Il capitolo Villeggianti in gita è tratto dal bellissimo libro di Bepi Mazzotti La montagna presa in giro, pubblicato nella mitica collana Montagna della casa editrice L’Eroica nel 1936. Uno straordinario esempio di satira pungente, adorna delle bellissime illustrazioni di Sante Canciàn.
Villeggianti in gita (1936)
di Giuseppe Bepi Mazzotti
Il villeggiante stagna nel fondo delle valli come l’acqua di una palude. La più breve salita gli fa venire il cardiopalma. Si lagna che il bosco — Eden d’ogni delizia e meta d’ogni escursione — non è mai abbastanza vicino. In certi paesi, per arrivare al bosco, bisogna attraversare il torrente; in altri la strada. Ce ne sono perfino di quelli, impossibili, dove per trovare il bosco bisogna rassegnarsi a discendere le scale.
Della montagna ha un concetto limitato in alto dalle cime che vede dalla finestra, e in basso dalla strada principale del paese. Il resto non lo riguarda: tutti sanno benissimo che lui è venuto in montagna per riposare! Nessuna cosa potrà smuoverlo dalla sedia a sdraio: nemmeno la considerazione che qualche sgambata di dieci o quindici ore gli farebbe buttar via un poco dell’adipe che lo gonfia.
Bisogna dire però che una volta al mese (una maggiore frequenza preoccuperebbe come una irregolarità di ordine fisiologico) i villeggianti più giovani e vispi della colonia hanno l’audacia d’arrivare a un rifugio.
Giungono in comitive schiamazzanti, esilarati dalla leggerezza dell’aria e dalla fatica. Subito si affannano a scriver cartoline e timbrar molte carte (se non i vestiti o la faccia) col timbro del rifugio. Dicono di avere un appetito inverosimile, ma bevono l’aperitivo, e si lagnano se il pane è duro. Non hanno né equità né criterio: mentre considerano la loro passeggiata una rara prodezza, non pensano alla fatica che occorre per trasportare dal paese la cucina economica, o una cassetta di bottiglie di birra. Il rifugio è per loro una meta fornita d’ogni comodità: da dove sia giunta, che importa? Certo i rifugi vengono riforniti da angioli alati, come quelli che spargono rose sui soffitti del Tiepolo: se pensassero che quanto si vedono intorno ha stroncato schiene d’uomo e di mulo per ore e ore di strada, sarebbero meno esigenti. Non sanno spiegarsi invece come possa talvolta mancare il burro (non esservi burro in montagna!) o un bel canestro di pere mature e d’uva moscata.
Quasi sempre mangiano all’aperto, seduti sull’erba o sui sassi: è meno confortevole, ma è lecito che ognuno provi almeno una volta la voluttà del disagio, specie quando consente di realizzare una notevole economia. Se sono costretti dal cattivo tempo, o da insufficienza di provviste, a consumare la colazione nella saletta del rifugio, fanno alte meraviglie sul conto steso a fatica dal custode; in generale un custode così buono e accomodante da arrivare a sopportarli senza mostrare fastidio.
Sono superficiali e un po’ bambini; ma, tranne l’inesperienza, non hanno gravi difetti: appena quel tanto di esuberanza giovanile che basta per renderli buffi, ma anche per farli perdonare.
In generale sono molto egoisti. Non s’interessano del sacco enorme che il portatore depone in terra con disinvoltura, e degnano appena di uno sguardo i baffi spioventi di una vecchia guida. Talvolta qualcuno sente un po’ di rispetto per l’alpinista che tace in un angolo, e cerca allora di darsi un contegno; qualcuno dimostra ammirazione per la corda, e insieme un vago timore; ma sono pochi. C’è però anche qualche ragazzo che, giunto in paese, avrebbe voglia di tornare in montagna. Rivede la guida bonaria, l’alpinista silenzioso, e… — perché no? — vorrebbe provare una volta, così per curiosità, a farsi legare in cordata (ma se cadono gli altri — pensa — come farò a sorreggerli? E la corda si lancia forse in alto, a cavallo di una rupe, fin che si ferma in qualche modo miracoloso, e poi ci si arrampica per essa? Certo è così…); leva lo sguardo fin sulla vetta più alta che minaccia la valle, e già immagina di esservi giunto. E’ lassù: stringe in mano la corda come un bene proibito; e prova la nuova ebbrezza del vuoto e dell’altezza.
Chi ha immaginato di trovarsi una volta lassù, ritornerà. Per questo le gite in comitiva non sono sempre inutili: basterà che, fra i tanti, ve ne sia uno che arrivi a comprendere la montagna.
In quanto agli altri, saremmo dei belli egoisti se li invitassimo a starsene a casa: salgano! E saranno i benvenuti, specie se canteranno un po’ meno, e se avranno un po’ più di rispetto per le piccole case dell’Alpe.
Salgano: in montagna c’è sempre posto per tutti; ma cerchino intanto — se ci riescono — di lasciar meno cartacce unte attorno ai rifugi, e meno spiritosaggini sui registri.
Ho da poco letto il libretto di Mazzotti “Grandi imprese sul Cervino” . Ho trovato mirabile il racconto della prima ascensione della parete est. Belli anche gli altri capitoli ma quello indimenticabile.
Bepi Mazzotti, ho ben sette libri di questo autore. Una grande figura della letteratura di montagna.
Bepi Mazzotti un caposaldo della letteratura di montagna. Sono andato sulla Bagni anni fa proprio ispirandomi ad una vicenda tragica da lui raccontata nel libro ” La grande parete” . Bellissimo e commovente – una storia vera.