Valle Sarca: visione di un futuro
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort**, disimpegno-entertainment**
Quali prospettive e visioni future per la Valle del Sarca tra turismo sostenibile, mobilità e nuove opportunità outdoor? Ben oltre 200 le persone che hanno affollato sabato sera 3 febbraio 2018 il centro culturale di via Battisti a Dro (TN) per lasciarsi affascinare e interrogare dalle riflessioni di alpinisti, naturalisti e amministratori mettendo al centro l’attuale realtà turistica e sportiva della Valle Sarca, con le sue quasi mille vie alpinistiche, con le sue migliaia di monotiri di arrampicata sportiva e con i suoi chilometri e chilometri di piste per mountain bike e di sentieri. Nella Valle Sarca esiste una scena poliedrica, tra il Rock Master e un forte alpinismo classico: qui la “biodiversità” non esiste solo per la natura della Valle, ma anche nell’alpinismo e in altri tipi di sport outdoor, come parapendio, ciclismo o escursionismo. Quale “visione di un futuro“ per un territorio che, grazie al suo clima e alla morfologia naturale, può essere «vissuto» in ogni stagione?
Il convegno, ben organizzato da Maria Bumes, Florian Kluckner, Ruggero Carli e Marco Furlani, godeva del patrocinio del Comune di Dro, del Club Alpino Accademico Italiano, del CAI-SAT di Toblino e dell’Associazione Alt(r)i Spazi. Tra le personalità istituzionali, in sala erano presenti l’ing. Gianfranco Pederzolli, presidente del Parco Fluviale Sarca e Marco Benedetti, presidente di Garda Trentino spa. Moltissime le figure di rilievo alpinistico, quali Palma Baldo, Giuliano Stenghel, Egidio Bonapace, Arrigo Pisoni, Remo Feller, Giuliano Giovannini, la guida alpina Omar Oprandi e gli accademici del CAI Mariano Frizzera, Bruno Menestrina, Mario Tranquillini, Roberto Rossin, Dario Feller, Alberto Rampini, Fabrizio Miori, Maurizio Giordani e Renzo Mariani.
Introdurre le relazioni e condurre il dibattito è stato compito di Giorgio Daidola, docente di Analisi economico finanziaria per le imprese turistiche presso l’Università di Trento, anch’egli validissimo alpinista. Daidola si è affidato alle parole del noto scrittore Aldo Gorfer per descrivere un territorio che presenta un «paesaggio unico e invidiabile», ma che richiede una particolare tutela e salvaguardia. Poi ha sottolineato che, a differenza di altre zone a forte vocazione turistica del Trentino, qui si è imboccata la strada di uno sviluppo turistico basato sui veri sport outdoor, ossia quelli che non richiedono mezzi meccanici per essere effettuati. È proprio di questo tipo di turismo sostenibile che si occupano i corsi di laurea magistrale del MaST dell’Università di Trento, dove lui insegna da molti anni.
Per Daidola in Valle Sarca si è già imboccata la strada giusta, anche se sono necessari degli aggiustamenti da fare cammin facendo. Queste correzioni devono essere proposte da chi ama davvero questi luoghi, da chi li conosce a fondo, da chi crede nella loro unicità, stimolando il massimo della partecipazione da parte della popolazione locale, dei politici e degli amministratori.
Ancora Daidola: “Gorfer affermava che per la Valle Sarca l’unicità ha un comun denominatore, il paesaggio, inteso non solo come paesaggio geografico ma anche come paesaggio storico e come paesaggio culturale. Un turismo che ha a cuore il paesaggio porta necessariamente a esaminare i problemi con un’ottica a lungo termine, l’unica che ne evita il degrado. Si tratta di un’ottica che va oltre quella delle legislature, delle speculazioni, dei profitti immediati, degli interessi personali.
Quest’ottica a lungo termine, che è l’eccezione alla regola nel panorama delle politiche di sviluppo del turismo nel Trentino e non solo, è un’ottica che induce a sognare, a vivere idealmente nel futuro che vorremmo. Facile a quel punto individuare quali sono i problemi da risolvere per realizzare questo futuro: quelli del traffico, quelli dei sistemi di trasporto, quelli del sovraffollamento, quelli dei divieti e delle regolamentazioni, quelli di una maggiore integrazione fra agricoltura e turismo, quelli della formazione delle nuove generazioni, iniziando dalle scuole dell’obbligo, e quello cruciale di favorire l’incontro fra culture diverse in questo crocevia fra Mitteleuropa e Mediterraneo”.
Heinz Grill, Dro, 3 febbraio 2018
E’ toccato al noto alpinista germanico Heinz Grill, ideatore di questo convegno, l’invito a pensare nuove prospettive e idee di sviluppo, dove il profitto e la crescita economica siano una conseguenza e non un fine primario. La serata per lui era come un seme per il futuro.
