Un futuro diverso per le Guide Alpine

Abbiamo rimandato la pubblicazione di questo articolo per il fatto che l’autore era candidato al Consiglio del Collegio Nazionale delle Guide Alpine Italiane. Purtroppo Stefano Michelazzi non ha ricevuto il necessario numero di consensi: ciò non significa che il suo scritto, di notevole valore, debba essere trascurato, anzi. Per l’insita chiarezza di idee sui molti punti che costituiscono le attuali problematiche delle guide alpine, sia come categoria professionale che come immagine rivolta al pubblico e agli appassionati in generale, vale la pena per tutti leggere attentamente questo post.

Nella speranza che il nuovo Consiglio lo prenda in considerazione, almeno parzialmente.

Appunti per la revisione della figura professionale della Guida Alpina
di Stefano Michelazzi

Viviamo in una società, che ampiamente, si sta dimostrando sempre più in corsa verso un consumo globale e frenetico delle nostre energie vitali e dove la routine giornaliera sta diventando stressante e tossica da rendere necessarie “valvole di sfogo” .

Da una parte la ricerca del contatto con l’ambiente naturale ricercando la simbiosi con l’ambiente stesso, dall’altra la virtualità, con l’evidente sua conseguenza di distacco dalla naturale fatica del vivere, che ci sta lentamente allontanando dal bisogno di essere parte integrante dei ritmi biologici.

La conseguenza più evidente, di questa fase tecnologica della moderna società, è indubbiamente il tentativo di trasferire in ambienti non routinari, ciò che erroneamente viene scambiato per riposo dallo stress imperante ovvero il “divertimento”, l’allontanamento momentaneo dalla realtà ed il godimento di una situazione straordinaria, lo spasso (passatempo piacevole) che caratterizzano questo termine, sono intesi molto spesso, oggi, come “sballo” e non più come esperienza diversa ma allo stesso tempo formante, che poteva essere canone di definizione nel caso della frequentazione montana.

La montagna, la quale rappresenta da sempre l’ambiente selvaggio per eccellenza, quindi non ne è indenne. La ricerca di sballo attraverso droghe naturali quali l’adrenalina sta diventando una realtà di massa e la montagna per sua conformazione e caratteristiche, sempre più viene scambiata per una giostra piuttosto che per una località di fuga intellettuale e di rinvigorimento fisico.

Vi è il rischio sempre più evidente che in una ricerca spasmodica di sfoghi, condita dall’incapacità della massa, di affrontare i normali ostacoli e limiti imposti dall’ambiente naturale, vi sia il tentativo di addomesticarlo, riducendolo ad una brutta copia dell’ambiente urbano.

E’ evidente a chiunque che un andamento di questo tipo, trasformerà in breve tempo, ove già non vi siano i segni, la montagna in una sorta di parco divertimenti senza più alcuna identità.

A corollare questo stravolgimento, la società richiede a gran voce una maggiore sicurezza, intesa, appunto, come addomesticamento, piuttosto che, come formazione ed informazione.

Il via libera a leggi e regolamenti sempre più restrittivi, spesso assurdi e senza senso, divieti e normative di vario genere, è ovviamente conseguente.

Adattarsi alla legge del più forte ovvero citando la massima popolare: “ se non riesci a combatterli, alleati a loro!” (adattarsi all’andamento del mercato in questo caso): non credo sia nel DNA della Guida Alpina.

Non è nella figura mitica e unica che, se non tutti ma molti di noi, elessero a loro simbolo, quando pensammo di entrare a farne parte come coronamento della nostra passione alpinistica.

La Guida Alpina è sempre stata (e deve continuare a essere) il punto di riferimento della montagna in generale, visto che nessuna figura professionale o similare può vantare la conoscenza e l’esperienza di questo ambiente meglio di noi e deve saper imporre la propria visione al mercato, non farsene imporre una diversa.

Nessun’altra figura è in grado di gestire una moltitudine di attività legate alla montagna, come noi. E questi sono dati di fatto!

Stefano Michelazzi  FuturoGuida-stefano-mich

Professione intellettuale…?
Se è vero, com’è vero, che la vecchia romantica figura della Guida con cappellaccio e pipa è ormai superata dall’innalzamento dei livelli e dalla frequentazione massiccia dell’ambiente montano, è anche vero che la banalizzazione dei limiti operata da mass-media, aziende di settore e molti, purtroppo, colleghi, senza mettere nel conto altre realtà che hanno deviato dalla loro struttura originaria, siamo in questo momento davanti ad una figura della Guida Alpina che in molti casi disorienta la massa e quindi i possibili futuri clienti, i quali non riescono a vedere più davanti a loro la Guida per eccellenza, ma un accompagnatore regolato dalle leggi del mercato, spesso un promotore di sconti da supermercato, che oltre a svendere la propria professione e mettere in cattiva luce i colleghi che tentano di metterci un limite, dimostrano a quanti ragionino col cervello e non col portafoglio, che la vita umana propria e del proprio cliente vale meno di zero… uno sconto!

L’elevazione della figura da mestierante a professionista intellettuale a quale pro venne fatta?

Capirei un meccanico (artigiano quindi mestierante) che abbatte i prezzi per “sbaragliare” la concorrenza ma un medico che mi chiedesse meno degli altri suoi colleghi mi lascerebbe diversi dubbi (per evidentissimi motivi) sul come esercita la propria professione, ed un medico è un altro professionista intellettuale!
La definizione di Professione intellettuale (art. 2229 cc), evidenzia piuttosto bene le differenze tra Mestierante, Imprenditore e Professionista ma spesso purtroppo capita che vi siano colleghi che non conoscono queste differenze ed agiscono con modi e criteri non certamente riconducibili al titolo che il Diploma di Stato ci conferisce.

E’ capitato e capita più volte di leggere sulle cronache di incidenti avvenuti per una forzatura, rispetto al buon senso di rinunciare all’obiettivo pattuito col cliente. Esempi come questo oltre a denunciare una scarsa cultura delle Guide stesse nei confronti della Libera Professione (non vi è vincolo che obblighi al raggiungimento del risultato ma vi è l’obbligo di espletamento nei modi più idonei con ricaduta del rischio di fallimento dell’obiettivo nei confronti del cliente e non del professionista!), discreditano la figura che rivestiamo. Stima e prestigio ne perdono in valore determinando aggressioni, più o meno mirate e/o intenzionali, nei confronti di tutta la categoria.

Allo stesso modo, seppure in ambito evidentemente diverso, il prestigio e la stima vanno a perdere di valore a causa di quella concorrenza selvaggia (e non libera come invece dovrebbe essere) data dal tentativo di accaparrarsi clientela col metodo dell’abbattimento di tariffe preesistenti e quindi adottate dalla maggioranza dei professionisti Guide Alpine (sconti da supermercato!).

Ciò, oltre a determinare un crollo rispetto agli equilibri di mercato, dipinge la nostra figura più come un’attività selvaggia di “morti di fame” tendenti al solo scopo di lucro, che come una professione che si caratterizza con il fornire servizi unici ed originali.

E’ vero, indubbiamente, che il cosiddetto Decreto Bersani impone l’abolizione dei tariffari ufficiali ma è anche vero che successive leggi e decreti inseriscono la necessità di parametri di valutazione e quindi sarebbe opportuno, soprattutto per una tutela nei confronti del cliente, il quale avrebbe un riferimento certo, adottare anche in campo nazionale ciò che già alcuni collegi sia italiani che di altra nazionalità europea, propongono ufficialmente ovvero una tabella di riferimento dove sia le Guide, sia i clienti, possano accedere per contrattare poi la tariffa del professionista.

Probabilmente, o anche sicuramente, i Corsi formativi, sia quelli dedicati alla formazione ed aggiornamento degli Istruttori, sia quelli dedicati agli Aspiranti ed alla Guida Alpina, tendono ad essere caratterizzati da un tecnicismo quasi estremizzato, mentre in contropartita dedicano poco o nulla alla formazione culturale sia sull’accompagnamento sia sulle caratteristiche che rappresentano la Libera Professione, denunciando una condizione dei formatori che troppo spesso ormai è diventata una condizione lavorativa fine a sé stessa e non auto-formante, invece di un’esperienza di condivisione riferita alla conoscenza personale ed all’acculturamento dei formatori e degli allievi.

Una guida sul Finsteraarhorn
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Ambiti e valutazioni
L’evoluzione della frequenza di ambienti montani o di media altezza, ha messo in luce attività che fino a pochi anni fa non erano certamente ambito delle Guide Alpine. Mi riferisco senza dubbio al Canyoning, attività ludica e di allenamento a suo tempo, per gli speleologi che l’hanno inventata e che si è fatto in modo, in Italia, di riferire unicamente alle Guide.

A quali traguardi ha portato principalmente, il blindare quest’attività che nel resto d’Europa viene svolta con criteri completamente differenti?

Sicuramente una proporzione di attività per un buon numero di colleghi, ed è buona cosa, ma anche sviluppo esponenziale dell’abusivismo.

Oltre alle svariate denunce che ogni anno vengono sporte in merito, riguardanti spesso i “soliti” furbi che già conosciamo bene, un atteggiamento come questo ha fatto sì che, se prima l’attività veniva regolamentata da un patentino rilasciato dopo corsi ed esami, e quindi potesse essere soggetta a controllo, oggi in molte parti del Paese, dove le Guide non sono presenti, per lanciare turisticamente fette di territorio altrimenti in declino, si sia costretti ad operare con persone non autorizzate (abusivi).

Una scelta di campo perciò, quella dell’esclusività, malgrado sia indiscutibile, come detto, che molti colleghi operano in modo assiduo in questo campo, che non coinvolgendo un’attività caratteristica delle Guide anche se presenta caratteristiche di gestione similari ad altre nostre attività (tecniche alpinistiche), rappresenta una percentuale di esercizio piuttosto ridotta rispetto ad altre.

La mia intenzione è quella di far risultare, come per un ambito comunque limitato e posto quasi a stento all’interno delle caratteristiche della nostra attività professionale, si sia voluto creare uno spazio esclusivo, mentre per contrasto vi sia la volontà di stravolgere ambiti classicamente ed a pieno titolo rappresentanti della nostra figura.

Parlo, ovviamente credo, dell’attuale proposta di variazione sulla legge 6/89 riguardo l’istruttore di arrampicata.

