Tutti i Quattromila sciistici delle Alpi

Autopresentazione dell’autore di Tutti i Quattromila sciistici delle Alpi (a cura della Redazione della Rivista del CAI, 1989)
Roberto Bianco è un ingegnere torinese quarantenne, sposato, con due figli, socio del CAAI e del GHM, sommelier per hobby, ma soprattutto appassionato di scialpinismo. Tra il 1976 e il 1980 con Dino Rabbi ha formato una buona cordata, dedicandosi alla riscoperta delle “grandes courses” sulle Alpi occidentali. Tra le salite più belle ricordiamo: il Pilone nord del Frêney e lo Sperone Croz alle Grandes Jorasses (entrambe prime ripetizioni italiane dopo le salite di Gervasutti), il Couloir Lagarde alla Brèche du Caiman e il Couloir Lagarde ai Droites, la Cecchinel-Nominé al Pilier d’Angle, la Nord della Dent Blanche (tutte prime salite italiane), la Nord del Cervino. Dopo un grave incidente in Valgrisenche, trascinati da una valanga per 300 metri con il salto di una barriera di rocce, hanno dovuto limitare la loro attività alpinistica per le lesioni riportate alle vertebre. Da allora entrambi si sono dedicati con rinnovata passione allo scialpinismo.
Per farli proprio tutti bisogna forse essere un po’ maniaci, lo ammetto. Ma se non si fosse così sarebbe assai difficile raggiungere obiettivi complessi. E poi, in fondo, il termine “maniaco” può essere sfumato in “determinato”, “fortemente appassionato” o addirittura “innamorato”. Quando ti prende, ti prende. Se resti coinvolto, l’unica cosa da fare è andare fino in fondo senza esitazioni o riserve, appassionatamente, abbandonandosi a quel furore che non ti dà pace. E così è avvenuto.

Tutti i Quattromila sciistici delle Alpi
di Roberto Bianco
(pubblicato sulla Rivista del CAI, marzo/aprile 1989)
Foto di Dino Rabbi

Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)

Dai ruderi della Capanna Panossière verso il Gran Combin

Il primo Quattromila e il più ripetuto
Il primo fu il Gran Paradiso, tanti anni fa. Gita talmente bella da un punto di vista scialpinistico, che poi, per accompagnarvi ora l’uno ora l’altro (la più bella gioia è quella che leggi negli occhi di un amico), ho ripetuto per altre dodici volte.
In seguito continuai per anni con una normale attività scialpinistica, salendo, oserei dire casualmente, molti Quattromila. Ma poi ecco apparire l’articolo di Roberto Aruga su Scandere 1979, annuario del CAI Torino, dove vengono elencati con interessanti notizie storiche e classificazione di difficoltà tutti i Quattromila delle Alpi: sono 54. Siamo nella primavera del 1980 e in quel momento il progetto incomincia a prendere forma. Una ventina li ho già saliti. Me ne mancano “solo” 34. Inconsciamente la sfida è lanciata.

La più bella salita
Proprio nel maggio di quell’anno con due amici biellesi prendiamo la seconda funivia del mattino da Chamonix e saliamo con gli sci al Mont Blanc du Tacul. La giornata è splendida e mentre sdraiati al sole sulle roccette della vetta alterniamo un ottimo barbera (come migliorano i rossi in quota!) ad una altrettanto ottima mocetta, la punta del Mont Maudit mi appare straordinariamente bella e vicina. L’attrazione è troppo forte. In fondo non è ancori tardi e poi ogni tanto è bene seguire le ispirazioni. I due fratelli biellesi non ne hanno voglia, ma gentilmente mi aspetteranno a Chamonix. Così raggiungo da solo la vetta del Maudit dove si ripete esattamente la stessa scena nei confronti del Monte Bianco. Come si può resistere ad una visione così affascinante? Sono le tre del pomeriggio quando lascio il Maudit alla volta del Bianco; con l’abbassarsi del sole la luce diventa sempre più fantastica e magica. Sono solo sulla grande montagna e salgo in un’atmosfera suggestiva, quasi irreale, come in un sogno. Manca poco alle sei quando arrivo sulla calotta sommitale. Sono istanti e sensazioni indimenticabili. Qualcuno scrisse che nella vita di un uomo vi sarà sì e no un minuto di perfetta felicità, somma dei tanti istanti perfetti forse incontrati nel corso della propria esistenza. Alcuni istanti perfetti io li ho vissuti lì.
La neve è buona e la Nord è tracciata. Ed allora giù fino al Plan des Aiguilles e poi ancor giù seguendo le ultime lingue di neve nella pineta, per sbucare infine sul curvone che precede il traforo. E’ il 25 maggio 1980: tre Quattromila in un giorno ed una favolosa discesa.