Ben consapevole che la sua filosofia è un po’ difficile da spiegare in poco tempo, perché alcuni pensano che le “idee” sono solo “sogni non realizzabili”, per Grill il suo intervento voleva essere “la spiegazione di un’idea estetica per rendere la valle più libera dal mostro del traffico e i suoi inquinamenti e promuovere diverse strutture sane e sostenibili per la salute del turismo e per un bell’incontro tra popolazione locale e stranieri. Come tedesco conosco bene la mentalità di Germania, Austria e Svizzera. Le persone non cercano solo un godimento sulla roccia o una forte prestazione sulla via ciclabile, esiste invece una grande fame per trovare incontri con la cultura originale e “toccare” con i sensi il più intimo sentimento della natura. La globalizzazione del mondo e lo stress dell’economia disilludono le persone e oggi non è sufficiente solo un godimento sulla roccia per trovare un equilibrio adeguato. Un profondo incontro tra la popolazione nella Valle Sarca con gli stranieri e con i visitatori italiani potrebbe aprire una finestra per una nuova prospettiva e dare una rigenerazione più profonda di quel che potrebbero dare le sole vacanze in un hotel con un po’ di attività outdoor. I tedeschi cercano questi incontri profondi con la cultura e con diversi tipi d’avventura, ma non sanno com’è possibile realizzarli. Il pericolo è che le parti – i turisti e la popolazione – rimangano fissati nei loro problemi e il vero incontro non abbia luogo…”.
E continuava: “… Se trascuriamo il momento di creare strutture ricettive e nuove possibilità per gli incontri tra turismo e la popolazione locale, determiniamo un disastro. Traffico e inquinamento ci sono già nella Valle Sarca.
Allo stesso modo di come le nuove vie d‘arrampicata sono state realizzate da noi, creerei diverse nuove idee per la Valle di Sarca. Senza porre troppo peso sui problemi esistenti, metterei l‘attenzione su una forte idea per la visione ideale per il futuro. Abbiamo bisogno di un‘idea in comune realizzabile e adatta per la valle, per la natura, la popolazione e per il turista. Non dobbiamo partire dalla economia come primo argomento, piuttosto partiamo dalle persone e dai loro desideri, esigenze e ideali. Ho creato l‘idea di un campeggio a Dro – naturale, grande, con torri calcaree edificate per arrampicare vicino alla tenda, con un bel servizio di pulmini elettrici – e certamente anche ogni hotel e ogni altro campeggio potrebbe offrire queste possibilità di fare vacanze con grande benessere, senza macchina. Gli stranieri non sanno molto sui servizi che esistono nella regione. Una comunicazione ampia verso l‘estero sarebbe una delle chiavi per questo turismo sostenibile e sano“.
«L’attività e lo sfruttamento delle attività outdoor deve avere dei limiti – ha concluso Heinz Grill – non si può ostacolare l’arrivo delle persone, ma vanno disciplinati modi e mezzi di trasporto sul territorio».
Alcuni di questi concetti sono stati declinati anche nelle parole del secondo relatore, il sindaco di Dro, senatore Vittorio Fravezzi: «Dopo gli anni del boom urbanistico e demografico Dro e la Valle Sarca devono puntare sulla qualità e la sostenibilità dei servizi, creando nuove opportunità di lavoro e crescita sociale. La mobilità è un tema importante ma va governato, mettendo nero su bianco anche idee coraggiose con nuovi tratti viari e ferroviari».
Roberto Bombarda, ex consigliere regionale trentino, noto ambientalista e responsabile della comunicazione Montura, ha cominciato il suo intervento ricordandoci come il tempo di una vita umana non sia commensurabile ai tempi del cambiamento geografico della terra. Citando il biologo inglese Edward Wilson che constatava che “l‘unico passaporto per l‘immortalità del genere umano è la concentrazione della biodiversità“, Bombarda ha messo in evidenza quanto la Valle Sarca ne sia ricca, un paesaggio che anche grazie alle Marocche è unico nel mondo. Poi è entrato nel vivo del suo tema, la mobilità, e ha ricordato un vecchio progetto di linea ferroviaria per nulla impossibile. Un treno che potrebbe collegare Rovereto, Arco, Riva, Dro, Comano Terme, Pinzolo e Madonna di Campiglio, risolvendo i problemi die pendolari e dando ampie possibilità sportive a turisti di tutta Europa.
Poi Bombarda si rivolge a Grill: “Noi italiani abbiamo le idee, voi tedeschi siete capaci di realizzarle, non sarebbe una buona proposta concreta realizzare il treno?“. Infine ha concluso la sua relazione menzionando il parco fluviale che è la base ideale da cui partire, l’idea di fondo per le persone che vivono nella Valle, i prodotti agricoli e artigianali e il turismo. Un vero anello di congiunzione tra il Garda e le Dolomiti di Brenta.
Dopo le prime tre relazioni era previsto un momento di scambio con il pubblico. Ma francamente non ci si aspettava da parte del pubblico presente un così alto livello di contestazione all’attuale gestione del territorio, e la non considerazione delle nuove idee del convegno.
