Conscia che è davvero importante comprendere che il Nuovo Bidecalogo del CAI stabilisce le linee di indirizzo e le norme di autoregolamentazione per ogni azione CAI svolta in ambiente montano, la Commissione Centrale TAM (Tutela Ambiente Montano) ha proposto per il 2016 un concorso, rivolto a soci, sezioni, commissioni, Gruppi Regionali e scuole, per premiare i migliori contributi in merito alla divulgazione e diffusione dei contenuti del Nuovo Bidecalogo.
Il concorso si articolava in cinque categorie:
– 1. articoli di diffusione su bollettini sezionali o altre pubblicazioni;
– 2. realizzazione di fotografie/disegni/vignette sui singoli punti del Bidecalogo (possibilmente presentate su tutti i 20 punti);
– 3. video interviste o video presentazioni dei singoli punti del Bidecalogo (durata massima 5 minuti per ogni video);
– 4. Power Point innovativi di presentazione del contenuto del Bidecalogo. Verranno in particolare valutati i lavori che adottino un sistema interattivo o innovativo, anche in termini di coinvolgimento del pubblico;
– 5. altra iniziativa o attività non prevista nelle precedenti categorie che si adoperi per promuovere e diffondere il Bidecalogo.
Sulla ferrata Amalio Da Pra, Marmarole
In data 11 marzo 2017 si è riunita a Bologna la commissione giudicante composta da Annibale Salsa, Roberto Mantovani e Luca Calzolari, assieme alla referente per la commissione centrale TAM Valeria Ferioli. Vincitore nella prima categoria è risultato Alessandro Gogna con la seguente motivazione: “Buon esempio di analisi critica e ottima capacità di contestualizzare argomenti e problemi. Le osservazioni proposte invitano il lettore alla discussione e al dibattito. Si tratta infatti di un testo “aperto”, che si presta a puntualizzazioni, controanalisi, precisazioni e distinguo. La giuria ha ritenuto di dover assegnare il premio ad Alessandro Gogna, pur riconoscendogli a priori una serie di vantaggi nei confronti di altri partecipanti al concorso: sperimenta professionalità, dimestichezza con i temi trattati e conoscenza pluridecennale dell’ambiente montano“.
A questo link si può leggere l’intero elaborato (un pdf che riunisce le 21 puntate di GognaBlog dedicate al Nuovo Bidecalogo).
Sempre nella prima categoria, il secondo premio è stato assegnato a Simone Papuzzi con la seguente motivazione: “L’articolo intende fare il punto della situazione sulla pratica delle ferrate trattate in un punto specifico del Bidecalogo. In particolare analizza questa pratica sportiva partendo dalla nascita, allo sviluppo nei successivi anni fino alla situazione attuale, mettendo sul piatto della bilancia aspetti turistici, etici e della sicurezza”.
Via ferrata sulle Cinque Torri
Riportiamo qui di seguito l’articolo di Simone Papuzzi.
Vie ferrate tra favorevoli e contrari
di Simone Papuzzi (Presidente Commissione Interregionale TAM VFG e Rappresentante CAI in Club Arc Alpin)
Sta per terminare un’altra stagione estiva in montagna, cioè quel periodo dell’anno che per definizione risulta il più adatto per progettare escursioni, trekking, arrampicate oppure percorrere le tanto gettonate vie ferrate; quegli itinerari spesso in alta quota e su zone rocciose impervie che solo la bella e calda stagione permette di affrontare.
Quella delle vie ferrate è senza dubbio l’attività outdoor più alla moda e in continua espansione di questi ultimi anni, sia per il crescente numero di appassionati frequentatori sia per il continuo proliferare di questi impianti in tutto l’arco alpino.
Ma le vie ferrate non sono una realtà solamente degli ultimi anni, anzi queste costruzioni vedono le loro prime apparizioni già a fine Ottocento in alcuni rilievi di Oltralpe soprattutto in Austria e Germania, dove le funi metalliche venivano installate per agevolare la salita di alcune importanti montagne e belvedere.
