The Alpinist

«Quando sono in montagna, non sento più quel ‘casino in testa’ che percepisco nel quotidiano».

The Alpinist
di Marco Berti
Immagini dal film The Alpinist – Foto di Scott Serfas per gentile concessione di Piece of Magic e Nexo Digital.

Se Free Solo con Alex Honnold vi ha emozionato e vi ha fatto sudare le mani, con The Alpinist, storia umana e alpinistica di Marc-André Leclerc, si va oltre. Se quello che ha fatto Honnold salendo senza corda Freeride (7c) su El Capitan, è considerato lo sbarco sulla Luna dell’alpinismo e più specificatamente dell’arrampicata su roccia (non da meno in Messico su El Sendero Luminoso), quello che si vive nella storia di Leclerc ha una dimensione sulla quale è difficile trovare dei paragoni.

Il film inizia proprio con un’intervista ad Alex che afferma la sua attenzione e ammirazione per Marc-André Leclerc, un giovane canadese che tiene «un profilo basso», ma «che sta facendo le più folli ascensioni in solitaria in ambiente alpino» e quel «folli» di Honnold, così come il considerarlo «di un altro livello e fuori di testa», spiega subito ‘l’oltre’ di Leclerc.

Peter Mortimer, regista e narratore del film, interessato nel vedere del materiale video di queste «folli ascensioni», scopre che non ne esistono, perché Marc-André lo fa solo per se stesso, senza finalità che condizionino il suo piacere di scalare montagne.

Nello scorrere delle bellissime immagini, prodotte da Mortimer dopo aver vinto le ritrosie del giovane alpinista canadese, e soprattutto nel rincorrerlo perché schivava le intrusioni nella sua quotidianità, si vive una storia che nei suoi inizi è comune a molti alpinisti, nella spensieratezza della giovane età e nei leciti svarioni che possono accadere, fino ad una consapevole scelta di vivere la montagna attraverso l’alpinismo in un bisogno esclusivamente intimo, chiuso in un raggio che va poco oltre la sua persona.

È subito evidente che le scalate affrontate da Marc-André e in particolare le difficoltà superate, non si limitano all’aspetto puramente tecnico, sempre elevato, ma la difficoltà è anche data da quegli elementi, neve, ghiaccio, freddo e un meteo condizionante, che in una scalata alpinistica senza corda riducono il margine di errore ai minimi termini. Fiducia nelle proprie capacità, serenità d’animo, autocontrollo e un’innata capacità di lettura della montagna e del momento in cui si vuole scalarla, sono gli estensori che contribuiscono all’ampliare quell’insignificante margine di errore.

Scala superando limiti considerati tali anche dai più forti, ma grazie alla sua calma mentale non lo si percepisce, per quanto sia tangibile.

Il racconto filmato di The Alpinist, se goduto in piena apertura mentale, permette di comprendere la reale qualità dell’esperienza che si può vivere in una scalata solitaria e senza corda.

Marc-André mostra di essere completamente ‘free’ nel suo salire le montagne, come lo è nella vita, nel suo modo di proporsi, di cercare l’appagamento e non il successo. C’è chi osa o chi annuncia di osare per cercare la celebrità. È prepotentemente evidente che per lui non è così, anche se il suo intento è quello di diventare un alpinista professionista.

Tutto inizia a Squamish nel British Colombia, una cittadina con ventimila abitanti, dove alte pareti di granito a pochi minuti dal centro offrono più di 1500 itinerari da arrampicata. È lì che si trasferisce Marc-André dopo il diploma e subito viene notato per quella sua folle e giovanile esuberanza in cui lui si riconosce.

Trasandato e senza una lira, senza macchina e senza telefono, per un lungo periodo vive in un vano di un sottoscala, ma è sempre in movimento, vuole sempre salire e provare, andare oltre. Trovato l’amore in Brette che diventa anche la sua compagna di cordata, si trasferisce dal vano scala in una tenda nella foresta.

Alla domanda sul perché del suo salire slegato sulle alte e difficili pareti sopra Squamish, Marc-André risponde nella maniera più semplice «una piccola avventura e… fare un giro» e bisogna osservare il suo sguardo, ‘ascoltare’ i suoi occhi per capire che è sincero.