A parte qualcuno, come quello dell’ing. Pederzolli, non c’è stato un intervento propositivo, magari critico ma tendente a un apporto di qualche tipo al progetto, solo malcontento più o meno forte nei confronti della gestione della valle e di disinteresse e incomprensione nei confronti di quanto proposto. I tre o quattro che hanno parlato erano venuti per criticare e basta, per far conoscere il loro disappunto, senza alcuna proposta alternativa.
E’ stato un errore da parte dell’organizzazione il pensare che gli interventi del pubblico sarebbero stati di tipo propositivo, anche critico, e non solo distruttivo. Una volta innescato il meccanismo è stato impossibile invertire la rotta. La maleducazione stava vincendo. Alcuni si sono stupiti del silenzio del senatore Fravezzi di fronte ai pesanti attacchi, si aspettavano un minimo di replica.
Le diverse discussioni e anche il tempo insufficiente hanno mostrato che due ore non sarebbero mai bastate. Il pubblico era già un po‘ arrabbiato e impaziente.
Marco Furlani e Ivo Rabanser hanno mostrato con un filmato la storia alpinistica della Valle Sarca e hanno lasciato la domanda per la visione del futuro aperta. Stefano Pisoni, coltivatore biologico, spiegava in pochi minuti l‘importanza dell‘agricoltura, che è base dell‘abitabilità e della sostenibilità.
Per l‘ultimo relatore e i suoi argomenti concreti purtroppo non c‘era sufficiente tempo: Alessandro Gogna parlava di ciò che davvero poteva essere l’idea di fondo per la Valle, declinandola poi nell‘outdoor, fissando la maggiore importanza della manutenzione dei sentieri e delle vie e delle ferrate nei rispetti di quanto d’altro potrebbe essere creato. Per Gogna, la parola chiave nella sua visione di un futuro per la Valle è stile: una Valle alla ricerca del proprio stile, con diversi elementi di creatività, estetica e arte provenienti da tutti, nel coinvolgimento totale di abitanti, turisti e amministrazioni. Non mancava critica, sempre costruttiva, nel suo intervento. Critica delle ferrate moderne che si presentano tutte uguali come i supermercati, critica di una politica che spesso manca di una visione lungimirante per ciò che riguarda l‘ambiente e l‘outdoor. Numerosi e inediti erano i suoi suggerimenti. Dai concorsi fotografici per turisti, con opere valutate dai locali, affiancati a quelli per locali, con opere valutate dai turisti, alla manutenzione delle opere; dal parco fluviale che stimoli a meravigliarsi delle piccole cose, alla nuova fantasia che serve per comunicare il nuovo stile della Valle.
Era peccato che il tempo, già limitato, fosse stato sprecato in precedenza: perché con il normale svolgersi dell‘intervento di Gogna si sarebbe chiuso il cerchio iniziale dell’idea per la visione del futuro. Erano passate già 2 ore e 30 minuti e, con l’aggiunta degli ultimissimi contributi dalla sala, la condizione del pubblico era al limite.
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Che cos’é un incontro?
Prendiamo un camion con tutte le nostre cose, con la propria TV, il nostro proprio forno e andiamo alla Valle della Sarca. E’ meglio stare a casa e non andare in un altra cultura. L’incontro è più eccellente se siamo nelle braccia dei cittadini della Valle della Sarca.
Una domanda alla popolazione, a tutti nella Valle
– con lo scopo, che il turista lascia la machina a casa:
Chi vorrebbe fare/offrire un servizio di pulmini?
Quest’idea sarebbe interessante per tutti gli hotel. Servirebbe poi anche un’ampia comunicazione verso l’estero.
Ciao Alberto, no sono di Pordenone e sicuramente ci conosciamo; i gatti che girano in montagna sono sempre quei 4 .
Dino, non ho detto che sono contrario al restauro, al riportare alla luce e alla conoscenza di tutti , le vecchie vie. Che poi, spesso, non sono poi così tanto vecchie, ma invece si rivelano decisamente attuali. Come tante canzoni, scritte parecchi anni fa, ma decisamente attuali. Questa iniziativa mi trova d’accordo, ma se realizzata nel rispetto di quello che gli autori hanno creato.
Una via ha una storia da raccontare. E’ questo che noi dobbiamo preservare e trasmettere a chi viene dopo. Non è tanto il gesto atletico in se stesso. Piuttosto quello che la via ha da raccontare, trasmettere agli altri. Questo per me è importante. Ed è questo che dobbiamo restaurare e mantenere vivo.
Quanto allo spopolamento è un grosso problema. La vita in montagna è dura. Però preservare certe tradizioni, non credo che sia la causa di questo spopolamento.
Forse la politica portata avanti in tanti anni che ha voluto trasformare questo paese, da agricolo a industriale. Ne è un pò la causa.
Il territorio con la sua cultura, credo sia un patrimonio da difendere
Dino ma te lavori alle poste a Treviso?