Via ferrata Ivano Dibona al Cristallino d’Ampezzo
In Italia le prime realizzazioni videro la luce nei primi del Novecento in Dolomiti, prima fra tutte la via ferrata alla cresta ovest della Marmolada e poi nel gruppo del Sella con la costruzione della ferrata delle Mesules. Si trattava inizialmente di attrezzare con funi e pioli le vie dei primi salitori verso le cime delle più importanti montagne dolomitiche, oppure di agevolare alcuni passaggi pericolosi lungo i sentieri alpinistici: vie che ancora oggi esistono e che rientrano tra le vie ferrate storiche classiche. Ben presto però, visto il notevole successo che riscontravano, grazie al fatto che facilitavano non poco la salita di pareti rocciose, iniziarono le costruzioni di molte altre vie, dalla celeberrima via delle Bocchette nel gruppo del Brenta alle famose vie di salita, che in molti casi ricalcavano i vecchi percorsi realizzati durante la Grande Guerra dalle truppe alpine (Strada degli Alpini, Monte Paterno, Ivano Dibona, ecc.). Più avanti nel tempo, e siamo agli anni ‘60 e ‘70, in pieno boom si iniziarono a costruire gran parte delle ferrate che oggi conosciamo, tra le più belle ma anche difficili di tutte le Dolomiti (come la Alleghesi, la Bolver-Lugli e la Costantini). La filosofia però cambia e s’inizia a prediligere percorsi più impegnativi e acrobatici lungo vie nuove, alternative, spesso dal sapore atletico-sportivo. Oggi questa tendenza continua non solo in Dolomiti ovviamente ma in tutto l’arco alpino, dalle numerose vie ferrate attorno al lago di Garda o nelle Prealpi Venete e Lombarde alle sportive ferrate Francesi e Austriache. In Italia ormai si contano almeno 500 ferrate di tutte le difficoltà e ben 150 si trovano nella sola area dolomitica che pertanto viene considerata a buon diritto come l’eldorado per questa specifica pratica alpinistica.
Sulla via ferrata Marino Bianchi al Cristallo
Ma perché il successo delle ferrate? Sicuramente per il semplice fatto che consentono a un vasto pubblico di escursionisti e camminatori, senza grandi conoscenze tecniche, di vivere delle esperienze uniche su sentieri alpini alquanto impegnativi affrontando salite su roccia di stampo alpinistico anche se alpinisti non sono. In un’epoca dove le attività adrenaliniche hanno la meglio, basti pensare al rafting, al parapendio oppure ai numerosi Agility Park che popolano i nostri fondovalle alpini, le vie ferrate rappresentano la moderna espressione del nuovo escursionista di montagna, forse meno desideroso di vivere intense esperienze con la natura e il silenzio ma sicuramente spinto dal desiderio di confrontarsi con itinerari atletici e sportivi sempre più difficili, cercando di guardare più alle performance e ai tempi personali. Non possiamo demonizzare questa pratica sportiva di montagna, soprattutto in tempi dove la crisi economica porta a drastici cali di presenza turistiche anche nelle Alpi: le vie ferrate richiamano migliaia e migliaia di appassionati che in alta stagione raggiungono molte famose località alpine e soprattutto dolomitiche proprio per percorre questi itinerari.
Ad ogni modo la costruzione delle vie ferrate è stata sempre accompagnata da polemiche e discussioni tra chi le riteneva inutili ferraglie che deturpavano le montagne e sviliva i veri alpinisti e chi invece le promuoveva e le promuove tutt’ora come l’occasione per proporre a neofiti un esperienza di alpinismo, mentre al contempo ha fatto anche sviluppare tutto un mercato legato all’editoria, all’attrezzatura e all’abbigliamento tecnico, contribuendo quindi alla crescita del business d’alta quota.
Dopo ben più di due secoli di storia, nel rapporto etico, sportivo e turistico uomo-montagna, spicca oggi una problematica assai forte: è giusto accettare, e magari anche promuovere, l’apertura al pubblico di altre vie ferrate in montagna?
Ancora sulla via ferrata Marino Bianchi al Cristallo
Già dai primi anni ‘80 sono iniziati i primi dissensi nei confronti delle ferrate da parte di molte associazioni alpinistiche e pure il CAI, che in quegli anni (siamo nel 1981) elaborava con il Bidecalogo le sue prime norme di autoregolamentazione, sottoscrisse una presa di posizione contro la proliferazione di vie attrezzate in montagna. La Charta di Verona definì ancora meglio questa posizione e anche nella recente rivisitazione del Bidecalogo in chiave moderna approvata nel 2013 si ribadisce la posizione ufficiale che resta quella di essere contraria alla installazione di nuove vie ferrate e/o attrezzate, si adopera ovunque possibile, per dismettere le esistenti, con la sola eccezione di quelle di rilevante valore storico e/o per la messa in sicurezza di particolari passaggi lungo itinerari molto frequentati.
Possiamo dire che il problema delle vie ferrate gravita sostanzialmente su tre punti: sicurezza, ambiente ed etica.
Sicurezza: le vie attrezzate hanno il difetto di portare spesso molti neofiti e inesperti su vie di roccia normalmente affrontabili da alpinisti e senza una necessaria preparazione: questi semplici camminatori vogliosi di cimentarsi in qualcosa di più difficile possono mettere in serio pericolo se stessi e gli altri.
Ambiente: molto spesso le vie ferrate raggiungono luoghi particolarmente delicati dal punto di vista ecologico-ambientale; alcuni tracciati, sia per la vicinanza a comode strade di accesso e/o impianti di risalita sia per il facile avvicinamento, risultano particolarmente affollati, tanto da crearsi pure code all’attacco o nei punti chiave dei percorsi con ricadute negative su alcune zone di alta quota.
