Metadiario– 56 – L’uragano Antoinette (AG 1974 006)
Con i nostri vicini di casa Walter e Mila Gandini, Nella ed io facciamo vita sociale, più del solito. Un giorno (30 giugno 1974) portiamo Walter, assieme a Gilberto Sambin e Roberto Orlandi alla cresta Ongania del Zucco di Pesciola, una facile e classica arrampicata dalle parti dei Piani di Bobbio. Riscesi nel vallone, vado con Nella alla ricerca della via Castiglioni sullo Zucco di Campelli, ma dopo qualche ricerca già su terreno roccioso rinunciamo. La giornata non si conclude lì, andiamo ai Piani Resinelli dove incontriamo gli amici Ettore Pagani e Luciano Tenderini, con i quali saliamo lo spigolo nord del Nibbio. Roberto Orlandi ci sta prendendo gusto, dunque viene con noi, assieme a Italo Maccagnan.
Nel frattempo mi sono accordato con l’editore Tamari per realizzare una guida escursionistica in due volumi, Valmalenco I e II, il gruppo del Disgrazia e quello del Bernina, dunque c’è bisogno di fare alcune uscite fotografiche. Il 2 luglio, per fotografare il versante settentrionale del Monte Disgrazia, vado da solo al rifugio Porro e poi sul Torrione Porro, mentre il giorno dopo salgo in cima al Sasso Nero 2917 m.
Per il nostro amico neofita Roberto Orlandi è quasi obbligatorio che lo portiamo a fare qualcosa in alta montagna. Scegliamo il rifugio Monzino, dove andiamo a dormire la sera del 6 luglio. Con me, Nella e Roberto sono anche Carlo Mozzati ed Ettore Pagani. Il giorno tutti assieme saliamo la via normale (parete sud-ovest e cresta sud) dell’Aiguille Croux, una salita facile ma giusta giusta per l’amico Roberto che, non ancora fumatore incallito, a un certo punto sbotta: “Ma possibile che io stia morendo perché mi manca il fiato e voi continuate a parlare come se niente fosse? Ma come cazzo fate?”.
Il 9 luglio inizio con Nella e Skippy una delle più belle gite, anche questa con lo scopo di fotografare le montagne per la guida Valmalenco. Partiti da Franscia, alla sera siamo a cena e poi a dormire al rifugio Marinelli. Il giorno dopo saliamo legati in cordata il nevoso canalone sud-ovest della Forcola di Cresta Guzza. La neve è in buone condizioni, dura ma non troppo. La Skippy, sfruttando le tracce delle punte dei nostri ramponi, sale facilmente dietro di noi! Ero pronto a legare anche lei, ma non c’era assolutamente bisogno. Giunti all’intaglio raggiungiamo in breve la capanna Marco e Rosa. Dopo una breve sosta, continuiamo per la vetta del Bernina, ma giunti in vetta alla cima italiana del Pizzo Bernina 4021 m Nella è un po’ stanca, così decidiamo di non proseguire. Forse anche la Skippy ringrazia. Del resto ho fatto tutte le foto di cui avevo bisogno, non c’è alcuna necessità di raggiungere la non lontana vetta. Inizia quindi la discesa. Dalla Marco e Rosa decidiamo di scendere per la via ferrata, così mi metto la Skippy nello zaino e in tutta tranquillità raggiungiamo la Marinelli e quindi ancora Franscia e l’auto.
Il lavoro per la guida non mi permette di pensare a chissà quali progetti, così rimando ancora quella solitaria alla via Bramani-Castiglioni alla Nord-ovest del Pizzo Badile. Francamente non mi sento pronto. Il 13 luglio salgo con Ettore Pagani la via Boga al Nibbio,il 14 con Aldo Anghileri ci bruciamo in tre quarti d’ora la via Gandini al Torrione del Cinquantenario. Con qualche difficoltà per la mancanza a quel tempo dei cellulari, ma alla fine riesco a far venire da Trieste in visita lecchese nientemeno che Flavio Ghio. Il 18 luglio, con lui, con l’amico svizzero Pierre Biedermann e con Aldo saliamo in 5 ore la via Gogna-Cerruti alla Corna di Medale, ovviamente compreso lo zoccolo.
Alla sera torno a casa in via Volta. Nella non c’è, partita per andare al mare non ricordo più dove. Ho giusto il tempo per lavarmi e per fiondarmi a cena dagli amici Lorenzo Marimonti e Antonella Rapetti, che ora abitano nella casa di via Castelfidardo 8 dove avevo vissuto per nove mesi con Leo e Claudio. Antonella mi ha appena aperto la porta, la sto salutando, quando ecco uscire dal bagno una ragazza nuda che vedendomi si affretta (ma troppo tardi) a coprirsi con l’asciugamani, ridendo e scappando via. Come inizio serata non c’è male. Mentre lei si riveste in quella che era la camera di Claudio, Antonella ed io ridiamo come dei pazzi. Antoinette Blondel, di origini valdesi, è una parigina bellissima. Quando mi viene presentata, sempre ridendo per via dell’episodio di prima, sono immediatamente stregato da quegli occhi verdi stupendi. Con il mio francese un po’ maccheronico non faccio fatica a farmi capire, sono letteralmente sedotto da questa ragazza, così le dico francamente che non avevo mai visto due occhi così (anche se comunque il resto non era da meno). “Les yeux sont mon capital…”, mi sorride.