In salita al Täschhorn

La più fortunata
Nella primavera successiva colgo un unico Quattromila: il Bishorn. E devo ringraziare la mia passione per il vino e per le scommesse, o meglio per le «bravate». Quante volte mi sarei rimangiato le parole appena sfuggite. Ma era troppo tardi. Reduci dalla salita al Brunegghorn eravamo alla capanna du Tracuit. Con alcuni svizzeri vallesani avevo ingaggiato un’animata discussione sui vini italiani e svizzeri, ovviamente seguita da abbondanti degustazioni incrociate di dolcetto, dôle, barbera e fendant. Sostenevo che il barbera è il vino più adatto alle pareti nord, ai versanti glaciali e poi è quello che in montagna acquista di più e fa carburare meglio. Anzi per dimostrarlo, visto che erano le 17, sarei andato in punta al Bishorn e rientrato in capanna prima del buio per la cena. «Se lo fai, ti pago una bottiglia di fendant!» disse un maledetto svizzero. A questo punto non potevo tirarmi indietro. E così alle 19 ero in vetta e poco dopo assaporavo quell’inconfondibile gusto di pietra focaia tipico dei buoni fendant. L’indomani mattina il tempo era orribile e nevicava. Viva gli svizzeri!

Poche settimane dopo con l’amico Corradino Rabbi precipitiamo insieme al pendio dalla cresta del Monte Ormelune in Valgrisenche. Con molta fortuna me la cavo con cento giorni di busto di gesso e con tre centimetri e mezzo in meno di statura, conseguenza dell’insaccamento. Era proprio il caso di dire che la montagna non aveva voluto. Quindi non mi fu difficile riavvicinarmi ad essa. Negli anni successivi ad uno ad uno ho salito tutti i restanti Quattromila. L’ultimo è il Täschhorn. Il sogno si realizza il 24 luglio 1988 raggiungendone la vetta dopo il terzo tentativo consecutivo. Si tratta del cinquantatreesimo Quattromila, infatti rispetto all’elenco di Aruga, sono stati eliminati lo Stecknadelhorn e la Wegen-Jungfrau in quanto non vi è proprio nulla di sciistico nel tratto che li separa dai rispettivi e quasi omonimi Quattromila. Ho però aggiunto la punta Walker alle Grandes Jorasses che in un’ottica moderna può essere considerata il limite dello scialpinismo classico.

Roberto Bianco in discesa dal Grand Lui

Il migliore exploit
Talvolta ho avuto molta fortuna, come quando, nell’aprile 1984, infilando quattro giorni senza una nuvola, mi è stato possibile salire sei Quattromila dell’Oberland. E pensare che molti amici, a causa del tipico maltempo dell’Oberland, hanno impiegato due o tre fine settimana per un Quattromila. Ma il 1984 era per me una stagione fortunata: dieci Quattromila.

La maggiore determinazione
Talvolta invece ci è voluta testardaggine e determinazione per non mollare. Per il Täschhorn sono salito e sceso alla Dômhütte ben quattro volte. Sci a spalle in salita e discesa per 1500 metri.