In questo caso un ambito per tradizione e caratteristica, esclusivo della Guida Alpina e soprattutto del Maestro di Alpinismo, sarebbe “liberato” dai vincoli, che reputo più che giustificati, per ripartirlo su altre figure, con conseguente perdita di un settore di mercato già di per se stesso debole, a causa anche delle anomalie giuridiche che vedono inserite in una legge sul professionismo ambiti invece volontaristici.

Corsi d’arrampicata ed alpinismo in genere sono una delle basi fondamentali del nostro lavoro e staccarsene sarebbe dare una mazzata alla nostra figura professionale già ampiamente aggredita a vario titolo nell’ultimo decennio.

Se si vuole creare confusione in ambito culturale e dare una volta di più l’opportunità di non comprendere quale ruolo ricopra la Guida Alpina – Maestro di alpinismo, allora continuare su questa strada sarà sicuramente redditizio.

Intanto la Sardegna e soprattutto i sardi ancora aspettano che si valuti l’inserimento di una figura specifica per il loro assolutamente particolare territorio, la quale permetta di creare nuovi sbocchi professionali per i residenti.

Già figure alternative create a livello regionale (GAE) da altre amministrazioni, operano sul territorio senza alcun controllo e spaziando spesso nell’abusivismo con proposte di arrampicata e canyoning.

Dal mio punto di vista sarebbe piuttosto semplice organizzare una figura, che alla stregua degli AMM sia formata dal Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane (CONAGAI) e atta allo scopo di rendere legittimo lo svolgimento di tali attività, mantenendo essa stessa un controllo del territorio e denunciando gli abusivismi.

Altra nota dolente, fortemente disprezzata da moltissimi colleghi, è la condivisione dell’accompagnamento in fuoripista con i Maestri di sci.

Anche questa situazione vede la perdita di una fetta di mercato, la quale oltretutto è costata anni di propaganda e formazione di una cultura popolare non abituata a vedere nella Guida Alpina un accompagnatore e formatore sciistico.

La già scarsa richiesta in tal senso, che a fatica molti di noi operano per rendere più corposa ma che allo stato attuale non da certezze di risultato che si avvicinino anche di poco alla mole di lavoro estivo (salvo casi individuali particolari), è stata in questo modo smembrata e rischia di rimettere in ombra la figura della Guida Alpina per quanto riguarda le attività sciistiche, salvo quei rari casi dove le tecniche alpinistiche siano obbligatorie, ma che non riescono a divenire condizione lavorativa stabile.

Continuando su questo binario, il risultato che appare logico è quello di uno smembramento della figura della Guida Alpina come professionista a tutto campo per lasciare spazio a una serie di specializzazioni o ancor peggio, a una serie di figure parallele, oltre a inserire nel mercato una concorrenza, senza rientro nei nostri confronti, che a lungo o forse anche breve termine diverrà insostenibile.

L’esercizio della professione a tempo pieno è già oggi reso difficilissimo da un serie di fattori, come ad esempio, la creazione di pacchetti turistici e la propaganda a livello mediatico, che spesso ci trovano impreparati e in difficoltà. Ipotizzare che figure parallele, come appunto l’istruttore di arrampicata, non abbiano grandi spazi di manovra (vista anche la specificità) per accedere a un ritmo full-time e di conseguenza impongano una concorrenza basata su un fattore economico, piuttosto che sulle basi di una diversa qualità professionale, è abbastanza ovvio.

La conseguenza, appare evidente, sarà lo smembramento della figura della Guida Alpina e una conseguente perdita di interesse nei suoi confronti, sia da parte del pubblico, sia da parte di chi volesse in futuro intraprenderne la carriera.

Già altre Nazioni hanno optato negli anni per queste diversificazioni specifiche e i risultati non sono certo positivi. Basti pensare agli USA dove la giungla di brevetti e brevettini non lascia certo spazio alla fantasia e i componenti iscritti alla IFMGA della AMGA sono miseri 103 in un territorio vastissimo…!

Vedremo nuovamente apparire la figura della Guida Sciatore?

Ivo Rabanser, Stefan Comploi e Stefano Michelazzi festeggiano l’apertura di Fontana dell’oblio (24 giugno 2007, 300 m, VII e A0 o VII+) sulla parete ovest della Pala della Ghiaccia 2423 m, Catinaccio. Arch. Ivo Rabanser
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Guide e tecnologia
Indubbiamente la tecnologia sta dando una grossa mano a ciò che riguarda la frequentazione dell’ambiente montano nelle sue diverse caratteristiche. Non vi è dubbio alcuno che dalla nascita dei rilevatori elettronici per travolti da valanga la sicurezza in questo tipo di attività ne abbia avuto giovamento. Ma sono apparecchiature e come tali vanno conosciute a fondo e se ne deve imparare l’utilizzo, mentre molto spesso l’utilizzatore che non sia un professionista non sa nemmeno come si accende il “famigerato” ARTVA…
Proporre corsi formativi in tal senso è comune tra molti colleghi, ma per esperienza personale e indiretta, è estremamente difficile se non a volte impossibile trovare persone interessate a questo tipo di formazione.

Il chiedersi perché sorge spontaneo, così come chiedersi quali lacune siano nella nostra proposta di formazione. Evitiamo di dare risposte al primo quesito che esula dalle nostre competenze e proviamo a dare risposta invece al secondo che ci interessa da vicino.

Probabilmente proponendoci in ambito formativo scolastico (Regioni, Province, Stato) con un programma che possa venir assorbito dagli enti stessi e che dia la possibilità di ottenere sovvenzioni tali da sostenere, almeno in parte, le spese, considerando anche il clamore mediatico dovuto ai diversi incidenti occorsi in stagione invernale, e sfruttando l’onda mediatica per sostenere questo programma propagandandolo, si potrebbero ottenere risultati, senza dubbio migliori, di ciò a cui si arriverà con l’emanazione di normative restrittive e sanzionatorie come l’ultima della Regione Lombardia sull’obbligatorietà dell’utilizzo dell’ARTVA.

In casi come questo la tecnologia lo sappiamo benissimo ci da una mano e ci permette di risolvere molti problemi legati alla frequentazione in ambiente a rischio, ma non tutto il tecnologico viene per aiutare…

Che dire dei vari GPS, telefonini localizzatori e così via?

Direi che come Guide dovremmo apparire meno tecnologici e più pratici, che mentre per i rilevatori da travolti in valanga, non vi sono “rimedi” alternativi, in questi casi invece sponsorizzare la capacità di sapersi gestire in ambiente con metodi tradizionali, meno comodi ma efficaci in ogni situazione, se usati nel modo corretto, debba essere la nostra bandiera.

Mi vien male a pensare a cosa accade, nel momento in cui disperso nella nebbia, un qualsiasi alpinista o escursionista provi ad utilizzare il GPS che ha deciso di non funzionare correttamente o di non funzionare affatto… senza cartina, bussola ed altimetro, tornare a casa sarà un delirio, alla fine del quale, se tutto sarà andato bene, potrà considerarsi fortunato. Ma sappiamo bene che, seppure la fortuna conti in montagna, non è su quella che si deve basare il messaggio di sicurezza che noi dobbiamo trasmettere come professionisti.

Dev’essere la figura della Guida con cartina e bussola in mano a controllare il tracciato, che ci deve rappresentare e non quella dello “Yuppie da montagna” col GPS!

Guide e ambientalismo
Non serve certo essere o definirsi ambientalista, per rendersi conto che continuando in un urbanizzazione selvaggia dell’ambiente montano (senza toccare altri ambienti che comunque spesso rientrano nei nostri ambiti operativi), stiamo lentamente scivolando verso una fase di non ritorno o di ritorno futuro, verso un ambiente integro, estremamente difficile.

Impianti e piste da sci, per parlare di settori che ci toccano da vicino, evitando di inoltrarci in ambiti non di competenza, sono ormai arrivati a saturazione. Lo comprovano gli abbandoni dell’ultimo decennio nei confronti di impianti più che altro a traffico locale (turismo residenziale), per i quali malgrado un abbassamento fisiologico della frequenza, si è ben pensato di costruire nuove piste ed in alcuni casi nuove linee le quali hanno portato ad un nulla di fatto, se non nel brevissimo periodo che riguardava la novità.

L’Eliski, pratica proibita in Trentino ed Alto Adige, grazie a leggi provinciali, continua, anzi, ultimamente è, punto di discussione (in alcuni casi feroce), che ci vede coinvolti in prima persona date le caratteristiche, e sul quale siamo sempre più spesso chiamati a dare risposte in merito proprio alla conservazione dell’ambiente.

Personalmente non sono un demonizzatore dell’attività elisciistica, che individuo come la punta di un iceberg, ma è innegabile che ultimamente, da più parti, si tenti con sotterfugi e strategie più o meno lecite e/o a filo di norma di imporre questa pratica nel nostro Paese.

I francesi l’hanno proibita (in alcuni casi piuttosto maldestramente…) individuando questa pratica come fonte di futuri sviluppi negativi a livello di impatto sul territorio.

Considerando due tipi di opportunità, nel nostro caso quello di difesa del nostro ambiente del quale rimarranno poche tracce in futuro se non si prendono provvedimenti immediati e quello lavorativo che coinvolge un numero estremamente esiguo di colleghi e per un periodo limitato, direi che, sia per la salvaguardia del territorio che per il beneficio che ne trarrebbe la nostra immagine, sarebbe utile che le Guide manifestassero una posizione negativa a riguardo, caldeggiando un divieto nazionale, alla stregua delle Province Autonome e della Francia su tutto l’arco alpino meridionale. Questo porterebbe sicuramente un enorme prestigio nei confronti della nostra figura che andrebbe ad inserirsi, come credo spetti, in un ottica di custode delle montagne e non di sfruttatore selvaggio!

L’ultima via aperta da Stefano Michelazzi, Vento di passioni, Colodri, Arco
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Formazione
Già toccata precedentemente, direi che i canoni attuali di formazione a tutti i livelli non è condivisa da moltissimi colleghi, principalmente a causa di un distacco di molti istruttori dalla realtà quotidiana del fare la Guida per essersi specializzati più che altro come appunto formatori.

Ma se gli insegnanti universitari abbisognano di anni sabbatici per riprendere il contatto colla realtà della materia che insegnano, possiamo essere noi come Guide esenti da un aggiornamento pratico sul campo?

Non credo e come me la vede la maggior parte dei colleghi.