Sono passati troppi anni per ricordarmi i particolari di quella cena pazzesca, ma ho ben presenti le linee generali, dove vengo a sapere che è sposata con due figli ma vive separata. Ridiamo, scherziamo, non accusiamo alcun caldo anche se è una notte torrida, beviamo vino alla grande, nessuno dei quattro si tira indietro, scopro che sa anche parlare un discreto italiano. Ovviamente è previsto che Antoinette rimanga a dormire lì, mentre non è previsto che lo faccia io. Ma c’è ancora il mio vecchio letto, nella stanza tra la sua e l’ingresso. Sono le due di notte passate, chiedo ad Antonella il permesso di fermarmi. Mi trafigge con uno sguardo furbo e, sorniona, diventa mia complice. Entrambi sappiamo come andrà a finire: ci sentiamo già in colpa per via di Nella (la sua migliore amica). Entrambi sappiamo che forse c’è dell’altro, per esempio che Antonella possa/voglia essere al posto di Antoinette… so dei problemi tra Antonella e Lorenzo.
Separati nelle nostre stanzette, dopo una decina di minuti noto, grazie alla porta con vetro opalino, che Antoinette sta tenendo la luce accesa. Sono in jeans, a torso e piedi nudi. Decido che è il momento, vado a bussare. Una voce calda, come già sapesse, m’invita a entrare “Viens, Alexandrò!”, con l’unica “erre” del mio nome ben arrotata.
E’ in slip e t-shirt, mi siedo sul letto accanto a lei.
Alle nove di mattina, dopo una notte completamente insonne, giunge il momento della separazione. E’ venerdì 19 luglio, lei deve andare a Chamonix, dal marito credo, ma poi mi lascia intendere che può tornare, probabilmente già sabato in serata. Trascorro due giorni in assoluta trance, in attesa di una telefonata che finalmente arriva. Appuntamento domenica mattina, in Valle d’Aosta, non si sa dove, me lo dirà con un’altra chiamata.
Domenica mattina presto, con la mia BMW rossa, mi reco con lo sguardo fisso al nastro autostradale fino al motel nei pressi di Aosta dove lei è arrivata ieri sera a mezzanotte. La faccio chiamare dalla reception, lei scende con il suo piccolo bagaglio. Dopo una prima mezz’ora al bar, tra baci e affettuosità, decidiamo di dirigere verso Pont Valsavarenche. Da lì saliamo al rifugio Vittorio Emanuele. Non aveva mai passato una notte in rifugio, così questa è per lei la prima volta. Il mattino dopo non abbiamo alcuna voglia, né possibilità per via delle sue scarpe non adatte alla neve, di salire al Gran Paradiso. Così rientriamo con calma e tra gli stambecchi che ci pascolano accanto. A Pont troviamo un angolino dove stare un po’ appartati prima di mangiare qualcosa. Mi rendo conto che il mio essere preso da lei è fuori controllo, e nello stesso tempo intuisco che probabilmente per Antoinette è lo stesso. Naturalmente ci raccontiamo anche le nostre vite, con sguardi adoranti. Alla fine decidiamo di tornare a Milano, senza avvisare Antonella. Dopo cena, la porto a casa mia, incurante del fatto che questo possa costituire ulteriore affronto e dispregio nei confronti di Nella. La quale naturalmente, al suo ritorno giorni dopo, scoprirà la mia tresca proprio da alcuni piccoli particolari sulle lenzuola usate.
La mattina dopo, 23 luglio, partiamo per i Piani Resinelli. Le ho procurato un imbrago, perciò la porto al Nibbio, prima sul Camino Mosca e poi sullo Spigolo nord. A metà pomeriggio andiamo al rifugio Alippi, dove subito saluto l’amico Gigi. E’ un posto tranquillo, un po’ distanziato dal casino dei Resinelli. Gigi, che mi vede con cotanta bellezza, non fa storie e mi concede la stanzetta migliore del suo alberghetto. Antoinette è radiosa, con i suoi pantaloni alla marinara. Temevo un po’ di disagio con Gigi, invece tutto fila liscio nelle ore di fine pomeriggio, all’aperitivo, alla cena, al successivo ritiro in stanza. Prima di addormentarci sfiniti, rifletto sulla mia condizione: ma continuo a non considerare neppure per un momento la possibilità che tutto questo sia portatore di grandi casini con Nella.
