Una normale uscita del corso

Torre Castello e Rocca Provenzale sono belle guglie di quarzite sulle quali tante volte sono andato ad arrampicare. Sullo Chambeyron, ancora più sopra, non ci ho mai messo piede, ma tanto tempo fa ero stato partecipe di un’uscita del corso di scialpinismo della Sezione Ligure del CAI: nel programma figurava la salita della Cima Sautron. Stiamo parlando del 1965 e, dati i 50 anni passati, per non correre il rischio di raccontare cose distorte dal tempo, sono andato a rileggermi i vecchi diari, allo scopo di riferire come una gita, che doveva essere una lezione di corso, un momento di aggregazione (gita sociale) e in definitiva, un’esperienza, si rivelò invece un disastro di disorganizzazione personale nel quale trionfò un generale spirito di competizione del “tutti contro tutti” ed annegò miseramente ogni tentativo di esperienza.

Oggi penso che le competizioni, ma anche le corse non competitive, distolgono dal sentire la natura e l’ambiente che ci circondano. La serie di sguardi all’orologio ne è la dimostrazione più evidente. La maggior parte pensa che le corse tra amici o altre manifestazioni simili siano più giustificate e accettabili di altri agonismi perché, almeno per una parte di partecipanti, favoriscono il piacere dell’agire insieme. C’è differenza tra una partitella di calcio parrocchiale e una qualificazione nazionale. Ho sempre rifuggito qualunque competizione e ritengo che le gare siano dannose all’ambiente, perché la montagna si relega sullo sfondo. La maggior parte della gente vede la montagna come teatro di ambizione: lo so bene, perché era così anche per me. Agli ambiziosi è possibile ritagliarsi uno spazio con la ricerca, l’esplorazione, la conquista personale; mentre i meno dotati di fantasia non trovano più “novità” e quindi esauriscono i protagonismi nella competizione. Tutti siamo competitivi, ancor più i giovani con qualcosa dentro. Non mi sembra di aver mai posto la montagna sullo sfondo, l’ho sempre voluta al mio fianco come compagna ideale, anche nei momenti più competitivi. Credo anche che occorra lasciar fare, condannando gli eccessi organizzativi di qualche manifestazione e limitandoci a dare il nostro esempio. Chi sa di essere nel giusto deve guardarsi dal passare per fanatico.

A riprova di quanto dico, ecco il racconto originale di quella giornata (4 aprile 1965):

Una normale uscita del corso (AG 1965-005)
(dal mio diario)
Dopo un bel bivacco (si fa per dire) nella macchina di Gianni Calcagno, sulla piazzetta di Acceglio in Val Maira, anch’io son pronto a partire con gli altri, usciti freschi freschi dall’albergo. E così in breve siamo al Lago del Saretto. Dopo veloci preparativi, nonostante il numero dei partecipanti a questa uscita del corso di scialpinismo, ecco che i primi si muovono, infreddoliti. Gianni e Lino Calcagno vanno con Maria Grazia alla Rocca Castello, noi con gli sci cerchiamo di raggiungere Giuseppino Grisoni, Carlo Morozzo e Giovanni Scabbia che, partiti primi, stanno già filando come treni. Sono solo e mi concentro nello sforzo di raggiungerli.

Monte Viraysse, canalino nord-est
NormaleUscitaCorso-20080406191210

 

La giornata è splendida e si conferma sempre più tale di mano in mano che si sale verso il Colle Sautron. Questa uscita di corso, che è anche gita sociale, presto diventa una specie di gara. Ci sono tutti, gli atleti dello sci in salita della Sezione Ligure: Stefano Revello detto Marno, Antonio Cevasco, Giorgio Vassallo e Dino Romano. Per un momento m’illudo di poter, per un giorno, far parte della crema, poi mi devo arrendere di fronte al mio equipaggiamento raccogliticcio. Il cinghino delle pelli si rompe, non riesco più a stare al passo degli altri, mi devo fermare a confezionare con un po’ di spago una riparazione malfatta che durerà poco. Mi fermo ancora, rabbiosamente inveisco contro la mia cronica mancanza di denaro, il non poter essere dotato di un equipaggiamento come gli altri. Con le mani ghiacciate riparo ancora le mie povere cose, poi rialzo la testa e vedo gli amici così lontani da perdere ogni speranza. Al Colle Sautron arrivo quinto. Dietro è una serie sgranata di gruppetti, gli ultimi davvero allo sbando. Non sembra proprio l’uscita di un corso serio.

Non posso più proseguire con gli sci. Cerco di convincere i nuovi arrivati a proseguire a piedi, cerco di dimostrare loro che non si sfonda molto. In realtà mi stavo inserendo, senza volerlo, nella lotta interiore che ciascuno di loro stava affrontando. Continuare o no? Solo quel pazzo di Gogna può pensare di salire a piedi. Intanto i più decisi erano partiti. Scabbia, Marno, Grisoni, Vassallo, Romano e Cevasco. La mia idea di andare a piedi prende un risvolto imprevisto, il cambio di meta: Rita Corsi e Carlo Morozzo decidono di salire sul monte di fronte, il Viraysse. Renzo Conte e altri quattro o cinque scenderanno subito. Gianni e Margherita Pàstine, con altri allievi, affrontano anche loro il canale di neve del Viraysse, non senza difficoltà. Io sono arrabbiatissimo, perché invece di salire alla Cima Sautron di 3166 m devo accontentarmi del Viraysse 2838 m. Per colpa di quelli che hanno preferito salire in sci! Preso da questo velenoso sentimento di impotenza, non mi accorgo neanche di raggiungere la vetta del povero Viraysse.

Tornati al colle, subito dopo scendo a stem e spazzaneve, insieme con Rita e Carlo, nel vallone, lungo, meraviglioso e su una neve magnifica. Cado più volte, ma non me la prendo. Sono qui per imparare. Ormai è passato mezzogiorno da un pezzo, siamo a quota più bassa e la neve di colpo cambia consistenza, gli sci affondano. Tutte le volte che cerco di voltare rischio di cascare con la faccia nella neve. Anche gli altri però ogni tanto si trovano sprofondati fino al collo. Mal comune mezzo gaudio.

Giunti al lago, ci riposiamo al sole. Ho i piedi doloranti, non vedevo l’ora di togliermi gli scarponi. I momenti belli dello scialpinismo sono pochi, pensavo. Mi consolavo pensando che quelli che dovevano scendere dalla Sautron avrebbero trovato condizioni ancora peggiori.

In attesa di Gianni, mi arrampico sui sassi circostanti con gli scarponi a punta quadrata. Poi finalmente scendiamo tutti ad Acceglio. Doveva essere la penultima uscita del corso, invece sarà l’ultima. Ormai i nomi da diplomare sono stati decisi: tra gli esclusi, Dellepiane, Martini, Fogliati, Fascioli ed un altro… Così i diplomati siamo Romano, Scabbia, Bisio ed io.

Una delle prossime sere a Genova ci sarà la consegna dei diplomi con tutte le formalità del caso, nonché la proiezione del filmino e delle diapositive del corso. Non diventerò mai uno sciatore bravo.

 

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Una normale uscita del corso ultima modifica: 2015-09-28T06:00:02+02:00 da GognaBlog

1 commento su “Una normale uscita del corso”

  1. Condivido appieno le valutazioni negative sull’agonismo in montagna, ma per me è più facile visto che, diversamente da Gogna, non sono mai stato un vincente. Ciao Ivan (Sandro si ricorda di me come lo “sfigato” del bivacco invernale Brentei, 1968)

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