Per quanto poco rilevante, la mia posizione è sempre contraria alle estremizzazioni.
Non ricordo esattamente con quanti chiodi Comici aprì la sua Via sulla nord in Lavaredo; certamente molti meno di quelli che vi sono infissi oggi. Stesso discorso per tantissime classiche. Carlesso mi raccontava di quando si tolse le scarpe di corda per utilizzare dei buchetti sulla Valgrande; non credo che nessuno oggi lo faccia.
Tantissime classiche già ora sono diverse da come sono state aperte, soprattutto se frequentate.
La posizione di Grill mi sembra assolutamente ragionevole e a mio modesto avviso condivisibile; direi un buon inizio di ragionamento.
Sarebbe davvero interessante stabilire dei criteri di comportamento consapevoli e ragionevoli per fare manutenzione a vie che per effetto del tempo hanno perso attrattività e sviluppare l’arrampicata ( e non solo pensiamo alla MTB o all’escursionismo e altre attività ancora) e con essa il turismo. Ciò con il contributo di tutti senza però farsi coinvolgere dagli estremismi ( guai a chi tocca qualcosa oppure spittiamo ogni metro o spianiamo tutto) ma soprattutto poi agendo praticamente.
Per quanto attiene le Vallate, e non solo quella del Sarca dove concordo si sia talvolta ecceduto, bisogna anche avere riguardo per chi ci vive e deve trovarci lavoro. Occorre individuare un compromesso tra la salvaguardia e la necessità di andarsene per trovare un futuro.
Molti paesi sul Boite, dove molto spesso abito, sono ormai sono gravemente spopolati e i giovani se ne vanno altrove a cercare un futuro. Molte case sono abbandonate e molte di più lo saranno quando noi vecchiotti non ci saremo più.
Nella frazione in cui vivo gran parte dell’anno siamo in 4 famiglie contro un centinaio di case; falciare i prati per tenerli liberi dal bosco , che in 15 anni è sceso di almeno 150 mt, è faticoso e non tutti sono disposti a farlo.
In conclusione, a mio avviso, occorre evitare estremismi ma cercare concretamente nuovi indirizzi ma agendo poi per fare qualcosa di sensato prima che sia troppo tardi. I modelli positivi già ci sono.
Io sono ancora più radicale, caro Alberto. La Valle del Sarca m’incantava, con la sua bellezza e i suoi misteri, quando la percorrevo per andare in Brenta. Adesso, come campo giochi o percorso atletico, non m’interessa più. Se questo è il futuro dell’out-door, e già i termini m’indispongono, lascio che sia. Tutto predisposto, omologato, io vivo per davvero altrove.
Cosa facciamo per le vie sulle Pale di San Lucano, in Dolomiti, ora che gli zoccoli, a causa dei mughi aerei cresciuti a dismisura, sono diventati ancora più rognosi? Disboschiamo, predisponiamo, abbiamo a cuore per tutti gli altri quella che per noi è un’edonistica convinzione del “bello”? Cioè narcisismo, cioè voglia di strafare e di lasciare un segno, cioè “questo l’ho fatto io!”. E l’avventura? E la natura? Per fortuna qualche anarchico resiste anche in montagna.
quanto a questa domanda, la mia risposta è: RISPETTO STORICO per le vecchie vie. Perchè in questo modo, le vecchie vie, potranno raccontare a chi verrà dopo quello che è stato fatto prima e come veniva fatto.
Quanto al paesaggio, gli interventi dell’uomo dovtrebbero esere fatti cercando il più possibiloe sintonia con il paesaggio naturale che ci circonda.
Stessa cosa per quanto riguarda le costruzioni. L’architettura di un luogo, espressione culturale di quel luogo, dovrebbe essere tenuta di buon conto, da parte di chi progetta e costruisce. Questo per evitare di costruire dei luoghi tutti uguali e senza anima. Qualcuno li chiama “non luoghi”
sono d’accordo con Alessandro, ci vuole STILE. Ed ognuno di noi ha il proprio. Ogni epoca ha il proprio. Nel bene o nel male.
Nelle diverse epoche l’alpinismo, l’arrampicata si sono espressi con diversi stili. Ognuno di noi ha messo del suo in quello che ha fatto. Con la propria concezione e creazione di una via ha espresso il proprio pensiero, le proprie paure , coraggio, capacità e anche incapacità.
Tutto questo, per me, ha il diritto di essere mantenuto. E tutti noi abbiamo il dovere di rispettarlo. Rispettare appunto un stile raccontato da quella via, in quella epoca, con quei materiali, con quella concezione. Che magari non sarà più attuale. Ma proprio per questo racconta quello che in quella epoca veniva fatto e come veniva fatto. Proprio come un’opera d’arte.
Un Leonardo da Vinci di adesso, la Gioconda, l’avrebbe magari dipinta diversa. Ma questo non ci da il diritto di andare a modificare il quadro di Leonardo.
