Verso Rock Story

Metadiario – 108 – Verso Rock Story (AG 1982-004)

Dopo le entusiasmanti giornate in Verdon, mi ritrovo in Valtellina dall’amico Giuseppe Popi Miotti: con lui e Lodovico Mottarella ho in programma di rieditare la loro bella guida grigia della Val Masino. Con Nella abbiamo appena costituito (25 marzo 1982) la società in nome collettivo Melograno Edizioni: ci sono anche Massimo Rosti e Walter Gandini. Questi rimarranno anche dopo l’abbandono di Nella, avvenuto l’1 marzo 1984, e dovuto alla nostra separazione. In seguito Nella rientrerà, stante il nostro ricongiungimento e con ennesimo atto notarile, il 7 luglio 1986). Nella primavera 1982 ovviamente siamo a caccia del titolo migliore, nonché della guida di arrampicata che ci prometta qualche utile. La monografia di Miotti e di Mottarella è ben fatta ed è già esaurita pur essendo stata venduta praticamente solo in loco. Con qualche aggiornamento, posso avere buone garanzie di rifarmi in breve delle spese di redazione e di stampa.

Giuseppe Miotti sul Giardino delle Bambine Leucemiche, 5 giugno 1982

Ma naturalmente accanto al lavoro accostiamo ore di arrampicata, visto che nessuno ci costringe a un orario di ufficio. Le poche ore rimaste di questo pomeriggio del 4 giugno 1982 Popi ed io le spendiamo alla Palestra delle Cassandre, un’oscura e fresca gola rocciosa formata dal torrente Mallero: saliamo la via Pacelli e Neurosis.

La sera a San Martino Val Masino siamo a casa del Popi, che è il marito della Rosanna Fiorelli, figlia del mitico Giulio. Il mattino dopo, con Popi e Lodovico, decidiamo di affrontare il Giardino delle Bambine leucemiche, una bellissima via di Ivan Guerini sulle Placche del Giardino che manca a tutti e tre. Ma, dopo sei bellissime lunghezze su superbe placche granitiche, ci lasciamo prendere dall’ambizione di fare la prima ripetizione della notevolissima variante di François Hagenmuller e Jacopo Merizzi, la via per l’Inferno.

Giuseppe Miotti sul Giardino delle Bambine Leucemiche

Naturalmente conosciamo i retroscena: uno dei più forti draghi dell’arrampicata in aderenza, Jacopo, su questa via aveva fatto da secondo a uno scatenato François, dunque che possiamo aspettarci se non i famosi ‘cazzi acidi’?

Popi, molto più placchista di me, si sobbarca l’onore e l’onere di fare da primo sulla prima delle tre lunghezze di via per l’Inferno, il tiro chiave dato di VIII+ sprotetto. Sappiamo che la via è temuta proprio per l’impossibilità di proteggerla, ma mai c’immaginiamo quanto… Dopo qualche esitante tentativo, Popi decide che non è il caso di impegnarsi su questo tiro, dove se sbagli un granello di cristallo ti puoi fare una caduta dai 10 ai 30 metri…

Giuseppe Miotti su Via per l’Inferno, Placche del Giardino, Val di Mello

Insomma, con ignominia, facciamo dietrofront e perfino rinunciamo a continuare per la via di Guerini perché è ormai ora di birra.

