L’arte di sciare oltre le piste

Questa sera, 13 febbraio 2018, il Gruppo Amici della Montagna presenta la Guida Alpina Paolo Caruso e la sua ultima fatica editoriale, L’arte di sciare oltre le piste (Versante Sud, 2017). L’appuntamento è a Milano, via Merlo 3, ore 21.

L’arte di sciare oltre le piste
(il Metodo Caruso raggiunge i paesi d’oltralpe ed entra a pieno titolo nello scialpinismo)
Intervista a Paolo Caruso
di Andrea Imbrosciano
(dicembre 2017)

Lettura: spessore-weight**, impegno-effort***, disimpegno-entertainment***

Ho conosciuto Paolo di persona a Roma durante una serata sulla prima invernale al Cerro Torre, dopo averlo visto varie volte arrampicare a Sperlonga. Erano gli anni ‘80. In quel periodo, quando si cominciava ad arrampicare era lasciato tutto al singolo e al caso; non si sapeva cosa si doveva fare e come farlo, ma c’era l’idea che prima o poi, perseverando, “il miglioramento” sarebbe avvenuto. E quando “misteriosamente” quel passaggio, quel movimento che prima non riuscivi a fare finalmente veniva, non eri in grado di capire perché, cosa era cambiato, e come fosse possibile riprodurlo. Quasi dieci anni dopo un’amica comune mi invitò a Torvaianica a una serata di montagna in cui Paolo presentava in anteprima il film L’arte di Arrampicare, che avrebbe poi vinto il premio CONI. Essendo poco amante dell’oriente, la presentazione del Metodo Caruso in un ristorante cinese non costituiva secondo me una scelta felice. Tutta la faccenda mi sembrava un po’ una forzatura. In particolare, in quegli anni ci chiedevamo come una serie di schemi motori, di tecniche e di “figure” potessero giovare al gesto, all’educazione motoria verticale, e all’arrampicata in generale. Provai anche a mettere in pratica alcuni aspetti, ma i risultati non mi sembrarono importanti. Come tanti altri mi domandavo: “A cosa serve questo metodo se arrampicare è soprattutto istinto e fantasia?”. Rimasi convinto che la tecnica in arrampicata, e quindi lo stesso Metodo Caruso, non fossero più di tanto utili fino al giorno in cui due ragazzini mi chiesero di portarli ad arrampicare. Allora mi resi conto che, senza volerlo, stavo ”attingendo” proprio a quegli schemi motori e che, così facendo, iniziare ad arrampicare era per loro più facile e naturale. Non si trattava di ripetere semplici “figure” statiche, ma di entrare nel vivo dell’arte “del movimento”. Grazie a quei due ragazzi mi sono liberato dall’idea che estro e fantasia siano in contrasto con l’apprendimento della tecnica. Oggi credo che, semplicemente, il Metodo proposto da Paolo fosse troppo “avanti” rispetto a quanto i più potessero capire in quegli anni. Per comprendere si sarebbero dovuti superare una serie di preconcetti e di convinzioni sbagliate, ma all’epoca l’arrampicata era uno sport ancora troppo giovane. Successivamente, mi sono ritrovato io stesso a lottare per cambiare le modalità di insegnamento in un ente di formazione per lo sport. Ritengo che fare formazione nel vecchio modo, quello in cui si lascia tutto al singolo e al caso, senza tecniche di riferimento e senza “capire” quello che stai trasmettendo come formatore, oggi non sia più praticabile e giustificabile.

Paolo, finalmente sei riuscito a venire a trovarmi a Castelnuovo al Volturno, che ne pensi di questo luogo?
Veramente unico, le vie, il cibo, e l’accoglienza, tutto appare genuino! Mi spiace solo di avere poco tempo perché vorrei venire più spesso.

Da tempo volevo farti alcune domande, credo sia giusto iniziare dalle novità e dal grande impulso che sta avendo il Metodo: sembra che oggi tutti tendano a considerare il tuo lavoro come un riferimento. Dopo la fondazione di IAMA, la scuola del Club Alpino San Marino che forma gli istruttori ufficiali del Metodo Caruso, adesso arriva l’interesse di alcuni paesi d’oltralpe. Ho avuto modo di guardare il video sulla formazione delle Guide Alpine e dei Professeurs d’Escalade svizzeri: link: http://canal9.ch/a-dorenaz-des-professeurs-descalade-ont-suivi-la-formation-continue-donnee-par-litalien-paolo-caruso/ e so che ci sono anche altri paesi interessati al tuo lavoro: ti aspettavi così tanta attenzione, addirittura da parte delle figure professionali fuori dall’Italia?