Il manuale è certamente cosa utile ma non può essere la sola cosa utile…

Il sistema del Collegio altoatesino a mio avviso è molto più consono a una formazione con persone preparate attraverso l’esperienza personale e quindi, applicando alcuni correttivi, sarebbe opportuno adottarlo anche in campo nazionale.

Rapporti con altre istituzioni e loro figure
Il principale soggetto col quale ci rapportiamo continuamente come “professionisti del vuoto” è senza dubbio il Club Alpino Italiano.

Personalmente credo che, malgrado l’articolo 20 della L. 6/89 sia importante per definire gli ambiti operativi tra professionista e volontario, sia in ogni caso una condizione piuttosto anomala quella che vede il CAI, figura senza scopo di lucro, all’interno di una legge sull’esercizio di una professione.

Anomalia giuridica, si può serenamente affermare.

Aldilà di questa stranezza legislativa, sta di fatto che la sudditanza del CONAGAI rispetto al CAI è piuttosto evidente, stante il fatto che interviene alle nostre assemblee del Consiglio direttivo come membro e non come uditore e che l’Associazione Guide Alpine Italiane (AGAI, sezione del CAI) propone e dispone ciò che in altri ambienti professionali avviene attraverso la formazione di Associazioni di categoria (i Maestri di sci ad esempio) che supportano il proprio ordine o collegio, nelle attività che istituzionalmente non gli competono.

L’ormai storico antagonismo poi, sui corsi formativi, assume forme di “concorrenza sleale” se si considera che tra le due realtà vi sta una differenza in termini, più che palese, essendo una professionale e quindi con scopo di lucro, mentre l’altra dovrebbe essere assolutamente volontaria e quindi senza alcun fine economico.

E richiamerei al confronto i 1100 e oltre, ormai, colleghi per definire con testimonianza diretta se sia questo un dato di fatto oppure soltanto una fantasia…

Peggio ancora è la situazione che ci vede succubi di leggi e regolamenti regionali e/o provinciali che hanno istituito figure alternative a quelle previste dalla legge di Stato (la quale costituzionalmente dovrebbe essere sovrana), inserendo nel mercato pseudo-professionisti, contestati anche a livello europeo, ma che non siamo in grado di contestare noi direttamente, reclamando la predetta sovranità,.

Parlo ovviamente di GAE, Guide naturalistiche, Accompagnatori di territorio, e da ultimo gli albergatori trentini.

Oltre a tutto questo un associazionismo spesso arrogante e beffardo, rispetto alle leggi continua a produrre soggetti alternativi, senza che da parte del CONAGAI, ente di tutela della professione, venga portato avanti alcun progetto che contrasti questa dilagante situazione.

Un Osservatorio Nazionale sull’Abusivismo nei confronti delle Professioni di Montagna, potrebbe almeno in parte evidenziare questo stato di cose, considerando anche che professionisti a noi molto vicini, come gli Accompagnatori di media montagna, decisamente screditati nel loro ruolo da queste situazioni ed i Maestri di sci che lamentano una forma di abusivismo molto forte, potrebbero essere coinvolti assieme a figure istituzionali che si interessano di Turismo e quindi vi sono coinvolte anch’esse appieno.

Fare cultura non porta immediati benefici ma dà frutti più tardivi, i quali di solito però rimangono impressi per lungo tempo!

Conclusioni
Le problematiche presentate, che ho avuto modo di apprendere nei rapporti interpersonali con diversi colleghi, sono piuttosto sentite, non sono sicuramente le uniche, ma probabilmente allo stato dei fatti le più urgenti da risolvere.

Di possibili soluzioni probabilmente ve ne sono diverse, ma personalmente vedo un riscontro positivo in tempi non troppo lunghi in una revisione della nostra immagine, sfruttando e non facendoci sfruttare dalle moderne tecnologie.

Un ritorno al futuro è auspicabile per non soccombere in tempi che non prevedo molto lunghi.

Per ritorno al futuro, intendo una figura nuova che sappia essere presente a livello ambientale, acculturata maggiormente visto che i tempi lo richiedono, che non disprezzi o dimentichi il suo passato, ma che al contempo sappia integrarlo e non sostituirlo con il nuovo.

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Un futuro diverso per le Guide Alpine ultima modifica: 2015-06-17T07:00:36+02:00 da GognaBlog

26 pensieri su “Un futuro diverso per le Guide Alpine”

  1. 26

    Sono veramente dispiaciuto che Stefano per un pugno di voti sia rimasto fuori, leggendo il suo scritto che mi trova daccordo su tutti i punti mi vien da piangere pensando che non potra essere la nel collegio per partarli avanti e magari dare una scrollatina a certi nomi che vedo campeggiare da anni senza fare niente.
    D’altra parte Michelazzi è uno che ha una visione futuristica della professione ma fortemente radicata anche al passato quando le guide facevano le guide e non i giullari di corte.
    A Stefano che conosco per valore alpinistico e professionale faccio i miei auguri e alla prossima e ricordati che 100 anno votato per te.

  2. 25

    Questa serie di appunti, che quindi per loro natura, non hanno la presunzione dell’autore di essere la Bibbia ma un possibile spunto di discussione e miglioramento, del quale in questo particolare momento della nostra storia, sono convinto, abbiamo bisogno, sono stati letti proprio a questo modo soprattutto dai colleghi che finora sono intervenuti. Dimostrando , credo, che hanno quantomeno sfiorato alcuni punti cruciali di questa antica e poco conosciuta in Italia (purtroppo) professione.
    Poco conosciuta soprattutto nelle sue caratteristiche che travalicano la figura tradizionale della Guida che accompagna di conserva corta il cliente tra le nuvole delle alte cime…. Certamente base fondante del nostro lavoro ma che oggi si è evoluto esponenzialmente e riveste ruoli, i quali non sono spesso recepiti e credo che la colpa di questo sia da imputare alla scarsa informazione che gli organi di competenza (Collegi) hanno saputo esprimere.
    La discussione quindi si è puntata soprattutto sui rapporti con i corsi CAI che effettivamente vengono spesso vissuti come un problema e che sono invece, non il problema stesso, ma il risultato di rapporti istituzionali mal gestiti,com’era ravvisabile nelle note dedicate e come ben ha definito Marcello Cominetti.
    Le soluzioni ci sono di sicuro ed alcune sono state espresse anche dai non addetti ai lavori, che ovviamente questo articolo voleva coinvolgere, visto che alla fine sono coloro che rappresentano i potenziali fruitori del nostro servizio e con i loro interventi possono chiarire, almeno in parte, la strada più consona per migliorarci ed evolvere in positivo.
    Per quanto riguarda i chiarimenti relativi alle figure parallele:
    la Guida Alpina non è l’unica figura contemplata nella L. 6/89, insieme ad essa oltre che al primo gradino professionale rappresentato dall’Aspirante Guida (titolo che per la natura multi-significato del termine aspirante in lingua italiana spesso è fuorivante e qundi andrebbe cambiato…!), vi sono le Guide Vulcanologiche (che rappresentano un esiguo ma molto specifico campo di esercizio) e gli Accompagnatori di Media Montagna i quali operano in concorso con le Guide, in ambiti non alpinistici, ottemperando alle richieste di un pubblico con esigenze meno specifiche dal punto di vista alpinistico in senso stretto, ma più interessato ad esempio agli aspetti naturalistici e culturali che sono appunto, il “pezzo forte” di questa figura.
    Le figure parallele istituite dalle Regioni e Province autonome quindi, non vanno a colmare un vuoto istituzionale, come spesso erroneamente viene fatto credere, ma si piazzano in parallelo, specialmente per la figura degli AMM screditqandola e creando un caos piuttosto evidente, dove il turista fatica a comprendere quali siano i limiti ed i campi d’azione che variano oltretutto da una all’altra realtà, senza considerare che esistendo problematiche similari anche per altre figure, le quali esulano dal mondo della montagna, l’Europa e diverse sentenze hanno evidenziato una forzatura della competenza regionale e provinciale, rispetto alla sovranità dello Stato.
    Per quanto riguarda la formazione, oltre a programmi squisitamente teorici, su argomenti tipo, “valutazione del rischio” o “comportamento in ambiente montano” dove molti colleghi sono impegnati sia su richiesta di associazioni private sia di enti locali, i corsi inerenti le varie attività, che sono di nostra competenza, risultano una percentuale piuttosto alta del nostro operato.Per sfatare un falso mito: formare un futuro cliente potenziale, significa alleggerire il proprio lavoro e diminuirne le incognite, quindi spessissimo ci ritroviamo a produrre corsi formativi e basta dare una scorsa alle proposte in internet per rendersene conto. Che poi capiti che un professionista e non quindi la categoria, non operi in maniera adeguata o che il cliente pensi che sia così, la questione riguarda lui e quella Guida non certo è imputabile a tutti gli altri. Sarebbe inquietante pensare che se un medico fa una diagnosi errata tutti i medici sbagliano…!
    I problemi comunque esistono e sarebbe scorretto non evidenziarli, quantomeno per un atteggiamento etico di correttezza verso il pubblico che, per come la vedo io, deve far parte del nostro DNA.

  3. 24
    Michele Comi says:

    Mi sbaglierò, ma l’affermazione di un governo “ipertecnico” non farà che incentivare un percorso ad ostacoli di autotutela, sempre di più indirizzato verso un tecnicismo normato a discapito della consapevolezza di un patrimonio sterminato di conoscenza e di relazione con l’ambiente, dell’accettazione di “sapere di non sapere” in certi ambiti e del grande valore delle capacità di scelta nell’incertezza, da sempre sottostimate e incomprese…

  4. 23
    Pietro says:

    Propongo una storia vera. inverno del 1998, aderisco (dopo aver letto su un pieghevole) alla proposta di una guida altoatesina, all’epoca e anche ora rifugista: “Corso base di scialpinismo”. il “corso” è di tre (!) giorni, al rif. Fanes. Partenza venerdi mattina, arrivo al rifugio, gita nelle vicinanze interrotta a metà per nebbia fittissima. Rientriamo alla base e attendiamo il bel tempo, invano, perchè per due giorni la nebbia e il vento ci impediscono di uscire. il terzo giorno finalmente il tempo è bello e facciamo la classica cima delle Dieci, con una pessima discesa in una crosta infame.
    D’accordo, il tempo non ci fu amico, ma non poteva forse impiegare il tempo di attesa al rifugio per fare, che ne so, delle prove di ricerca ARVA o una stratigrafia? no, la Guida preferì lasciarci liberi e sonnecchiare sulla branda. E che dire dell’unica gita che abbiamo potuto effettuare? non si poteva trovare qualcosa con neve decente, visto che nei dintorni ci sono diverse possibilità? certamente si, la Guida non ha forse le conoscenze e l’addestramento necessario allo scopo? e ancora: viste le condizioni meteo, non sarebbe stato più professionale ed educativo rinunciare a parte del fine settimana e rimandare parte del programma? impossibile, l’agenda è piena e guai a rinunciare alla quota dei 3 partecipanti x i tre giorni…
    Con il passare degli anni ho frequentato anche i corsi CAI, i quali hanno una durata e un grado di approfondimento che l’equivalente fatto dalle Guide avrebbe costi inaccessibili a chiunque, e, grazie al fatto che sono fatti da volontari, se necessario vedono gite rimandate o annullate per il meteo, a tutto vantaggio della vera educazione all’andar per monti. Ecco, la vera differenza forse è questa: la Guida porta il cliente, ai bistrattati corsi CAI si insegna ad andare. E, a mio avviso, questi ultimi hanno dato una tale diffusione alle regole base della frequentazione delle terre alte, che molti incidenti evitati sono merito loro.