Nel restauro della cattedrale di San Francesco ad Assisi, la cui volta è crollata per il terremoto. Il restauro è stata fatto, nel limiti del possibile, cercando di rispettare la sua originalità. Nei limiti del possibile perchè molti pezzi sono andati distrutti. Ma non è stato modificato lo stile architettonico della cattedrale.
Quindi qual’ è lo stile giusto: quello che propone Grill, cambiando i tracciati, modificando lo stile di chiodatura?
Grill propone il proprio stile nelle sue vie. E questo va rispettato. Da tutti! Quelle vie parlano di Lui. Oggi e nel futuro.
Ma Grill non può imporre il suo stile agli altri andando a modificare le vie degli altri.
Così facendo, come ho già scritto si crea un falso, si falsifica la storia. Si impone il proprio stile agli altri.Gli apritori d’anno la loro autorizzazione q uesto tipo di interventi? Bene, è nel loro diritto. Ma per quanto mi riguarda, anche se non conta nulla, non sono d’accordo.
Come già ho detto, così facendo si cancella la storia vera. Si da ad una via uno stile che non è il suo. Di un’epoca diversa. Quindi si crea un FALSO!
L’argomento di Gogna nella conferenza era tra altro lo stile nei diversi modi dell’alpinismo. “Senza stile non c’è davvero eccellenza” è la sua ipotesi. Anche nel restauro delle vecchie vie ci vuole stile, per creare una via ciclabile idem.
Se Benassi scrive, che il paragone della casa non conta e che sarebbe meglio parlare di un opera di pittura, manca qualcosa nella sua asserzione: in una via si deve arrampicare mentre in un quadro non si deve vivere. In una via sulla roccia è impossibile trovare le vecchie condizioni, perchè la vegetazione impedisce spesso le salite nelle fessure. Un restauro sarebbe impossibile senza miglioramenti, perchè la via è nel flusso vivente del tempo.
La domanda rimane: che cosa può essere uno stile che collega un po’ il passato con il futuro? Per tante vecchie vie questa domanda sarebbe importante, neanche solo per le vie sulla roccia, anche per tutti i paesaggi.
Mi dispiace ma non sono d’accordo e questo è quello che temevo!
Come fai a rispettare il passato se lo modifichi? Modificare, a mio avviso è cancellare.
Non metto in dubbio che la via, adesso dopo la modifica, sia diventata più estetica, con una arrampicata più godibile, più sicura. Ma non è più la via originaria, è un’altra cosa!!
L’esempio della casa non mi sembra adeguato. Potrei rispondere con un’altro esempio: quello del restauro di un opera d’arte. Cosa fai cambi i colori? Fai i baffi alla Gioconda? Non credo proprio!
Le modifiche sono varianti. Ma non possiamo scrivere, affermare che è quella via. Perchè non lo è!
Perchè i primi salitori hanno fatto un cosa mentre i “restauratori” ne hanno fatto un’altra.
Gli apritori vi hanno dato il consenso? Bene, ognuno fa quello che crede. Liberi di farlo.
Ma non potete pensare che questo vostro modo di agire possa andare bene a tutti.
Voi parlate di “rispetto del passato” e come pensate di farlo se lo modificate? In questo modo lo condannate nel dimenticatoio, in questo modo falsate la storia.
Una vecchia casa non è dimorabile senza un riscaldamento o senza corrente. Le vecchie vie sono come le vecchie case e sono spesso impercorribili a causa della vasta vegetazione. Gli ultimi dieci anni la crescita delle piante è aumentata più del 100 %.
Il restauro della via di Fabrizio Miori alla Rupe Secca sudovest ha portato un grande miglioramento. Tutti i tiri sono diventati belli, ma differenti passaggi tra alberi, massi e spine sono state un po’ modificate. Non possiamo ritornare ad un vecchio tempo con le vie; inoltre è impossibile mantenere totalmente l’originalità di una via vecchia. Il carattere della via deve rimanere lo stesso – nel senso migliore -, cambiamenti sono pero inevitabili, naturalmente devono essere fatti con il consenso del primo salitore.
Una vecchia casa ha bisogno di un riscaldamento e una via tra friabilità e erba ha anche bisogno di modificazione, non solo di pulizia. Il passato deve entrare in un flusso anche con il futuro e viceversa il futuro deve rispettare il passato e le idee dei protagonisti precedenti.
Alla parete sudovest della Rupe Secca, la via di Fabrizio Miori, chiodata con mezzi classici, era una delle prime vie. E` stata „relegata“ da una via con spit. Con un po’ di fantasia e miglioramenti oggi ci sono due vie: una moderna e la via Sara di Fabrizio Miori; tutte le due sono quasi indipendenti, solo l’attacco nella fessura è in comune.