Intanto, nei miei deliri programmati, sto lentamente convincendomi che il secondo volume dei 100 Nuovi Mattini possa aspettare. Di fatto, per vari motivi, mi trovo sempre più spesso a battere la zona occidentale e non quella orientale, a tal punto da costruire un progetto assai diverso, quello di un nuovo libro che avrei intitolato Rock Story. Il secondo dei 100 Nuovi Mattini sarebbe giocoforza pubblicarlo con Zanichelli, mentre io ho voglia di lavorare soprattutto sulle mie edizioni. Pian piano delineo un piano, quello di scrivere un romanzo illustrato da fotografie delle arrampicate, corredate dalle classiche relazioni e dai doverosi schizzi. Mi costruisco la storia di un giovane, Andrea, che nella sua crescita si trova a competere e a vincere una “gara” di arrampicata (notare che la prima gara di Bardonecchia è ancora di là da venire, 1985) che si svolge su una serie di strutture rocciose, tutte in provincia di Torino. Seguendo lo schema già seguito in precedenza, tendo a ripetere tutte le vie che la mia fantomatica gara ha messo in programma. Qui, la Valle dell’Orco la fa da leone, dunque il 10 giugno eccomi pronto al campeggio nei pressi della Fessura Kosterlitz. Con Vittorio Neri andiamo a ripetere il Totem bianco alla Parete del Disertore. Avendola già fatta, so quanto può essere fotogenico il traverso sotto il tetto: ma so anche che bisogna essere in quattro per fare delle belle foto. Così invito nientemeno che Patrick Edlinger (che a sorpresa abbiamo trovato qui questa mattina) a venire con noi, solleticandolo con la quasi certa possibilità di fare l’itinerario in libera: non ho difficoltà a convincerlo. Patrick viene con noi con il suo amico Jean-Paul e altri due francesi. Tutto funziona a meraviglia, mi piazzo alla fine del traverso e fotografo il grande Patrick mentre supera agevolmente i metri che io ho appena fatto sulle staffe, graduando il passaggio 7a.

Prima di partire per il Totem bianco, avevamo seguito Patrick a caccia di qualche boulder di pregio. Presto aveva individuato una fessura nei pressi del Masso Kosterlitz, un bloccone ben nascosto. Senza tanti preamboli l’aveva affrontata e superata a vista, chiamandola poi la Fissure du Panetton.

Patrick Edlinger sul passo del tetto della via del Totem Bianco alla Parete del Disertore, 10 giugno 1982
Patrick Edlinger apre la Fissure du Panetton, 10 giugno 1982

Un’altra meta che ho in programma è il Monte Bracco, un posto molto bello, accattivante e solare (quando non immerso nella nebbia…) sopra Saluzzo. E’ il 12 giugno, a Torino raccogliamo Anne-Lise Rochat. Con Nella salgo la via dell’Unione, con Anne-Lise la Micro Fitos: segue un tentativo con Nella alla via Graziella.

Monbracco, Giampiero Turco su Micro Fitos. 12 giugno 1982.

Il giorno dopo cambiamo posto e scegliamo un risalto sul torrente Luserna, il Sasso di Mugniva. Con Anne-Lise salgo la via BB di destra e poi anche la BB di sinistra. Con noi è anche il simpatico fratello di Gabriele Beuchod, Giulio. Con lui e Anne-Lise salgo un nuovo itinerario un po’ sulla destra, la via Gibbons: e, non contento, ripeto ancora la BB di destra con Giulio.

Alessandro Gogna sul Sasso di Mugniva, via BB di sinistra, Luserna, val Péllice. 13 giugno 1982.

Il 14 giugno, ancora in Valle dell’Orco. Ormai sono scatenato, il progetto di Rock Story mi ha preso senza alcuna speranza di eventuali ritorni… Con Roberto Bonelli e Nella saliamo Lucertola curiosa, facile, divertente e aperta in precedenza dallo stesso Roberto, nonché la Fessura per PA alla Piramide, quella dove un po’ di anni prima, da solo e provando per la prima volta le scarpette, avevo rischiato di farmi molto male.

Alessandro Gogna sulla quarta lunghezza di Lucertola curiosa, Valle dell’Orco. 14 giugno 1982.
Piramide, Fessura per PA: Ornella Antonioli e Roberto Bonelli, 14 giugno 1982
Piramide, Fessura per PA: Ornella Antonioli e Roberto Bonelli

Il 15 giugno è la volta di un pezzo forte del Caporal, la via del Sole nascente, con Gabriele Beuchod. Nel più pieno rispetto di questo capolavoro del grande Mike Kosterlitz, riusciamo alternandoci al comando ad arrampicare. E ci divertiamo! Naturalmente proviamo a farla in libera, ma dobbiamo cedere a 11 chiodi… Sento che le foto fatte su questo itinerario saranno fondamentali per la qualità di Rock Story, alla sera sono gasato come non mai.

Caporal, via del Sole Nascente, Gabriele Beuchod sulla 2a L, 15 giugno 1982
Caporal, via del Sole Nascente, Gabriele Beuchod alla S2
Caporal, via del Sole Nascente, Gabriele Beuchod alla 7a L

Il 21 giugno sono ancora in valle. Con Roberto Bonelli e Anne-Lise Rochat ci mettiamo assieme a Franco Salino e Bruna Fabretto per salire Ti ho perso cavallino ma non ti dimentico alla Parete del Disertore, altra via aperta in precedenza da Roberto. Un po’ meno entusiasmante del Sole nascente, ma pur sempre una bellissima via, che vale la pena fare.

