Alla ricerca di un equilibrio

Gary Hemming scrisse questo articolo nel 1964 e lo pubblicò direttamente sulla rivista francese La Montagne & Alpinisme (ne forniamo anche la versione in originale francese). Dove si vede che l’americano, non ancora famoso per lo straordinario salvataggio di due tedeschi sul Petit Dru, aveva già le idee molto chiare sul futuro dell’arrampicata. E’ questo probabilmente il primo articolo in cui si sottopone all’attenzione dell’alpinismo europeo la nuova tendenza d’oltreoceano.

Alla ricerca di un equilibrio
di Gareth Gary Hemming
in collaborazione con Claude Guerre-Genton
(pubblicato su La Montagne & Alpinisme, ottobre 1964)

Per me ogni salita in montagna deve essere oggetto della ricerca della perfezione (Robert Guillaume)”.

Non è assolutamente necessario conoscere le esperienze – né il lavoro degli altri – per fare ricerca personale; ma forse dobbiamo ammettere che sono di grande aiuto…

Sarà forse colpa della nostra sorella Sud America, più alta e famosa nel mondo della montagna, ma è generalmente sconosciuto che il Nord America offra entro i suoi confini aree di interesse alpino più diversificate anche dell’insieme delle Alpi, del Caucaso e del Nord Africa. Anche molte di queste regioni, vaste quasi quanto la Francia e dotate di bellissime vette alpine, rimangono attualmente molto poco esplorate.

Yosemite Valley con, a sinistra, il Capitan

Inoltre, lontano dall’Europa, distanti tra loro, private dell’influenza, dello spirito e della pratica degli alpinisti stranieri, ciascuna regione ha seguito un’evoluzione molto particolare, secondo le proprie esigenze e con le proprie innovazioni.

Propongo di dare un’occhiata ad una di queste regioni, famosa più per le sue spiagge e i suoi frutti che per le sue montagne: la California. Vi si pratica solo ciò che è la base dell’alpinismo: arrampicata pura, ma con attrezzatura, tecnica e spirito che possono presentare un certo interesse per gli alpinisti europei.

La parete nord-ovest dell’Half Dome

I “due” americani
Uno dei tratti distintivi del carattere americano di oggi deriva dal suo bisogno di rivedere e modernizzare tutto ciò che tocca o vede. Efficienza, velocità, utilità, sono i grandi dei del giorno. Si pensa subito al modernismo del nostro tenore di vita, e l’europeo sa bene che all’americano, che da diverse generazioni ha rivolto tutte le sue forze ed energie in questa direzione materialistica, manca un certo senso dell’equilibrio della vita.

In una società del genere è facile credere che l’alpinismo non sia tenuto in considerazione dai più. In effetti, questo carattere è la probabile causa per cui in Europa sono molti a credere che pratichiamo l’alpinismo con la stessa meccanizzazione che presiede alla costruzione di un ponte o di una funivia, senza alcun senso estetico o sportivo, cioè con teleferiche, scale, martelli elettrici, gru portatili, trivelle esplosive, ecc.

Ma… fermiamoci un po’. Perché questo personaggio, supposto americano, era piuttosto quello dell’avanguardia europea di cento e duecento anni fa, trasportata in America come il coniglio in Australia, senza alcuna delle restrizioni apportate dalle istituzioni, dai costumi o dalle tradizioni; nessun ostacolo in tutto il Nord America, eccetto la “wilderness” e l’indiano, (wilderness: intraducibile in italiano; forse ne dà l’idea “immensità selvaggia”).

Eccoci qui: l’unico vero americano è l’indiano; e la “wilderness” di centocinquant’anni fa era la vera America, fatta eccezione per i piccoli gruppi di europei sulle coste e i pochi avventurieri, cacciatori di pelli e pionieri nell’interno. A differenza dell’europeo, l’indiano era ben inserito in questo ambiente originario. In completa connessione con la wilderness, ha praticato una radicale conservazione della natura senza alcuno spreco, e il suo passaggio è rimasto indistinguibile, mentre il bianco, orgoglioso della sua civiltà, vuole lasciare una traccia dietro di sé, vuole cambiare tutto a sua immagine e sfrutta tutto a suo vantaggio, senza riguardo ai bisogni di chi lo segue o ai diritti delle prime popolazioni…

Sulla parete sud-ovest del Capitan

Tra i due estremi
Al giorno d’oggi non combattiamo contro il progresso; gli indiani e il passato hanno perso la partita, e la perderanno sempre. Il mondo di oggi e di domani vorrà rimanere all’avanguardia nella tecnologia e nella meccanizzazione.

Alcuni di noi in America, cresciuti proprio in questo nuovo mondo, considerano questa evoluzione come irreversibile, e più chiaramente di chiunque altro. Ma sentiamo anche il bisogno di un equilibrio tra lo spirito dell’uomo primitivo – in relazione alla natura – e lo spirito dell’uomo moderno – contro la natura – se l’uomo vuole sopravvivere.