La mattina del 24, con un bel tempo memorabile, ci avviamo lungo la Direttissima: la porto in vetta al Campaniletto, poi al Fungo (per la via normale, che ha un passaggio decisamente esposto). Dopo l’emozionante discesa a corda doppia saliamo ancora la via Accademici al Lancia, prima di scendere al rifugio Alippi, fare merenda, con successivo altro ritiro in stanza e cena. Le faccio i complimenti per quanto è stata brava (lo è stata davvero, si è mossa sempre bene e senza paura); poi le dico che credo di amarla. Non dimenticherò mai i suoi occhi e le sue labbra che mi rispondono la stessa cosa. Mi sembra di essere in paradiso.
Il giorno dopo la porto ai Torrioni Magnaghi, prima per la via Albertini, poi per il passaggino, infine per la via Lecco. Proseguiamo per la cresta Sinigaglia fino alla vetta della Grignetta, da cui scendiamo velocemente al rifugio Alippi.
Purtroppo, dopo un’altra notte passata a casa, la mattina dopo Antoinette deve ripartire. La prego, la scongiuro di non farlo, lei mi risponde che deve farlo, ha preso degli impegni. Le chiedo se posso rintracciarla, e lei mi dà una traccia alla quale mi aggrappo.
Nel frattempo ritorna Nella che, come dicevo, non ci mette molto tempo a capire quello che era successo. Io nego l’evidenza, mi ostino a mentire, anche perché aspetto con impazienza di ripartire, seguendo la traccia che mi ha dato Antoinette.
Il 28 luglio parto da Milano. A Nella dico che vado a fare una ricognizione sulla parete nord-ovest del Pizzo Badile: invece dirigo la BMW verso Torino, poi in val Pellice. Con l’auto risalgo tutta la valle dei Carbonieri fino ad arrivare al rifugio Barbara 1753 m. La mia speranza è di trovare Antoinette e i suoi amici proprio qui. Ma non ci sono, e la custode non mi sa dire nulla. Le possibilità erano due: o qui o al rifugio Granero. Non ci penso due volte e mi metto a correre verso il colle Manzol 2663 m; da lì scendo a rotta di collo verso il rifugio Granero ma poco dopo, allorché sono nei paraggi del lago Nero, vedo quattro escursionisti da lontano: sono loro, riconosco il colore della camicetta di Antoinette. Piombo in mezzo al gruppo, mi bacio con Antoinette fregandomene altamente di eventuali rivali (che scoprirò con sollievo non esserci affatto). Ho l’adrenalina a mille, ho il timore di essere incomodo: in realtà sono emozionati anche loro da questo incontro imprevisto tra le alte montagne piemontesi. La loro meta era il colle, ma non faccio fatica a convincerli di tornare con me al rifugio Barbara. Però è necessario che prendano con sé della roba che avevano lasciato al rifugio Jervis, quindi scendiamo assieme al rifugio Granero 2356 m e poi al rifugio Jervis 1732 m. Ormai amiconi, risaliamo adesso la strada militare che porta al colle del Baracun (o col Barant) 2373 m; in discesa uno di loro (non ricordo il nome) mi fa vedere come si fa a passare attraverso i cespugli di ortiche in braghe corte e senza danni. Arriviamo al rifugio Barbara quasi al buio. Cena e chiacchiere divertenti, allusioni (C’est ça l’amour…), disappunto per non poter giacere assieme.
Il giorno dopo, mio compleanno, scendiamo a valle in cinque sulla mia auto e li accompagno a riprendere il loro mezzo nella valle del rifugio Jervis. Quando ci accomiatiamo, accanto alla delusione per la mancanza di sesso, c’è la felicità di essersi rivisti, e a quel modo. Ormai so che prima o poi con Nella dovrò vuotare il sacco, quindi le do il permesso di chiamarmi al mio numero di telefono di casa; lei mi dà il suo di Luserna san Giovanni, ma mi avvisa che non starà lì per molto.
Nel corso dei giorni seguenti ha luogo un interrogatorio senza precedenti, alla fine del quale cedo senza riserve e mi abbandono (come una liberazione) alla confessione di tutti i miei “peccati”. Se voglio essere perdonato devo andare ben oltre l’ultima trasgressione, devo raccontarle anche ciò che proprio non aveva intuito e presentarle perciò un quadro più reale di quanto si aspettasse dei sei anni della nostra storia. Sono lucido mentre racconto, faccio nomi e cognomi, distinguo tra “botta e via” e incontri reiterati. La sua reazione è un bilanciamento tra il dolore dell’apprendere le verità e la soddisfazione di vedere i propri sospetti finalmente confermati. Insomma, una settimana d’inferno, coinvolta e anche poi stramaledetta Antonella, minacce di separazione immediata, pianti disperati. Desiderio tutto femminile di conoscere “quella gran puttana”, di sapere con chi si ha a che fare.