La salita meno gradevole
Se i momenti più belli li ho vissuti in punta al Bianco, i più fastidiosi li ho vissuti salendo all’Allalinhorn. Mentre procedevamo di prima mattina, sul ghiacciaio in quell’aria fredda, tersa e pura, ricordo un colpo di clacson alle spalle: era un cingolato che trascinava una «navette» piena di sciatori che mi chiedeva di spostarmi. Poi ancora poco sotto la vetta un va e vieni continuo di elicotteri che sbarcavano altre truppe di sciatori: sembravano scene tratte dal film Apocalypse now. Peccato che proprio gli svizzeri, in molti casi esempi di civiltà e di protezione della natura, nell’area di Zermatt e Saas-Fee ne abbiano combinate di ogni colore: metrò alpino, funivia del piccolo Cervino, elicotteri selvaggi…

Il passaggio più emozionante
Il Corridor al Grand Combin è un’emozione che non si può dimenticare. E poiché avevo trascurato di salire anche la punta di Tsessette che misura 4141 metri, Rabbi ed io lo abbiamo percorso due volte. In salita, tirando al massimo, sono 45 minuti che sembrano non finire mai. Quando si esce dalla possibile traiettoria dell’ultimo seracco, si prova un piacevolissimo senso di liberazione. Eppure è un passaggio che oserei definire storico e affascinante. Si sale per un vero e proprio corridoio obliquo tutto dominato da bellissimi castelli di ghiaccio.

I tre Quattromila più impegnativi
Täschhorn, Walker e Bionassay. Tecnicamente la Walker ha i passaggi più ripidi e difficili, però il Täschhorn è assai complesso specialmente a causa di quella discesa dalla Festikinlucke per prendere piede sul Kiengletscher. Insieme all’inseparabile Dino, fidandoci della descrizione della guida Sci alpinismo nelle Alpi di Toni Gobbi, edizioni Tamari, ci siamo calati quasi subito al di là del colletto. Per tirarci fuori dai pasticci abbiamo dovuto spendere più di tre ore e dare fondo alla nostra esperienza di specialisti di misto. Leggendo meglio la guida si apprende che questa salita era stata più volte programmata, ma mai effettuata. In ogni caso dal colletto consiglio vivamente di risalire per un bel po’ la cresta verso il Dôm, finché non si incontra un evidente canale nevoso, abbastanza praticabile, che scende senza salti sulla parte superiore del Kiengletscher.

Salirò ancora su candide punte, raggiungerò nuovi colli per vedere cosa c’è al di là, cercherò nuovi itinerari, accompagnerò mio figlio sui Quattromila più belli, però non sarà più come prima… forse era meglio lasciarne uno.

Grand Combin, salita del Corridor

Elenco dei Quattromila sciistici
Gruppo degli Écrins
1) Dôme de Neige des Écrins 4015 m

2) Barre des Écrins 4103 m
3) Pic Lory (Charles) 4083 m

Gruppo del Gran Paradiso
4) Gran Paradiso 4061 m

5) Il Roc 4026 m

Gruppo del Monte Bianco
6) Monte Bianco 4810 m

7) Dôme de Goûter 4306 m
8) Monte Bianco di Courmayeur 4765 m
9) Aiguille de Bionassay 4052 m
10) Mont Blanc du Tacul 4249 m
11) Mont Maudit 4468 m
12) Aiguille de Rochefort 4001 m
13) Grandes Jorasses – Punta Walker 4208 m

Alpi Pennine (escluso il gruppo del Monte Rosa)
14) Bishorn 4159 m
15) Strahlhorn 4190 m
16) Allalinhorn 4027 m
17) Alphubel 4206 m
18) Combin de Grafeneire 4314 m
19) Aiguille du Croissant 4243 m
20) Combin de Valsorey 4184 m
21) Combin de Tsessette 4141 m
22) Dent d’Hérens 4179 m
23) Rimpfischhorn 4199 m
24) Dôm 4545 m
25) Täschhorn 4491 m
26) Dent Blanche 4356 m
27) Nadelhorn 4327 m
28) Weissmies 4020 m