Credo sia naturale e positivo per tutti che le cose che funzionano vengano conosciute. In Italia tutto è complicato e il terreno è poco fertile perché spesso le persone sono intrappolate in discussioni e interessi che frenano ogni iniziativa rivolta al bene comune. Per non parlare dell’invidia e l’arrivismo di chi cerca di brillare di luce riflessa, ostacolando e “rubacchiando” il lavoro altrui. Senza voler generalizzare troppo, credo che negli altri paesi questi meccanismi siano meno diffusi e non influenzino tutti gli aspetti della vita come da noi. Per questo, forse, è più facile capire che ciò che è positivo determina vantaggi per tutti e di conseguenza si tende di più a favorire il lavoro di qualità piuttosto che sminuirlo, come troppo spesso avviene in Italia. Sarà un caso, ma la prima Guida Alpina ad approfondire seriamente il Metodo e a diventare istruttore IAMA è stato uno straniero, Jean Pierre Rieben, della Svizzera francese. In quel paese l’interesse verso un movimento naturale ed efficace, ma anche consapevole, che può essere trasmesso agli altri, sta crescendo enormemente. Per quanto riguarda i professionisti, oltre alle Guide Alpine anche i Maestri d’Escalade stanno scoprendo le Tecniche del Metodo come valido strumento di lavoro. Conoscere le tecniche che ti permettono di insegnare il movimento “giusto” è vincente in quanto le persone che vogliono imparare possono intraprendere un percorso preciso ed efficace, basato su principi oggettivi e universali che possono essere spiegati e dimostrati. Tra i Maestri d’Arrampicata la prima a “scoprire” il Metodo grazie a Jean Pierre è stata Virginie Crettenand, Presidente dell’Associazione Svizzera dei Maestri d’Arrampicata, che ha subito compreso l’importanza delle tecniche per affrontare in modo preciso ed esaustivo la complessità del movimento nella scalata. Anche lei adesso è un istruttore certificato IAMA. Attualmente, stiamo realizzando un ciclo di incontri formativi sul Metodo proprio per le Guide e i Maestri in Svizzera, grazie all’impegno di Jean Pierre, di Virginie, e di un altro istruttore IAMA, Ines Fischli. Oltre alla Svizzera, anche altri paesi stanno scoprendo il Metodo come contenuto fondamentale per i differenti livelli della formazione, a beneficio di tutte le tipologie di pubblico. Quest’anno abbiamo fatto il primo lavoro sul campo con le Guide Alpine della Gran Bretagna, in un clima di grande interesse. Mi ha colpito positivamente percepire l’atmosfera di maggiore unione e condivisione che regna fuori dall’Italia tra le persone che hanno in comune una professione e una passione, qual è l’arrampicata. Anche alcune Guide francesi si stanno avvicinando alle nuove metodologie tecniche con grande entusiasmo. Credo che il mondo sta andando male, molto male, perciò è importante giocare al meglio il proprio ruolo, spendendo le proprie energie in qualcosa di sano e giusto.

Quanto c’è di vero in quello che si dice sull’utilizzo del Metodo Caruso in Italia da parte di professionisti e non, come le Guide Alpine, il CAI, la FASI e altre associazioni amatoriali? Il Metodo è conosciuto e viene realmente praticato, insegnato e utilizzato, oppure ha ragione chi dice che tali enti seguono il Metodo soltanto sui libri?
Beh, direi che molte cose sono cambiate negli ultimi quindici anni. Prima era prassi nei corsi tralasciare lo studio del movimento poiché si riteneva che non esistesse una progressione tecnica per l’apprendimento. L’approccio era casuale, genericamente basato su un presunto “istinto”. Oggi credo che non esista corso che, nel bene o nel male, non tenti di rifarsi in qualche modo alle tecniche del Metodo. Il problema adesso è la corretta applicazione e insegnamento dei principi e delle tecniche stesse. Purtroppo ho dovuto riscontrare che spesso i contenuti vengono fraintesi e trasmessi in modo errato, se non proprio contrario ai principi originari, e ciò per me è molto negativo. Un insegnante dovrebbe sempre cercare di insegnare contenuti corretti, evitando di influenzare negativamente gli allievi. Piuttosto che stravolgere una tecnica che ha altre finalità, è preferibile non insegnare nulla e lasciare tutto al caso, come si faceva prima. Credo che tanti errori nascano dal fatto che nel nostro settore, per qualche motivo, si pensa che sia sufficiente leggere un libro per diventare degli esperti. Se così fosse, io stesso sarei anche un esperto di tango, un musicista, un chirurgo, un astronauta… solo perché ho letto un libro per argomento… Un libro aiuta la comprensione teorica e favorisce il lavoro sul campo, ma senza un addestramento concreto, condotto da un formatore esperto, si rimane su un piano astratto. Anche per le questioni di Tecnica e di Didattica dell’arrampicata tutto si traduce a livello pratico. Quando ciò non avviene, non si può parlare di Metodo. Ogni tanto sento dire che le guide e il CAI insegnano il Metodo Caruso ma non è vero. E’ corretto dire che insegnano personali interpretazioni di questo Metodo. Poi ci sono le dovute eccezioni. Ad esempio le Guide Alpine Luca Biagini e Matteo Piccardi sono diventati istruttori IAMA e conseguentemente ora conoscono il Metodo a un livello che non è pensabile senza seguire l’iter formativo previsto. In genere la conoscenza della Tecnica va di pari passo con il miglioramento del proprio movimento, dato che la teoria si fonde con la pratica: per questo gli istruttori IAMA acquisiscono le capacità per insegnare correttamente il Metodo. Tra i Collegi regionali delle Guide Alpine soltanto la Lombardia mi coinvolge periodicamente in un paio di giornate di formazione nel corso per guide alpine, quindi le future guide avranno un minimo di formazione sul Metodo “vero”. Due giornate sono assai poche per tutta questa materia ma almeno è qualcosa. Le altre regioni si basano come detto solo sulle interpretazioni personali. Con il CAI invece ho collaborato qualche volta negli anni passati e ho scritto per loro la parte di Tecnica di arrampicata, fino alla Progressione a Triangolo; ma a parte una manciata di istruttori che ha lavorato con me alcuni giorni, la massa delle scuole si rimette alle interpretazioni personalistiche di altri insegnanti, a scapito del contenuto autentico.