La sera della domenica 4 agosto ricevo la telefonata di Antoinette: la prego di richiamarmi due ore più tardi, perché nel frattempo mi viene la pazza idea di far incontrare le due rivali. Ne parlo con Nella, che è così furiosa e talmente curiosa di vederla che acconsente a questo incontro surreale. Quando Antoinette richiama lo propongo anche a lei. La sventurata accetta: forse per lo stesso motivo, la curiosità. Io invece, sotto sotto, spero che la conoscenza favorisca una stima e una sopportazione reciproca: il mondo non funziona così, ma io non lo so ancora. O, se lo so, tendo a dimenticarmene.
Il 6 agosto Antoinette arriva in treno a Milano, noi andiamo a prenderla e partiamo subito per la Valtellina. Ho prenotato per tre al rifugio Ponti, dove saliremo a piedi questa sera. In auto, l’atmosfera è così pesante che la tensione si può tagliare con il coltello. Non ho ricordi così nitidi di quell’infausto pomeriggio, non ricordo dialoghi particolari. Si parla però, meglio parlare che il silenzio terrificante. Al rifugio Nella mi prende un momento da parte e con l’aria seria delle grandi occasioni mi comunica che ho trovato una donna magnifica, che però sa quello che vuole e non guarda in faccia nessuno. Lei non ha intenzione di competere, quindi mi lascia campo libero. Per fortuna riesco a non credere neppure a una parola di quanto mi va dicendo: questa è solo tattica di guerra. Una provocazione. Ricordo anche un momento particolare di fine serata, prima di andare a dormire nello stesso camerone: mi incontro in un sottoscala con Antoinette e ci abbandoniamo a un lungo bacio rotto di emozione. Il giorno dopo, fatta colazione, cerchiamo svago nei bellissimi dintorni del rifugio alle pendici del Disgrazia (altre foto per la mia guida…), ma poi la sensazione che siamo al capolinea riesce a invadere tutti e tre. Così scendiamo alla macchina e poi torniamo a Milano. Le reciproche promesse di rivedersi sono pura fantasia diplomatica: Antoinette mi conferma che deve andare a St-Tropez, dunque riusciamo a pianificare di nascosto un appuntamento per il 19 agosto al casello autostradale di Ceva, dalle parti delle Alpi Liguri (dove io ho in programma di realizzare un’altra guida escursionistica, che però in effetti non farò mai).
Nei giorni seguenti viviamo tristemente alla giornata vite separate. Con degli amici di Lorenzo Marimonti, Carlina, Mario Perazzi e altri il 14 agosto faccio una gitarella al colletto delle Pisse (Alagna Valsesia) e il giorno dopo un’escursione un po’ più consistente nella valle d’Otro con gli stessi compagni. Sono triste, il mondo mi sembra mi stia crollando addosso, eppure vivo solo in attesa del mio prossimo incontro con Antoinette. Un virus al massimo. Il 18 agosto parto da Milano alla mattina prestissimo e mi dirigo alla base del mio Scarason, al rifugio Garelli e poi ancora alla Porta Sestrera, sempre per scattare fotografie. Poi riscendo, dormo in macchina e infine mi dispongo ad aspettare l’oggetto del mio desiderio al casello autostradale di Ceva: che non si fa aspettare molto, per fortuna. E’ un fiore, un’abbronzatura strepitosa, sento che devo averla subito, cerco un angolo appartato vicino a un corso d’acqua, e nel caldo di quell’afoso primo pomeriggio sfogo con dolce rabbia l’essere stato separato da lei per tutti quei giorni. Quando si dice essere una cosa sola. Ritornati alle macchine, cominciamo a raccontarci quanto ci siamo pensati, quanto ci siamo desiderati. Dopo aver posteggiato la sua auto non ricordo più dove, ci avviamo verso Rastello e al successivo Ponte Murato. L’intenzione è di salire la valle del torrente Ellero fino al rifugio Havis De Giorgio. Fa caldo, sentiamo tra noi una tensione che non si può rimandare: dopo circa un’ora di cammino, ancora ben lontani dal rifugio, ci fermiamo in un angolino riposto e facciamo l’amore da fuori di testa, come se non ci fosse alcun domani, accanto al torrente, nella sabbia. Dopo esserci rinfrescati e ripuliti nell’acqua, riprendiamo la marcia, fermandoci spesso a baciarci e a dirci cose da innamorati persi. Ed è quasi con disappunto che arriviamo al rifugio: sappiamo di non essere più soli. Per fortuna però, di questa stagione e con questo caldo, l’Havis De Giorgio non è una meta così frequentata. Non c’è nessuno oltre alla custode. Questa, gentilissima, ci dà una bella stanzetta, che noi usiamo immediatamente per un’altra frazione di sesso sfrenato che ha termine solo per cena. La notte che segue la ricorderò per sempre, storditi di sesso e di vino, nel tentativo di non fare eccessivo rumore.