Parete del Disertore, Ti ho perso cavallino ma non ti dimentico. Anne-Lise Rochat su 1a L, 21 giugno 1982. Si vedono anche due cordate sulla S0 di Totem bianco.
Parete del Disertore, Franco Salino suTi ho perso cavallino ma non ti dimentico

La sera ci sono anche Manolo e Roberto Bassi, attratti dalla fama che ormai la Valle dell’Orco ha anche a Oriente.

Sergent, Nicchia delle Torture, Franco Salino su 2a L, 22 giugno 1982
Sergent, Nicchia delle Torture, Maurizio Manolo Zanolla su 2a L, 22 giugno 1982
Sergent, via Crollo dell’Impero Nero, Alessandro Gogna su 1a L, 22 giugno 1982
Sergent, via Crollo dell’Impero Nero, Franco Salino su 2a L, 22 giugno 1982
Sergent, via Crollo dell’Impero Nero, Alessandro Gogna su 3a L, 22 giugno 1982

il 22 giugno eccoci alla Nicchia delle Torture al Sergent, con uscita per il Camino Bernardi. Sono a Manolo, Bassi e Salino. Entusiasmante serie di fessure, una più bella dell’altra. Nella stessa giornata, con Franco, saliamo il lungo Crollo dell’Impero nero, sempre al Sergent: una galoppata su placche divertenti.
Il giorno dopo voglio fotografare qualcosa alla Torre di Aimonin, così convinco Manolo e Roberto Bassi a fare qualcosa per loro di davvero facile, la via dello Spigolo con variante diretta. Finito questo con nonchalance (con noi erano anche Paolo Rosti e Vittorio Neri), con Manolo e Bassi facciamo anche la via del Diedro, completandola con una nuova variante finale, il Diedro Manolo.

Torre di Aimonin, via dello Spigolo, Vittorio Neri su 2a L, 23 giugno 1982. Lo assicurano Manolo e Roberto Bassi.
Torre di Aimonin, via del Diedro, Maurizio Manolo Zanolla sulla 2a L

Il 24 giugno, con Paolo e Vittorio, saliamo la via Cànnabis al Sergent, una via ormai “storica”, tra le prime ad essere aperta sul Sergent. Siamo ben distanti dal farla in libera… Segue la salita di Incastro amaro, con Roberto e Manolo. Il caratteristico tetto per me è fuori discussione… ma li seguo per fotografarli.

Sergent, Paolo Rosti su Cànnabis, 24 giugno1982
Sergent, Vittorio Neri e Paolo Rosti in sosta su Cànnabis, 24 giugno1982
Sergent, Manolo su Incastro Amaro, 24 giugno 1982

Siamo solo a metà della lunga settimana passata con Roberto e Manolo in valle. Mi stupivano la loro moderazione nel cibo e nel bere. Decisamente preferivano una vita ascetica, nel caso del secondo talvolta interrotta da sonore “balle”, piuttosto che poco meno che moderate ma costanti bevute pomeridiane e serali.

Il 25 con Roberto e Manolo salgo Cochise sul Cubo e subito dopo, sulla Piramide, la via Ogliengo (con l’aggiunta di Paolo Rosti),

Cubo (Valle dell’Orco), via Cochise, Roberto Bassi sulla 1a L, 25 giugno 1982
Cubo (Valle dell’Orco), via Cochise, Manolo
Cubo, via Cochise, Roberto Bassi sulla 3a L, 25 giugno 1982
Cubo, via Cochise, Roberto Bassi sulla 3a L, 25 giugno 1982
Manolo è assicurato da Roberto Bassi sulla via Ogliengo alla Piramide. 25 giugno 1982.

Il 26 non è bello, ma al pomeriggio ci permette di andare a fare la più che fotogenica Sitting Bull, una fessura tagliata con l’accetta su un enorme masso nei pressi di Ceresole Reale (la Parete di Prese). C’è uno scorbutico passo a metà tiro: Manolo e Roberto passano agevolmente, ma qui ce la faccio anch’io.