E la FASI? Se non sbaglio, un ragazzo che hai seguito personalmente in passato ha ottenuto notevoli risultati nelle gare per non vedenti: immagino quindi che alcuni concetti siano passati?
No, no, alla FASI il Metodo non è arrivato! Anche lì c’è qualcuno che cerca di imitare il nostro lavoro, ma onestamente sono lontani anni luce. I risultati raggiunti da quel ragazzo dimostrano solo la bontà del Metodo: usando le relative tecniche un non vedente può ottenere vantaggi ancora più evidenti. Immagina di essere al buio e di doverti muovere senza alcun principio, più o meno a caso. Ora invece immagina di sapere cosa fare, di poterti muovere in base alla conoscenza e alla capacità che hai sviluppato grazie a queste tecniche. Già solo padroneggiare il “doppio peso” equivale ad avere una marcia in più, figurati conoscere tutte le tecniche! Inoltre, ci sono tanti altri “accorgimenti” importanti, senza entrare nei dettagli, che determinano ulteriori differenze. E’ facile per chi conosce le tecniche del Metodo ottenere risultati brillanti, soprattutto quando gli altri le conoscono solo sulla carta. E’ come avere nel pc una serie di programmi che ti consentono di risolvere molteplici situazioni: senza, saresti quantomeno spaesato. I programmi corrispondono alle tecniche e alle progressioni.

Vorrei un chiarimento sulla scuola del Club Alpino San Marino di cui sei il direttore: che differenza c’è tra IAMA e le altre scuole? Perché è nata e quale obiettivo si prefigge?
IAMA è nata per tutto ciò di cui abbiamo parlato finora. Il problema di rispettare l’autenticità dei contenuti è reale. Da alcuni anni mi scrivono persone che mi chiedono di seguire dei corsi sul Metodo, ma… quello vero! Nel passato ciò non accadeva. Il fatto è che ora si comincia a sapere che c’è una bella differenza tra il contenuto autentico e quello spacciato da istruttori più o meno improvvisati. Io curo in prima persona la formazione di tutti gli istruttori IAMA e questo permette di garantire l’autenticità e la qualità dei contenuti nei vari paesi. Questi istruttori seguono un iter formativo mirato, lungo, e articolato proprio sul Metodo: si tratta di un percorso che non ha nulla a che vedere con un semplice aggiornamento di un paio di giorni. IAMA è nata nel 2008 proprio per garantire la corretta diffusione del Metodo e in qualche modo “certificare” gli istruttori che lo insegnano: questo è il suo scopo ed è uno scopo esclusivo, che ne determina la ragione di essere e la distingue da tutte le altre scuole del settore. Per questo tra gli Istruttori IAMA ci sono sia professionisti della montagna che volontari, ciò che li accomuna è la conoscenza del Metodo.