Etica: poter salire gran parte delle montagne raggiungendone la cima attraverso attrezzature metalliche che facilitano la progressione, annullando altresì le difficoltà tecniche oggettive della via, non risulta in linea con l’etica alpinistica che punta sulle capacità del singolo e sul senso di avventura e scoperta che solo una vera salita alpinistica è in grado di offrire.
Sulla via ferrata del Passo Santner, Catinaccio
Più recentemente anche il Club Arc Alpin (CAA), quale associazione internazionale di alpinismo che raggruppa i principali Club Alpini delle Alpi e che tra i suoi scopi ha quello di dare linee di indirizzo generali per tutti, ha nel 2009 espresso una propria posizione in merito alla questione.
In sostanza nel documento elaborato il CAA richiede quanto segue:
– Un metodo di realizzazione moderato, coordinato da regione a regione.
– Il coinvolgimento già dalle prime fasi del progetto di tutti i gruppi d’interesse, in particolare dei Club Alpini.
– Nuove vie ferrate solo in zone o turistiche o attrezzate in altro modo, ovvero comunque raggiungibili o con i mezzi pubblici, o con gli impianti di risalita.
– L’assoluta osservanza degli obblighi d’autorizzazione delle autorità preposte.
– Il rispetto, in caso di nuovi progetti, delle esigenze di protezione della natura e della fauna.
– Nessuna nuova via ferrata in zone d’alta montagna naturali e senza attrezzature.
– Le montagne, le cui vette sono raggiungibili solo con una scalata, non possono essere attrezzate con vie ferrate.
Sta di fatto che il CAI ha smesso da diversi anni di costruire nuove ferrate, cercando invece di mantenere in buono stato le vie esistenti soprattutto quelle storiche e classiche, investendo di più nella manutenzione ordinaria.
Oggi, nonostante queste prese di posizioni, associazioni private, operatori turistici e guide alpine in testa continuano comunque a costruire vie ferrate sia a bassa che in alta quota proprio in zone come le Dolomiti dove esistono fin troppi impianti e l’ulteriore proliferazione potrebbe produrre un affollamento eccessivo delle alte vette con tutti i rischi connessi, trasformando l’area, già sito Unesco, in un enorme LunaPark.
Un esempio tra tutte sono le Tofane, montagne tra le più famose e amate, che dominano la conca di Cortina d’Ampezzo. Questo gruppo dolomitico possiede innumerevoli percorsi attrezzati che raggiungono tutte le sue cime principali oltre che a possedere un impianto funiviario in grado di raggiungere direttamente uno di questi tremila. Possiamo quindi solo immaginare che una montagna di questo tipo, per quanto affascinante sia, agli occhi dell’escursionista o alpinista consapevole, alla ricerca di luoghi da scoprire, di emozioni e di silenzi da godere, possa rappresentare un luogo poco appagante e privo di interesse.
Possiamo affermare concludendo che, pur riconoscendo alla pratica delle vie ferrate un modo per avvicinare il turista alla montagna, contribuendo alla ricchezza delle valli, non possiamo dimenticare tutti gli aspetti legati alla sicurezza, agli impatti ambientali ed etici che l’abuso e la proliferazione indiscriminata di tali infrastrutture può portare, snaturando la vera natura della ferrata, che è stata travisata nel corso degli anni portandola da mero mezzo per raggiungere un fine (che può essere un’escursione ad anello di ampio respiro, o il raggiungimento di una cima, o una spettacolare traversata, o ancora il ripercorrere vecchie vie di guerra) ad essere IL fine stesso dell’uscita.
Il Club Alpino Italiano, non essendo un’associazione sportiva con scopi esclusivamente ludici o competitivi, deve mantenere quel ruolo che gli spetta, sancito dall’art.2 del suo Statuto, ovvero essere un sodalizio sia di tutela che di frequentazione della montagna a 360°, in grado di analizzare attentamente le dinamiche che avvengono in montagna, senza integralismi ma per una tutela attiva dell’ambiente e del suo territorio.
Come afferma il nostro Past-President Annibale Salsa: “Se siamo frequentatori abituali dobbiamo collocarci non già dal punto di vista di una mera tutela passiva dell’ambiente, bensì da quello della tutela attiva. Ma la tutela attiva implica l’autodisciplina, ossia l’intelligenza del limite. La montagna è limite per definizione. La conoscenza del limite è l’atto morale consapevole che noi dobbiamo assumere in via prioritaria. La montagna sta diventando pericolosa in forza di tutta una serie di variabili, per cui dobbiamo imporci, per primi, dei limiti invalicabili”… e ancora: ”Il CAI deve contrastare la cultura dominante del no limits, con la quale non ha niente da spartire. La montagna è maestra del limite, lo diceva Goethe. I limiti oggettivi devono essere accettati, pur nella loro variabilità soggettiva. Quindi mettiamoci di impegno per essere educatori del limiti”.
Sulla via ferrata Tridentina, Gruppo di Sella
Gli altri premiati
Categoria 2. 1° Premio assegnato alla TAM del CAI Siena per un Bidecalogo Junior. Ragazzi e ragazze hanno colto gli aspetti culturali del Bidecalogo e li hanno interpretati e rappresentati nei loro disegni in modo originale e capace di catturare l’attenzione dell’osservatore.