  5. 22
    Luigi says:

    Leggo di “ambiente”, di “professione”, di “maestri d’alpinismo”, di “insegnamento”, di “condurre cordate” e di “tecnica”. Io, dopo anni di sacrifici (molti e gravi) ho finalmente liberato il mio “zaino” ed noi deciso di crescere verso altre direzioni… non ho più creduto nella professione di guida alpina anche e soprattutto per coloro i quali hanno contribuito alla “devastazione sistematica” della professione e del mercato. La professione esiste se c’è un mercato… e credo che la richiesta attuale di professionisti della montagna sulle Alpi possa soddisfare le famiglie di una cinquantina di guide alpine, che non sono costretti a fare una seconda attività per mangiare.
    Alcuni anni fa’ tentai di contribuire ad una crescita intellettuale e di sostanza (anche per una formazione più adeguata delle guide alpine) e la risposta che mi giunse da moltissimi colleghi era semplice: non si può. Non si può per diversi fattori: noi (le guide alpine) siamo già gli unici professionisti, non dobbiamo studiare tanto e rimanere aggiornati…. basta tutti questi aggiornamenti non servono a nulla! Dobbiamo lavorare… dobbiamo combattere l’abusivismo, dobbiamo andare nei “parchi avventura” e dire che solo noi (le guide) possono gestire un parco!
    Dobbiamo, vogliamo, solo noi, gli unici.
    Mi sembra piuttosto infantile.
    Credo che la professione di guida alpina (che ho tanto amato) sia destinata alla scomparsa, oppure a divenire una sorta di contenitore di altre micro-professioni (maestro d’arrampicata- accompagnatore di montagna-istruttore di canyoning ecc… ecc…) e quindi rischi di perdersi.
    Purtroppo gli istruttori (che sono i responsabili della formazione e della professionalità della categoria) ora siedono anche nell’organo dirigenziale delle guide alpine (Consiglio Direttivo del Collegio Nazionale), assieme ai Presidenti dei vari Collegi Regionali, e credo che questo possa solo impedire l’autocritica doverosa di una categoria che non riesce più a crescere… e si trova in un vicolo cieco.
    Occorrerebbe coraggio (dicotomia parlare di mancanza di coraggio con una guida alpina) ma il coraggio di accettare i propri limiti organizzativi e strutturali non è come fare una salita sulla nuda roccia.
    Occorrerebbe guardarsi davvero dentro ed accettare di non essere in grado di gestire organizzazioni complesse… la guida alpina per definizione non è un manager, è un libero professionista che si lega ad un cliente e scompare tra le vette, agli occhi dei passanti è un semi-dio… e forse qualcuno di loro pensa davvero di esserlo.
    Avviare un processo di revisione è ciò che serve… ma dall’esito delle ultime elezioni mi pare che invece sia, per molti, un processo da non compiere e un obiettivo da non perseguire.

  6. 21
    Sergio says:

    Certo Alberto,

    la relazione non è univoca. Oltre a quelli che hai citato, molti sono i grandi alpinisti che non sono/erano guide: Cassin, Ferrari, Messner, Buhl, mi pare non siano/fossero guide. Come d’altronde non tutte le guide alpine sono grandi alpinisti. Ma la possibilità di essere un personaggio di spicco nel mondo della montagna pende molto verso chi di questa vocazione fa una professione. Questo volevo dire. La capacità visionaria di cui parlavo l’ho riscontrata molto più spesso in amici/conoscenti guide alpine, che in alpinisti appassionati (ma non in maniera esclusiva, ovviamente). Questa sensibilità creativa, questa spinta avventurosa verso il nuovo è però una delle caratteristiche accomunanti la categoria che maggiormente dovrebbe essere messa al centro della scena (secondo me è la capacità che può portare la categoria verso il futuro).

  7. 20
    Alberto Benassi says:

    Per Sergio.
    Le guide alpine saranno anche dei visionari (alcune lo sono) ma Maffei-Leoni e Frizzera non sono guide alpine ma quanto ad essere visionari non credo siano stati secondi a nessuno.

    Walter Bonatti era un visionario ma non lo era perchè guida alpina. Prima era un grande alpinista poi guida alpina. E a detta sua una cattiva guida alpina.

  8. 19
    Popi Miotti says:

    Credo di avere risposto molto sinteticamente al problema CAI-Guide in un vecchio intervento del 2010 che forse verrà pubblicato sul blog. Resta secondo me la sensazione di scarsa democraticità all’interno dei vertici. Non so se è in statuto, ma se non c’è sarebbe da imporre al presidente (nazionale e regionale) un solo mandato e poi l’incandidabilità per i due successivi. Lo stesso deve valere per il Commissario Tecnico. Toglierei poi la figura dell’istruttore dei corsi così come è oggi per favorire durante gli stessi un mix di esperienze, impiegando magari anche i giovani appena usciti in modo anche da dar loro qualche boccata di ossigeno economico. E anche qualche “vecchia ciabatta” magari bolsa, ma con esperienza da vendere sarebbe più che utile. Insomma redistribuirei così anche i benefici economici derivanti dalla formazione, evitando il crearsi di gruppi che inevitabilmente, e forse loro malgrado, tendono a diventare elitari e un pochino autoreferenziali. Bonne chance!

  9. 18

    Secondo il mio modesto parere il problema per le Guide Alpine non è affatto il CAI, che né amo né odio, ma lo sono tutti gli altri aspetti che il Michelazzi ha giustamente sollevato.
    Primo tra tutti quello che deve vedere la Guida Alpina come custode dell’ambiente, come educatore e come quello che insegna che la fatica è la più grande maestra e che la Natura va rispettata sempre. Punto!
    Scorciatoie elettroniche, economiche e fisiche sono dannose quanto la cocaina. Scusate il paragone ma ho appena letto l’autobiografia di Eric Clapton, che mi è piaciuta molto.
    Discuto spesso con colleghi che vedono il CAI solo come un concorrente ma a me sembra una visione un po’ troppo ristretta.
    Concordo invece con chi propone che a tenere i corsi del CAI siano le Guide Alpine. La figura dell’Istruttore volontario dilettante potrebbe rimanere come complemento, perché tra gli Istruttori ci sono tante persone che ci credono e che sono in gamba. Sarebbe bene stabilire i ruoli di ognuno senza gelosie, invidie e arroganza. Professionismo e dilettantismo sono cose diverse, mettiamocelo in testa e, noi guide, faremo bene a considerare il CAI non come un nemico ma come l’ente più importante con cui avere a che fare.
    Imbonirsi il politico di turno (pratica adoperata da sempre dai nostri vertici) è ormai una cosa scontata e poco produttiva, oltre che umiliante e ridicola. Poniamoci al mondo come siamo, non come ci vorrebbero, e lo potremo cambiare!

  10. 17
    Michele Comi says:

    Il pensiero di Stefano al solito è denso di spunti che vanno oltre la punta limata del rampone.
    E’ triste constatare come il suo brillante programma elettorale (http://www.banff.it/un-buon-programma-elettorale/) ricco di pensiero e riflessioni di metodo, così diverso dall’autoreferenzialità imperante condita dai soliti bizantinismi di categoria, non sia stato premiato.
    E’ forse ancor più triste constatare che tra i 18 programmi dei candidati, solo Stefano, Gogna e forse un altro hanno utilizzato il termine “ambiente”.
    Il silenzio dei colleghi e dirigenti di categoria nel dibattito fuori dalle segrete stanze si fa un poco assordante.

  11. 16

    sono d’accordissimo, Sergio Agnoli

  12. 15
    Sergio says:

    Ci sono Sergio e Sergio…
    La questione fiscale è una questione che non mi ha nemmeno sfiorato in questa discussione. E evidentemente non attira il mio interesse in quest’ambito. Non quanto al mio omonimo, evidentemente.
    Giorgio, comtinuiamo pure a discutere su altro, se ti va.

