Un sottobosco di istintivi

Un sottobosco di istintivi
di Luigi Cutietta*
(scritto il 31 luglio 2014)

«Come gli assassini tornano sui luoghi del delitto, anche noi finiamo per tornare nei luoghi, reali o metafisici, che non abbiamo smesso di abitare…quello che facciamo, credo, è semplicemente andare a trovare il nostro passato, così giusto per vedere come sta e magari chiedergli qualche consiglio, considerato che lui ci conosce bene (Maria Perosino, Le scelte che non hai fatto)».

Anche noi torniamo spesso nel passato, forse vagheggiando un’innocenza perduta – o un’incoscienza ritrovata?! Ripeschiamo nella memoria un periodo in cui tutto era scoperta, stupore e meraviglia, Crisi e Rinnovamento. Per la mia generazione arrampicatoria targata anni ‘90, il luogo magico carico di aspettative, di promesse epiche e avventure verticali in cui tutto questo si svolgeva era – ed è – Monte Pellegrino.

Da sinistra, Eugenio Pinotti, Luigi Cutietta e Fabrice Calabrese durante la prima ripetizione della via delle Punte (Monte Monaco – Pilastro Est);

Non è facile coagulare tutti i ricordi e le sensazioni in una geografia emotiva ordinata e leggibile. Descrivere un tempo in cui la testa era leggera, i mezzi pochi e la voglia di arrampicare tanta. Non avevamo vissuto il ’68 alpinistico ma l’idea di quella stagione unica si materializzò ben presto leggendo gli scritti del Nuovo Mattino e soprattutto quando giunse nelle nostre mani il già leggendario Mezzogiorno di Pietra. Lo fotocopiavo in continuazione per avere un distillato personale di segreti, di posti misteriosi e incantati come Capo Zafferano o Monte Gallo. Eravamo pieni di mappe del tesoro!

La Mano Nera: da sinistra, Fabrice Calabrese, Luigi Cutietta e Gianni Cattaino (San Vito)

Un immaginario fino ad allora trasmesso per via orale finalmente prendeva corpo e diventava tangibile esplodendo nelle sue possibilità. Insomma era il primo album di figurine da collezionare scalata dopo scalata. Entusiasmo che avremmo riprovato solo nel 2001 con l’uscita della guida CAI-TCI, Sicilia di Roby Manfrè e Giuseppe Maurici.

Avevamo scoperto che il mondo delle favole era vero e non ci accontentavamo più di sognare. Anche perché i vecchi protagonisti erano intorno a noi e potevamo creare una nuova stagione: la nostra. In fondo il passato era lontano più per sedentarietà delle menti che per reale distanza.

Col senno di poi, oggi potremmo definirci dei “sensation seeker”. Compulsivi nella coazione a ripetere le vie che ci hanno fatto sentir vivi. Emozioni forti nel miraggio dell’eterna giovinezza.

Luigi Cutietta ed Eugenio Pinotti su Il Bugiardo (prima ripetizione). grotta della prima sosta (Monte Monaco – parete nord);

In realtà, senza remore né costrutti psicanalitici, sulla scia di quell’euforia iniziale, negli anni ‘90 si andava tranquillamente a San Vito su Pace di chiostro o su Gioco d’ombre nonché sulla Cresta Vistammare al Monte Cofano. Oppure, a due passi da casa, si zompettava spesso sullo Schiavo al Monte Pellegrino ripetendo le vie degli anni ‘70 di Umberto Capotùmmino finalmente sdoganate. Una lista lunga da sfoltire.

Purtroppo con la scomparsa di Roby siamo cresciuti in fretta; ma in un certo senso il tempo si è fermato. Pur di scalare con lui, io, Davide Ruvolo, Fabrice Calabrese, Chiara Cianciolo e Isabella Anastasi spesso litigavamo. Orfani di un baricentro, ma soprattutto di un amico irripetibile, le nostre radici sono cresciute a dismisura come i ficus giganti di Palermo. Ecco perché dopo l’iniziale smarrimento, la brama di ritrovare sensazioni perdute, ci spinse anche sulle sconsigliabili “forestali”. Vie ricolme di speranze e vegetazione troppo presto dimenticate come la Traversa o Supergulp. Del resto ancor oggi inseguiamo quella chimera. Chi ha conosciuto Roby ne cerca ancora il dialogo attraverso qualche vecchio chiodo o un cordone ammuffito. Lungo una delle sue innumerevoli vie ne incontriamo sempre qualcuno e la fantasia, se non la commozione, galoppa.