Ceresole Reale, Parete delle Prese: Manolo libera Sitting Bull, 26 giugno 1982.

Il 27 giugno 1982 è la volta di un sogno a lungo accarezzato, la salita al Caporal del Lungo Cammino dei Comanches, la via probabilmente più lunga della struttura, un obliquo in certi punti davvero terrificante. Mi offro di fare da primo per tutta la via, in modo che Manolo e Roberto possano provarla in arrampicata libera. E ci riescono: anche se la loro salita non può essere classificata una RP, vederli provare con accanimento è stato uno spettacolo.

Caporal, Roberto Bassi su Il lungo Cammino dei Comanches, 27 giugno 1982
Caporal, via del Sole Nascente: un arrampicatore sulla 3a L visto da Il lungo cammino dei Comanches, 27 giugno 1982.
Caporal, Alessandro Gogna su 3a L de Il lungo Cammino dei Comanches, 27 giugno 1982

Il giorno dopo riposo, anche perché piovoso. Il 29 giugno chiudiamo la lunga corvée con la Parete delle Ombre, sempre noi tre: prima gli Schiavi della Pietra e poi Colpo Basso.

Parete delle Ombre, Roberto Bassi su Schiavi della Pietra, 2a L, 29 giugno 1982
Parete delle Ombre, Roberto Bassi su Colpo Basso, 29 giugno 1982
Parete delle Ombre, Manolo su Colpo Basso, 29 giugno 1982

Ma è ormai tempo di lasciare questa splendida valle, le Dolomiti mi chiamano (e questa volta non per lavoro).

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Verso Rock Story ultima modifica: 2022-10-13T05:10:00+02:00 da GognaBlog

11 pensieri su “Verso Rock Story”

  1. “Sono un tipo antisociale, non m’importa mai di niente, non m’importa dei giudizi della gente. Odio in modo naturale ogni ipocrisia morale; odio guerre ed armamenti in generale. Odio il gusto del retorico, il miracolo economico, il valore permanente e duraturo, radio a premi, caroselli, TV, cine, radio, rallies.
    Odio la vita moderna fatta a scandali e cambiali, i rumori, gli impegnati intellettuali. Odio i fusti carrozzati dalle spider incantati coi vestiti e le camicie tutte uguali, che non sanno che parlare di automobili e di moda, di avventure estive fatte ai monti e al mare, vuoti e pieni di sussiego se il vestito non fa un piego, mentre io mi metto quello che mi pare.
    Sulle scatole mi sta tutta la gente. In un’isola deserta voglio andare ad abitare e nessuno mi potrà piú disturbare.”
    (Francesco Guccini, Il sociale e l’antisociale)
    … … …
     
    Fratelli!  😂😂😂

  2. Dinosauro asociale per me è un complimento. 

    Non avevo dubbi.
    Anche per me😁

  3. Che film tra i tanti del genere montagna da  salvare da una catastrofe non saprei…ma tra i libri si! …Quando un libro diventa arte , guida ,  poesia e anche una sfida editoriale …

  4. Dinosauro asociale per me è un complimento. 
    E poi tutti senza casco. Era la libertà di comportarsi ognuno come voleva nel rispetto dei compagni. Oggi sono concetti estranei a quello che resta dell’arrampicata. 

  5. momenti bellissimi  e irripetibili. Non solo perchè questi volti oramai hanno una certa età. Ma perchè è cambiato una mentalità, un modo di concepire e di agire. Oggi siamo troppo inquadrati in: sicurezza, gesti, regole, categorie, informazioni, fruibilità, pubblicità, immagine. L’arrampicata, che per i protagonisti delle foto era libera,  non so se può essere ancora definita tale.  Più che libera la vedo soprattutto  sportiva, sintetica,  con mille espedienti tecnici e descrizioni super dettagliate, con tanto di copertura cellulare e modificazioni della roccia. Tutto questo, forse, mina il senso di libertà che allora era un presupposto non meno importante del gesto arrampicatorio. Mina l’incertezza, la fantasia, l’interpretazione individuale: difficoltà massima, difficoltà obbligatoria, S1, S2 , R1, R2. Tutto molto inquadrato in parametri preconfezionati.  Per tanti di allora, credo che  l’arrampicata  sia  stata anche una forma  di riscatto. Oggi non credo  lo sia più. Ma  forse è giusto così: l’arrampicata deve essere un puro divertimento e non uno zoo per dinosauri asociali, nostalgici e retorici.