Categoria 3. 1° Premio assegnato a Dario Gasparo della sezione CAI Trieste XXX Ottobre. Un prodotto efficace e ben costruito. Buona la capacità narrativa e la qualità didattica. Si rileva che trattasi di un docente abituato all’approccio didattico nella narrazione ambientale.
Categoria 4. Non assegnato.
Categoria 5. 1° Premio assegnato a Commissione TAM di Bergamo per l’originale proposta di realizzare le carte del Bidecalogo. Si auspica che il progetto possa proseguire e trovare canali adatti per la realizzazione. Si suggerisce di rivedere con attenzione i testi sia in termini di contenuti sia in chiave comunicativa.
3Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
“Resta il fatto che le vie ferrate come altre attività di più recente invenzione stanno trasformando le nostre montagne, soprattutto alcune più famose come le Dolomiti in autentici Luna Park e mi pare lecito mettere in discussione quello che sta accadendo.”
Il CAI non può permettere che si trasformino le montagna in un lunapark. Dovrebbe cercare di far di tutto perchè questo non avvenga , senza girarci tanto intorno, senza tanti discorsi e sopratutto senza tenere i piedi in due staffe…
Buongiorno a tutti, mi permetto di partecipare anch’io alla discussione visto che parte dal mio articolo. Ringrazio innanzitutto Alessandro Gogna per averlo pubblicato nel suo blog, anche se mi ha sottoposto alla “Gogna mediatica” tipica di internet. In ogni caso ha raggiunto lo scopo, in quanto l’articolo in questione, che non è stato scritto originariamente per il concorso in realtà ma serviva a fare sintesi su un argomento molto discusso in seno al CAI sulla questione ferrate, parla appunto di “Vie Ferrate tra favorevoli e contrari”. E in effetti dai commenti si capisce subito che l’argomento è oggetto di molte opinioni divergenti. E’ vero anche che il documento non è di qualità eccelsa e non presenta idee innovative, ammesso che ci debbano essere, tanto è vero che il primo premio è stato assegnato giustamente ad Alessandro ben più esperto del sottoscritto nella divulgazione dei temi di montagna; ripeto che la nota, scritta da un dirigente del CAI in ambito volontaristico, ha lo scopo di fare il punto su questo argomento e chiarire la posizione del nostro Sodalizio e delle altre Associazioni Alpinistiche Internazionali (raggruppate nel Club Arc Alpin) alla luce del Bidecalogo nuova versione. Resta il fatto che le vie ferrate come altre attività di più recente invenzione stanno trasformando le nostre montagne, soprattutto alcune più famose come le Dolomiti in autentici Luna Park e mi pare lecito mettere in discussione quello che sta accadendo. Il CAI che partecipa come socio sostenitore della Fondazione Dolomiti Unesco cerca di dare il proprio contributo e la propria esperienza in ambito alpinistico ma partecipa pure ai tavoli di discussione finalizzati a trovare soluzioni che permettano di mantenere in equilibrio la qualità della vita di chi abita in montagna con le esigenze del turista per uno sviluppo sostenibile e non distruttivo del territorio.
Lorenzo, forse hai sintetizzato la storia dell’uomo, il crollo delle società e la possibile nascita di altre.
Le ragioni per seguire il flusso delle cose, ci sono e sono certamente consistenti. Hanno la loro storia e dignità, al pari di tutte le altre.
Tuttavia da un certo punto di vista si chiamano comodità.
Per comodità non abbiamo detto nulla in mille occasioni.
È per questo che ora viviamo in città velenose che mai avremmo accettato se ce le avessero proposte, con tutti i loro svaghi, damblé. Ci sarebbe stato chiaro quanto ci toglievano, quanto perdavamo. Avremmo considerato blasfema quella proposta. E se proprio dovevamo trasferirci, avremmo certo posto delle clausole, delle limitazioni.
Per comodità ci siamo prostrati a tanto. Ognuno avrà il proprio personale camponario. Ognuno ne avrà molto da condividere con tutti noi.
Per quelle prostrazioni abbiamo affidato la salute ai medici, l’alimentazione ai nutrizionisti, il tempo libero alle slot machine, la bellezza al portafogli, la sicurezza alla tecnologia, la ricerca all’edonismo, la misura all’opulenza.
Se in ogni momento che la vita ci offre rinunciamo a richiamare i valori della frugalità, della creatività, della bellezza, così, come oggi l’incremento di ferrate appare innocuo, anzi giusto in quanto legittimo o di maggioranza, domani altri adeguamenti ci allontaneranno ancor più dalla montagna, dalla natura, da noi stessi.
Sì affinché gli elicotteri possono atterrare.
Scusate questa divisione netta, ma gli alpinisti sono pochi, la maggioranza è escursionista.
Quindi si DEVONO fare le ferrate, possibilmente dovunque, per permettere, anche a chi non è in grado, di salire le montagne.