Il restauro delle vecchie vie può arrichire tutta la valle e la poliedricità permette una grande visione nel futuro. Il problema è, che le vie divenatno unte e se non dimentichiamo le vecchie vie abbiamo più varietà e le vie del “mainstream” non diventano troppo consumate.
prima dietro l’ albergo il Ciclamino c’era un tranquillo campo da golf. Di ritorno dal Pian della Paia ho raccolto diverse palline, che credo fossero il massimo dell’inquinamento. Adesso al posto di questo bel prato verde c’è un vero SCHIFO: un campo da trial. Il bosco è stato completamente arato, sentieri distrutti, per fare posto alle piste per le moto. Un paio di volte di ritorno dal Pian della Paia ci siamo trovati in mezzo alle moto con non poco pericolo.
Non bastava il rumore assordante, il fumo e il puzzo dell’adiacente campo da motocross? Evidentemente il prato verde rendeva poco.
E la coltivazione della frutta? E’ tutto biologico ? Me lo chiede sempre un mio amico, un pò fissato su queste cose. Perchè si vedono parecchi trattori che spargono dei bei nuvoloni di medicine sulle piante e sul terreno, dove tra i filari dei meli non cresce l’erba. Boh…?
Quale futuro!? Laura Gaspon ha colto nel segno, come si può pretendere di rilanciare una valle in cui campeggia un’ecomostro come il campo di Pietramurata, tutti i w.e. una nuvola di polvere ed idrocarburi incombusti invade l’area dal fondovalle fino sulla sommità del Pian de la Paia, ogni sentiero è percorso da moto, che sfuggono ai controlli e risalgono la montagna. Una vera mostruosità e non capisco come possano parlare i trentini(locals) di biodiversità…Ma fatemi il piacere!! Per non parlare delle cave di sabbia e di ghiaia che avanzano negli anni come una carie per il Monte Casale. Il passo di San Giovanni, come ben rilevato dalla Gaspon, è un obbrobrio, per non parlare degli alberi che in tutta la Valle sono invasi dai nidi della processionaria(Pino silvestre e Pino nero) le cui setole provocano gravi urticarie a chi passa vicino; c’è una legge che obbliga la lotta e l’estirpazione dei nidi di processionaria(Thaumetopaea pytiocampa) sia i Comuni che i privati che hanno alberi colonizzati da tale lepidottero, ma chi la rispetta? Per molti sembra una sciocchezza, ma negli anni vedo che gli alberi, per esempio i pini silvestri che si trovano sul Pian de la Paia, meravigliosi un tempo, a causa del parassita stanno morendo e non credo che gli idrocarburi alifatici ed aromatici incombusti o combusti che risalgono dalla valle possano aiutare le piante…Ma il campo porta DENARO!
Frequento da arrampicatore la Valle del Sarca oramai da diversi anni. La bellezza è indiscutibile. Ma non vedere i diversi problemi e le tante BRUTTURE che elenca Laura Gaspon nel suo intervento, o si è ciechi oppure non li si vuol vedere perchè evidentemente si hanno altri interessi…
Salvaguadare la bellezza della valle oltre ad essere un dovere, è un interesse di tutti coloro che la vivono tutti i giorni. Se la valle verrà deturpata, rovinata nella sua bellezza, i turisti se ne andranno. La bellezza della valle è il suo patrimonio. Che ci vengo a fare in un luogo cementificato, rumoroso, inquinato, pieno di traffico. Allora me ne sto a casa mia. Per qualcuno potrà anche andare bene, ma per la maggioranza non lo so.
Vorrei fare alcune osservazioni sul convegno tenutosi a Dro il 3 febbraio scorso, che ha avuto ottima partecipazione da parte di rappresentanti del mondo alpinistico, operatori e amministratori del territorio, cittadini.
Tutti i relatori hanno concordato, e come potrebbe essere altrimenti, sulla bellezza, unicità e particolarità della Valle del Sarca favorita dal clima, dalla conformazione del territorio, dal trovarsi a un crocevia geografico tra lago e monti: il problema è la gestione e la conservazione di questo patrimonio. Ci sono stati, in questo senso, interventi sin troppo eloquenti di persone tra il pubblico che hanno denunciato diverse situazioni che deturpano la bellezza della Valle; centri commerciali, nuovi supermercati, discutibili iniziative immobiliari, traffico. Che dire della cementificazione della collina di Arco nell’area Ex Argentina, del brutto biglietto da visita che si presenta a chi arriva da Rovereto con un albergo al Passo San Giovanni in costruzione e fermo da anni e lo scheletro di quello che doveva essere l’ennesimo centro commerciale a Nago anch’esso incompiuto, il nuovo supermercato a Dro a cento metri di distanza dalla preesistente Coop, l’orribile zona commerciale tra Riva e Arco.
Per non parlare del grosso punto di domanda sull’area di Linfano.
Il turista che sceglie la Valle del Sarca viene perché ama l’outdoor, non cerca la città e ha bisogno di poco, magari più di posti in campeggio che in albergo.