Da quello che dici, sembra che non ci siano grandi differenze tra un certo tipo di volontariato e il mondo professionale. In effetti IAMA, acronimo di Accademia Internazionale Montagna e Arrampicata, mi sembra si rivolga a entrambi. Perché questo progetto non è stato sviluppato in Italia?
Ritengo che il vero volontariato, in tutti i campi dell’agire, serva a colmare vuoti lasciati dagli organismi competenti, che si tratti di professionisti, enti o istituzioni. Nutro grande rispetto per chi spende energie proprie per supplire a una mancanza. Anzi, per me questo è l’unico volontariato che ha un senso. Altrimenti diventa concorrenza sleale nei confronti di chi fa quella cosa per mestiere. Nel caso di IAMA si tratta proprio di questo, perché la formazione che la Scuola offre è unica, e non può essere paragonata a quella di nessuna delle altre “parrocchie” esistenti. Se non ci fosse IAMA ci sarebbe un vuoto e nessuno potrebbe conoscere, studiare e imparare il Metodo autentico in modo ufficiale. Verificare che i professionisti che sono anche Istruttori IAMA hanno richieste di lavoro sempre crescenti mi fa molto piacere, e conferma la mia idea originaria: per fare qualcosa di valido bisogna unire le persone giuste e di valore, a prescindere dalla loro provenienza. Cambiare il sistema in un paese come l’Italia è molto, molto difficile; dar vita a qualcosa di positivo, buono e nuovo è invece possibile e realizzabile: basta avere un contenuto “vero” da portare avanti e persone di valore. Ebbi questa visione prima di ricevere dal Presidente del Club Alpino San Marino, Ing. Roberto Stacchini, l’incarico di creare la scuola che oggi dirigo. Ritengo che le istituzioni in generale siano per lo più compromesse e che le nuove conoscenze debbano giungere soprattutto alle persone cosiddette “normali”. Ammesso che sia ancora possibile agire per il bene comune, credo che il cambiamento debba avvenire dalla base piuttosto che dall’alto, cioè dai “politici” delle varie organizzazioni, che sono ormai mummificate nei loro meccanismi e nei loro interessi. Dall’Italia sono in tanti a scappare, da decenni si parla di “fuga dei cervelli”, ma nessuno si oppone veramente a questo andamento. La creatività e l’inventiva italiane sono famose nel mondo, ma in Italia chi fa qualcosa di nuovo è scomodo e viene ostacolato, perché con il suo esempio rende evidente la mediocrità diffusa, soprattutto ai livelli più alti. Per questo IAMA è nata all’interno del Club Alpino San Marino, in Italia nessuno avrebbe mai sostenuto questo progetto: i contenuti veri sono scomodi soprattutto quando nascono al di fuori da qualunque parrocchia, a opera di persone non manipolabili, che non si prestano a mettere in bella luce qualche “politico” o qualcuno con qualche patacca. Eppure tutti sanno che un vino fatto con le cartine non potrà mai neanche vagamente ricordare il Brunello di Montalcino, tanto per citare una delle tante eccellenze italiane.

Alcuni ritengono che la tecnica sia in contrasto con un movimento naturale, istintivo e libero: cosa puoi dirci a questo proposito?
Si tratta di affermazioni che fanno sorridere e nascondono molta ignoranza. Sarebbe come dire che imparare il movimento giusto nel nuoto impedisce di nuotare in maniera naturale, o “istintiva”, come viene tuttora erroneamente utilizzata questa parola da alcuni insegnati. Oppure, che il fatto di imparare la Tecnica dello sci contrasti con una sciata “creativa” e fluida. In realtà, è esattamente il contrario. Libertà e creatività si dischiudono con la conoscenza e la capacità. Apprendere un movimento corretto e metterlo in pratica attraverso tutte le tecniche fondamentali è la via che conduce a un movimento naturale, libero e consapevole. Inoltre, un vero percorso di apprendimento tecnico aumenta le soluzioni motorie a nostra disposizione e apre la porta a una migliore “percezione” del movimento, che senza un lavoro sul corpo, sulla respirazione e sulla mente, aspetti essenziali del Metodo, difficilmente si potrebbe ottenere. In tutti i corsi di arrampicata (professionali e amatoriali) si dedica moltissimo tempo all’insegnamento delle manovre di corda, dei nodi, dei paranchi, con tanto di nomi e metodologie, con un’attenzione che a volte diventa maniacale. Per carità, la sicurezza è fondamentale ma tutto ciò non c’entra nulla con l’atto motorio che dovrebbe essere l’elemento centrale della formazione! Possibile che per arrampicare vada bene essere dei cervelloni in “cordologia” e degli ignorantoni nel movimento? Rigirerei provocatoriamente la domanda: “Studiare e imparare i nodi e le manovre di corda non penalizza la capacità di improvvisare e realizzare le manovre stesse? Una persona che non le avesse studiate e imparate non potrebbe essere più efficace ricorrendo alla creatività e all’istinto?” Una simile domanda farebbe sorridere… Una precisazione però merita di essere fatta: la conoscenza della Tecnica non ha nulla a che fare con il tecnicismo. Mi spiego meglio: rimanere ancorati alla Tecnica fine a se stessa è un problema. Equivale a perdere di vista il “fine” stesso della Tecnica e allontanarsi dal percorso corretto. Si tratta di un errore molto diffuso: la ricerca del virtuosismo narcisistico, tipico delle persone che non hanno ben capito, o che non conoscono il senso e lo scopo ultimo di questo Metodo.

