sibillini per diritto di nascita e violano alla grande il buonsenso oltre al regolamento.. ecc ecc.
    Quando qualcuno si rode perché incapace di passare all’azione ha solo la possibilità di far finta di non capire il focus, nel tentativo di deviare il discorso e sparlare a vanvera schiumando bile. È l’unico modo per mettersi in mostra…

  16. Mi allaccio al commento di Lucio Marcantonini per esprimere anche io forte perplessità su più fronti. In Italia mi pare che spesso lo sport più praticato sia quello di cercare di mettere avanti a tutto interessi personali piuttosto che il bene pubblico e quindi presentare, per così dire, varie leggi, regolamenti, ecc…a giochi conclusi, senza aver interpellato tutti quelli che sono portatori di interesse o quantomeno coinvolgendoli in maniera solo marginale in modo da avere meno problemi possibile.
    Non si spiegano in modo diverso a mio avviso le varie vicissitudini nel Parco dei Sibillini qui riassunte in modo completo quanto surreale (ma, ahimé, reale!). A fronte di evidenti contraddizioni venute fuori con le delibere e i regolamenti emanati, frutto anche di una conoscenza del mondo alpinistico (ma anche escursionistico) molto limitata e nonostante il fatto che in altri parchi ci sia un numero molto più consistente di frequentatori della montagna, non sempre rispettosi dell’ambiente verso cui, comunque, nessun divieto o regolamento stretto è mai stato posto in essere (ma in cui i problemi così come sono sorti nei Sibillini, non si sono mai venuti a creare), la strada intrapresa nei Sibillini è stata spesso quella del “così è, se vi pare”, di pirandelliana memoria.
    Che poi leggi e regolamenti non sortiscano l’effetto voluto lo si vede innanzitutto dalle foto dell’articolo, in cui la totale mancanza di rispetto dello “spittatore” ignoto è evidente. Leggi e regolamenti, come quello della D.D. 384/2014 che hanno un sapore anacronistico, regolamentando l’accesso alle pareti indicando i sentieri di salita e discesa (tralasciando peraltro alcune varianti), alcuni dei quali andrebbero quantomeno ripristinati o messi in condizione di essere percorsi, prima di essere inseriti nella delibera, visto anche i diversi fondi che ogni tanto vengono stanziati per la manutenzione della rete sentieristica.
    In questo caso, ma è solo uno dei tanti, si potevano coinvolgere quel le Guide che operano attivamente sul territorio, che avrebbero di certo contribuito a stilare un quadro più esaustivo e probabilmente libero da errori di quanto sia stato fatto. Coinvolgerle anche nelle decisioni legate alla messa in sicurezza degli itinerari esistenti, cercando magari il “giusto mezzo” tra spittare ogni metro e schiodare le vie e non lasciando che si mettesse in pericolo la vita di alcuni arrampicatori, come invece è stato fatto (quelli citati nell’articolo erano miei amici) perché si sono tolte le soste di alcune vie, senza che nessun avviso fosse mai stato pubblicato.
    In tutto questo caos l’opera di Paolo, i suoi articoli e le sue riflessioni sono l’unica voce che si leva con coerenza e coraggio a fronte del silenzio dei vari collegi e associazioni (di categoria e non) per cui, a quanto pare, siamo nel miglior mondo possibile…