Se è vero che tutti hanno diritto a praticare lo sport preferito, bisognerebbe evitare di concedere ulteriore spazio a sport che stridono con l’ambiente naturale, mi riferisco, ad esempio, al motocross di Pietramurata che impatta in termini di inquinamento, rumore, danneggiamento del bosco e dei sentieri escursionistici che vengono invasi dai motociclisti evidentemente non sazi degli spazi a loro concessi. Per inciso, un grazie agli agenti del Corpo forestale per la loro vigilanza.
Si è detto che gli interventi del pubblico sono stati critici e non propositivi, ma ritengo che sia doveroso da parte delle amministrazioni raccogliere anche queste rimostranze che sono comunque espressioni di situazioni di disagio, di problemi che vanno valutati e risolti.
Ci vorrebbero scelte coraggiose e lungimiranti: si sente dire che la Valle ha fame di posti letto, ma il continuare ad aumentarli ingigantirà i problemi di traffico, inquinamento, degrado dell’ambiente e una programmazione del turismo non può prescindere dagli effetti di un carico antropico eccessivo e non sostenibile. In questo caso una soluzione potrebbe essere quella di puntare sull’allungamento della stagione turistica cercando di spalmare su tutto l’anno la frequentazione, e in questo campo l’Alto Adige insegna. Infine vorrei dire che il convegno avrebbe meritato più presenza da parte delle amministrazioni dei comuni limitrofi, poiché il futuro della Valle del Sarca non può essere disgiunto da quello dei territori vicini: Arco, Riva del Garda, Valle di Cavedine, Val di Ledro, Val Lomasona e necessita di scelte di sviluppo rispettose dell’ambiente e condivise.
Da L’Adige, 18 febbraio 2018
Barbara, mi permetto di darti del tu. Ottimo lavoro quello di riportare alla luce itinerari dimenticati. Quindi i miei complimenti!
L’importante, per me, è farlo nel rispetto storico dell’ itinerario, Come si farebbe nel restaurare un’opera d’arte: rispettandone l’ originalità, riportando alla luce quello che l’autore ha creato. Purtroppo non sempre questo avviene. Spesso restauro vuol dire cambiamento, adattamento, modifiche. Se si vuole dare una continuità tra passato, presente e futuro, il rispetto di quello che è stata fatto prima, sopratutto come è stato fatto, è importante.
La proposta di restaurare le vie poco o nulla frequentate è interessante, ma per fare ciò bisogna rispettare le vie esistenti sulla stessa parete; durante l’apertura della via “La ritrovata voglia…” al Pian de la Paia, una gran quantità di detrito, rami, sterpi e terra è andato ad invadere la via Holzer-Reali del Gran Diedro, che costituiva una Vera Linea Naturale nel cuore della grande parete. Peccato!! Mi aspetterei un’opera di “restauro” di tutte e tre le vie di Holzer(1976!).
Un esempio concreto: proprio oggi abbiamo “riscoperto” la totalmente dimenticata via Sara di Fabrizio Miori sulla Rupe Seca Sud al Colodri. La linea è/era sotto gli alberi e l’erba, i chiodi e i cordini nelle clessidre già invisibili, penso negli ultimi anni non è stata mai ripetuta. Noi pensiamo ora di pulirla un po nei prossimi giorni e publicarla, in questo modo il valore di questa via non viene dimenticato.
OK tutto bene ! i sembra una proposto molto interessante e utile.
Ma non ho ancora capito come dovrebbe essere attuato in pratica questo “dare valore alle via classiche”.
Quali sarebbero le modalità?
Nel contributo di Ivo R. e Marco F. (un estratto del contributo vedete in http://www.arrampicata-arco.com/valle-sarca-visione-di-un-futuro-blog.html) si esprime la loro idea, che i valori del passato della Valle non devono essere dimenticati. Io ho ripetuto la via Alba Chiara, della quale Marco F. parla anche nel estratto, e noto che la ripetizione di una via classica crea una relazione più profonda con la zona. Questo è importante per poter pensare a un futuro adeguato per la Valle, secondo me.
Caro Alessandro,
sabato 3 marzo hai fatto al Convegno, dove ero presente, un bellissimo (anche se lungo, vista l’ora…) intervento, credo da porre a base della futura pianificazione e sviluppo non solo della Valle del Sarca! Una sorta di “manifesto” o di “Linee guida” per una più attenta scelta del cammino da intraprendere, su rocce o su sentieri più o meno scoscesi e impervi, ma che occorre esplorare:
hai colto una serie di attenzioni e di cautele che occorre avere nel pensare ed agire per lo sviluppo armonico dell’ambiente bellissimo e ricchissimo di biodiversità che caratterizza la vallata del fiume Sarca, lago di Garda compreso, di cui spesso i residenti, amministratori compresi non si rendono pienamente conto (con le dovute eccezioni). La tua visione da “esterno” ci può aiutare davvero a scoprire non solo “nuove vie” che sulle rocce scoscese e sulle falesie sono ancora lì ad osservarci, ma anche ad esplorare altri punti d’osservazione, per comprendere meglio quale strada intraprendere. IDENTITA’ e STILE sono la chiave che potrebbe davvero rilanciare turismo, cultura ed economia sostenibile della Valle del Sarca.