E’ la regola della democrazia proporzionale.
Magari in futuro le soluzioni tecnologiche, come le funivie, le gallerie con scale mobili o le ascensori, gli elicotteri o quant’altro renderanno superata la soluzione delle ferrate, ma fino ad allora si svilupperanno.
Come dicevo magari un intervento dei politici impasta bene tutto. 🙂
Non serve aprire nuove ferrate… ci sono quelle vecchie da mantenere in sicurezza
da facebook, 20 aprile 2017, ore 14.05
Corde fisse pioli ,scalette ecc., secondo me, dovrebbero essere installati con moderazione , attrezzare eccessivamente, a mio avviso, rischia di banalizzare le vie e alle volte le pareti stesse.
da facebook, 19 aprile 2017, ore 19.50
Io direi preservare le esistenti meritevoli e limitare la possibilità di nuove aperture.
da facebook 19 aprile 2017 ore 17
Boh… io non sono un alpinista e quindi l’unico mio ‘sfogo’ sono le ferrate. Credo che siano un ottimo modo di ‘vivere’ la montagna, raggiungendo luoghi e come che altrimenti sarebbero fuori portata. Sono d’accordo che si devono limitare le nuove aper…Altro…
da facebook, 19 aprile 2017 ore 16.00
Risolto:
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10155018824361605&id=153989481604
Ma dopo guardate la data
IO credo che andrebbero lasciate quelle che ci sono e che si proibisca qualsiasi nuova installazione… Il problema è che spesso piuttosto che fare della buona e saggia manutenzione, si preferisce impiantarne un’altra,,, La facile e frequentata “Cinquantenario” al Resegone è stata chiusa e la nuova è ben più difficile, così come la “Rebuzzini” ai Piani di Bobbio… Perché mi chiedo io se devono servire ad escursionisti non alpinisti?
Tanto, se so arrampicare, della ferrata tosta non ho bisogno…
caro FAUSTO di tutto quello che hai elencato su questo blog se ne è discusso assai. A cominciare dalla nuova finivia del rifugio Torino, impianti di risalita, eliski, rifugi che fanno musica, ect. ect.
Quindi leggi anche gli altri argomenti pubblicati. Non solo quello che ti fa comodo per condannare le opinioni altrui.
Per Riccardo. Guarda che le guide alpine accompagnano anche in ferrata, sarebbero (visto l’abusivismo il condizionale è d’obbligo) gli unici professionisti deputati a farlo.
Per Alessandro. Hai fatto benissimo a pubblicare il testo che, come giustamente affermi, non è di qualità eccelsa e non contiene lungimiranti idee.
Semmai, anche in considerazione del ruolo che riveste Papuazzi, ci sarebbe da ironizzare sul fatto che ha vinto il secondo premio del concorso in esame.
Evidentemente però non c’era di meglio..
Ovvio che molte guide alpine vorrebbero togliere i “ferri” dalla montagna…….bisogna fare in modo che la gente abbia bisogno di loro poi….
Hanno/avete rotto le palle tutti con questa continua e inutile critica alle vie ferrate. Si costruiscono impianti di risalita a tutto spiano devastando materialmente ed esteticamente intere zone montane, si costruiscono alberghi ovunque, si raggiungono le vette degli 8000 utilizzando ogni mezzo attrezzando interi ghiacciai abbandonando ovunque rifiuti di ogni genere. Sono stata ai primi di Aprile a ciaspolare in Presena ed ho trovato nuovi impianti con rifugi che emanavano musiche tecno a tutto volume. Si sta persino costruendo una mostruosita sul lago di Garda ovvero una enorme pista ciclabile sulla costa Bresciana/Trentina a sbalzo utilizzando travi in acciaio da infilare nella roccia costiera…non parliamo poi del nuovo impianto di risalita al rifugio Torino nel gruppo del Bianco ect ect…..ma il problema rimane questo cavetto da 10mm che “devasta e mette in pericolo migliaia di escursionisti” ma che ha l unico difetto di.non portare spesso soldini!!!!!!!!!!!
Sulle vie ferrate, soprattutto le più semplici e vicine ai rifugi, ho visto cose da far rizzare i capelli: infradito all’attacco della Bonacossa alla f.lla Misurina …
Poi ho visto 10 persone ben attrezzate rinunciare a salire alla f.lla Popena perché non c’è attrezzatura …
Io sono una Guida Ambientale Escursionistica e quindi non accompagno su tratti attrezzati, ma francamente condivido il pensiero di chi a Misurina mi ha detto che la f.lla Popena non va attrezzata perché così ci va solo chi la sa ben valutare …
Forse si potrebbero togliere molti inutili ferri che attirano tanti inesperti decisi a vivere l’avventura a “basso rischio”…
Da facebook, 19 aprile 2017 ore 12.45
E’ nello stile del GognaBlog lasciare grande spazio a idee non propriamente in linea con quelle della maggioranza degli altri post sul medesimo argomento. In questo caso l’articolo è stato riportato non perché abbia una qualità eccelsa o particolari e lungimiranti idee, ma semplicemente perché è quello che ha vinto il secondo premio del Concorso per la promozione del Nuovo Bidecalogo del CAI, valido o non valido che sia.