In pochi anni, dopo il manuale Alpinismo su neve e ghiaccio (Verdone Editore 2014) hai dato alla luce questo nuovissimo libro sullo sci: L’arte di sciare oltre le piste, il Metodo Caruso per lo sci completo (Versante Sud 2017). Nel manuale affronti in un modo completamente nuovo il movimento di salita e di discesa su tutti i tipi di neve, fuori delle piste battute: come fai da solo, al di fuori delle grandi organizzazioni, a investire così tanto tempo ed energie nell’innovazione?
Non credevo di riuscire a vedere il libro stampato già ai primi di dicembre 2017! E’ stato un anno impegnativo ma alla fine ce l’abbiamo fatta e sono molto contento di come è venuto, soprattutto per i contenuti, ma anche per la forma. La mia motivazione nasce innanzitutto dalla passione, poi dall’impulso a capire e a conoscere, infine dalla “vocazione” per l’insegnamento. Certamente la ricerca costa, soprattutto in termini di tempo, energie e risorse ma la voglia di scoprire nuovi orizzonti e di aprire la via per arrivarci è senz’altro una delle cose più belle che si possano realizzare. Per questo in genere mi muovo al di fuori delle grandi istituzioni, perché so che muoversi in “solitaria” è molto più agile e i risultati alla fine sono anche migliori. E poi l’abbiamo detto prima: in Italia ai più non interessa fare le cose bene. Nelle strutture esistenti non ho trovato ciò che per me è più importante: passione e sete di conoscenza. E poi lavori male e devi pure difenderti dai marpioni… meglio pochi e buoni! Fortunatamente posso contare sugli amici e sui compagni di “avventura” che mi sostengono primi fra tutti i Formatori della IAMA, come Roberto Stacchini, Micaela Solinas, Paolo Aprile, Marco Antonetti e Stefano Scarinci. Io comunque dico sempre che più che di merito mio si tratta di demerito degli altri che poco o nulla fanno per migliorare le cose e per andare un tantino oltre…

Com’è nato il Metodo sullo sci e da quanto tempo ci lavori? Ci sono punti in comune tra il Metodo per l’arrampicata e quello per lo sci oppure si tratta di ambiti completamente diversi?
Anche dopo aver capito che c’era una stretta connessione tra il movimento sulla roccia e sul ghiaccio, per un bel po’ ho continuato a credere che per lo sci fosse diverso e non potessero esserci “matrici” comuni con il movimento della scalata. Il Metodo sugli sci è nato agli inizi degli anni 2000 quando, grazie a un episodio raccontato nel libro, ho d’un tratto capito che lo schema motorio in ambio, oltre a essere l’incubo inconsapevole degli scalatori, era anche la causa che generava l’errore principale sugli sci. Fino a quel momento, evidentemente, avevo ragionato per compartimenti stagni e non avevo capito che i principi di base del Metodo, a cominciare dai 3 schemi motori degli arti, i 3 movimenti del baricentro principale, insieme alla valorizzazione del baricentro secondario, erano alla base anche del movimento sugli sci. Da quel giorno è stato più facile seguire il percorso giusto e, grazie alle conoscenze dei principi nell’arrampicata, in pochi anni sono arrivato a delineare la “Progressione Tecnica” per lo sci, sia per la salita che per la discesa, descritti nel manuale. La messa a punto finale è avvenuta in occasione del primo corso di formazione per gli Istruttori di sci IAMA: grazie al livello già alto dei partecipanti è stato possibile “sviscerare” ogni aspetto. Per questo nel lavoro di stesura del libro non mi sono mai sentito solo e sono stato sostenuto dai miei nuovi amici di avventura sciistica, istruttori IAMA e non: Marco Besio, Pietro Finamore, Ezio Camisassa, Roberto Stacchini, Andrea Gelfi e, soprattutto nelle fasi iniziali, Marta Zarelli. La chiave di volta fu capire che, per quanto riguarda il movimento, io stesso da molti anni avevo iniziato ad approcciare lo scialpinismo nello stesso modo in cui approcciavo da molto tempo la scalata. Sapersi muovere in molti modi, quelli migliori (che sono poi alla base dei movimenti che determinano le diverse tecniche del Metodo) è importante per poter cambiare sciata e adattarsi alla singola circostanza che nello scialpinismo – come nella scalata – comprende situazioni molto differenti, a causa delle mutevoli condizioni della neve e della montagna. Quest’aspetto è forse il più bello e affascinante: l’obiettivo del Metodo per lo sci è rendere lo sciatore capace di sciare nel modo migliore in base a quello che egli si propone di fare e a seconda delle diverse circostanze. Questo, come ben chiarito nelle conclusioni finali del libro, è il traguardo più importante per ogni formazione che si rispetti: arrivare ad avere libertà di muoversi, di scegliere, di capire. In due parole: agire in modo mirato per acquistare libertà e consapevolezza.

Quali sono i vantaggi pratici delle tecniche del Metodo? La Tecnica secondo te è il fine o è il mezzo che permette di raggiungere qualcosa di differente?
La risposta non è semplice perché ci sono molti aspetti differenti da considerare in un lavoro preciso sulla tecnica. Quello più importante per me è spesso difficile da capire per la maggioranza delle persone. Si tratta di ciò che ho detto prima: libertà e consapevolezza. Il raggiungimento di queste due condizioni è strettamente collegato alla comprensione e alla conoscenza. Come ho scritto nel libro, oggi si punta tutto sul risultato pratico e sul successo che per me sono invece valori secondari, perché semplici conseguenze che evidenziano la bontà del lavoro svolto. Ma non rappresentano certo il fine, perché prevaricherebbero i valori più importanti. Per questo te ne parlo ricordando che si tratta solo di effetti e non delle cause. In pratica, io dico che se capisci meglio come funzionano gli sci in base al movimento del corpo, poi diventa tutto più facile. Sapere cosa devi fare per ottenere un certo risultato è un grande aiuto. L’allenamento diventa preciso ed efficace. In quest’ottica ho descritto anche aspetti completamente nuovi che non erano mai stati messi a fuoco prima. Ad esempio, se chiedi agli specialisti di spiegarti con precisione cosa caratterizza il movimento su neve fresca rispetto alla neve compatta, le risposte sono sempre vaghe. Se poi pensiamo a una persona che vuole migliorare, con risposte vaghe si ottengono risultati vaghi… Per questo grazie al Metodo i risultati sono decisamente più rapidi da ottenere, perché le tecniche sono studiate per favorire la “percezione” di un determinato movimento giusto e preciso. Se poi metti insieme tutti i tipi di movimenti giusti, come in un mosaico, il quadro è completo. Chi ha visto e “toccato con mano”, è rimasto stupito. Una volta avevamo quasi un metro di polvere e c’era con noi una persona che aveva messo su gli sci solo cinque giorni in tutta la sua vita, quasi tutti con me. Questa persona riusciva a scendere e cadeva praticamente con la stessa frequenza di chi sciava da diversi anni. “Ma non è possibile che stai in piedi!” gli dicevano.