    Sergio Agnoli

  13. 14

    Ma no, Sergio! 😉 mi hai fatto tutto il discorso pefetto, profilo alto! M’inchino e ma poi… mi ci dai la mazzata dura ?! Già! chi l’ha mai vista un fattura da una guida… io no 🙁 ma non è certo su questo che io mugugno; queste sono quisiquiglie; è la guerra dei poveri di cui dicevo. Io vorrei fare un passo in alto, tutti 🙂

  14. 13
    Sergio says:

    Dal titolo pensavo iniziassero a emettere fattura lasciando il paradiso degli evasori

  15. 12
    Sergio says:

    Una bella discussione, in divenire, ricca di prospettiva verso il futuro. Concordo su molti punti, discordo su altri.
    Innanzitutto non concordo sul fatto che, come dice Giando “ci siano poche strade, per rivalutare il ruolo delle Guide, oltre a quello di formare e far crescere tecnicamente, e non solo, i propri clienti.” Il mondo della montagna è complesso, multisfacettato; le possibilità sono molteplici. Se poi si cercassero di comprendere gli andamenti delle attività di montagna con un occhio rivolto verso il futuro le possibilità potrebbero essere quasi infinite. Provate a pensare a come è cambiata l’attività in montagna negli ultimi 10 anni. E negli ultimi 20? e negli ultimi 30? Ma prevedere il futuro è difficile. Ma chi potrebbe farlo se non una figura che dell’attività in montagna ha fatto il proprio lavoro? Lo fanno tutte le professioni. Tutte le professioni cambiano e si evolvono. Accanto a un ambito professionale che si occupi di marcare gli ambiti professionali, ci dovrebbe essere un ambito che si occupi del nuovo.
    Gran parte di questa discussione si è soffermata sulla demarcazione dei confini, sulle specificità della guida alpina, sul fatto che altre figure (CAI in primis) si sovrappongano in parte alle attività della guida. Concordo con chi dice che guide e CAI possono convivere liberamente. Se infatti oltre a chi lotta con i denti per mantenere i diritti faticosamente conquistati, ci fosse anche chi si adopera per evolvere la figura di guida, la professione potrebbe, a partire da solide basi, spiccare il volo.
    Le guide alpine sono dei visionari. Spesso vedono tracciati nelle pieghe della montagna invisibili a altri; creano sui monti. Sviluppano un istinto verso il nuovo, il bello, e il pericoloso impensabile per altre professioni (e anche, ripeto, per gli appassionati della montagna). Queste sono ricchezze. Questa creatività deve essere portata a servizio della professione. E deve essere oggetto di formazione. La conoscenza di tecniche, materiali, operazioni sono importanti, ma non sono, secondo me, il nucleo della professione della guida alpina. O per lo meno non dovrebbero esserlo. Come dicevo nel mio intervento precedente la conoscenza è a disposizione di tutti, e tutti nel giro di poco tempo (mesi o anni) possono acquisire la conoscenza. La guida affina un istinto della montagna e una creatività a vivere in essa attraverso il proprio senso estetico e etico che non può essere appresa con facilità. L’expertise della guida alpina è questo. Su questo dovrebbe riflette la guida del futuro: come trasmettere e utilizzare questa expertise?

  16. 11

    certo, Giando, la mai idea è quello che tu conludi anche: Guide Alpine nell’insegnamento del CAI.
    .
    Un paradosso ? Una provocazione ? Niente affatto. Un work-around lavorativo, invece.
    .
    Dovendo trovare una sgangherata allegoria di sitiazione sociale lavorativa, (mo non mi si incazzino subito le Guide, a cui va tutto il mio rispetto.. cioè a quellel contro l’eliski 😉 ), paragono queste ai taxisti, rispetto a “nuove” tecnologie e servizi “digitali” tipo il sistema Uber, che sicuramente ormai tutti conosciamo anche se non informatici, per i tormentoni delle cronache e gli scioperi in piazza: i taxisti sono incazzati perchè sostengono che solo loro hanno diritto a fare i taxisti perchè ahanno comprato la licenza, etc. etc. e non hanno tutti i torti (anche se hanno sempre difeso la corporazione senza nessuna volontà di fare un passetto avanti… che sò no sconticino poer gli over 60…? etc. etc. ) per contro la gente (i clienti) guardano il costo minore e bon e le nuove generazioni con il cacchio di telefono sempre in mano usano Uber e se l’andazzo continua così, tra qualche anno non esisteranno più i taxisti. Ci si può scommetere.
    P.S. questo non significa affatto che io sono sostenitore di Uber che dal mio punto di vista maschera con lo slogan della sharing economy uno sfruttamento del lavoro… ma questa è una altra storia che qui non interessa a nessuno…
    .
    Quello che voglio dire, è che cpaisco pure una Guida Alpina che si è pagata un corso durisssimo e costosissimo e ci vorrebbe giustamente lavorare come professionista intellettuale o fisico o quel che l’è. Ma nel nostro mondo info-fuffoso non ce la faranno più a stare nel modello di business dell’alpinismo dei ricchi, perchè al momento “anche i ricchi piangono” (o fanno finta di piangere…). Allora la mi idea, forse naif, è che le Guide Alpine lavorino nell’ambito del CAI, che di soldi, lo sappiamo, ne ha tanti, ma tanti, ma tanti!

    P.S: sono d’accordo con te e mi era chiaro il tuo pensiero, sugli aspetti della socializzazione che fa seguito di solito ai corsi CAI, ma no volevo dilungarmi off-topic sul paradosso dell’aver fatto dei corsi di m***a per poi doversela arrangiare con i nuovi amici trovati allo stesso corso… ed essere felice di essermela arrangiata, pur insegnaento di vita anche quello 😉

    Sulel questioni legislative no mi ci metto invece, perchè sennò mi bvien mal di pancia.

  17. 10
    GIANDO says:

    Ma sai Alberto per me il problema risiede in ciò che uno fa per meritare il risultare cui ambisce. Se tu hai fatto l’istruttore a gratis per tanti anni, e spero con molte soddisfazioni, di fatto non hai portato via nulla a nessuno. Chi porta via qualcosa a qualcun altro è colui che si fa pagare senza averne diritto, questa persona si chiamo “abusivo”.
    Chiaramente se uno si fa pagare dovrebbe darti quel qualcosa in più perché se non te lo dà significa che stai buttando dei soldi nel rusco.
    Ma forse hai ragione tu nel dire che questo interesse d’insegnare da parte delle Guide molto probabilmente non c’è (o almeno non in tutte).

  18. 9
    GIANDO says:

    Giorgio, pur avendo usato le parole “costo prossimo allo zero” con riguardo ai corsi CAI in realtà volevo maggiormente sottolineare la possibilità che viene a crearsi successivamente, quella cioè di entrare a far parte di un gruppo di persone con cui poter condividere determinate esperienze. Per es., nella mia sezione (forse in tutte, non lo so) se non hai fatto il corso di alpinismo non ti accompagnano nemmeno su una ferrata facile tipo quella del Colodri sopra Arco.
    Io credo che se l’offerta delle Guide comportasse anche una spesa maggiore ma fosse particolarmente formativa, di gente disposta a spendere ce ne sarebbe, magari non un’esagerazione, almeno sulle prime, ma con possibilità di consolidamento una volta raggiunti degli obiettivi significativi. Peraltro, una volta iniziato un certo tipo di rapporto lo stesso potrebbe protrarsi nel tempo con notevole soddisfazione per la Guida ed il cliente. inutile poi sottolineare che a corsi gestiti da Guide potrebbero consolidarsi gruppi di persone le quali continuerebbero ad avere l’insegnante Guida come punto di riferimento per il loro futuro alpinistico.
    L’idea delle Guide ad insegnare nei corsi CAI mi pare un’ottima soluzione. Anch’io non vedo contrapposizione fra le Guide ed il Club. Il problema semmai è stato creato dal legislatore, come è successo con riguardo ad altre professioni, che prima ha attribuito un’enormità di competenze a certe categorie e poi non le ha sufficientemente tutelate sul piano pratico. Quindi i casi sono due: o ha sbagliato prima o sta’ sbagliando adesso. L’atteggiamento monopolistico di alcune Guide, per quanto lo si possa umanamente discutere, in parte è dovuto a ciò. In pratica il ritornello è sempre lo stesso “mi sono fatto il mazzo e adesso mi vedo portare via il lavoro da chi il mazzo non se l’è fatto”.
    Il problema però sta’ a monte, nel senso che non ha senso attribuire alle Guide delle competenze che non sono strettamente necessarie per la pratica di determinate attività perchè sarebbe come insegnare a sparare per difendersi dalle zanzare.
    Va pure detto che le situazioni cambiano e, pertanto, anche l’esercizio delle professioni dovrebbe stare al passo, non solo tecnicamente ma anche normativamente. Per es., fino a trent’anni fa chi si poneva il problema d’insegnare l’arrampicata sportiva? Non ci si poneva nemmeno il problema d’insegnare l’arrampicata in quanto tale perché esisteva solo l’alpinismo.
    Sicuramente in tutto questo le stesse Guide dovrebbero porsi delle domande su cosa vogliano realmente fare ma il problema credo risieda in parte nel fatto che non ci sia una strategia comune dovuta all’assenza di una visione comune della professione. La gita con le ciaspole non dovrebbe essere materia da Guida Alpina, non ha senso, però lo diventa nel momento in cui non si riesce o non si ha la forza (non lo so, ci possono essere varie risposte) di proporre delle alternative che possano risultare soddisfacenti e redditizie. Ma queste alternative di ampio respiro come possono essere proposte a clienti impreparati? Secondo me non è possibile e questo è il motivo per cui ritengo che il futuro della Guida debba per forza di cose indirizzarsi maggiormente verso l’insegnamento.

  19. 8
    Alberto Benassi says:

    ….poveri dottori commercialisti…..vittime di questo sistema di squali. Forse semplicemente ce ne sono troppi e con i costi di oggi certe parcelle non ci si possono più permettere.
    Inoltre diciamoci la verità perchè il sistema fiscale è strutturato quasi a rendere obbligatorio il ricorso al commercialista? Non sarebbe giusto che il sistema fiscale fosse più semplice?

    Ho conseguito il titolo di istruttore di alpinismo nel 1984 e in tutti questi molti! anni ho messo a disposizione senza essere remunerato : la mia esperienza, tempo libero, materiale personale, macchina personale, ect. Ma l’ho fatto per mia scelta e con passione, perchè a me è stato insegnato e quindi ritenevo giusto ricambiare insegnando e trasmettendo le mie conoscenze agli altri. Quindi non ho nulla da recriminare.
    Forse ho capito male, ma sentirmi dire che siamo quelli che rubano il lavoro agli altri sinceramente mi fa male.

    Provocazione: Siamo sicuri che…. “tutte le guide alpine”…. hanno l’interesse ad insegnare proprio tutto ai propri clienti per renderli indipendenti?

    Gli istruttori di alpinismo, con tutti i propri limiti certamente si.