Nel frattempo Nella, a casa, mi scrive questa lettera:
“18 agosto, domenica. Penso che il tuo moto di ribellione su tutta la linea sia dovuto a un solo fatto: che sei ‘diventato grande’, ti sei fatto uomo, hai acquistato fiducia in te stesso, consapevolezza della tua indipendenza morale, per cui non hai più bisogno di realizzarti attraverso la montagna né attraverso una donna fissa che ti dava sicurezza, che rappresentava un punto fisso cui riferirsi in ogni momento. Dico tutto questo senza rancore, se tornassi indietro lo rifarei, in fondo ti sono stata utile ed è sempre bello sapere di essere serviti a qualcuno. Mi sento un po’ come una mamma il cui figlio sia maturo per seguire la sua strada: non è certo tardi cominciare a 28 anni. Quanto a me, sai bene che non ho avuto mai la vocazione della moglie, ma semmai quella della compagna e troverò anch’io la mia strada. La cosa non mi spaventa. Ci vedremo, usciremo a cena assieme, andremo al cinema e faremo l’amore che con te mi piace sempre tanto. E quando saremo stufi finiremo anche di vederci, questa volta senza drammi. Scusami se ne ho fatti, ma è stata una cosa troppo violenta. E di questo solo ti rimprovero, di non avermi detto niente prima. Per tutto il resto, no problems.
20 agosto. Questo ti scrivevo domenica sera. Ora che sono convinta che ancora una volta non sei stato capace di essere sincero, non ne voglio più sapere niente. Sono sicura che ti sei incontrato con Antoinette al colle di Tenda, o in Francia o chissà dove. Potevi dirmelo, ma l’onestà non è il tuo forte. Vorrei non vederti più”.
Il mattino dopo saliamo, del tutto pigri e stonati, alla Cima Seirasso 2435 m, ma il tempo è afoso, l’assoluta mancanza di nitidezza dell’aria mi costringe a fare solo poche foto, del tutto inservibili. Inoltre sento che con lei siamo arrivati a un punto in cui occorre prendere delle decisioni, c’è qualcosa di non ancora detto da parte mia. In effetti mi sento male al pensiero di troncare, anche perché non sono così sicuro che sia la scelta giusta. Lei sente d’essere appesa a un filo e che questa storia, pur bellissima, forse sta per finire. Con le due auto andiamo assieme fino a Luserna san Giovanni, dove a poche decine di metri da casa sua avviene l’addio più straziante. Piangiamo entrambi come bambini: in auto da solo verso Milano continuo a piangere.
La separazione è dolorosa, ma il rientro a casa è anche peggio. Oggi, a testimonianza dell’ormai lontana sofferenza, oltre alla lettera, trovo anche che sul diario delle mie salite, in corrispondenza di quelle fatte con Antoinette, una Nella sarcastica aveva sovrascritto a matita su una pagina, “il piacere di vivere insieme, di fare le cose insieme, di costruire insieme” e sulla successiva “c’è sempre chi fa e chi disfa”.
La sbandata è stata forte e, come se l’auto fosse finita in un burrone, il suo recupero si presenta lentissimo, a volte sembra impossibile. In un ultimo scampolo di vacanze a Courmayeur, assieme a Marina e ai bambini, tentiamo di suggellare un’intesa sull’Arête des Cosmiques all’Aiguille du Midi (6 settembre), noi due da soli, come pure in una bella gita al Col Ferret (7 settembre) e alla cresta nord-est delle Pyramides Calcaires, assieme a Walter Gandini e Roberto Orlandi (8 settembre).
In tutto ciò scrivo i capitoli che ancora mancano al mio primo libro autobiografico, Un alpinismo di ricerca. Questo lavoro mi assorbe parecchio e non ho voglia di andare in montagna con nessun altro che Nella. Ma l’unica uscita che facciamo è alla Palestra di Traversella, sulla via normale del Primo Salto, il 23 ottobre 1974.
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Bè, divertente, comunque… Ma come mai non c’è neanche una donna a commentare? 😉
Ciao Alessandro, bellissimo racconto che mi rivela cose che ovviamente non sapevo vista la mia età nel 1974 e che nessuno mi ha raccontato successivamente. Sperando di farti cosa utile ti segnalo un errore nelle didascalie di 3 foto. Nella foto di te in piedi con Michele nello zaino, di quella dove ci sono io e Michele seduti su una coperta davanti ad un rudere e di quella con Nella seduta con Michele nello zaino si legge “Vs le Pyramides Calcaires”. Mi par che quelle foto siano scattate in fondo alla Val Ferret, salendo al Colle. Quella con Nella seduta e’ stata scattata pochi metri sotto la cima, dietro Marina si vede il Mont Dolan. Le altre due sono state scattate un po’ piu’ in basso, piu’ o meno a metà strada tra il rif. Elena e il colle, dove c’e’ il bivio per il col du Ban Darray. Forse mi sbaglio ma mi par di riconoscere quei posti.