  17. Con tutto il rispetto, Signor Amurri, devo dire che non comprendo bene il senso del suo commento a questo articolo di Caruso. Non capisco, ad esempio, cosa ci sia di sbagliato nel piantare un chiodo ad espansione in montagna quando non si può fare davvero diversamente (come nel caso di una lunga placca altrimenti non proteggibile).
    Oppure quando afferma che sui Sibillini, prima dell’ arrivo di Caruso, l’alpinismo si era fermato perché non si era voluto andare oltre. A me, sinceramente, sembra piuttosto che, sia gli alpinisti delle Marche che quelli dell’ Umbria, non siano riusciti ad andare oltre su queste montagne semplicemente perché non erano in grado di poterlo fare. A quanto mi risulta Paolo Caruso, negli anni 80, era capace di aprire sul Gran Sasso vie alpinistiche con un grado obbligatorio superiore al 7A. Conosce forse qualche alpinista locale che a quel tempo fosse in grado di fare altrettanto sui Sibillini? Io non ne conosco.
    Un altra cosa che non capisco è il suo riferimento alle prese migliorate ed incollate. Personalmente, nelle vie aperte da Caruso che ho avuto la possibilità di ripetere, non ne ho mai viste. Ho solo notato una sottile rigola forata con il trapano, per permettere che questa potesse accogliere un cordino, in un punto in cui c’era una ragionevole necessita’ di proteggersi. Non mi sembra che questo fatto sia poi così scandaloso. Mi sembra invece molto più illogica, ad esempio, l’idea di smartellare la roccia per poterci alloggiare un cliff (come è stato fatto da Koller sulla “Via attraverso il Pesce” sulla parete sud della Marmolada).
    Infine non capisco affatto la sua accusa di insensibilità, sempre rivolta all’autore dell’ articolo, riguardo all’intenzione di voler mettere (a suo parere) in secondo piano una tragedia come quella del terremoto di Amatrice a scapito della spittatura di una via alpinistica. Caruso ha semplicemente voluto scrivere, in primo luogo, un articolo che parla di montagna per poi pubblicarlo in un blog che parla, appunto, di montagna. Trovo invece che la comparazione da lui fatta tra disastri provocati dalla natura e disastri provocati dall’uomo non sia affatto irrispettosa verso i terremotati ma che, al contrario, contenga spunti di riflessione decisamente interessanti come i seguenti:
    “Mentre scrivo dell’incompetenza, dell’arroganza e della violenza fatta da chi ha compiuto quel… diciamo, “capolavoro” sullo Scoglio dell’Aquila, mi chiedo che senso abbia dare importanza a un simile fatto avvenuto su una parete rocciosa in certi drammatici momenti. Mi vengono in mente i paesi di Arquata e di Amatrice come li ho visti le innumerevoli volte che sono passato lì. Rivivo la sensazione del terremoto, della terra che viene meno, vedo le crepe nelle nostre case, rivivo l’esperienza dell’incendio della mia casa, che pochi per fortuna conoscono… la natura talvolta è dura, forse anche crudele… Ma che dire dell’uomo? Hanno più colpa il terremoto e l’incendio o gli umani che con il beneplacito delle “caste” costruiscono male o “inciuciano” sulla pelle delle persone? E che non si occupano correttamente della prevenzione? E neanche di risolvere definitivamente i problemi causati dai precedenti disastri?
    Il pensiero vola ora più lontano. Ricordo le famose e inesistenti armi di distruzione di massa: fu la scusa che avrebbe dovuto nascondere i vergognosi giochi di potere per i quali sono stati distrutti interi Stati e massacrati milioni di persone, con il consenso e l’ignavia dei molti, principale causa per cui quei Poteri, vero cancro del mondo, hanno la meglio (per ora…). Ricordo anche la Libia, la Siria e le responsabilità di coloro che hanno inventato l’ISIS, armandolo e addestrandolo… ma poi la lista diventa troppo lunga e lo sconforto potrebbe prendere il sopravvento… Non ho dubbi. L’uomo è mille e mille volte più pericoloso e dannoso della natura. Bisogna allora fare il possibile per bloccarla, questa IGNAVIA…”.
    La saluto cordialmente.

  18. Verso chi esercita poteri dittatoriali ci sono la rivoluzione oppure un ottimo avvocato.
    E un Collegio delle Guide Alpine che si rispetti dovrebbe fornire l’assistenza legale al professionista che si trovi vessato da persone e/o leggi anticostituzionali per non creare pericolosi (per la comunità) e assurdi precedenti.
    Parlo per esperienza personale.
    Ma ‘sti Sibillini andó stanno, in Sudamerica?
    Paolo, complimenti per le considerazioni equilibrate e spero per te, prima, e per tutti noi amanti e frequentatori della natura, professionnisti e dilettanti, poi, che questa brutta situazione cambi in meglio. Ciao, marcello

  19. Ho letto con attenzione l’articolo incuriosito dal titolo e sono rimasto basito.
    Conosco bene i luoghi e posso affermare, per amor del vero e non dell’ ego, che negli anni 90 il “nuovo” è arrivato con il trapano, prese migliorate e incollate.
    Questo spero non per mano di Caruso cavaliere dell’ etica e dell’ambientalismo; se l’alpinismo si era fermato è successo anche perché non si è voluti andare oltre. Purtroppo le montagne sono frequentate da gente che ha bisogno di lasciare il segno più tosto che un buon esempio.
    E soprattutto: c’è stato un evento tragico e si fa riferimento principalmente al fatto che qualcuno ha aggiunto degli spit su una via?!
    La sola vicinanza dei due fatti sulla pagina scritta mi dà rabbia.
    Troppi alpinisti sono abituati a fare le cose per sè credendo che siano importanti per tutti, cerchiamo di relativizzare e pensare più all’interesse comune.
    Ne guadagneremo tutti.
    Guido Amurri

  20. Un articolo come questo meriterebbe una vasta diffusione sia nell’ambito dell’ambiente alpinistico che in quello della protezione della natura soprattutto per 2 motivi:
    1) l’ equilibrio con cui è stato scritto (dote oramai molto rara, in un mondo purtroppo sempre più segnato dall’irrazionalità e dall’egocentrismo)
    2) i numerosi ed importanti spunti di riflessione che contiene riguardo valori quali il rispetto, la correttezza e la civiltà. Valori che troppo spesso tendiamo tutti a trascurare in una società in cui prevalgono sempre più, a scapito del bene comune, egoismi personali ed interessi di parte.
    Non penso di essere uno sprovveduto, e non mi ritengo neanche una persona incline alle affermazioni avventate; in questo caso, però, mi sembra che si possa sostenere che si stia passando ogni limite. Mi domando come sia possibile che i responsabili di questo parco e le guide della regione Marche possano avere creato una situazione del genere. Situazione che, a mio parere, si potrebbe definire come kafkiana per le contraddizioni e le illogicità che presenta.
    Apprendere che in un parco nazionale italiano avvengono cose di questo tipo non solo provoca in me tanta contrarietà ma anche tanta amarezza…

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