Dalla Brenta Alta alla Major

Metadiario – 04 – Dalla Brenta Alta alla Major (AG 1968-004)
(scritto nel 2018, a parte ovviamente la lettera a Gino Buscaini)

Il giovedì dopo, 13 giugno, mi metto d’accordo con Nello Tasso per una giornatina sul friabile dei Torrioni del Castello della Pietra. Con noi è anche Mario Piotti, un ragazzo fortissimo di cui si parla come una grande promessa. In effetti atleticamente è molto dotato, è molto concentrato sui tempi che per lui devono sempre essere ridotti al massimo. Agile, scattante, istintivo vedo subito in lui un grande compagno di avventure, peccato faccia il rappresentante e stia per trasferirsi a Pisa. Più anziano di me di cinque anni, nessuno può ora sapere della sua futura morte solitaria nella palestra di Vecchiano, nel 1981 ad appena 40 anni.

Al bivacco della Fourche (29.6.1968), Lino Calcagno e Alessandro Gogna. Foto: Nello Tasso.

Sul Torrione Grande del Castello della Pietra, prima ci facciamo la via Montagna-Piana sulla parete sud, poi tentiamo lo spigolo ovest, una via riportata sulla guida di Euro Montagna, interrompendo per non so più quale ragione. Non il brutto tempo, visto che subito dopo andiamo alla base dello spigolo Avanzini, che salgo per la terza volta e sempre in stato di grazia.

Il sabato 15 sono con il corso di alpinismo al rifugio Vittorio Emanuele II, nel Gran Paradiso: ma il tempo è abbastanza brutto. Non solo evitiamo di attaccare la parete nord del Ciarforon, ma non riusciamo neppure a salire fino in cima la ben più facile cresta nord-est.

 Al bivacco della Fourche (29.6.1968), Alessandro Gogna e Lino Calcagno. Foto: Nello Tasso.

Parete della Brenva, via Major (30.6.1968). Gianni Calcagno. Foto: Nello Tasso.

Parete della Brenva, via Major (30.6.1968), Gianni, Lino e Alessandro. Foto: Nello Tasso.

Parete della Brenva, via Major (30.6.1968), Gianni Calcagno. Foto: Nello Tasso.

La parete nord-est della Brenta Alta con il tracciato della via Detassis

E’ sempre un piacere partire all’avventura con Gianni Calcagno. Con la lieta coincidenza che sarà festa anche lunedì 24 giugno (a Genova si festeggia san Giovanni, come a Torino), partiamo il sabato con tutta calma con la sua 500 e, sempre discorrendo di montagna, arriviamo a Madonna di Campiglio e poi a malga Vallesinella. E’ per entrambi la prima volta che mettiamo naso nel Brenta, così naturalmente scegliamo di visitarne il cuore, vale a dire il rifugio Brentei. Lì incontriamo il grande Bruno Detassis: sappiamo che è un po’ scorbutico ma non ci facciamo caso, anche perché riteniamo di avere credenziali a sufficienza. Dei grandi occorre rispettare il carattere, ma non per questo è necessario inchinarsi più di tanto davanti a loro. Siamo sicuri che Bruno non desideri questo, anzi vuole vedere la nostra di personalità. E’ un po’ il gioco degli scacchi, ma quello iniziale, quando le prime mosse sono quasi sempre accademia.

Bruno Detassis e Walter Bonatti

Dopo aver scambiato qualche parola con il Vate, è ormai chiaro che domani la meta sarà la Detassis alla Brenta Alta, una via che ancora è circondata da grande rispetto anche se di certo è abbastanza ripetuta.

Della via ricordo una particolare difficoltà di orientamento. Sarà che non abbiamo una relazione così precisa, ma ci troviamo a vagabondare per quei lisci muri grigi più di una volta senza la certezza d’essere sulla giusta via. Spesso capita di avere l’ultimo chiodo a dieci-quindici metri, ma non bisogna farci caso e avere invece sempre fiducia che il muro che si sta scalando non smetta mai di offrire gli appigli necessari. Grande rispetto per il Vate, che 38 anni fa fece questa via con le corde di canapa legate in vita.

Alessandro Gogna sulla via Detassis alla Brenta Alta, 1a lunghezza. 23 giugno 1968

Gogna in arrampicata sulla via Detassis alla Brenta Alta

In vetta ci rendiamo conto di non essere stati dei fulmini di guerra, dieci ore di arrampicata non sono certamente una buona prestazione, ma ci accontentiamo. Le perdite di tempo nella ricerca della via sono state notevoli, però siamo sempre saliti sicuri di poter anche riscendere in arrampicata quello che stavamo salendo.

Per l’ora di cena entriamo al Brentei, sicuri che nessuno ci avrebbe lodati per la nostra “lentezza”. E invece, inaspettatamente, alla fine del pasto Bruno Detassis ci offre un grappino!