La seraccata del Täschhorn

Gruppo del Monte Rosa
29) Breithorn Occidentale 4165 m

30) Breithorn Centrale 4160 m
31) Breithorn Orientale 4141 m
32) Roccia Nera (Schwarzfluh) 4075 m
33) Polluce 4091 m
34) Castore 4226 m
35) Punta Giordani 4046 m
36) Pyramide Vincent 4215 m
37) Corno Nero (Schwarzhorn) 4322 m
38) Ludwigshöhe 4342 m
39) Punta Parrot 4436 m
40) Punta Gnifetti (Signalkuppe) 4554 m
41) Punta Zumstein 4561 m
42) Lyskamm Occidentale 4481 m
43) Lyskamm Orientale 4527 m
44) Punta Dufour 4633 m
45) Nordend 4612 m

Oberland Bernese
46) Gross Fiescherhorn 4049 m

47) Hinter Fiescherhorn 4025 m
48) Aletschhorn 4195 m
49) Jungfrau 4158 m
50) Mönch 4099 m
51) Gross Grünhorn 4043 m
52) Finsteraarhorn 4274 m

Gruppo del Bernina
53) Pizzo Bernina 4049 m

Ciò che rimaneva della Cabane de Panossière

Alla pubblicazione seguì un interessante botta e risposta con un lettore. Nel numero 4-1989 della Rivista del CAI, nella rubrica dedicata ai lettori, viene pubblicata una lettera di Mario Ferro. Scrive la Redazione della Rivista del CAI: “Pubblichiamo la lettera non per amor di polemica con l’autore dell’articolo (al quale l’abbiamo girata direttamente in modo da poter pubblicare le eventuali precisazioni sul prossimo numero della Rivista), ma perché ci pare apra un interessante dibattito sulle nuove frontiere, e limiti, dello sci alpinismo, cui tutti i lettori sono invitati a dare il loro contributo di esperienza. Da parte nostra ci pare irrilevante la differenza, nel contesto, tra Quattromila «sciistici» e «scialpinistici», laddove la prima dizione deve essere intesa nel significato della seconda; tale piccola confusione può essere stata favorita dall’esigenza grafica nel titolo dell’articolo di abbreviare appunto il secondo termine, parendo peraltro ovvio che si trattasse comunque di scialpinismo e non di altra disciplina”.

In discesa nel Corridor del Grand Combin

L’opinione di Mario Ferro
Ho letto con molto interesse sul n. 2/1989 della Rivista l’articolo che Roberto Bianco ha dedicato ai «Quattromila» sciistici, così come a suo tempo avevo letto con pari interesse lo scritto di Aruga su Scandere 1989», annuario della Sezione di Torino. Sono un appassionato alpinista e scialpinista e (pur non contando al mio attivo l’esperienza e l’attività di Bianco e Aruga) ritengo di conoscere a sufficienza tutti i «Quattromila» citati per permettermi di fare qualche osservazione al riguardo e di porre alcuni interrogativi, direttamente a Bianco e indirettamente ad Aruga:
1) Innanzitutto una precisazione (forse è una svista): all’inizio del suo articolo Bianco scrive di aver salito con gli sci «tutti i Quattromila delle Alpi»; certamente voleva riferirsi a quelli che lui considera «sciistici», che sono circa la metà dei quasi 90 Quattromila delle Alpi.

2) Poi una questione di principio: ha senso definire «sciistici» (si badi bene: «sciistici, non scialpinistici») montagne quali le seguenti: Dent Blanche, Aiguille de Bionassay, Walker (e perché allora non aggiungere la Whymper?), Täschhorn, Dufour, Nadelhorn, solo perché sono state salite con gli sci ma non sugli sci? Dov’è la «sciabilità» per dirla con Aruga, di queste montagne? A questa stregua non solo queste citate ma quasi tutti i Quattromila delle Alpi (e non solo questi) diventano «sciistici», basta coraggiosamente (!?) caricare gli sci sul sacco e portarli (a mo’ di «via crucis») a spalla sia in salita che in discesa. Ha senso tutto ciò?