Subito il film decolla con momenti divertenti (ma per la sua spontaneità Marc è sempre divertente) come la competizione non voluta con Alex Honnold per un record di salita su una parete che domina Squamish, per poi spostarsi su una verticale cascata di ghiaccio dove, nel vederlo salire slegato, il regista commenta «Fu terrificante riprendere Marc su quel terreno insicuro» così come sulla Stanley Headwall una via estremamente impegnativa di roccia, ghiaccio e misto che per Marc-André «è una scalata davvero avvincente e divertente» confermando il contributo al film di Reinhold Messner che stabilisce che «l’arrampicata solitaria a questo livello è una forma d’arte. L’arte di sopravvivere nelle situazioni più estreme».

Dopo le prime riprese Marc scompare nel nulla, il regista gli aveva regalato un telefono, ma non è acceso. Per i suoi amici è normale vederlo sparire senza farsi sentire per mesi, ma poi appare nei profili social di altri giovani alpinisti mentre scala con Brette tra l’Isola di Baffin e le fredde e difficili pareti della Scozia, dove continua ad effettuare salite senza corda.

Finché torna in Canada, ma la caccia a Marc-André continua, e solo grazie ad un appoggio locale viene scovato in una foresta, sotto un telo con la fidanzata e un amico. Sono nella Ghost Wilderness Area, nel Canada Occidentale, per aprire nuove vie.

Secondo Brette, non vuole perdere tempo con il film perché è concentrato sullo scalare, il resto gli interessa poco o niente.

Infatti, in silenzio, attacca, scala e ritorna a casa con la solitaria di Infinite Patience sull’Emperor Face del Mount Robson (2200 metri di VI-5.9-M5-W15) lasciando a bocca aperta tutto l’ambiente dell’alpinismo nordamericano. È una salita svolta in un ambiente totalmente alpino, tra crepacci, potenziali valanghe, scalando su roccia, ghiaccio e neve.

Di questa salita Marc-André Leclerc scrive su alpinist.com dove conclude con «Sono felice di dire che la mia visita all’Imperatore è stata un’esperienza davvero speciale. All’inizio ero intimidito dalla sua forte aura, ma alla fine siamo diventati amici e il re ha generosamente condiviso la sua opulenza, lasciandomi molto più ricco». Il regista chiede spiegazioni a Marc sul perché non avesse condiviso con lui questo importante progetto. «Quando mi avete chiesto di girare un film, mi sembrava una cosa divertente, ma non permetterei mai di venire a riprendermi quando affronto le mie solitarie più importanti, perché non sarebbe più un’ascensione in solitaria». Questa risposta spiega tutto.

E lui sale senza dispositivi di comunicazione utilizzabili come salvavita e affronta le pareti senza esserci mai stato in precedenza, senza avere conoscenza dell’itinerario, se non da informazioni scritte da eventuali precedenti salitori. Barry Blanchard (1959), uno dei migliori alpinisti nordamericani, afferma «È un modo di affrontare la montagna che è ad appannaggio dei migliori scalatori e solo nei loro giorni migliori, perché è un gioco mortale» e continua «Sono seriamente preoccupato per Marc e per tutti quelli che vogliono spostare i limiti della scalata in free-solo. Luogo speciale, ma estremamente pericoloso».

Con piacere, sento dire da Honnold una considerazione che propongo da tantissimi anni «Se sali una parete in free-solo e cadi, muori, tutti pensano che tu sia un idiota. Se ce la fai ti celebrano come un eroe. Di fatto, non sei né questo né quello».

L’ultimo terzo del film ci porta in Patagonia, dove Marc tenta la prima solitaria invernale della Torre Egger percorrendo un nuovo itinerario. Fino a quel momento nessuno aveva scalato da solo la Torre Egger e nella stagione più fredda. In un primo tentativo che lo porta vicino alla vetta, è costretto ad una ritirata nel mezzo di una tempesta patagonica affrontando una difficile e complicata discesa.

Ritorna a El Chalten particolarmente stanco, ma nell’aprirsi di una finestra di bel tempo ritorna sulla montagna con il minimo equipaggiamento per fare un tentativo veloce.

Partito dalla sua tenda alla base della montagna poco prima delle 3.00 del mattino, raggiunge la vetta alle 18.00 della sera per ritornare alla sua tenda alle 23.00 dello stesso giorno.

La salita solitaria e d’inverno sulla Torre Egger, appare come la chiusura di un cerchio perfetto, disegnato in una sequenza logica, in un racconto fatto da un crescendo di ascensioni sempre più difficili, vissute con gesti concreti come è concreta la serenità che li ha resi possibili.