Cito solo un altro “grande” che nel lontano passato ebbe questo tipo di attenzione al territorio gardesano: settembre 1786, il poeta e scienziato tedesco J. W. GOETHE ritrovò proprio sul Garda, a Torbole, la sua vena poetica e lo slancio rigeneratore che lo portò nel sua grande Viaggio in Italia ad esplorate un paese con occhi acuti e mente aperta, di cui ancora oggi troveremmo, rileggendolo, ampio giovamento per la sua capacità percettiva profonda e insuperata. Anche il turismo “mordi e fuggi” che dilaga sempre più ne avrebbe da guadagnare, in Val del Sarca e non solo.
E sarebbe?
A Dro c’era alla fine un commento dal pubblico, di signor Pederzolli, con il quale ero molto d’accordo e al quale vorrei riallacciarmi: una idea ben concretizzata e adeguata deve quasi essere accettata dalla amministrazione. In questo senso vorrei anche ripetere un idea dal contributo di Rabanser e Furlani: Quella di dare valore alle vie classiche nella Valle del Sarca è un idea molto importante, secondo me.
Ma di chi contestava si dice la maleducazione, non cosa contestavano. Si può sapere?
si, ma la carenza dava pienezza a quel poco che c’era.
Il senso era l’uso andato perduto e con esso un mondo, di un attrezzo che lo significava. Non della carenza di qualcosa.
ma proprio perchè la gerla era vuota. Quel poco che c’era, era veramente apprezzato. Oggi che abbiamo di tutto e di più, siamo annoiati.
Dentro quelle memorie, dentro quel piacere nel ricordarle, nel rivederne colori e materiali c’è un dramma.
Si nasconde o si palesa una lacerazione.
Una ferita attraverso la quale sentiamo la lama dell’attualità che l’ha provocata.
Non è un si stava meglio prima.
Dentro quelle memorie c’è la scomparsa di un mondo che aveva il sapore dell’erba sfalciata, il profumo di stalla.
C’è il sentire un sé stessi andato perduto.
Una dura gerla sempre vuota.
Caro Lorenzo quanto mi ė piaciuto il tuo scritto ricordo mia madre che non aveva niente quando passavano le Clomere che vendeva stoviglie di legno le faceva sedere e DONAVA loro quel poco che avevamo si hai ragione noi abbiamo vissuto un’altro tempo grazie ancora.
Caro Gogna, è un periodo difficile per gli “esperti”: l’incompetenza è salita in cattedra e senza vergogna rivendica il diritto di parlare a caso e senza costrutto. Accade oramai dappertutto. Ex cathedra non sui accetta quasi più niente, nemmeno l’opinione dell’ esperto laureato in sistema immunitario con post doc in America.Il rancore che cova tra gli italiani non è solo una teoria da sociologi Una nota metodologica come facilitatore sulla gestione di questo tipo di riunioni per disinnescare i super critici mangia- tempo: vanno condotte in modalità Open Space Tecnology, tavoli tematici in cui la popolazione incontra l’esperto e insieme redigono un piccolo documento da discutere in plenaria. Sarà il gruppo di sua sponte a togliere la parola ai criticoni.
Saluti,
Pier.
Esprimo una considerazione su queste parole: «Non dobbiamo partire dalla economia come primo argomento, piuttosto partiamo dalle persone e dai loro desideri, esigenze e ideali.»
Il principio di partire dalla persona è necessario in ogni azione di comunicazione. E va bene. Nel caso specifico – quantomeno con le parole utilizzate per riferire la posizione di Heinz Grill – non tralascerei che le esigenze delle persone corrispondono in buona misura ai valori, alle merci, ai servizi e ai beni che popolano il mainstream della comunicazione, quindi del commercio, quindi dell’economia, quindi della coercizione di Maya.
Secondo questa catena, si tornerebbe a rimettere – inconsapevolmente – al centro l’economia, pur partendo dalle persone.
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La separazione tra elettorato e classe politica ha una portata più estesa del sospettabile. Forse è solo la punta dell’iceberg.
La difficoltà di avviare un dialogo bioregionale; il desiderio di contestazione del pubblico e la conseguente mortificazione dell’intento dell’incontro forse sono indicatori, non più solo del degrado generale, ma della realizzazione di una morte.
Il tessuto sociale che la nostra generazione ha conosciuto pare andato perduto.
Sostituito da valori più elettrizzanti sebbene più superficiali. Edonismo, esaltazione della personalità, diritto ai beni, inseguimento dei consumi hanno il dominio su quelli più nobili.
Bene comune, scambio, dono, dialogo, rinuncia, accettazione, rispetto facevano la trama e l’ordito di quelle giacche che nessuno vuole più indossare.