Nel libro ci sono anche due capitoli sui non vedenti: hai riscontrato miglioramenti evidenti con le nuove tecniche insegnando ai non vedenti?
Con il ragazzo cieco di cui parlavamo prima è stato davvero incredibile. Iniziando da zero, dopo qualche giorno di lezione sulle tecniche del Metodo abbiamo affrontato i primi fuoripista e le prime curve saltate sui primi pendii più ripidi. Anche in questo caso le persone che ci vedevano e che conoscevano i fatti rimanevano allibiti. Ma, ovviamente, i miracoli non esistono, e anche con le nuove tecniche non avrei mai potuto ottenere simili risultati con il ragazzo se in precedenza non avessimo lavorato per circa un anno sulle tecniche in arrampicata. A partire dal “doppio peso”, che il ragazzo aveva imparato a gestire meglio di qualunque alpinista stagionato, per continuare poi con la parte più importante del Metodo. Ovviamente in alcuni casi per me è stato faticosissimo. Ricordo il primo giorno di lezione sugli sci, tra la tensione per la responsabilità e la difficoltà di far acquisire il movimento in “incrociato”, eliminando quello in “ambio” nonostante lo avesse già imparato in arrampicata. Ho dovuto impegnarmi così tanto che dopo quattro ore di lezione ero letteralmente sfinito. Quando finalmente il ragazzo è riuscito a “sentire” il movimento in incrociato sugli sci e passare dallo spazzaneve al parallelo, tutto è stato più facile. In conclusione, direi che la Tecnica è un mezzo che permette di trasmettere le conoscenze (motorie) nel modo più rapido e ottimale. Per questo, nella storia dell’uomo, sviluppo della tecnica e sviluppo della civiltà vanno di pari passo. Senza di essa ognuno dovrebbe ricominciare da zero. Ma, allo stesso tempo, la Tecnica è un po’ anche il fine, perché senza di essa non sarebbe possibile trasmettere le conoscenze e impararle. Come dicevo prima, l’unico pericolo consiste nel fraintendere il senso della Tecnica e confonderlo con il “tecnicismo”.

Mi stai facendo venire voglia di imparare a sciare! Volevo farti un’ultima domanda, un po’ diversa. Tu sei diventato “famoso” anche per la lotta contro l’assurda gestione del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. So che il terremoto ha devastato il territorio: a seguito di ciò, i gestori del Parco hanno cominciato ad agire diversamente, senza divieti e regolamenti insensati?
Il territorio è devastato, la popolazione… non ne parliamo. Si parla di migliaia di persone che hanno già abbandonato le nostre zone e siamo solo agli inizi. Il problema è gravissimo, dopo più di un anno molte strade ancora non sono state riaperte, e non parliamo delle case. Sembra quasi che ci sia la volontà di far scappare le persone e spingerle ad abbandonare il territorio. In questo quadro il Parco dei Sibillini cosa fa? Divieti e multe. Ti dico solo che ora puoi raggiungere Ussita e Frontignano in macchina perché le strade lì non hanno subito danni particolari. Quindi, un minimo di turismo ha iniziato a tornare. La Val di Bove potrebbe essere il percorso più frequentato ma il “lungimirante” parco dei Sibillini ne ha vietato l’accesso a causa terremoto! La motivazione è che potrebbero cadere dei sassi… in montagna! Capito bene? Eppure tutti gli esperti sanno che la Val di Bove è talmente ampia che solo chi non conosce la montagna può preoccuparsi della caduta sassi, prima o dopo il terremoto… E poi, nessuno dovrebbe poter impedire ai cittadini di andare per monti e per mari, soprattutto a emergenza finita e dopo quasi un anno e mezzo dal terremoto. Invece queste sono le azioni messe in atto dai signori gestori del parco. In compenso, si sono premurati di elevare una multa di 200 euro a una persona che a sue spese e con competenza ha fissato la catena della piccola ferrata del Pizzo Berro con quattro tasselli a espansione. Tutti sapevano che la catena era pericolosa, era rimasta ancorata solo in uno o due punti: non ci vuole molto a capire che se si vuole mantenere un percorso pericoloso, prima o poi l’incidente arriva, altro che parco… Siamo al paradosso: non solo le pubbliche amministrazioni non fanno il loro dovere, ma addirittura sanzionano i cittadini che rimediano alle loro mancanze, a proprie spese e col proprio lavoro! Eppure il parco ha speso centinaia di migliaia di euro per la sentieristica! Quest’anno ha pagato diverse decine di migliaia di euro al collegio delle guide alpine marchigiane per monitorare i sentieri… Te l’ho detto, sembra fatto apposta per far scappare la gente e allontanare il turismo. Questa è la situazione. Sentire i politici e le pubbliche amministrazioni, incluso il Parco Nazionale dei Monti Sibillini, dire che stanno facendo il possibile per evitare lo spopolamento e favorire il ritorno del turismo mi fa venire in mente gli indiani d’America che, chiamando i bianchi “lingua biforcuta”, dimostravano di aver capito si trattasse di individui che predicavano bene ma poi razzolavano male, molto male…