Credo che i punti riportati sia abbastanza ragionevoli e condivisibili, ma un po’ troppo vaghi per lasciar tranquilli sulla loro applicazione.
– “Un metodo di realizzazione moderato” va come minimo specificato: secondo me per esempio, la presenza di un ponte tibetano dovrebbe squalificare la ferrata (epperò la tridentina al Pissadù è “storica”)
– “Nuove vie ferrate solo in zone o turistiche o attrezzate in altro modo, ovvero comunque raggiungibili o con i mezzi pubblici, o con gli impianti di risalita”: quindi una bella ferratina sulla sud della Marmolada ci stà?
– “Il rispetto, in caso di nuovi progetti, delle esigenze di protezione della natura e della fauna”: quindi qualunque ferrata in un parco nazionale dovrebbe essere smontata…mi sa che ci sarebbero un po’ di proteste
– “Nessuna nuova via ferrata in zone d’alta montagna naturali e senza attrezzature”: per quelle vecchie va bene tutto? E le fisse sul Cervino o il Dente del Gigante
– Le montagne, le cui vette sono raggiungibili solo con una scalata, non possono essere attrezzate con vie ferrate: cioè vietato ferrare il Campanil Basso, e va bene, ma se sulla vetta già arriva una ferrata posso aprirne un’altra? Per esempio ne vedrei bene una sul III spigolo della Rozes…
E notate che non sono in assoluto contrario: nella puntata sulla Che Guevara io mi ero dichiarato a favore della stessa. Che infatti è raggiungibile con mezzi pubblici, arriva su una cima servita da una strada, non esagera certo in attrezzatura e non credo crei danni ecologici significativi.
Però i punti proposti non mi paiono proprio definiti in maniera sufficiente
“Punto 1) – Un metodo di realizzazione moderato, coordinato da regione a regione.
Secondo me non ci dovrebbe proprio essere nessuna realizzazione moderata. Di ferrate ce ne sono una quintalata e non basterebbe una vita per percorrerle tutte a meno che non si decida di passare i propri giorni imbragati.”
Ce ne sono anche troppe. Basta Ferrate !!
Riporto un fatto.
Nel 1980 ad un consiglio del cai di Bergamo si discuteva dei costi delle ferrate, si discuteva sempre di costi e di incassi, e un consigliere ha detto, forse più rivolto a me che agli altri consiglieri, che si doveva far smetter gli alpinisti di ritenersi i padroni delle montagne: il cai doveva costruire ferrate anche sulle vie di sesto così tutti avrebbero potuto scalare sul sesto e poi farle pagare così si sarebbe potuto guadagnare anche dall’alpinismo, a quei tempi c’era la cornucopia Livrio.
Per fortuna e per ora siamo ancora abbastanza lontani.
O mi sbaglio?
A compendio delle ultime considerazioni mi sembra poi doveroso commentare il documento del CAA, che a definirlo una nuvola di fumo gli si rende fin troppo onore.
Punto 1) – Un metodo di realizzazione moderato, coordinato da regione a regione.
Secondo me non ci dovrebbe proprio essere nessuna realizzazione moderata. Di ferrate ce ne sono una quintalata e non basterebbe una vita per percorrerle tutte a meno che non si decida di passare i propri giorni imbragati.
Punto 2) – Il coinvolgimento già dalle prime fasi del progetto di tutti i gruppi d’interesse, in particolare dei Club Alpini.
Infatti s’è visto con la Che Guevara. Tale “Luigi” ha scritto in un commento al relativo post “Prima dell’azione avevamo provato tutto il percorso istituzionale: confronto (sempre rifiutato) con il Comune di Drò, con la SAT (che sosteneva il nostro pensiero, ma non l’azione), con le guide alpine. Abbiamo trovato davanti a noi un muro di omertà e di difesa del Bombardelli che si è così ritenuto libero di proseguire nella sua azione di demolizione di una via e di una parete, ferrandola”.
Posto che non so chi sia Luigi mi pare che i fatti li conosca abbastanza bene.
Punto 3) – Nuove vie ferrate solo in zone o turistiche o attrezzate in altro modo, ovvero comunque raggiungibili o con i mezzi pubblici, o con gli impianti di risalita.
Quindi dobbiamo prendere atto che siccome le zone turistiche sono già piene di merda pizzarcene una in più conta poco o nulla.
Per carità sempre meglio che impattare pareti vergini però..
Punto 4) – L’assoluta osservanza degli obblighi d’autorizzazione delle autorità preposte.
E ci mancherebbe altro! Bisogna però vedere quanto le autorità preposte siano concordi nel far rispettare i divieti o siano piuttosto colluse.