Andiamo a dormire sereni, non ricordo quale sia stata la meta per il giorno dopo. Di fatto, mentre ci prepariamo, qualcuno lancia l’allarme. C’è gente che chiama soccorso dalla base della parete Pooli e, data l’ora, certamente hanno bivaccato su. E’ stata una notte fredda, chissà in che condizioni sono. Assieme a Tiziano Nardella, Gianni e io ci precipitiamo su per il canale nevoso che porta alla Bocchetta del Campanile Basso. Siamo senza ramponi e Bruno ci ha prestato le piccozze. Abbiamo con noi un casino di corde, perché è nostra intenzione calare eventuali feriti giù per la neve dura del canale. Non ricordo con esattezza il motivo del bivacco dei due soccorsi, ma non mi sembra ci fossero feriti, solo una grande debolezza per la notte passata senza equipaggiamento valido.

Gianni Calcagno in arrampicata sulla via Detassis alla Brenta Alta. 23 giugno 1968.

Caliamo entrambi sulle corde per il lungo canale fino a che non spiana, poi li accompagniamo al rifugio. A questo punto è già un po’ tardino, ma ugualmente a passo di carica andiamo all’attacco del Diedro Oggioni alla Brenta Alta: dopo qualche tiro ci rendiamo conto che andiamo incontro a un bivacco certo. Domani è giorno lavorativo, dunque rinunciamo. Dopo gli ultimi saluti a Bruno, scendiamo a valle.

Alessandro Gogna sulla via Detassis alla Brenta Alta. 23 giugno 1968.

Il weekend seguente sembra proprio che il bel tempo ci permetterà un’avventura a lungo sognata, quella di salire la via Major sul versante Brenva del Monte Bianco. Il pomeriggio del 29 giugno ci vede scendere dalla funivia alla Punta Helbronner ben decisi nel nostro progetto: con me sono i due fratelli Calcagno e Nello Tasso. Un sole spettacolare sottolinea che abbiamo proprio ragione ad aver scelto questa giornata.

Il versante della Brenva del Monte Bianco con il tracciato della via Major

La via Major non ci spaventa affatto per le sue difficoltà. Siamo solo preoccupati di quello che può succedere nel canale che si deve obbligatoriamente attraversare per raggiungere il filo dello sperone. Tutti effettuano la traversata in piena notte, ma sappiamo che ogni tanto sono successe disgrazie terribili: i seracchi in alto, quasi sulla cresta di confine, si muovono purtroppo anche di notte e quando precipitano spazzano via tutto. In ogni caso la regola è quella di partire a mezzanotte (o poco dopo) dal Col de la Fourche, indi a passo di carica raggiungere la zona pericolosa e traversare il più veloce possibile il canalone che fiancheggia lo sperone della Major.

Parete della Brenva, via Major (30.6.1968), Gianni Calcagno. Foto: Nello Tasso.

Dopo una notte brevissima al bivacco del Col de la Fourche (il rifugio Ghiglione non era stato ancora costruito) ci leghiamo in cordata e scendiamo sul ghiacciaio. Qui alla luce di una discreta luna individuiamo con attenzione il nostro cammino e il punto esatto in cui traversare. Senza una parola Nello Tasso e io, seguiti dai due Calcagno, guadagniamo sani e salvi lo sperone. Qui ci sentiamo subito abbastanza sicuri: dovrebbe venire giù davvero mezza montagna per essere colpiti.

Iniziamo la salita, mescolando tratti in conserva con tratti in cordata, poi alle prime luci dell’alba assistiamo allo spettacolo tanto atteso, la scarica di ghiaccio nel canalone dove siamo passati due ore fa…

Devo dire che sono contento di essere qui, l’avventura non ha di meglio sulle Alpi che un posto come la Brenva… Ma in fondo, dentro di me ho tempo anche di pensare che questo genere di salite, così da terno al lotto, non mi entusiasmano più di tanto. Massimo rispetto per chi ne fa il simbolo del proprio alpinismo: però personalmente non voglio tirare corda con questo tipo di roulette russa.

La salita è decisamente facile, c’è solo una specie di diedrino roccioso che c’impegna un poco perché lo saliamo con i ramponi. Il resto è una grande pedalata che soddisfa appieno la brama di grande ambiente, almeno finché si ha forza di andare veloci. Magari, più in alto, superati da un bel po’ i quattromila metri, il fiato si fa un po’ più affannoso e la voglia di uscirne comincia a fare capolino. L’uscita al Col Major ci riempie dunque d’entusiasmo e da lì alla vetta del Monte Bianco il passo è davvero breve.

Parete della Brenva, via Major (30.6.1968), Gianni e Lino Calcagno. Foto: Nello Tasso.

Parete della Brenva, via Major (30.6.1968), Gianni Calcagno. Foto: Nello Tasso).