Caro Andrea, ora vorrei farti io qualche domanda: quali sono i motivi che ti hanno spinto a portare avanti un progetto di sviluppo a Castelnuovo al Volturno? In che modo hai conciliato i tuoi intenti con il territorio del Parco Nazionale Abbruzzo, Lazio, Molise nel quale ricadono molte delle falesie che hai attrezzato? Come sono i rapporti con l’Ente parco?
Castelnuovo al Volturno è un piccolo paesino con delle caratteristiche ambientali di grande importanza che ci sembrava richiedesse delle misure di salvaguardia. Volevo sperimentare se per gli arrampicatori fosse possibile vivere in un luogo come questo seguendo delle regole…abbiamo visto che è possibile, e grazie a questo i rapporti con il parco, così come con gli altri enti locali, sono contraddistinti da una buona intesa e un’ottima collaborazione. Abbiamo potuto raggiungere quest’obiettivo grazie ai continui contatti e al dialogo comune. Di grande importanza sono inoltre i rapporti interpersonali con i residenti.

Tu hai una esperienza trentennale nella chiodatura di vie, in falesia e in montagna. Che criteri hai seguito per attrezzare le vie in quel territorio, sei stato in qualche modo influenzato dal Metodo?
Il Metodo Caruso è di fondamentale importanza nell’arrampicata cosi come, ovviamente, nella chiodatura. Comprendere il suo funzionamento consente di attrezzare itinerari oltre che più sicuri, coerenti con le tecniche motorie che esso individua, in questo modo diventa più semplice insegnarlo, trasmetterlo. Castelnuovo è diventato un laboratorio dove sperimentare e implementare proprio tecniche di chiodatura e ri-chiodatura degli itinerari coerenti con il Metodo. Per ultimo, non meno importante, è un magnifico luogo d’incontro dove potersi rilassare e confrontare davanti ad un buon bicchiere di vino!

www.metodocaruso.com
www.clubalpinosanmarino.org
www.innatura.net 

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L’arte di sciare oltre le piste ultima modifica: 2018-02-13T05:24:48+01:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “L’arte di sciare oltre le piste”

  1. Ho sperimentato il metodo Caruso sullo sci grazie a una lezione con Paolo due inverni fa e, da quasi principiante, posso testimoniare che sono subito migliorata visibilmente quando ho capito come applicare allo sci gli schemi motori ambio e incrociato. Avendo esperienza di arrampicata, quando ho saputo che il metodo Caruso si era esteso anche alla disciplina dello sci,  nella quale faccio molta più fatica, ho cercato l’opportunità di sperimentarlo. Il metodo Caruso per l’arrampicata mi era stato insegnato, così mi dicevano, ai corsi CAI e FASI, ed era stato poi da me approfondito grazie ai manuali. 
     
    L’incontro con Paolo sugli sci si è dimostrato poi come l’inizio di un percorso che mi sta portando sorprendentemente a scoprire il suo metodo applicato proprio all’arrampicata. Fino a poco tempo fa il mio desiderio di migliorare in quest’arte  pareva avere un limite invalicabile nella mia (scarsa) forza fisica, non trovavo vie diverse per crescere e questo mi creava frustrazione. 
    Quando ho conosciuto Paolo e gli istruttori da lui formati ho iniziato a imparare daccapo le tecniche, oltre a cercare di correggere gli errori che nel frattempo avevo automatizzato a motivo di insegnamenti errati o lacunosi e ho capito di aver  ancora, fortunatamente, molto da imparare.
     
    Il problema inoltre non è solo la conoscenza delle tecniche da parte degli istruttori, ma anche la padronanza del metodo di insegnamento, un altro aspetto fondamentale di questo metodo.Credo che una migliore e più diffusa conoscenza del metodo Caruso, cui credo darà un ulteriore contributo il nuovo libro, sia utile per chi vuole praticare meglio e con maggiore soddisfazione  sia l’arte di sciare che quella di arrampicare.
     