3) Täschhorn: com’è possibile considerare «sciistica» questa montagna? Chiunque l’abbia salita in veste di alpinista sa quanto poco sia «normale» la sua via normale. Che qualcuno incaponendosi a salirla con gli sci sia disposto a tentarla per ben 4 volte portandosi «gli assi» sulle spalle sia in salita che in discesa, per la bellezza (si fa per dire) di almeno 1500 metri di dislivello, a me pare per lo meno masochistico. Se si aggiunge la salita al Dôm che si compie dallo stesso rifugio, e si suppone che quest’ultimo sia riuscito al primo tentativo, risulta che Roberto Bianco per salire con gli sci questi due Quattromila se li sia portati sulle spalle per oltre quindicimila metri: deve scontare qualche grosso peccato?

In discesa nel Corridor del Grand Combin

4) Monte Bianco di Courmayeur: d’accordo, anche questo è un Quattromila, però ha senso raggiungere questa vetta scendendo dalla cima del Monte Bianco per poi risalirvi al ritorno? Roberto Bianco l’aveva già raggiunta, la massima vetta delle Alpi, con bella cavalcata attraverso Tacul e Maudit; e poi c’è ritornato apposta con gli sci solo per scendere al Bianco di Courmayeur; ne valeva la pena?

5) Jungfrau di Wengen: vale quanto sopra scritto, con l’aggiunta che su questo insignificante Quattromila si scende a piedi dalla vetta della Jungfrau, che a sua volta si raggiunge dopo aver lasciato gli sci circa a metà percorso. Si possono ancora considerare «sciistiche» quindi queste due vette?

6) A proposito dell’Oberland, vorrei che Bianco mi togliesse una curiosità: come ha fatto a salire sei Quattromila in soli quattro giorni? Mi piacerebbe imitarlo. Potrei continuare ancora ma preferisco fermarmi qui. Concludendo mi pare che se l’intento non è quello di entrare nel «Guinness dei primati», il salire (e/o scendere) portando gli sci a spalla, o non portandoli per nulla su vette di quattromila metri che hanno poco o nulla di sciabile e definire queste «sciistiche» (come fanno Bianco e Aruga), sia una notevole forzatura, che io (e credo non solo io) non posso condividere. Ho sempre pensato che per l’uomo di montagna gli sci debbano essere considerati un mezzo di trasporto, non un mezzo da trasportare. Sbaglio?

Forse un po’ di chiarezza e di ordine in questa materia non guasterebbe, anche per evitare che seguaci delle imprese di Bianco e Aruga sottovalutino i «Quattromila sciistici» e vadano a cacciarsi in guai inattesi.
Mario Ferro

Il Grand Combin

Roberto Bianco risponde alle osservazioni formulate dal Sig. Ferro con lettera pubblicate in questa rubrica nel n. 4 (la Redazione della Rivista del CAI).

Egregio Signor Ferro, con piacere rispondo punto per punto alla sua lettera (mi pare di capire che lei sia un preciso, cercherò quindi di soddisfarla):
1) Ho riletto attentamente il mio articolo, ma in nessun punto ho scritto di aver salito tutti i Quattromila delle Alpi. In ogni caso in fondo all’articolo sono elencati quelli saliti.