Punto 5) -– Il rispetto, in caso di nuovi progetti, delle esigenze di protezione della natura e della fauna.
Quando fa comodo si parla di natura e fauna ma se c’è di mezzo il grano chissenefrega.
Punto 6) – Nessuna nuova via ferrata in zone d’alta montagna naturali e senza attrezzature.
Finalmente una presa di posizione netta e senza compromessi. Applausi.
Punto 7) – – Le montagne, le cui vette sono raggiungibili solo con una scalata, non possono essere attrezzate con vie ferrate.
Su questo punto bisognerebbe essere più chiari. Cosa significa raggiungibile con una scalata? E se ci sono più vie d’accesso sempre tramite scalata? Bah.. Questo punto è decisamente fumoso.
Conclusioni, a me pare che non ci sia nessuna vera pressione al fine di impedire la costruzione di nuove vie attrezzate.
Caro Marco, la mia sensazione è che il pezzo in esame sia infarcito di luoghi comuni. Se è vero che nell’arco alpino ci sono oltre 500 ferrate di cui circa 150 in dolomiti (dato rinvenibile anche sulla rivista Meridiani la quale non mi sembra certo una delle più specializzate in materia), è altrettanto vero che molte di queste non sono per niente affollate.
Non si può certo negare l’elevato numero di turisti imbragati sulla Tridentina o sulla Tomaselli ma al contrario, tanto per fare un esempio, le ferrate del Lago di Garda sono lungi dall’essere prese d’assalto. Più di una volta ho percorso quelle del Gruppo della Rocchetta (ce ne sono ben quattro concatenabili), incrociando si e no quattro gatti, e mi piacerebbe sapere quante persone si avventurano ogni anno sul sentiero Gerardo Sega nella Catena del Baldo. Paradossalmente, sebbene sia la più difficile, è presa più d’assalto la Rino Pisetta.
Ergo, c’è un problema relativamente alle vie ferrate? Assolutamente sì però non si può certo fare di tutta l’erba un fascio. A mio parere il problema esiste limitatamente a un certo numero di vie attrezzate, le più famose e le più adrenaliniche (adrenaliniche.. Forse sarebbe meglio dire le più senza senso).
I motivi per i quali sono state costruite le ferrate, che in tutta Italia sono ben più di 500 (ci sono anche quelle appenniniche), sono svariati. Si va da quelle costruite per motivi prettamente turistici a quelle costruite per scopi militari (magari anche solo abbozzate e successivamente riprese e messe in sicurezza) passando per quelle costruite nelle falesie per agevolare il rientro dai monotiri sportivi. Insomma ce n’è per tutti i gusti.
Ora non è che tutti i fruitori delle ferrate siano dei mentecatti con ZERO esperienza alpinistica perché, tanto per fare un esempio, la Via delle Bocchette viene percorsa anche di chi vuole salire il Campanil Basso da un certo versante.
Se si fosse continuato a costruire le ferrate seguendo la logica originaria probabilmente nessuno oggi avrebbe niente da ridire. Dagli anni settanta-ottanta si sono invece cominciati a costruire dei percorsi fine a sè stessi, magari su pareti di V-VI grado e a quel punto, legittimamente, qualcuno ha cominciato a pensare che si stesse esagerando.
Il motivo per cui si continuano a ferrare le pareti è abbastanza evidente e non necessita di ulteriori commenti però non si può continuare a proporre il solito clichè del turista incompetente che mette a repentaglio la propria vita e forse anche l’altrui per la sua dabbenaggine. Questo è un problema, non c’è dubbio, ma se si evidenzia soltanto quest’aspetto non si rende onore a tutta una sfilza di fruitori consapevoli aventi tutte le carte regole per affrontare certi percorsi con cognizione di causa.
Volendo poi dirla tutta secondo me è stato fatto di gran lunga più scempio, in nome del free climbing prima e dell’arrampicata sportiva poi, delle falesie di fondo valle, le quali sono state trasformate in groviera.
Le ferrate cosiddette “sportive” (definizione assolutamente impropria in quanto lo sport dell’andare in ferrata non esiste) in Italia sono in numero alquanto irrisorio (all’estero, come in Francia, non lo so) e spesso ad essere prese d’assalto sono proprio le ferrate storiche. Quindi che facciamo smantelliamo un pezzo di storia?
Rimane la famosa pratica consapevole di cui spesso ci riempiamo la bocca dimenticando che però ci sono interessi in ballo di non poco conto.
D’altronde circa un mese fa abbiamo parlato della ferrata Che Guevara e cosa ne è saltato fuori? Che non è stata costruita dal CAI (leggasi SAT) ma con l’aiuto di membri SAT. Quindi di cosa parliamo? Di niente.
A mio avviso il nocciolo della questione sta tutto qua, ovvero nel modo in cui si è condotta la gente ad affrontarle:
“snaturando la vera natura della ferrata, che è stata travisata nel corso degli anni portandola da mero mezzo per raggiungere un fine (che può essere un’escursione ad anello di ampio respiro, o il raggiungimento di una cima, o una spettacolare traversata, o ancora il ripercorrere vecchie vie di guerra) ad essere IL fine stesso dell’uscita”
.