    Complimenti a Paolo per il suo lavoro e un saluto a Lucio e Gug

  2. Ora si può dire che la “scuola obbligatoria” sia ben strutturata anche nello sci, dopo l’arrampicata. Spero che dopo la terza media vengano strutturate anche le scuole superiori….. sempre se si vogliano e si possano strutturare. Lui, secondo me, ha fatto un lavoro di base lodevole.

  3. Grazie per la sua replica signor Magri.

    Si, il metodo Caruso è stato ufficialmente adottato dalla manualistica CAI (a voler essere precisi, però, solo una parte di questo); ma anche la manualistica delle guide alpine italiane ha fatto altrettanto. Questo fatto, però, non ha trasformato automaticamente tutte le guide alpine in istruttori accreditati del metodo Caruso. Molte guide infatti, alla prova dei fatti, non conoscono questo metodo o ne hanno una conoscenza solo frammentaria. Non per nulla all’ultimo corso istruttori della IAMA erano anche iscritte due guide alpine della Lombardia. Torno quindi a ribadirle quanto sostengo, cioè che esistono diversi livelli di conoscenza del metodo Caruso, e che questi implicano il superamento di diverse fasi di apprendimento. Solo al termine di questo percorso (accertato tramite accurati test di accesso teorico-pratici) si può quindi affrontare il corso istruttori della IAMA, e solo dopo aver superato tale corso (in realtà ne esistono due, per il I E per il II livello) ci si può considerare legittimanente in grado di poter insegnare questo metodo.

    Cordiali saluti

  4. Sono assolutamente d’accordo: Caruso ha per primo compreso le basi del movimento in arrampicata, meglio di molti che prima di lui avevano parlato di questo argomento, come Gullich o Edlinger.

    Tuttavia penso che il metodo sia stato adottato ufficialmente nelle scuole CAI, ed infatti io l’ho avuto come insegnante e il capitolo sulla tecnica di arrampicata nel manuale CAI di Alpinismo su Roccia è scritto proprio da lui. Quindi il suo studio è stato assolutamente recepito in questa organizzazione e lo è stato fatto in modo ufficiale, mediante la formazione di tutta una generazione di istruttori e di una pubblicazione su un manuale ufficiale. Però non è possibile che tutti gli istruttori debbano passare sempre sotto gli insegnamenti di Caruso: una volta che il metodo è stato adottato è naturale che ci sia un processo di delega, e che questo avvalori il metodo e non lo svilisca. Fermo restando naturalmente che Caruso continuerà ad insegnarlo in modo egregio.

  5. Non sono molto d’accordo con quanti lei sostiene, signor Magri. A Caruso e doveroso riconoscere che è stato il primo alpinista ad avere codificato un metodo completo ed organico per l’apprendimento e l’insegnamento dell’arrampicata; non è una questione da poco. Non mi pare, inoltre, che Caruso si dispiaccia se qualcuno usa ed insegna il suo metodo in maniera corretta. Quello che non desidera, e su questo non posso certo dargli torto, è che esistano istruttori che pretendono di insegnarlo senza averlo ben compreso, fraintendendo i suoi reali contenuti. Se poi ci sono anche istruttori che invece, avendo ben compreso il metodo Caruso, vogliano compiere ricerche personali a partire da questo, allora credo che Paolo ascolterebbe con interesse queste persone. Ma il punto è che esiste un solo modo oggettivo per essere certi che uno scalatore abbia ben compreso il suo metodo: quello di intraprendere un percorso formativo per istruttori presso la sua scuola (la IAMA). Mi sembra infatti  del tutto legittimo che debba essere lui a giudicare se una persona abbia davvero compreso il suo metodo e sia in grado di insegnarlo.

    Cordiali saluti.

  6. Conosco e apprezzo da anni il metodo Caruso e ho avuto Paolo come insegnante al corso da istruttore CAI.

    Quello che però non condivido è l’atteggiamento di volere l’esclusiva su quello che di fatto è uno studio del movimento in arrampicata: secondo me, come in tutte le discipline, dopo averlo pubblicato si deve accettare che questo studio venga utilizzato da altri operatori del settore, a patto che venga citato nelle fonti. Questo oltre naturalmente al continuare ad utilizzare questi concetti, che sono secondo me espressi in maniera magistrale da Paolo, nelle lezioni che lui stesso tiene.

  7.  Io non pratico lo sci e sono quasi totalmente ignorante in fatto di tecnica sciistica, mi astengo quindi doverosamente dal voler giudicare il valore di questa ultima fatica letteraria di Paolo Caruso. Posso però affermare in tutta sicurezza di non avere mai conosciuto una persona che, come lui,  abbia sviluppato una conoscenza tanto corretta ed approfondita degli schemi motori e delle tecniche che sono alla base del corretto movimento su roccia. Non sarei quindi affatto sorpreso se, con questo suo libro, Caruso si rivelasse capace anche di segnare un punto di svolta significativo nell’apprendimento della tecnica sciistica, magari di importanza analoga a quello che ha gia’ realizzato nel campo dell’arrampicata.

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