Luigi Cutietta e Linda Cottino all’uscita di Troppi galli nel pollaio (Monte GAllo – Quota 238 m)

Ma che n’è stato di quell’onda d’urto primigenia, di quella seconda infanzia in cui eravamo felici e sapevamo di esserlo? Il lavoro, la famiglia, la fuga di cervelli hanno decimato quel sottobosco di istintivi. Di quelli che come me furono colti da un virus totalizzante ormai raro e poco trasmissibile in tempi di Smartphone e Whatsapp. Adesso si è imposta la sicurezza come nuovo idolo e l’arrampicata, sempre più “metallizzata” e imborghesita, si ammanta di nuovi tecnicismi e soluzioni atletiche.

Nel mio caso, l’imprinting ricevuto, quello stile di arrampicata ad armi pari, anziché scemare è rimasto intatto e si è spinto ben oltre. Fino alla prima ripetizione – con Eugenio Pinotti e Fabrice, diciotto anni dopo la sua apertura – della repulsiva Via del Bugiardo. La prima e unica trad sulla parete nord del Monte Monaco, realizzata da Roby e Davide nel ’93. Oggi “purtroppo” è assediata da una dozzina di “moderne” multipitch. Del resto come fermare il “progresso” che avanza?!

Da sinistra, Maurizio Oviglia, Eugenio Pinotti e Luig. Cutietta dopo la ripetizione di Palermo in Love (Monte Gallo – Monte S. Margherita)

A dispetto degli anni, mi piace constatare che la passione resiste all’usura del tempo. Ma più che perpetuare la memoria o agire da vecchio pazzo nostalgico, mi rendo conto che l’arrampicata – forse anacronisticamente – torna timidamente alle origini riappropriandosi delle sue paure. Corsi e ricorsi storici o piuttosto è “il trad che fa trend”? Come ha scritto di recente Maurizio Oviglia. La verità è che i panni epico-cavallereschi non stancano mai. È il concetto stesso di ascendere, di elevarsi nello spirito e nel corpo, di ritrovare i nostri Piccoli pathos. Abbiamo bisogno “di appigli, di percepire delle differenze” per andare oltre “il prevedibile quotidiano” – citando Italo Calvino. Bisogno di nutrire il gusto per l’etica e l’avventura attraverso libri come La via del drago o Le mani dure, passando per l’ingenuità di Tartarino sulle Alpi o la metafisica del Monte Analogo. Ecco perché dopo i nostri “predecessori”, ci fu un ritorno di fiamma per la Canna di Filicudi. Una chicca basaltica sedimentata per anni tra i nostri obiettivi grazie ai racconti di Giuseppe, oltre a essere descritta sia su Mezzogiorno di Pietra che nelle 90 scalate su guglie e monoliti di Gian Carlo Grassi. Attratti dal suo magnetismo lavico io e Fabrice ci andammo nell’estate del 2000. Malgrado un caldo torrido, fu come se ci avessero passato un ideale testimone. Quello scoglio di 80 metri al largo delle Isole Eolie era lì sotto il nostro naso, rinviato da troppo tempo nell’illusione che l’erba del vicino, Dolomiti o chi per loro, fosse più verticale. Del resto si sa: L’essenziale è invisibile agli occhi. Tre anni fa la Canna è stata espugnata da una nuova Armata Brancaleone. La tradizione continua.