Un unico appunto, si fa l’ esempio negativo delle Tofane, considerate
“agli occhi dell’escursionista o alpinista consapevole, alla ricerca di luoghi da scoprire, di emozioni e di silenzi da godere, possa rappresentare un luogo poco appagante e privo di interesse”
Chi l’ ha scritto mi sa che non è mai stato sul loro “lato B”: se è vero che dalla parte rivolta verso Cortina sono un colera di ferrate/sentieri/seggiovie/etc., sul lato dietro sono quanto di piú spettacolare ci sia, con un incredibile mix di sentieri di animali e sentieri della guerra, non segnati su alcuna mappa né tantomeno sul terreno, dove non c’è che da sbizzarrirsi alla scoperta di luoghi e percorsi ormai (quasi) dimenticati anche dagli stessi Ampezzani, dove è piú facile “girare l’ angolo” di una cengia e trovarsi faccia a faccia con un camoscio che ti guarda stupito, che non incontrare un’ altra persona…
se sia stata usata o non la dinamite per le Bocchette non lo so, anche se ne ho sentito parlare. Di certo diversi tratti di cenge sono talmente squadrati e perfetti che di sicuro sono stati migliorati a suon di pala e piccone. Questo mi sembra evidente.
Io resto sempre un pò in bilico tra i vari articoli e commenti che leggo. Ho quasi l’impressione che il vero problema non siano le ferrate, o gli impianti di risalita o le nuove discipline che nascono attorano alla montagna, ma piuttosto la quantità di gente che le pratica. Se le ferrate (in special modo quelle Dolomitiche) fossero frequentate da pochi appassionati, sono sicuro che non si scriverebbero fiumi di parole e commenti. Il problema nasce quando c’è la massa che si concentra soprattutto nel fine settimana e si mette in coda per risalire la ferrata. Effettivamente ho incontrato parecchia gente che non aveva la benchè minima preparazione e conoscenza della progressione su ferrata e sicurezza, ma ho anche l’impressione che non ci siano molte strutture che facciano della formazione su questi argomenti (a parte forse qualche guida alpina).
I tre punti di Sicurezza, Ambiente ed Etica sono sicuramente fondamentali ma aggiungerei anche la Gestione e manutenzione; inutile costruire nuove ferrate se poi no si riesce a fare manutenzione e anche aggiornamento di quelle esistenti.
Caro Alessandro Ghezzer (Agh). Quella della dinamite per “creare” le Bocchette è una voce che ho sentito anche io, ma di cui non sono affatto sicuro. Anzi, colgo l’occasione qui per chiedere ai lettori cosa sanno in proposito.
Quello che invece è certo è che oggi le ferrate vengono “preparate” senza alcun riguardo. Dinamite o no, basta andare a vedere cosa hanno fatto nei primi metri della “rinnovata” Ferrata dei Colodri. All’attacco c’è un vero e proprio cimitero di roccia, un efferato macello cui nessuno del folto numero di “fruitori” internazionali mostra di prestare la minima attenzione.
Secondo me, le ferrate, qui da noi, vivono le stesse problematiche delle automobili: parcheggi, comfort, facilità d’uso…..
L’obiettivo è vendere e il marketing usa lo spettacolo dei monti, la sicurezza dell’usufrutto e la struttura di supporto sia per l’auto che per il “ferratismo”.
Molti stanno studiando anche il “codice della ferrata” e l’istituzione del corpo di vigilanza, quello delle scuole c’è già.
Ormai entrambi sono molto sviluppati (anche sull’Everest si va per sentiero attrezzato) e come tali il discorso sulla responsabilità sia verso terzi che personale entra nell’ambito della democrazia e dei politici.
Anche le ferrate sono entrate nel vivere consumistico-spettacolare.
Me ne dispiaccio, ma ogni tanto ne percorro una per andare a trovare un amico, anche se non la seguo tutta perché “gira” per spettacolo dove per me c’è pericolo, e quindi sono “impuro”.
Concordo con le remore di carattere etico. Propongo di rimuovere la ferraglia di progressione e lasciare solo gli ancoraggi per protezione, ovviamente occorre procedere in cordata.
chiedo allo storico Gogna: risulta vero (non lo so con certezza) che la celeberrima ferrata delle “Bocchette” centrali in Brenta fu “aperta” in alcuni tratti con la dinamite, per garantire la continuità del percorso che sfrutta cenge naturali? Cosa accadrebbe oggi se facessero una cosa simile? Anche l’etica cambia col passare del tempo… 🙂
Mah.. Mi pare un’analisi un po’ superficiale e zeppa di considerazioni probabilmente lette qua e là e poi assemblate.
Che ci sia un problema legato alle vie ferrate è fuori discussione però bisogna fare i dovuti distinguo se no sembra che tutti i fruitori di tali manufatti siano dei deficienti.