2) Sciistici e scialpinistici: su questo punto ha già risposto in parte la redazione. Vorrei ricordarle che mi sono riferito all’articolo di Roberto Aruga intitolato I Quattromila sciistici delle Alpi nella cui premessa l’autore chiaramente spiega: «Ben più sfumato e sottile è il problema della “sciabilità” di una vetta, ove entrano in gioco fattori strettamente individuali, legati alle capacità sciistiche o alpinistiche di ciascuno, alla propria concezione dello scialpinismo, e anche all’evoluzione delle tecniche e dei materiali». In seguito Aruga parla di «proposta di elenco», infatti anch’io propongo un elenco che è leggermente diverso dal primo, in quanto si adegua alle mie personali concezioni e tecniche. Per fortuna in montagna c’è ancora libertà. Quanto alla sua frase «vette salite con gli sci ma non su gli sci, mi scusi, ma un po’ mi punge sul vivo! Come fa a sapere dove sono salito con gli sci e dove sugli sci? Era forse mio compagno invisibile? Personalmente non ho mai amato portare gli sci a spalla o sullo zaino, per cui ho sempre cercato di spingere al massimo delle mie capacità, compatibilmente con la sicurezza, la progressione con gli sci ai piedi. Mai farei un’intera gita con gli sci a spalla! Le vette da lei elencate mi hanno offerto splendide discese e in salita la parte sugli sci è sempre stata preponderante. Un esempio: da quando si prende piede sul ghiacciaio del Dôme, alla stessa altezza del Rifugio Gonella, fino al Colle di Bionassay, ma proprio al colle, sono riuscito a non levarmi gli sci dai piedi. Onestamente le dirò che anche scendendo dalla Walker, prima di entrare nel «Couloir Whymper» ho fatto una brutta caduta e mi sono fermato fortunosamente. Stavo scendendo insieme a un gruppo di forti e simpatici francesi che hanno superato in scioltezza e sicurezza quel tratto: io ho sbagliato! Non ero in grado tecnicamente ed emotivamente di superare quel pezzo con gli sci ai piedi; se fossi stato solo, probabilmente avrei levato gli sci per rimetterli poco più in basso. Ho voluto provaew e sono caduto, ma non per questo mi sogno di scrivere che la Walker non è sciabile. Non lo è al 100% per me, ma lo è per altri più bravi di me. il problema è sempre soggettivo: va cioè riferito alle proprie capacità, e nella valutazione delle proprie capacità bisogna essere «spietatamente» onesti e oggettivi, perché l’errore può costare molto caro.

La discesa della Festikinlucke al Täschhorn

3) Täschhorn: noi abbiamo portato gli sci ai piedi fino ai 4150-4200 metri: sciatori più bravi di noi li possono portare più in su. La discesa fino al rifugio è lunga e bella, anche se interrotta dal canalino nevoso da risalire e da un tratto di cresta. Ma proprio questo intermezzo alpinistico conferisce fascino a questa gita: per accedere alla grande parete bisogna saper superare la porta magica. Non sarà mai una gita affollata ma, scusatemi l’espressione, resterà un «lusso per pochi». Sono salito alla Dômhütte 4 volte in tutto: la prima ho salito il Dôm e poi avrei voluto tentare il Täschhorn, ma ero stanco, la seconda 400 metri sopra il rifugio ha cominciato a nevicare, la terza siamo arrivati fino a quota 4050 metri e abbiamo preferito ritirarci poiché abbiamo giudicato pericoloso il pendio (e pure il sole splendeva), però abbiamo lasciato tutto il materiale al rifugio. Per cui 1500 metri x2 x3 = 9000 metri con gli sci a spalla, Randa-Dômhütte e viceversa, ma è talmente bello, dal rifugio in su, che per salire sugli sci fino alla vetta del Dôm e fin quasi a quella del Täschhorn ne vale ampiamente la pena; sinceramente non credo di essere un masochista: piuttosto mi definisco un gaudente.

4) Monte Bianco di Courmayeur: proprio in vetta al Bianco ci sono stato otto volte, perché allora una volta non andare su questo Quattromila facilmente raggiungibile sugli sci? Il panorama è splendido.

