Torna(ti) a casa lessi
di Marco Lanzavecchia (postato il 25 maggio 2012 su Fuorivia)
Irretito da una megera valtellinese mi son con lei recato a fare Gundam&Tatiana al Sencc di Dalò.
Già il nome Sencc ha un po’ il suono di una legnata nei denti e questo mi avrebbe dovuto mettere sull’avviso, poi l’abbondanza di lettere c come caxxi sulla relazione pure.
La mattina fronteggio il primo intoppo… mia figlia minore che la sera prima facendo casino con altri giovani tossici si era fatta male a un dito scopre improvvisamente che il dito le fa malissimo e che probabilmente più fa casino più possibilità ci sono di non andare a scuola.
Gundam&Tatiana al Sencc di Dalò
Ci scapicolliamo al pronto soccorso: un arrivo per tempo vuol dire risparmiare ore di attesa… e speriamo che non ci siano codici gialli o peggio rossi… che il codice verde è assicurato…
Prima delle otto l’ortopedico non c’è… ma siamo i primi.
Visita, lastra, semplice distorsione, steccatura, chiusura pratica… la porto a scuola e sono le dieci e mezza.
Telefono alla strega che immagino rimescoli il suo pentolone pieno di code di lucertola e bucce di mela… e confermiamo l’appuntamento per quando si riesce.
Cappuccino, parcheggio… guida la banshee… che da queste parti fra di loro si intendono e ci sono limiti e pattuglie che son lì apposta per spremere i milanes che vanno a Madesimo… unica attività lucrativa della zona.
Partiamo alla volta della parete in ciabattoni (anche bermuda per quello… ma ininfluenti) ma l’annunciato quarto d’ora rimonta un ripido bosco di castagni praticamente senza sentiero e ci riempiamo gioiosamente i piedi di spine di riccio.
Molti nemici molto onore… e poi il caldo è soffoco.
Per fortuna il primo tiro è in parte all’ombra del bosco… almeno nella sua prima parte verticale e difficile. Dopo 3 o 4 spit uno spostamento a sinistra strano mi legna subito… mi lancio sulla presa ma non la tengo e sono appeso alle corde.
Tocca scalare… buttarsi dentro alla bell’e meglio non serve.
Qualche rantolo e passo… poi molla… ma in compenso finisce l’ombra e la roccia è rovente: le arcuate vanno bene, che i polpastrelli sono callosi, ma sulle prese a mano aperta il palmo scotta…
Tranne la spittatura un po’ fantasiosa che costringe a qualche moschettonaggio un po’ contorsionistico (l’apritore è molto, molto alto oltre che ovviamente molto, molto più bravo di me) si sale. La partenza dalla sosta senza usare la medesima di un tiro di banale 6a mi pare estremissima…
Vabbè… i dettagli fregano solo a me… almeno un tiro proprio bello con una rimontata cattiva e siamo nel rumego centrale dove la fattucchiera si era impegnata a tirare il tiro di 5a… che si rivela spaventosissimo, terrosissimo e rumegosissimo. Peno da secondo.
Eccolo lì… il tiro della placca. Blatero un profetico sembra facile e salgo, salgo, salgo. Spit lontanissimi (anche 10 m) ma facile con bei rugosoni per mani e piedi. A 10 metri dalla sosta la musica cambia. Gli spit sono vicini anche se tutt’altro che azzerabili ma non più facile. Anzi difficile.
Rinculo.
Piedi come focacce… cristallini sulla placca, sfuggenti e torridi.
Le punte delle dita sudano… i piedi tremolano… il respiro si fa affannoso… di nuovo indietro ad agguantare il rinvio al volo.
Penso che è troppo con questo caldo e con il sole che mi cuoce il cervello… e che una maglia la posso lasciare… e che di sicuro a Chiavenna troveremo qualcosa di fresco.
Mi appresto a fare la manovra ma nel frattempo… subito subito… mi debbo togliere le scarpe.
Ah… sollievo.
Gundam&Tatiana al Sencc di Dalò
Rifletto sul fatto che come spesso avviene mi sono fatto fottere dalla testa… non ho provato veramente… non ho abbandonato il porto sicuro del margine di sicurezza per avventurarmi nell’incertezza, nell’alea. Ho pensato a non cadere e non ho pensato a salire. Non ho accettato la fondamentale precarietà dove si naviga in aderenza quando si è prossimi al proprio limite.
C’è chi dice che l’arrampicata in aderenza richieda una tecnica raffinata. Io personalmente non lo credo… di fatto, almeno nelle difficoltà che mi sono concesse, è abbastanza monotona e ripetitiva. E’ la condizione mentale che è particolare, direi unica, e non ha riscontri negli altri tipi di arrampicata. Bisogna accettare di convivere con l’incertezza, entrare nella fly zone dove non serve combattere, stringere una presa allo spasimo, ma solo avere la mente vuota e non pensare. Mal che vada, dopo 7 o 8 metri di scivolata di solito assolutamente innocua, verremo frenati in modo sorprendentemente dolce dall’ultima protezione…
Ho deciso… non ribatterò senza essere caduto. Mi rimetto le scarpe (ohi) e non mi invento neanche scemenze tipo salire in piedi sullo spit, ma mi metto subito a seguire la linea naturale di onde, svasi, cristalli che segna il percorso di salita. Lo spit è posizionato bene, un metro a sinistra della linea… non si rischiano incespiconi.
Salgo… precario… precarissimo. Manco guardo in alto e lo spit magicamente compare sotto il naso.
Coppia… ancora due o tre passi precarissimi…. lo spit sopra rimane sopra… mi mancano ancora dieci o quindici centimetri.
So che allungarsi è una tattica perdente… scivolerei inesorabilmente. Alzo ancora il piede, mi invento una fede improbabile nella sua tenuta… e spingo… sono su. Un respirone e butto dentro la coppia… la placca da qui in poi sembra bella lavorata… è palese che le difficoltà sono finite.
I piedi si rimettono a urlare.
Mi appendo ed ancora una volta mi tolgo le scarpe.
Dopo son quattro salti fino alla sosta.
Seguono due tiri in diedro, uno molto bello, l’altro molto strapiombante. Duri, interessanti… anche qualche passo obbligato cattivo. Ma siamo in pieno nell’area di comfort. Le braccia si stancano, i piedi fanno male, calcolo i movimenti, gli spostamenti del peso, i riposi… ma qui siamo sulla terra, nel vecchio porco mondo, abbarbicati alle nostre certezze.
Finito il settimo tiro facciamo vangelo della relazione che consiglia di scendere perché al di sopra la via diventa brutta e poco interessante (anche se c’è ancora un 6c+…) e buttiamo le doppie. Più che altro l’idea di reinfilare un’altra volta le scarpe mi sembra spaventevole… e si è fatto pure tardino.
A casa per cena.
Abbarbicati alle nostre certezze appunto.
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Ciao sono Marcella, scopro che dopo 50 anni ancora ami la montagna, hai (almeno) una figlia e scrivi bene. Bello scoprire che hai fatto belle cose.
Più recensioni di gite cosi, grazie! complimenti, si legge d’un fiato!
Bortbotta anche quando va al bar per la birra il grande Rel, ma poi va…
Ehhhh il buon Giudirel. Lamenta, borbotta, sminuisce..ma scala. -;)