Ti saluto, alla prossima, Paolo
Ciao Alessandro, bellissimo racconto che mi rivela cose che ovviamente non sapevo vista la mia età nel 1974 e che nessuno mi ha raccontato successivamente.
Stamattina ho risposto, come ora rispondo a te. Diritto di replica è sacrosanto. Ciao!
“Ma terminiamola qui, state divagando”
Stiamo, Crovella, stiamo, non state: hai appena finito di parlare di rugby e sindacati, che con una vita d’alpinismo c’entrano poco…
Non è nemmeno autocritica, è cercare un minimo di obbiettività e misura.
Prova qualche volta, non fa male, anzi, ed è sabaudamente corretto!
Carino anche Napalm, lo aggiungo alla lista. Però state andando fuori tema, rispetto all’articolo di Gogna. Racconto solo più questo aneddoto che mi è venuto in mente poco fa, è carino. Un mio interlocutore in una aspra trattativa sindacale (io rappresentavo l’azienda, che, manco a dirlo, ha sfiancato la controparte) alla fine mi ha chiamato Pilone centrale. Siccome quel signore non praticava l’alpinismo, non riuscivo a capire a cosa si riferisse. Poi, chiacchierando con altri, ho scoperto che suo figlio giocava a rugby: se non erro il pilone centrale è quello che sta al centro del terzetto di prima linea della mischia. E’ quello su cui si basa la capacità dell’intero pacchetto di “spingere” e far arretrare il pacchetto di mischia avversario. Ma terminiamola qui, state divagando su temi (compresa la simpatia o meno di certo Crovella) che non c’entrano un piffero con l’articolo di Gogna. Il mio accenno di ieri sera all’amico Pasini era in risposta ad un suo desiderio di leggerezza. Comprensibile, ma il clima che ci circonda è severo: l’altra sera a Torino centro sembrava di essere in guerra, l’ho visto con i miei occhi (è ben vero che i protagonisti sono i professionisti della guerriglia che si inseriscono nelle proteste legittime e pacifiche, ma il clima generale – Covid e crisi economica – si traduce in proteste legittime e queste offre opportunità ai professionisti per esprimersi). Nessuno poteva saperlo, quando è stata programmata la pubblicazione dell’articolo in questione, che si sarebbe inserito in questa fase molto drammatica. Circa il tema rassicuro il Professore che io non ho nulla di pruriginoso proprio perché ho l’esistenza talmente piena che non avrei tempo (mentale prima ancora che logistico) per diversivi, neppure quelli fugaci sotto la scrivania di un ufficio. Non mi lamento affatto, anzi sono contentissimo che sia così: i miei interessi sono così numerosi e intensi che passioni umane manco mi passano per l’anticamera del cervello. Ho avuto la fortuna di incontrare una moglie che la pensa nello stesso modo, per cui sono anzi siamo a puntino. E’ una vera fortuna, credetemi: io sono convinto che situazioni come quelle raccontate siano principalmente fonti di grane, problemi, discussioni, litigi, scelte dolorose…alla fine la paghi con gli interessi. La vita offre talmente tante cose belle e intriganti (a iniziare dalla lettura di numerosi quotidiani, magari in un bel caffè torinese) che, se si possono evitare le grane, io preferisco. Però a volte è il destino che sceglie per gli essere umani. A me non è capitato. Ciao!
Sarà meglio lasciare perdere la Crovelliadi. Ogni botte dà il vino che ha
Dimenticavo di citare che Crovella legge (col suo occhio di falco) almeno una dozzina di quotidiani. Supposto che un paio d’ore le dormirà e qualche minuto lo dedicherà pure alla famiglia, concludo che prenda tutti per sfinimento (infatti), dote che non considero positiva, ma vabbè. Il soprannome che simpaticamente propongo è Napalm!
Sig. Crovella, immagino che se avesse avuto un rapporto orale con una collega, per esempio, non lo avrebbe di certo confessato al Gognablog.
Carino, “Maglio”, lo metto nell’elenco dei soprannomi. Buona giornata a tutti!
Buongiorno Carlo Crovella, in Garfagnana direbbero che sei un Maglio, di quelli dei fabbri azionati ad acqua
Rassicuro tutti che non ho nessun problema di nessun tipo e che che sono così da sempre, questa è la mia personalità da che sono nato. Non a caso, in ambito professionale o paraprofessionale (es impegno politico/civico) in tutti questi decenni mi hanno soprannominato, di volta in volta, Katerpillar, Panzer division, Generale Patton, Tienammen e chissà quante altre definizioni che ora non ricordo. Però quelli che mi si contrapponevano, alla fine non sono più della partita. Schianto gli altri. Ricordo inoltre che l’art. 21 della Costituzione riconosce la libertà di espressione senza alcun limite né obbligo di alcun tipo (neppure quello di essere coerenti: costituzionalmente si è legittimati a dire oggi bianco e domani nero) , né impone di non avere difetti, fragilità o cose del genere ecc ecc ecc. Per quel che riguarda la sfera personale, sono sposato da 30 anni senza alcuna soluzione di continuità di nessun tipo. Non me ne vanto, per fortuna è andata così e mi considero molto fortunato. Buona giornata a tutti!