5) Wengen Jungfrau: ha ragione, infatti non sono mai andato su questa vetta (come pure sullo Stecknadelhorn), poiché non ha senso portarsi avanti e indietro gli sci a spalla nel tratto che li separa dai rispettivi e quasi omonimi Quattromila.

6) Quattro giorni per sei Quattromila: ecco la cronaca: 21/4/1984, Jungfrau, poi Konkordiahütte, 22/4, Gross Grünhorn, poi Finsteraarhornhütte, 23/4 Finsteraarhorn e ancora allo stesso rifugio. 24/4 Hinterfiesherhorn, Gross Fiescherhorn, discesa di vetta per un canale tracciato sul Emigshneefeld e risalita al Oberer Mönchjoch ed infine Mönch. Le sei vette sono state raggiunte insieme a Renzo Colombino di Biella, in una comitiva di nove persone e molti hanno realizzato quattro Quattromila in quattro giorni. Auguri, signor Ferro, e, mi creda, sono pienamente d’accordo con lei quando afferma che gli sci sono un mezzo di trasporto e non da trasportare.
Roberto Bianco

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Tutti i Quattromila sciistici delle Alpi ultima modifica: 2019-04-21T05:56:15+02:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Tutti i Quattromila sciistici delle Alpi”

  1. Dice bene Crovella: la sciabilità di una vetta non è un dato oggettivo. Che peccato: una bella, sintetica e comoda tabella con la lista dei 4000 sciistici penso che non ci potrà mai essere. Cosa ci potrebbe essere di oggettivo in questo campo? Soltanto un elenco di fatti, cioè dei 4000 che sono stati saliti in tutto o in parte con gli sci, specificando chiaramente la via seguita e i tratti percorsi sugli sci oppure gravati dagli sci. Volendo si potrebbe andare ancora un po’ più in là, sottoponendo il suddetto elenco agli scialpinisti e raccogliendo le loro opinioni: ognuno porrebbe il suo personale limite alla sciabilità dove meglio crede, chi più in su, chi più in giù, in tutta libertà. Si potrebbe ricavarne da ultimo una proposta di vette sciabili decisa dalla maggioranza, e qui ci dovremmo fermare. Non è molto, ma nessuna rigida gabbia potrà mai serrare la mutevolezza e inafferrabilità delle scivolate sulla neve. E anche le proposte di Bianco e Aruga, a mio avviso, vanno lette in quest’ottica.                                             Un grazie a Crovella che mi ha segnalato questi testi sul blog e il mio sincero apprezzamento per le imprese di Bianco, che da molti anni non ho più avuto occasione di incontrare.

  2. Sono abbastanza convinto che fra qualche decennio l’elenco dei 4000 sciistici coinciderà quasi per intero con l’elenco stesso dei 4000. Pensate al Cervino, soprannominato “Il più nobile scoglio delle Alpi”. Con ciò si allude alla sua natura “rocciosa”. Eppure sono già scesi in sci dalla Est. Quando tale discesa sarà una “passeggiata per signorine” (per dirla alla Mummery, vedi Grepon), lo scoglio sarà considerato sciistico a tutti gli effetti.

    Sto ragionando a tavolino, perché allo stato attuale la cosa non mi vede più coinvolto in prima persona.
    Tuttavia, con riferimento al momento storico dell’attività scialpinistica di Bianco-Rabbi (ma anche di altri impallinati dei 4000, come il torinese Carlo Ravetti) le loro realizzazioni sono degne di tutto rispetto. Hanno segnato un’epoca e hanno aperto la mente a molti “ripetitori”, fra i quali mi sono trovato ad agire anche io. Per questo li ringrazio di cuore.