  20. 7
    GIANDO says:

    Quanto riportato da Massimo Pantani fa sicuramente riflettere. Di certo in Italia esiste un problema (non so se anche altrove) costituito dal fatto che per l’esercizio di determinate professioni vengono richieste competenze estremamente elevate lasciando però la porta aperta a soggetti terzi di svolgere, in tutto o in parte, le medesime attività a fronte di percorsi formativi differenti. Non a caso ho citato, come esempio, la figura del Dottore commercialista il quale, teoricamente, dovrebbe avere un’esclusiva per quanto concerne la tenuta della contabilità e non solo ma si ritrova poi a dover fare i conti con uno stuolo di soggetti che spesso non sono nemmeno laureati.
    E non voglio farla troppo lunga in quanto la giurisprudenza al riguardo è piuttosto ampia, con sentenze decisamente contraddittorie. Per ultimo ci ha messo il naso il legislatore avallando posizioni assolutamente discutibili e sanando una situazione di fatto pressoché dilagante.
    Però questa è la situazione e, pertanto, fare le battaglie contro i mulini a vento non ha molto senso. Ciò che avrebbe senso sarebbe invece cercare di costruire una proposta concreta per fornire dei servizi all’utente finale.
    I dati forniti da Massimo fanno riflettere, anche perchè sinceramente pensavo a numeri diversi, sebbene in parte confermino ciò che ho sempre pensato e visto coi miei occhi. La stragrande maggioranza delle persone o non va in montagna oppure se ci va utilizza il metodo “fai da te” (cosa che peraltro ho fatto anch’io seppure aiutato da persone le quali, pur non essendo Guide Alpine, di esperienza montanara ne hanno sempre avuta da vendere).
    Io non so se sia corretto o meno che il CAI faccia determinate cose, sarebbe come domandarsi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Il Club Alpino esiste da 150 anni e, pertanto, proibirgli dalla sera alla mattina di tenere dei corsi d’alpinismo, oltre a porsi la domanda se sia giusto o meno, sarebbe improponibile. Stando così le cose sarebbe meglio, da parte delle Guide Alpine, domandarsi quale maggiore e migliore offerta potrebbero dare rispetto al CAI ed eventualmente, perché no, quale tipo di collaborazione (visto che già esiste almeno a livello personale).
    Per fare una cosa del genere bisognerebbe però intervenire a livello centrale, organizzando una struttura in grado non solo di farsi conoscere ma capace anche di far nascere un bisogno nelle persone. Massimo dice che c’è una gran sete di montagna. Sinceramente sarei un po’ più cauto perché secondo me in giro c’è anche molta sete d’adrenalina, la quale peraltro viene presto smorzata dalle prime vere esperienze in determinate situazioni. Sicuramente esiste un potenziale sommerso che andrebbe incanalato non solamente a livello sportivo ma anche e soprattutto a livello culturale. Inutile sottolineare come il nostro Stato sia estremamente carente in tal senso, pur potendo contare su Regioni più virtuose di altre. Teniamo altresì presente che l’alpinismo, l’arrampicata, ecc., possono costituire un ottimo modo anche per reinserire socialmente determinate persone. Una simile esperienza venne fatta proprio dalle mie parti, sempre a livello privato, e con risultati molto incoraggianti.
    Come però sovente accade i vertici di collegi, albi e associazioni varie (lo stesso CAI non è immune da ciò e, infatti, fioccano le critiche da parte di numerosi iscritti) sono più interessati al proprio tornaconto che a quello dei soggetti da loro rappresentati, assumendo al riguardo posizioni ambigue e lontane dai bisogni reali della base. Conosco molto bene questo genere di mondo e posso sottoscrivere che non si salva nessuno (o forse pochi). Tutto ciò, unito al fatto che ciascuno tira l’acqua al proprio mulino (tipo il grosso studio di commercialisti a cui non gliene frega niente del piccolo professionista che annaspa) crea la situazione che abbiamo sotto gli occhi. Ovviamente chi nel torbido pesca bene trova spazio sufficiente per far valere diritti talvolta campati in aria e non mi meraviglia il fatto che Stefano non abbia ricevuto il numero di consensi necessario ad essere eletto.
    Ritengo, in ogni caso, che se le Guide, organizzate o meno, vogliano ricavarsi la fetta di mercato che giustamente spetterebbe loro, non solo per legge ma soprattutto per le competenze di cui sono in possesso, non possano prescindere dall’intraprendere un percorso che comporti un cambiamento di rapporto nei confronti del cliente e ciò a discapito della parola “Guida” che nell’immaginario collettivo sottintende un’attività svolta nei confronti di un utente passivo o quanto meno privo di un certo livello di competenza.
    Ovvio che le Guide debbano rivolgersi a tutti però credo che sia molto più soddisfacente, sul piano professionale, avere a che fare con clienti forti piuttosto che con clienti deboli, e ciò passa inevitabilmente da un periodo di formazione di questi ultimi in quanto nessuno nasce imparato.
    Chiaramente c’è poi un problema di costi da non sottovalutare perchè se un cliente forte paga, che ne so.. 1.000 euro per salire sulle Torri del Vajolet (la butto lì perchè non ho idea delle cifre) e dieci scialpinisti pagano 200 euro a testa per fare una traversata che si fa? Cioè, anche questi aspetti vanno presi in considerazione ma ciò è tipico di tutte le professioni. Non necessariamente un singolo professionista deve rivolgersi a tutte le tasche, l’importante sarebbe, a livello associativo, condividere le esigenze di tutti e fare fronte comune alle avversità.
    In ogni caso, le Guide dovrebbero scendere in campo, farsi conoscere (non solo di nome) e cominciare a proporre delle offerte significative. So che alcune lo fanno, o quantomeno ci provano, ma la maggior parte continua ad aspettare che sia il cliente a farsi vivo. Chiaramente se uno svolge già un’altra professione, perché in caso contrario non campa, il tempo da dedicare ad un’attività promozionale rimane poco, tenendo conto che bisogna poi continuare ad allenarsi e a migliorare (perché in questo mestiere non si finisce mai d’imparare). E, comunque, il bacino di utenza sono le città perché se è vero che il 70% degli italiani, almeno in estate, va in vacanza al mare significa che bisogna cominciare a monte (sarebbe meglio dire a valle..) ad instillare il bisogno di montagna perchè se si aspetta il vacanziero già si perde una fetta di mercato particolarmente ampia.

  21. 6

    Molti punti che condivido, Stefano.
    Forse solo non mi è troppo chiara la tua visione su altre “istituzioni” e attività correlate/complementari (guide naturalistiche / di media montagna, etc.).
    .
    Nota generale: sarebbe curioso sapere chi/cosa ha “vinto” o meglio, fuori dal personale, intendo il “programma” del collegio delle guide alpine (proposta di approfondimento per Alessandro, forse).
    .
    Sono d’accordissimo con la riflessione e la proposta di Sergio, su educazione e cultura, da portare addirittura a corso di laurea. Davvero.
    Sulla formazione, sui “corsi” ne ho commentato qui in passato, Stefano, ma tu mi zittisti dandomi dell’ignorante e può darsi 😉 ma sono d’accordo con Giando, anche se, sull’insegnamento del CAI e sulla molteplicità di professioni / attività lavorative diversificate, io vedo le cose forse ribaltate.
    .
    Ad esempio sui corsi di alpinismo:
    Hai ragione Giando, sul costo accessibile a molti dei corsi CAI (che comunque, non è nullo e che potrebbe essere ancora più basso, se non fossero computati i “rimborsi spese” spesso gonfiati…), e quindi sulla non-competitività delle guide in termini economici.
    .
    La mio desiderio non è che sia vietato al CAI l’insegnamento dell’alpinismo ma semmai sarebbe auspicabile che le guide apline fossero istruttori nei corsi CAI, e la mia non è affatto una provocazione.
    .
    Perchè è vero che nei corsi CAI ci sono istruttori non degni, tecnicamente ed umanamente, ma i corsi CAI sono la via “democratica” (diciamo: per la maggior parte delle persone) di avvicinarsi all’alpinismo e dal punto di vista tecnico, malgrado qualche abberrazione, c’è una cultura didattica all’interno del CAI che nel corso dei decenni si stà stabilizzando, crescendo, diventando patrimonio collettivo… per contro le Guide Alpine, che spesso disprezzano le competenze e tecniche del CAI, non pubblicano nè condividono volentieri il “sapere”.
    Quindi se è vero che c’è una conoscenza tecnico-“esoterica” superiore delle Guide Alpine, che la mettessero a disposizione della comunità, con un profitto economico giusto. E quindi, terra-terra: si: che le guide siano pagate per fare gli istruttori nei corsi CAI!:
    .
    Sulle professioni “collaterali” poi, ancora vorrei fare una riflessione / polemica con le guide Alpine, perlomeno su comportamenti che ho seguito negli ultimi anni in regione Veneto: l’atteggiamento che ho visto attuare dalle Guide lì è definibile completamente “monopolistico”, al punto estremo che anche le gite con le ciaspole sono state ritenute dalle Guide di loro stretta competenza, con guerra alle guide naturalistiche ed altre figure che operano nel turismo.
    .
    E’ una situazione triste questo corporativismo disperato e miope. Ci sarebbe invece possibilità di lavoro per tutti. Secondo me:
    .
    – le Guide Alpine dovrebbero fare alpinismo “vero”, e nelle grandi montagne. Per esempio, pensando al Cadore, mi è capitato di proporre ad una Guida il mio interesse possibile a fare qualche salita alpinistica in invernale o comuqnue in ambiente glaciale in Dolomiti… e la Guida mi ha proposto delle cascate di ghiaccio… non capendo per nulla il mio interesse (?!), ma in generale la possibilità enorme di salite verticali in ambienti magnifici di neve, roccia e ghiaccio, traversate di catene montuose…(!) certo, sbattimenti! certo, rapporto tra fatica e introito forse non eccelso…! quindi ecco che l’offerta si riduce alle cascate di ghiaccio in inverno, alle salite di vie famose d’estate… Ma così le Guide Alpine si toglono possibilità infinite di lavoro, del lavoro più bello (credo) e sui cui la conoscenza del territorio sarebbe si questa, un loro monopolio di conoscenza. E chi, se non loro, potrebbero fare una offerta di salite di grandi montagna altrimenti infattibili dai “falesisti” appunto ?! Certo, mi si ddirà che sta roba non interessa più… che i cittadini ormai formattati al parco giochi, vogliono il tutto-subito e le grandi monatgne sono invece il niente-mai… ma sta alle Guide anche acculturare i “cittadini” (i possibili clienti).