@25…viste le giornate descritte, a momenti parzialmente granitico deve esserlo stato!!
Non è che ora dobbiamo darci le martellate per non gioire di qualcosa che ci piace e diverte.
Crovella ci vuole tutti preoccupati (e chi non lo è?) e sabaudamente mesti. Sinceramente speravo restasse di là a lanciare i suoi anatemi ma è più forte di lui. Saluta, dice che ha finito e poi torna subito, ogni volta. Scrive 100 cartelle al giorno a pagamento, confeziona e distribuisce la spesa per gli anziani, cammina per 5 km ogni giorno, lavorerà pure, immagino, va in gita da solo, guida da solo, parla da solo e scrive fiumi di parole qui sgridandoci se non la pensiamo come lui. Interviene anche su argomenti che ritiene per poveri idioti come noi redarguendoci perché non gli diamo ragione nell’altro articolo. Dove peraltro ripete le stesse cose identiche da mesi.
Pant, pant, mi sa che il problema di Crovella sia…Crovella. Aaaagggghhh.
Carlo, sorridi. Anche tu avrai vissuto momenti di travolgente passione.
Ammettilo. Sono ricordi forti.
Sono certo che ne nascondi anche tu.
@23 comptendo e condivido il desiderio di “leggerezza”, ma purtroppo la realtà che in questi giorni ci circonda non e’ questa ma quella dell’altro dibattito. Bu9na setata a tutti!
Alessandro frequentava il granito ma non era granitico.
Non c’è nulla da fare. Mozart aveva ragione. L’amore è bricconcello. Le pene d’amore sono una gioia rispetto ad altre, anche se al momento si soffre e/o si fa soffrire. Anche il più austero/irsuto/mordace/ribelle /marmoreo/ anarchico arrampicatore si smolla e comincia a sognare o ricordare al suono della musica. Per fortuna. Questo post e gli outing inaspettati ad esso collegati, mi hanno tirato su il morale. La discussione su Totem e Tabù mi aveva estenuato. Adesso mi sento più allegro. Grazie a tutti.
Esageriamo! A scelta.
https://youtu.be/Fn7cC-HUNkI
https://youtu.be/C03l0H64Poo
Da leggere con sfondo musicale: Ti ricordi Michelle di Claudio Lolli.
Bello, bello, veramente bello! Mi ha fatto raggiungere l’ergastolo, più volte. Adesso si capisce perché le guide, a volte, sono piene zeppe di errori e lacune.
Roberto non mi fare più di quel che sono 😀 Potrei immediatamente scrivere cose di tenore opposto e triviale. Ma il post è proprio bello. E anche io ho avuto il mio uragano francese, una storia di analoga passione incontenibile. Forse è questo che rende questo racconto così coinvolgente per me.
E poi chi ha detto che non si beva qualcosa, prima o poi!
Mitico… mi riporta all’epoca aurea della “trilogia”, espressione della giornata ideale dell’alpinista semplice e di poche pretese: arrampicata, pizza e trombata.Alcune le varianti contemplate, compresa la prestigiosa “trilogia reale” (le tre attività portate a termine con tre ragazze diverse).
Secondo me questo articolo avrebbe dovuto avere un po’ più di foto ed essere messo in Climbing girls (nostalgiaaa!!!)
Oh Paolo Gallese! Amico di blog. Tu appartieni ad una specie rara, da tutelare. Idealista e incontaminato. Non ti conosco e probabilmente non ti incontrerò mai, ma ti stimo molto e ti voglio un gran bene.
Nei miei ricordi ci sono un paio di bei libri di Rolly Marchi in cui sesso e alpinismo si fondono e dichiarano a meraviglia. Uno s’intitola Le mani dure e l’altro non ricordo. Le Mani dure lo ricordo come molto bello.
La battuta mi è venuta spontanea quando ho letto di chi “scopriva” collegamenti tra sesso e montagna. Il sesso fa parte della vita di tutti, e quindi anche degli alpinisti. Anzi, credo che l’adrenalina sia strettamente collegata all’intensità e alla qualità del sesso. D’altronde, non neghiamocelo, non esiste nulla di meglio di una bella uscita nella natura seguita, o inframezzata, da una bella dose massiccia di sesso. Non dimentichiamo che siamo bestie. Ragionanti (neppure tutti), ma sempre bestie.
Che ci crediate o no, sono stato un sacco a domandarmi chi diavolo fosse il Caiano… L’ho pure cercato su Google…
Poi ho capito. Ahahahahahahah!!!!
Lavoro troppo, devo trombare di più.