Luigi Cutietta sul tiro chiave di Supergulp, durante la prima salita in libera (Monte Pellegrino – Mariella Crack’n Up)

Dicono che chi fa sogni a occhi aperti è pericoloso perché può realizzarli. Ma solo se si è disposti a mantenerne l’aura. È sulla base di questo delirio che nonostante l’amicizia con Alessandro Gogna, qualche anno fa ne ho rifiutato l’autografo sulla MIA copia del SUO volume. Il mito non poteva diventare realtà!

Mezzogiorno di Pietra in quanto prima “fonte storica documentale” è stato per noi uno spartiacque. Per cui siamo andati in cerca di radici ancora più profonde passando dalle citazioni ai fatti. Abbiamo rintracciato Umberto Capotùmmino e Luigi Mongiovì attivi negli anni ‘70. Nonché Luigi di Giorgio alpinista palermitano con Fosco Maraini negli anni ‘50. Stanati nella loro vita normale ci hanno svelato notizie e foto d’epoca “fresche” che nel 2007 hanno arricchito una monografia di ALP sulla Sicilia. Per certi versi proprio Maraini mi aveva fatto innamorare del modo di arrampicare siculo “quando salendo creavi il mondo”. Scriveva infatti che «forse, guardando in su diremo: peccato, sarebbe una bella salita se non ci fosse tanta vegetazione. Poi scopriremo, invece, che spesso la vegetazione (a parte l’arbusto spinoso andato a crescere proprio nell’unica fessura per cui bisogna passare salendo!) ha degli aspetti di squisita bellezza». Si instillava irreversibile in me “il piacere geologico alla vista e al contatto di certe pietre, di certe rupi.”

Pizzo Lungo, maggio 1993. Da sinistra, Chiara Cianciolo, isabella Anastasi, Davide Ruvolo, Roby Manfrè, Luigi Cutietta.

Insomma abbiamo fatto un grande passo avanti… nel passato. È pur vero però che tra imperfezioni della memoria e carenza di dati, la storia alla fine viene su come ce la raccontiamo. Sono sempre le emozioni che colmano le lacune e prendono il sopravvento in una sorta di magnifico caos.

Negli ultimi anni diversi progetti allettanti dormivano nel cassetto dei buoni propositi essendo vittime di un’indolenza sotterranea, di un’accidia da divano. Così è subentrata pian piano una specie di (relativa) fretta motivazionale. I treni (e l’età) passano. Infatti soltanto nel 2008 siamo andati sulla Via delle Punte – la prima sullo sperone est di Monte Monaco (20 settembre 1981). È sempre un tuffo al cuore ritrovare le tracce del passaggio di amici come Roby e Marco Bonamini. Una macchina del tempo fatta in casa ci permette ogni volta il restauro conservativo di memoria e itinerari. Il patrimonio archeologico è enorme! Nuovi cordoni eco-compatibili, garantiscono ancora una sicurezza aleatoria e un sapore pionieristico tipico degli anni ‘80. Moderni spezzoni in kevlar rivitalizzano clessidre generose come un amico nel momento del bisogno. Nella speranza insomma di una fedele “riproposizione filologica” delle scalate che furono. Basta poco per riaccendere la corsa all’oro.

Pelavet, 9 maggio 1993, sopra alla Portella della Ginestra, Piana degli Albanesi. Da sinistra, Isabella Anastasi, Luigi Cutietta e Roby Manfrè.

In definitiva, quasi senza accorgercene, spesso abbiamo fatto proprio ciò che era auspicato nel libro da cui siamo partiti: la ri-creazione di una via avendone come misura il sudore e la fatica, brevi o lunghi che siano. Beh, un invito a nozze proprio qui al Sud “dove il clima ci infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi, sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle nostre teste… da noi si può dire nevica fuoco come sulle città maledette della Bibbia”. Paradossalmente il caldo non è più un impedimento ma anzi, imprescindibile dai luoghi e direttamente dalle pagine del Gattopardo, regala all’arrampicata la sua legittimazione epica, l’enfasi di cui si nutre. Nonché titoli arguti come Agosto arrosto o Mezzogiorno di cuoco. C’è solo un piccolo dettaglio: da maggio a settembre, quando c’imbarchiamo nelle “estive” (cugine meridionali delle ben più note “invernali”), c’è il rischio di diventare un po’ “nervosetti”. Che ci facciamo qui tra fichi d’india e cicale impazzite? Sorella Africa è tornata per le vacanze! Una volta incappati nella canicola è inevitabile cuocere a fuoco lento e perdere l’equilibrio… idrosalino. Cresce allora uno spirito di sopportazione degno dei Malavoglia mentre, colti di sorpresa dall’ipotensione, un giallo insolente ci rende più lenti e vulnerabili. Addio guizzi fulminei, addio riserve di potassio. Al riparo tra gli ultimi scampoli d’ombra solo gli ignifughi sopravvivono stoici. Il mio regno per una lemonsoda!