Credo che The Alpinist debba essere visto due volte.

Una prima volta per godersi un bellissimo film, lasciandosi portare da una storia alpinistica che ha pochi eguali, forse nessuno.

Una seconda volta per riflettere sul tanto dibattuto e spesso criticato alpinismo solitario e senza corda che con Marc-André ci permette una chiave di lettura realmente sincera, pura, che spazza via scetticismi e incomprensioni e soprattutto i bigotti della sicurezza ad ogni costo (senza volerne negare l’importanza) grazie ai quali l’alpinismo non avrebbe vissuto la sua pregnante evoluzione.

Nota
Marc-André Leclerc è nato il 10 ottobre 1992 a Nanaimo, nella Columbia Britannica, da Michelle Kuipers e Serge Leclerc. Fu introdotto all’arrampicata all’età di otto anni, quando il nonno gli comprò il libro di Chris Bonington , Quest for Adventure. Ebbe la sua prima esperienza di arrampicata a Coquitlam, su una parete da arrampicata indoor all’interno di un centro commerciale, all’età di nove anni. Nello stesso anno si iscrisse alla palestra “Project Climbing” ad Abbotsford. Nel 2005 la sua famiglia si trasferì ad Agassiz, vicino alle vette della Cascade Range, e Leclerc iniziò da autodidatta ad imparare le tecniche dell’arrampicata in montagna. Marc era solito andare in bicicletta fino a Harrison Bluffs, una zona di arrampicata su roccia nella Columbia Britannica, dove si esercitava da solo fino a trascorrervi anche la notte. All’età di 15 anni la madre gli comprò una copia di Mountaineering: The Freedom of the Hills. Il libro lo ispirò ad entrare a far parte del British Columbia Mountaineering Club, attraverso il quale si fece rapidamente un nome nella comunità alpinistica. Iniziò a gareggiare e quindi a vincere in poco tempo le competizioni di categoria, per arrivare a conquistare i Canadian Nationals nel 2005.

Il 5 marzo 2018, Marc-André Leclerc e il suo compagno di cordata, Ryan Johnson, per una nuova via sulla parete nord delle Mendenhall Towers (a nord di Juneau, Alaska ), raggiungono la sottile vetta. Il duo era atteso al campo base entro il 7 marzo, ma non vedendoli arrivare vengono attivate le ricerche del Juneau Mountain Rescue. Le operazioni di soccorso vengono interrotte per alcuni giorni a causa delle cattive condizioni meteorologiche e quando, dopo quattro giorni, la tempesta cessa, la squadra di ricerca rinviene alcune corde in fondo alla via di discesa. Ciò suggerì che gli scalatori fossero rimasti vittime di una valanga, di una caduta di roccia o di una cornice staccatosi sopra di loro. I loro corpi non furono mai ritrovati.

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The Alpinist ultima modifica: 2022-09-11T05:18:00+02:00 da GognaBlog

6 pensieri su “The Alpinist”

  1. 6
    Cristian says:

    La montagna è zona franca,e ogni persona può cimentarsi come vuole, un alpinista sa già che c’è sempre una possibilità di non tornare a casa e ciò è accettato.Discutete pure su turisti che partono in vacanza per divertirsi poi magari trova la morte perché gli cade l’aereo,ma non su un alpinista che muore perché così facendo lo ucciderete due volte!

  2. 5
    Paolo Gallese says:

    Penso sempre a Renato Casarotto, imprese di tanti anni fa. E nelle solitarie estreme pensi che in fondo, ciò che rende sempre vivo l’alpinismo, è il confronto con gli elementi e le tue paure, come i tuoi sogni.
    Perché alla fine, anche colui che cerca la notorietà, non è poi così diverso da chi non la cerca.
    Là sei solo di fronte a qualcosa che non ha coscienza dei tuoi fini, né illusioni.
    E devi solo riuscire a tornare. Per la notorietà o per te stesso cambia poco.

  3. 4
    Riva Guido says:

    “Non si deve mai andare da soli in montagna!”

  4. 3
    Simone Di Natale says:

    Commentoni!!

  5. 2
    antoniomereu says:

    Per paradosso scompare dalle “scene”e dalla vita ombelicalizzato ad un compagno…destino.

  6. 1
    Fabio Bertoncelli says:

    Marc-André, ne è valsa la pena?
     
    Chi può saperlo? Forse solo tu, che però non puoi piú risponderci.

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