Grande Marcello! Dalle stelle alle stalle; questa si che è la vita vera. Sulle pratiche sessuali del Caiano c’è un intero capitolo del famoso manuale di Master & .Johnson, la vera enciclopedia del sesso, superata solo dal manuale del padre Perico S.J destinato ai confessori che elenca le penitenze per tutte le pratiche sessuali che mi fu mostrato in gioventù da un amico gesuita poi fuggito dalla Compagnia per il solito, classico motivo😂
Il Caiano tromba solo di nascosto e solo al buio.
Appunto Paolo. Autobiografia. È la sua essenza. Poi può essere più o meno intima o mascherata. Cosa spinge a scrivere o leggere autobiografie? Cosa lega autore e lettore? Bisogno, piacere, curiosità? Ognuno trova la risposta in se stesso. Non ha senso valutare da fuori. Troppo personale.
“una vita di alpinismo” è una raccolta auto biografica. Mira a ricostruire un percorso di vita, di pensieri, di sentimenti. Nella narrazione complessiva diventa un patrimonio dell’autore, acquisisce un senso che, nell’articolo singolo, rischia di sfuggire.
È una “puntata” di un cammino lungo.
Non ci vedo nulla di strano, inquadrando il complessivo.
gli alieni sono tra di noi. In Apuane, ad esempio, ultimamente, ci bazzicano…
Battute a parte.
Certo. C’è chi la chiama anche autoreferenzialità.
Molte persone non amano raccontare di se stesse, delle proprie storie, avventure vissute. Sono per loro talmente personali, fatte per se stesse, che se ne guardano bene di metterle a comune con gli altri. Figurati poi di quelle amorose, ma non solo. Quindi mi domandavo se ne avessero piacere. Sicuramente no!
Caro Benassi, imperscrutabili sono i moventi dell’animo umano. Però qualcosa ci è noto. Avrai sentito parlare del piacere di guardare e di farsi guardare. È la base di tutta la letteratura autobiografica, sia dal lato autore sia dal lato lettore. Roba umana, molto umana, non aliena dunque. Poi è decisione dell’autore usare o meno coperture garantiste.
Non credo che sia facile raccontare queste storie così intime al mondo e non so capire fine in fondo la necessità di farlo. Magari è uno sfogo. E’ pur vero che sono storie oramai passate da parecchio tempo. E si sà , il tempo decanta, cura le ferite. Ma sono sempre storie umane molto intime, anche molto sofferte, dove non si racconta solo de se stessi, ma anche degli altri. Chi sa se, agli altri protagonisti, ne avrebbero piacere?
“Sex and the Mountain”. Era ora. Finalmente il tema è stato autorevolmente sdoganato. Propongo l’apertura di una nuova sezione del blog, ovviamente a tutto campo, seguendo il modello di Dagospia. Gognaspia? Non male. Sarebbe molto utile per il morale in questa fase di nuove restrizioni per alleggerire Totem & Tabù, che effettivamente è diventata ultimamente un po’ pesante e ripetitiva. Inoltre, se dotata di un adeguato corredo iconografico, la nuova sezione potrebbere venire incontro al bisogno di alcuni lettori che si sono giustamente lamentati perché perdono “tempo e pazienza”. Qui si andrebbe rapidi e impazienti nella lettura e nell’azione. Si recuperebbe poi quello spirito antico sulfureo che con l’età mi pare si è un po’ affievolito, sostituito a volte dall’aleggiare nel blog di un casto e sottile profumo di incenso e mirra ( che sa di sacrestia o di Oriente leggendario, a seconda dei gusti). E non dimentichiamo poi che : “ È amore un ladroncello, un serpentello è amor, ei toglie e da’ la pace come gli piace al cor”. Ad maiora.
Non ho resistito e penso che Alessandro non se la prenderà.
Questa storia di vita è davvero bella, seppur dura e triste nei suoi risvolti. Ho voluta immaginarla con un brano musicale composto da Ennio Morricone, per un film che ne racconta una analoga. Ma non ho pensato al film.
Ho pensato a quegli anni, in cui io ero bambino e, intorno a me, osservavo storie d’amore senza comprenderle. E questa musica è di quei tempi.
Immagino i momenti, le attese, le corse, a piedi, in auto, in treno, immagno stazioni, montagne, camere piene di passione, dolore, gioia.
Trovo un grande dono, questo racconto. Un mettersi a nudo a tutto tondo. Dove la salita alla montagna ci riporta sempre alla discesa dentro noi stessi e ai sentimenti che colorano la nostra vita.
Nel bene e nel male.
Sempre, nel ricordo di ciò che siamo stati e abbiamo vissuto.
Con simpatia: https://www.youtube.com/watch?v=SWTNB5gRuXs
Quando ho cominciato a leggere questo scritto, immergendosi tra le vie lecchesi che ben conosco, mi domandavo dove volesse arrivare. Sembrava il mio taccuino di escursioni.
Poi la travolgente esplosione di una passione…
Non me l’aspettavo. Con discrezione, immagino solo quei momenti, in quegli anni.
Nella testa mi torna una colonna sonora che ben si adatta.