  6. Ho letto l’articolo e ad un certo punto una foto in particolare mi ha fermato: Sosta al Sergent su Cannabis. Questa l’ho gia’ vista, un sacco di volte, ma si certo….e’ la copertina del primo libro di alpinismo comprato con i miei soldi… da ragazzino. Un alpinismo di ricerca. Lo avevo scelto in libreria perche dai capitoli si parlava di Cervino, Calcagno…. Gogna non sapevo ancora bene chi fosse, tanto meno Edlinger che veniva raccontato in uno degli ultimi capitoli… Ricordo che il giorno dopo andai a cercare il Sasso a forma di Pera a Sestri, cui Gogna faceva riferimento nel suo libro… non lo trovai.. come non lo aveva trovato lui stesso. Bei tempi. Conservo naturalmente il libro fra le decine che poi sono seguite. Allora non avevo idea di cosa fosse il granito della Valle dell’Orco, che invece salii varie volte solo qualche anno piu tardi. Foto stupende, che esprimono bene quegli anni. A volte provo a fare un confronto con le attuali generazioni, conscio che i miei “occhiali” leggono con le lenti della nostalgia e della preferenza per quei tempi. E pero’ non riesco proprio a dire che oggi quello spirito da leggenda di allora sia rimasto. Perlomeno e’ molto piu’ raro. Io ho scalato a lungo ad iniziare da una decina di anni dopo i tempi che si indicano nell’articolo. La kosterlitz era consumata e praticamente insalibile ed Edlinger di certo non si vedeva piu’ in valle dell’orco e le scarpette erano gia’ strettissime tre numeri in meno… Ma quell’afflato un po’ magico era ancora presente, sia in bassa valle che in alta montagna. Oggi non so se le attuali generazioni vivono ancora questo genere di emozioni, non sono in grado di dirlo. Temo di no e mi spiace per loro, non lo dico per affermare una presunta superiorita’ di quei sugli attuali. Ma certo vedere certe foto di Edlinger, Manolo ma anche i meno noti e i non campioni ma comunque che hanno fatto la storia perlomeno di una valle, di una falesia…. beh davvero abbiamo vissuto un momento straordinario.

  7. Disse una volta un vecchio filosofo (Gianni Vattimo), ripensando alla sua gioventú sui monti:
    “Potessi ritornare indietro a quei giorni – poche storie! – darei via tutto il Pensiero Debole”.

  8. Che meraviglia questi ricordi e queste foto. Quel giugno 82 c’ero anche io e ci incontrammo, ricordo bene Manolo, Bassi (coi suoi fantastici pantaloni a scacchi), Neri e mi riconosco anche in lontananza in una foto al totem bianco, con pantaloni bianchi e le Berhault San Marco ai piedi. Cavolo che anni ragazzi…

  9. Della trilogia di Gogna, Rock Story fu quello che maggiormente mi coinvolse emotivamente. Mi immedesimai molto nel protagonista, probabilmente anche a causa di vicende personali che mi avevano emotivamente segnato.
    100 Nuovi Mattini fu il mio secondo momento di maturazione  dopo l’incontro con Giancarlo Grassi e Gianni Comino.
    Mezzogiorno di Pietra un volume da aprire e leggere più e più volte con la consapevolezza (al tempo frustante) che molti di quei luoghi sarebbero rimasti solo sulle pagine del libro e nei miei desideri al tempo irrealizzabili.
    Rock Story mi ispirò un cambiamento radicale, dove la ricerca della prestazione e della emulazione, ispirata da 100 NM virò decisamente sull’alpinismo, spesso intimistico e solitario.
    Curiosamente considerai chiuso il cerchio quando molti anni dopo mi trovai da solo sul bordo del cratere di nord est dell’Etna, bella e lunare passeggiata ma di certo non rilevante da un punto di vista alpinistico.

  10. Bellissime foto ed altrettanti ricordi di luoghi battuti anche da me in quegli anni.. non ci siamo mai conosciuti di persona, ma chissà quante volte ci siamo incrociati.. abbiamo però credo una conoscenza in comune, la carissima Elena Garrone e le sue 4 figlie Promontorio di Milano che però con l’arrampicata non hanno nulla a che fare..

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