Monte Bianco, via Major, Gianni Calcagno. Foto: Nello Tasso.


E’ abbastanza presto, abbiamo tutto il tempo di scendere alla capanna Vallot, non fermarci neppure e quindi scendere velocemente giù per la via dei Grands Mulets, a piedi fino a Chamonix, dove arriviamo del tutto assetati a mezzo pomeriggio. Ci aspetta ora un bell’autostop per superare il tunnel e la frontiera. Ovvio che, essendo in quattro, prima di poter ripartire da Entrèves verso Genova con la nostra 500 passa un bel po’ di tempo.

Gino Buscaini, in una lettera del 2 luglio, mi consiglia di non smettere gli studi, afferma che non c’è spazio per due persone nel suo lavoro di redattore responsabile della Collana delle Guide Monti d’Italia. Insomma, negativo su tutta la linea. Ma ormai ho deciso. Dopo la Detassis alla Brenta Alta e la Major al Monte Bianco, sono sicuro che la mia strada sia dalla parte opposta di quella indicatami da Buscaini.

Scrivo anche a Franco Rho, del quale ero diventato amico al tempo del Badile, quando ero sceso quelle poche ore a Bondo. Allora mi aveva regalato pellicole, dicendo di scattare, scattare. Peccato che non avevo macchina fotografica… Poi eravamo stati molto in contatto specialmente per il libro che stava scrivendo su di noi: Capodanno sulla Nord-Est del Badile. Racconti, con­sigli, discussioni, nelle mie scorribande Genova-Milano-Genova, sempre in treno, l’ultimo, prima dell’altrimenti inevitabile bivac­co alla Stazione Centrale. Fantasie di diventare giornalista.

Il 6 luglio mi avvio con Giorgio Volta per la via Cassin alla Punta Walker da solo. Ho proprio deciso.

Parete della Brenva, via Major, Nello Tasso. Foto: Gianni Calcagno.

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Dalla Brenta Alta alla Major ultima modifica: 2019-01-25T05:12:46+01:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Dalla Brenta Alta alla Major”

  1. Che foto…annullano il tempo e lo spazio!Piccolo particolare: le suole degli scarponi con le vitine di ottone. Adesso tali scarponi li mettono in esposizione di attrezzature storiche d’antan nella sede paesana del Cai..assieme a .. caschi  a cupola in fiberglass, sci da alpinismo o con attacco  zermatt o silvretta a cavi.Allora noi giovani avevamo poca lira e ce  le dovevamo comprare dopo un anno di risparmi o con le prime buste paga.Pero’ gli scarponi,risuolati ed ingrassati..funzionano ancora. Alcune ditte li offrono stesso styling  e materiali,  nuovi ,come settore di nicchia e se li fanno ben pagare.Le chiome e barbe  o si sono imbiancate  o si sono ridotte.L’emozione intensa che accompagnava piccole  imprese,le ha fissate nella mente..assieme a qualche foto in pose simili a quelle esposte.

  2. Per l’ora di cena entriamo al Brentei, sicuri che nessuno ci avrebbe lodati per la nostra “lentezza”. E invece, inaspettatamente, alla fine del pasto Bruno Detassis ci offre un grappino!

    nel 1985 ricorreva il cinquantenario dell’apertura della via delle GUIDE al Crozzon. Altro capolavoro di Detassis.

    Dopo la nostra ripetizione (eravamo in 4) ,  siccome, a detta sua, eravamo stati bravi nel salire il “facile nel difficile”…il burbero Bruno ci fece dono di una bottiglia di vino con tanto di etichetta  commemorativa del cinquantenario ella prima salita, che aveva fatto fare apposta e un chiodino sempre commemorativo ad ognuno di noi.

    Burbero…. ma di cuore !

  3. Stupende le foto in bianco e nero sulla Major ! Emozionano e fanno volare la mente …

  4. Per Marcello Cominetti: confermo che è stato scritto nel 2018, a parte la lettera a Gino Buscaini.

  5. ho conosciuto Mario Piotti e ho arrampicato con lui alcune volte al Procinto. Era molto dotato fisicamente e aveva un carattere decisamente esuberante.

    Aveva una vera passione per la parete nord del Pizzo d’Uccello dove ha aperto parecchi itinerari . Il più famoso è certamente il Gran Diedro Nord. Ma non da meno sono la Piotti -Di Coscio alla Spalla e la Piotti-Calcagno al Bardaiano.

    Anche nel gruppo Procinto-Nona ha detto la sua con l’apertura della via Licia al Nona con Agostino Bresciani e ala Procinto con l’apertura delle vie: GAMM, Convergenze parallele e Pilastro Sud-Ovest.

    Purtroppo quel giorno di giugno del 1981 è morto per una caduta alla falesia di Vecchiano  dopo essere venuto via dal Procinto a causa delle non buone condizioni meteo.

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