  3. Sono d’accordo con le osservazioni di Carlo Crovella . Infatti nel botta e risposta al fondo dell’articolo, punto 2, ho riportato le parole molto chiare di Roberto Aruga : “Ben più sfumato e sottile è il problema della “sciabilità” di una vetta, ove entrano in gioco fattori strettamente individuali, legati alle capacità sciistiche o alpinistiche di ciascuno, alla propria concezione dello scialpinismo, e anche all’evoluzione delle tecniche e dei materiali». In seguito Aruga parla di «proposta di elenco», infatti anch’io propongo un elenco che è leggermente diverso dal primo, in quanto si adegua alle mie personali concezioni e tecniche. Per fortuna in montagna c’è ancora libertà. ”

    Ogni ” Proposta di elenco ” è quantomai relativa ai tempi ed altro.

  4. Mi correggo: intendevo la parete nord-ovest “classica” (in effetti, per la precisione, esiste anche il versante ovest/nord-ovest “diretto”della montagna, che se ne distacca all’altezza del seracco superiore, sceso in prima assoluta l’anno scorso, e che presenta difficoltà III / 5.3 / E4).

  5. Ho percorso in discesa la ovest del Taschhorn e posso confermare che la discesa diretta (per non parlare della risalita) dalla Festikinlucke sul Kiengletscher è impossibile a causa dei salti di roccia. Comunque anche la salita diretta passando dalla morena (e la risalita dal fondovalle) non sono uno scherzo. Grande stima per Marcel Kurtz che, con Joseph Knubel, compì la prima invernale a questa cima maestosa il 7 febbraio 1920: partenza hotel Taschalp ore 3.15, con gli sci fino ai piedi della morena del Weingarten quindi con i ramponi a raggiungere la cresta di collegamento col Mischabejoch. Vetta ore 12.45 Ritorno a Taschalp ore 17.00.

  6. Innanzi tutto vivissimi complimenti al duo Rabbi-Bianco per la loro attività sciistica che fu in anticipo sui tempi, specie in alcuni casi come al Tashhorn. Pongo però una questione di metodo sul concetto di sciabilita’ dei 4000 (e degli itinerari di alta montagna in generale).

    Roberto Aruga è uno dei miei Maestri nel comparto dell’editoria di montagna (in particolare scialpinistica) e non posso per ringraziarlo di cio’. Tuttavia io non condivido completamente l’obiettivo di determinare la sciabilita’ dei 4000 (con relativo elenco). La sciabilita’ non è un dato oggettivo, come la quota, ma estremamente soggettivo, perché muta nel tempo (con l’evoluzione tecnico-ideologica) e dipende dalle capacità del singolo. Un esempio? La Lenzspitze, vicino al Nadelhorn, a prima vista non ha nulla di sciistico (creste e versanti rocciosi e la famosa parete Nord Est, la “parete scintillante”, nota via di ghiaccio), eppure alcuni sono saliti con picca e rampomi e sono scesi in sci dalla parete NE (mi pare 5.3 o 5.4 E4). Lo stesso Tashhorn, che ai tempi del duo Rabbi-Bianco fu un’impresa di rilievo, oggi si raggiunge direttamente dal basso tramite il Kingletsher bivaccando sulla morena. In tal modo si evita del tutto lo scavalcanento del colletto che tanto fece tribolare Rabbi-Bianco, abbattendo i tempi. Quindi oggi é piu’ sciistico di allora. Nelle buone annate (come il 2018) é abbastanza frequentato. La maggior parte porta gli sci fino alla base del famosi seracco, con tanto di traverso esposto e aggiramento. Qualcuno (ma non pochissimi) porta gli sci a spalle fino in vetta e scende in sci la parte superiore partendo direttamente dalla cima (salvo toglierli per aggirare il seracco). Pero’ proprio nella stagione scorsa due o tre italiani sono scesi anche sotto il seracco direttamente sul ghiacciaio sottostante, tracciando una nuova linea (5.4 E4). Che dire? È sciistico quel versante? La risposta è si’ se consideriamo che gli autori avevano gli sci ai piedi. La risposta è no se applichiamo i parametri di chi NON fa sci ripido. Ma il confine fra sci alpinismo tradizionale e sci ripido muta più  velocemente di chi cerca di tenere aggiornati gli elenchi.

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