    – le Guide Naturalistiche potrebbero portare le scolaresche a fare le escursioni per scoprire flora e fauna, o far fare due foto su qualche pendio innevato, anche sulle ciaspole. Invece no, siamo qui nella guerra dei poveri a bisticciarci per chi “ha il diritto” di portar clienti con le ciaspole (che a detta delle guide venete sono “attrezzo di progressione tecnica”), o a bisticciarci sul “diritto e competenza” di promuovere il portare sciatori con l’elicottero su vette impegnative. Un totale non-senso.
    Io vorrei che le Guide Alpine tornassero ad essere maestri del verticale delle grandi montagne, e lasciassero ad altri (lavoratori, professionisti) i terreni delle valli e quelli dentro i torrenti e sottoterra pure!
    .
    Ma ancora ed ancora, è il terreno culturale quello nel quale le guide devono ridiscendere da noi, ed anche insegnarci.
    .
    A Massimo: ma qual’è sta sezione del CAI che fa numero chiusosu icorsi ARG1 ? No perchè al CAI Ligure Genova prendono cani e porci, addirittura sono passato io! scherzo. Sono d’accordo con te sulla necessità da parte delle Guide Alpine di una trasparenza di valori ed etica, ma questo vale anche per il CAI, ed in questo blog ce ne arrabbttiamo da anni ormai, sulla bi-valenza del CAI (bi-decalogo o non bi-decalogo). Col cavolo che il CAI è da abolire! E’ un esperimento di conoscenza collettiva democratica, che con tutte le su abberrazioni (e su questo blog se ne parla) rimane per me il luogo comune in cui è possibile migliorarci.
    .
    Morale della favola:
    Le Guide Alpine dentro al CAI. Ad insegnare.
    Basta guerre tra poveri.
    Potere e conoscenza di tutti.
    Lavoro per tutti.
    Ho esagerato? 😉

  22. 5
    Massimo Pantani says:

    Apprezzo le posizioni espresse da Stefano. Vi trovo un’analisi puntuale, onesta e moderna del ruolo delle Guide alpine. E non solo.
    Mi soffermo dunque su un unico punto. Uno solo, sul quale mi sento invece di poter esprimere un motivato disaccordo.

    Sono da tanti anni un istruttore di alpinismo del CAI. Cresciuto, alpinisticamente parlando, assieme a cari amici che oggi fanno le Guide Alpine. Una stessa passione in comune, ma poi scelte professionali e percorsi di vita diversi. Una stessa radice di origine, quella del CAI, per poi crescere – invece – come rami differenti di uno stesso albero.
    Ritengo dunque di poter vantare una conoscenza “vera”, perché reciproca e vissuta da vicino, vicinissimo, sia del mondo delle Guide, sia di quello dei corsi di formazione CAI.
    E ritengo dunque di poter parlare con cognizione di causa dicendo che quello del rapporto tra CAI e Guide Alpine è un falso problema.
    Ossia un problema che in realtà non sussiste. Per entrambi i rami, infatti, di sole, di vento e acqua ce n’è in abbondanza.

    Qualche dato statistico recuperato dalla mia sezione CAI.
    Perché senza numeri e dati oggettivi, altrimenti ciascuno può dire poi quello che vuole.
    I dati sono riferiti a città metropolitana del nord Italia e solo agli ultimi 5 anni.
    I dati sono riferiti ad un solo Corso, quello di “Alpinismo base”, organizzato annualmente (vi risparmio i dati degli altri corsi, dallo scialpinismo, all’arrampicata, dallo sciescursionismo alle cascate di ghiaccio…)

    anno 2011 – richieste di iscrizione 101 – allievi presi 16
    anno 2012 – richieste di iscrizione 92 – allievi presi 16
    anno 2013 – richieste di iscrizione 99 – allievi presi 19
    anno 2014 – richieste di iscrizione 88 – allievi presi presi 17
    anno 2015 – richieste di iscrizione 115 – allievi presi 19

    I regolamenti CAI impongono severi limiti nel rapporto numerico “istruttori disponibili / allievi”. Da qui l’elevato numero di persone rimandata “a casa” senza che venisse soddisfatta in alcun modo la loro “sete di alpinismo”.

    Il totale degli allievi rimasti ESCLUSI dal (SOLO!) corso di alpinismo della mia sezione negli ultimi 5 anni = 408
    Il totale degli allievi rimasti ESCLUSI dalle attività di insegnamento CAI (e parlo solo di attività alpinistiche, tralasciando quindi i corsi di escursionismo, di speleologia, di mountain bike, di alpinismo giovanile etc.) nell’ultimo quinquennio supera le 1000 unità…

    Certo. A occhi chiusi, e senza guardare la realtà delle cose, io posso anche capire che vi siano (alcune) Guide Alpine che vedono nelle attività del CAI una ipotetica “concorrenza”… E capisco anche quelli che invocano per principio “interventi normativi” tendenti a limitare, per non dire a vietare, l’insegnamento della montagna da parte del CAI…

    Ma santiddio. Che cosa mai risolveremmo?
    E’ davvero questo il problema?
    Va bene. Eliminiamo per Legge il CAI, oppure vietiamogli di fare corsi… e poi?

    Posso permettermi – nel frattempo – di osservare che il “sistema organizzativo Guide” non è capace di intercettare neanche la domanda dei 408 rimbalzati da uno sfigatissimo corso CAI?

    A me pare che il bacino di utenza riferibile alle attività di accompagnamento e di educazione allo sport e alle attività in montagna sia incredibilmente vasto. Vastissimo. Viviamo nel Paese alpinisticamente più bello del mondo. E come purtroppo accade in tanti settori del Belpaese italico, non siamo capaci di valorizzare quello che abbiamo. Peccato. Perché c’è un sacco di gente che ha “sete” di montagna. Ma per davvero. Lo dicono i numeri.

    E io mi aspetterei, da parte dei professionisti della montagna, non solo che assumessero indirizzi politici ed etici univoci (leggi: che si mettano bene d’accordo tra di loro, quantomeno, su chi sono, cosa possano e cosa non debbano fare nelle loro attività), ma soprattutto che si dotassero di un’organizzazione su scala nazionale, e poi locale, equivalente o similare rispetto a quella dei CAI, ossia di predisporre un’offerta capace di incontrare e soddisfare la domanda.

    Invece così non è. E quando sento parlare di “concorrenza sleale” o “antagonismo” rimango sempre un po’ stranito.

    Vuoi dire che la “colpa” dei problemi di lavoro della Guide alpine è da addebitare a un manipolo di volonterosi appassionati – gli istruttori CAI – che cercano in qualche modo di tappare le falle e le carenze del “sistema educativo” italiano alla montagna?

    Le Guide alpine hanno poco lavoro = Sono gli istruttori del CAI che “rubano” loro i clienti
    A me, scusate, è un’equivalenza che non torna.
    La diatriba “Guide alpine vs CAI” per me è pari a quella spit SI / spit No. Una polemica trita e ritrita, che si avvita su se stessa: un nonsense superato dai tempi e dall’evidenza delle cose. Non se ne può più Stefano… Mi piacerebbe che tu potessi guardare oltre.

    E dirò di più: le guide alpine sono davvero troppo poche. Altro che concorrenza del CAI…
    Dovrebbero essercene a migliaia, diffuse capillarmente sul territorio, organizzate in modo da essere visibili e presenti laddove servono, ben preparate non solo tecnicamente ma anche “umanamente e socialmente”, ossia disposte a venire incontro a TUTTE le richieste che arrivano dagli “utenti” (mica solo quelle che piacciono a loro…), in modo da assolvere anche a quel compito etico e sociale di “educazione alla montagna” che oggi viene invece svolto – non unicamente, ma certo per la maggior parte – nelle sezioni del CAI.

    Perché il legislatore ne era ben cosciente quando ha redatto la Legge 6/89: il CAI già faceva da “tappabuchi” per un’attività di “prevenzione” che lo Stato non era in grado (non avendone le risorse) di svolgere, ed ha previsto che dovesse continuare a farlo.
    Tutto qui.

    Magari (magari!) passasse tutto in mano a migliaia di professionisti, a un’organizzazione di Guide alpine solida e strutturata come il CAI!
    Io tornerei sereno e tranquillo a frequentare la montagna avendo come compagna la mia sola passione per l’Alpe, e non più assieme a quel senso civico che mi spinge ogni volta, con pazienza ed umiltà, a spiegare al neofita di turno come si fa un mezzo barcaiolo o come non ci si ammazza con una corda doppia… E soprattutto con il pensiero di quei 408 che magari si catapulteranno comunque in montagna, senza neanche avere nello zaino un insegnamento semplice, modesto e amatoriale come il mio…

  23. 4
    GIANDO says:

    La professione di Guida Alpina, pur con tutte le ovvie differenze, vive una situazione molto simile a quella dei Dottori commercialisti. Anche quest’ultima risente, infatti, di concorrenza più o meno sleale da parte di altri soggetti, abusivismo, norme e regolamenti che remano contro, ecc.. Il risultato è che oggi, a parte i grossi studi pressochè inattaccabili, la maggior parte dei professionisti svacca sui prezzi per tenere il passo e alla fine si mette in tasca solo le briciole.
    Che dire.. Credo vi sia, di fondo, un problema insito nella natura stessa di professioni, come quelle citate, le quali consentono di spaziare in campi estremamente vasti. La domanda che ci si pone, peraltro legittima (e che si pone pure il legislatore, per quanto in una certa misura succube di forze esterne e ben organizzate), è la misura in cui tutte queste competenze siano utili per assolvere determinati compiti.
    Da qui la nascita di figure intermedie con una preparazione specifica a corto raggio (il fatto che tale preparazione possa poi risultare carente è un altro discorso perché in questo caso bisognerebbe tirare in ballo l’iter formativo ed i controlli sulle conoscenze acquisite).
    Personalmente sono contrario al proliferare di figure professionali specifiche per non dire di semplici figure (vedi gli albergatori, i quali di mestiere fanno tutt’altro) però è altrettanto evidente come per accompagnare clienti in determinati percorsi le competenze di una Guida Alpina risultino effettivamente eccessive.
    Da ultimo non dimentichiamo che le caratteristiche dell’andare in montagna contribuiscono, almeno entro certi limiti e fino a certi livelli, al propagarsi di una formazione, per così dire, “fai da te”. L’assenza dell’acquisizione di un preciso gesto tecnico di base, indispensabile in altre discipline, fa sì che molte persone si avvicinino al mondo della montagna senza avvalersi di professionisti esperti. Andar per monti non siginifca, infatti, solamente arrampicare, sciare, ecc., spesso e volentieri basta semplicemente camminare e a piedi, senza la necessità di affrontare percorsi particolarmente impegnativi, è possibile godere di esperienze meravigliose.
    In ambito strettamente specialistico la stessa pratica dell’arrampicata sportiva porta sovente a non usufruire delle Guide Alpine per imparare i primi rudimenti, anche se ciò può comportare la vista di falesisti inguaiati a fare le doppie, e non solo, su vie classiche di IV grado.
    Oggi siamo al paradosso in base al quale ai professionisti della montagna vengono richieste competenze sempre più ampie mentre nel frattempo si dà sempre maggiore spazio a veri e propri figuranti. Sicuramente all’interno delle Guide bisognerebbe fare chiarezza su svariati punti e prendere delle posizioni ben precise (vedi eliski ma non solo) però è altrettanto vero che, volendo operare in un certo modo, bisognerebbe anche cercare d’intercettare le persone prima che le stesse vengano in contatto con altri soggetti. La concorrenza del CAI, per es., è molto forte anche perché il Club Alpino è fortemente radicato sul territorio e per fornire gli stessi servizi bisognerebbe essere in grado di dare qualcosa in più a parità di prezzi. Obiettivamente, nell’immaginario collettivo, la Guida viene vista come il professionista estremo, come colui che può portarti a fare le cose più impegnative, non viene visto come una persona che può seguirti passo passo in un iter formativo dall’inizio alla fine (ricordo un’intervista di trent’anni fa in cui una Guida, nonchè arrampicatore di punta, lamentava il fatto che pochi clienti vogliono veramente imparare ad arrampicare).
    Inoltre il CAI ha una capacità di fidelizzazione a costo prossimo allo zero. Se una persona fa il suo bel corso d’alpinismo presso una delle tante sezioni sparse sul territorio può entrare, per così dire, nel giro, comincia a fare delle cose, talvolta anche impegnative, maturando esperienza e traendo delle belle soddisfazioni.
    Ci vorrebbe un intervento normativo tendente a limitare, per non dire a vietare, l’insegnamento da parte del Club. Tale intervento però, secondo il mio punto di vista, non arriverà mai in quanto il CAI è una potenza di non poco conto. Pertanto, l’unica strada possibile potrebbe essere quella di mettersi in competizione puntando sulla qualità dei servizi offerti. Si potrà giustamente obiettare che queste considerazioni sono facili a dirsi ma difficili da farsi però credo che ci siano poche strade, per rivalutare il ruolo delle Guide, oltre a quello di formare e far crescere tecnicamente, e non solo, i propri clienti.
    Nell’immaginario collettivo la Guida Alpina è un accompagnatore, seppure d’altissimo livello, a cui ci si può affidare in toto. Ciò è anche positivo però, secondo il mio punto di vista, limita fortemente le potenzialità di tale figura professionale. Per es., nel mondo della canoa (sono tantissime le similitudini con l’alpinismo), forse complice il fatto che non esiste il secondo di cordata (di fatto si naviga sempre da primi anche quando si segue l’istruttore), uno degli obiettivi dei Maestri, degli istuttori e delle Guide fluviali è quello di far crescere tecnicamente i clienti, ovviamente anche al fine di migliorare la sicurezza.
    Ora non voglio dire che le Guide Alpine non facciano altrettanto però se lo fanno (e lo auspico) non vi è percezione di ciò presso il grande pubblico. Quindi su tale aspetto varrebbe la pena d’interrogarsi.
    Forse a livello professionale bisognerebbe fare una selezione basata anche sulle motivazioni (magari viene già fatta, non lo so..). Per es., so per certo (perchè me l’anno confidato) di un paio di persone le quali sono diventate Guide più per acquisire delle ulteriori competenze che per esercitare realmente la professione. In realtà di portare in giro clienti non gliene importa nulla (ovviamente hanno un’altra attività).
    Probabilmente una maggiore presenza nelle scuole, fin dalle elementari (ma bisogna vedere se ciò sia fattibile), potrebbe contribuire notevolmente all’immagine. Devo poi dire che a livello pubblicitario la situazione è alquanto carente. Come ritengo dicesse giustamente un’altra Guida, sempre una trentina d’anni fa, i clienti bisogna cercarseli nelle città, non solo nelle zone turistiche. Oggi, ma probailmente anche ieri, il bacino d’utenza non può limitarsi ai luoghi di villeggiatura, proprio per i motivi citati in premessa da Stefano.
    Infine non dimentichiamo un aspetto importante: quello umano. Come ci sono medici bravissimi ma assolutamente incapaci di relazionarsi coi pazienti, allo stesso modo vi sono Guide fortissime dal punto di vista tecnico, ma estremamente carenti sul piano relazionale (mi è capitato di conoscerne una in Brenta che aveva la stessa socialità e dialettica di un Gustavo Thoeni ai tempi d’oro). Ovviamente non tutti i clienti sono uguali, anzi ve ne sono diversi che sarebbero da abbandonare appesi da qualche parte per manifesta arroganza, però è assolutamente auspicabile una dedizione particolare alla cura dell’aspetto relazionale.

  24. 3

    Come fare a non condividere Stefano, chiunque eserciti la professione di Guida Alpina a tempo pieno non può non ritrovarsi in quello che hai scritto. Sarebbe bello che lo leggessero MOLTO ATTENTAMENTE anche i componenti del nuovo consiglio direttivo ……. ma ho qualche dubbio in proposito.

  25. 2
    Sergio says:

    Complimenti Stefano, ho letto con grande interesse il tuo scritto e apprezzato le tue considerazioni. Se mi permetti, proverei a offrirti qualche personale riflessione.
    Innanzitutto, le giuste considerazioni sulla società moderna dovrebbero considerare anche il tipo di società in cui viviamo. Stiamo evolvendo, negli ultimi 10-15 anni, da una società industriale a una società dell’informazione. L’una non è sostitutiva dell’altra, ma duale. Mentre la prima era caratterizzata dalla concentrazione di risorse e dalla standardizzazione (tipico esempio la massificazione attraverso i media), la seconda è invece caratterizzata dalla distribuzione di risorse e dalla personalizzazione assoluta (e.g. internet e i social media, dove il fruitore diventa produttore di contenuto, attraverso l’upload). In una società di questo tipo, la figura di guida alpina dovrebbe agire di conseguenza. Non puntare solo sulla conoscenza in suo possesso (non pensarsi come il detentore della conoscenza della montagna), ma offrire la sua professionalità in modo nuovo, diverso. La conoscenza ormai è alla portata di tutti. Tutti accedono a internet, le informazioni sulle vie, sui luoghi, sulle condizione della neve e dell’itinerario, sulle modalità di salita e discesa sono condivise. La possibilità di affinare i propri muscoli e di riuscire a arrampicare a alti livelli è ormai possibile a molti. La figura detentrice del sapere andrà sempre più a scomparire. La guida alpina non è più quella figura mitica che si incontrava in montagna, che sapeva arrampicare, che sapeva il nome delle montagne e i modi di salirle attraverso vie mitiche e misteriose. La guida alpina è ormai una persona con cui si arrampica in palestra, con cui si fanno i monitiri, è uno di noi. Eppure è detentrice di un expertise e di una passione che mai potranno essere accomunate a quella dell’appassionato di montagna o arrampicata (anche istruttori di vario genere…). E’ la modalità in cui può essere passata questa esperienza e la sua conoscenza che deve cambiare, che deve essere continuamente reinventata per offrire al pubblico/cliente il nuovo. Pur mantenendo un proprio nucleo di storia, a partire da questo dovrebbe reinventare nuova conoscenza e nuove esperienze.
    A partire dall’educazione. La guida alpina è il Professore della montagna. O per lo meno dovrebbe esserlo. Non vedo nell’offerta formativa della maggior parte delle guide un contatto con il sistema educativo o un’attività educativa mirata. La maggior parte dei siti delle guide funziona secondo il vecchio concetto della standardizzazione: vie di 4°, vie di 5°, vie di 6° e oltre; oppure “le classiche in Dolomiti (Monte Bianco)”, “arrampicata in Sardegna”, etc. L’offerta formativa che accompagni nei mesi, negli anni il pubblico (o il cliente) a comprendere e a affrontare la montagna non si trova. Ogni guida, sulla base della propria expertise, potrebbe fornire un’offerta formativa diversa. Il cliente potrebbe trovare la personalizzazione (in una fusione tra i propri desideri e l’expertise della guida). Ma allo stesso modo anche il sistema educativo potrebbe utilizzare figure con specializzazioni diverse. Oltre a sporadici interventi, perché la guida alpina non è insegnante stabile all’interno del sistema educativo? O non ha sviluppato curricula ad hoc per il sistema educativo (scuole primarie o secondarie, o persino corsi di laurea specifici)? Immagina, Stefano, un educatore guida alpina nelle scuole di montagna (dalle elementari fino al liceo/professionali) , che insegni e educhi i ragazzi a vivere le proprie montagne (il “modo corretto” di stare in montagna di Gogna). L’educazione alla montagna della popolazione di montagna: fantastico. Oppure un corso si laurea sulle attività in montagna da offrire alle università. Spero che le guide non abbiano paura di condividere la loro conoscenza (tutta la loro conoscenza). Se fosse così, avrebbero già perso. Personalmente credo fermamente non sia così. Allo stesso modo, penso che non tutte le guide alpine sarebbero adeguate a fornire un’offerta formativa adatta al sistema educativo (anche in questo caso ci vuole vocazione…).
    Ma l’offerta formativa sarebbe solamente una strada. Mille e mille modi per creare il nuovo nella professione della guida alpina potrebbero essere possibili. Adottando un’ottica di questo tipo, non ci si troverebbe a combattere solamente per mantenere ciò che si è conquistato con fatica (attività che ovviamente deve essere fatta), non ci si troverebbe a svendersi, facendo attività che con la guida alpina competono veramente poco, non si dovrebbero cercare compromessi. Per fare questo bisognerebbe però costantemente mettersi in gioco, cosa che a non tutti piace, ovviamente. Adattarsi nelle conquiste ottenute e sfruttarle fino all’eccesso sembra molto più facile. Ma non è questo che il mondo chiede ora alle guide alpine. Che non devono cambiare la propria anima, ma devono riuscire a far arrivare la propria anima attraverso canali e modalità nuove. Di qui anche la formazione delle guide dovrebbe cambiare, radicalmente. Ma qui si aprirebbe un nuovo e complesso discorso…

  26. 1

    Sono pienamente d’accordo in ogni punto. Complimenti Stefano, peccato tu non possa portare la tua idea al Consiglio Nazionale, sarà per la prossima.

    Francesco Salvaterra

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