Non a caso l’ultima nata si chiama Afa-fa. Palindromo visionario che in apertura m’è costato un brutto volo ma che alla fine – viva l’immodestia – brilla tra le pieghe scabrose di Valdesi; ovvero nel nostro terreno di gioco prediletto, teatro quotidiano di piccole grandi imprese. “Valdesisti di tutto il mondo unitevi” esortava il mio amico Gabriele Vaccaro.

Già nel 1945 Bonaventura Tecchi, ufficiale della censura militare di stanza a Palermo, nel suo L’isola appassionata, ebbe a scrivere che «chi non ha visto, specie verso sera, il colore dell’aria a Valdesi, la vibrazione, la luce sulle pendici di Monte Pellegrino, che in quella parte sono tutte rosse, con l’argento degli olivi nella piana sottostante, il grigio-perla del mare, il cinereo di Monte Gallo dalla parte opposta, non ha visto, io credo, la luce più bella del mondo. Luce nitida, sveglia eppur non crudele… luce calma, ferma, d’una virile, umana dolcezza».

Monte Circeo, 16 ottobre 1994. Da sinistra, Fabrice Calabrese, Luigi Cutietta, Chiara Cianciolo, Tonino Paladino, Davide Ruvolo e Isabella Anastasi.
 

È li, nel giardino di casa, che periodicamente tornano uomini dalla tuta sdrucita o in calzamaglia variopinta. Pressoché in controtendenza sono fiorite nuove vie rigorosamente old style come Ubi maior o Roof garden. Viaggiano tra il V e il VI tra clessidre nascoste e fessure indifese per una recrudescenza motoria possibile. Un investimento per la vecchiaia, un segnale in bilico tra obsolescenza fisica e ostinazione mentale. Per rendere insomma più accettabile l’età che avanza. Maggiore esperienza ma minor prestanza e in più una discreta panza. Con la maturità arriva infatti quest’odiosa “discrepanza”! Ma ho anche la remota speranza che queste vie dal gusto retrò siano idealmente affiancate alle classicissime Cristalli e Clessidre magari in una futuribile riedizione di Mezzogiorno di Pietra trenta anni dopo.

Luigi Cutietta a Palermo, Tavola rotonda per la presentazione del numero speciale di di Alp sulla Sicilia, 4 novembre 2006

La meraviglia di allora si è evoluta ma sostanzialmente non è cambiata. Il gioco tattile, visivo, motorio è rimasto quello di sempre. Per questo, parafrasando una vecchia canzone di Jacques Brel, mi piace pensare che arrampicare, oggi come ieri, consente che il corpo esulti ma c’è voluto del talento per non diventare adulti.

Musica maestro. Pronti per un altro giro di valzer?!

*Luigi Cutietta è nato a Carini (PA) il 21 aprile 1967, di professione medico.

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Un sottobosco di istintivi ultima modifica: 2022-09-25T05:34:00+02:00 da GognaBlog

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2 pensieri su “Un sottobosco di istintivi”

  1. Molto calzante alla tradizione lessicale dei meravigliosi luoghi dove il tempo futuro indicativo non esiste. Stuzzichi ricordi e fantasie e anche impossibili infantili progetti. Un abbraccio.

  2. Bella Luigi. Come invecchiare restando giovani. Sarò a San Vito tra il 6 e il 10 ottobre. Fatti (fatevi) vivo(i) se puoi (potete).

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