Senza equilibrio, lo sport dell’arrampicata, come ogni altra cosa, rischia di autodistruggersi, o almeno di perdere la sua originaria bellezza ed eleganza e diventare qualcosa di piuttosto grottesco, senza dubbio. Solo che, per raggiungere questo equilibrio, bisogna pensare più attentamente di prima. Sorgono allora le domande di fondo: qual è lo spirito dell’alpinismo? Perché lo pratichiamo e perché lo amiamo? È necessario creare alcuni principi per perpetuare questo spirito nonostante qualsiasi forma di progresso tecnico. C’è il problema dei compromessi e delle regole.

Poi questi principi e queste regole ci imprigionano e limitano la nostra libertà (è quello che in montagna non ci piace perdere). Ma rispetto alla distruzione totale, il rispetto di alcune regole legittime è il male minore.

Sulla parete sud-ovest del Capitan

Il prezzo per un Paese “vergine”
Qui devo parlare di John Muir. Settant’anni fa, in California, quest’uomo attratto dalla natura nella sua purezza, si rese conto che il rapido progresso della tecnologia avrebbe distrutto in pochi decenni tutta la bellezza originaria del Paese, senza la creazione su scala nazionale di alcuni principi relativi alla sua protezione.

Riflettendo d’altro canto sulla gioia particolare che la natura gli procurava, Muir concluse che essa proveniva in gran parte dalla scoperta personale, vale a dire dal ritrovare le montagne, le valli, i fiumi, le cascate, nel loro stato naturale, e – punto molto importante – senza alcun segno del precedente passaggio dell’uomo. Riconobbe quindi, di diritto, che il principio più importante della conservazione delle aree naturali era quello di non lasciare traccia del proprio passaggio personale, affinché dopo di lui altri uomini, transitando negli stessi luoghi, potessero trarne tanta gioia quanto lui della loro stessa scoperta.

In ciò si unì agli indiani che avevano attraversato questo paese vergine centinaia di volte prima di lui.

Così, con alcuni discepoli, organizzò il Sierra Club, prendendo l’iniziativa di custodire e proteggere le regioni più belle della California allo stesso modo di lui e degli indiani prima di lui.

L’esistenza di gruppi come il Sierra Club e di uomini come Muir, spinse il governo federale e quasi tutti gli stati dell’Occidente a creare un sistema molto organizzato di riserve sotto la protezione dello Stato, e non più solo sotto quella dell’ideale di un piccolo gruppo di “amanti della natura”, senza valore legale contro il grande capitale.

In queste riserve si ha il diritto di passare ovunque e in qualsiasi momento (eccetto nelle regioni considerate non sicure), ma senza lasciare tracce. Nelle riserve della prima categoria – i parchi nazionali – la conservazione è praticata al limite: a parte un numero molto limitato di case, sentieri per cavalli e uomini e una o due strade di accesso, nessuna nuova struttura. Non si può abbattere nessun albero, arbusto, pianta o fiore; nessun animale può essere ucciso o trasportato. Tutti i rifiuti dovrebbero essere sepolti, e anche gruppi come il Sierra Club si assumono la responsabilità di riparare i danni altrui, o addirittura di rimuovere e trasportare a spalle la spazzatura lasciata dai turisti!

Ora, il lavoro del Sierra Club è molto più ampio e abbraccia tutte le aree di attività nella natura selvaggia della California, in particolare l’escursionismo e l’arrampicata su roccia. Tutti gli alpinisti imparano l’arrampicata su roccia in questa società, o almeno ne sono fortemente influenzati.

Sulla parete sud-ovest del Capitan

Il prezzo dell’arrampicata “pura”
Lo scalatore californiano di oggi si ispira quindi a due grandi tendenze uguali: modernizzazione e meccanizzazione ultraveloce, eredità ancestrale; spirito di conservazione della natura e scoperta personale, eredità dell’indiano e di John Muir.

Inoltre, poiché fa arrampicata pura, è guidato anche dallo spirito di avventura, dalla passione sportiva, dalla competizione, dal gusto della difficoltà.

Salvaguardare questo ideale in sé e in qualunque luogo selvaggio dove si arrampica, sa che costa un certo prezzo. Ma sa anche che questo prezzo deve essere fissato da lui, per lui e con lui come unico arbitro. Così da anni ha accumulato una serie di principi, non codificati, che circolano semplicemente di bocca in bocca e vengono adottati da ogni nuovo alpinista più come un insieme di deduzioni ragionevoli che come un elenco di regole intangibili.

Qui elenco i più importanti, quelli che applicano con maggiore rigore:

1. — Non lasciare traccia del suo passaggio personale.
Per applicare questo principio all’arrampicata su roccia, nonché per motivi di sicurezza, eventuali chiodi, staffe o corde devono essere rimossi dalla roccia durante l’arrampicata. Due eccezioni: il chiodo ad espansione “giustificato” (principio 4), e in cima imbrogliamo un po’ Muir con un ometto (l’orgoglio dell’uomo bianco!) dove forse è nascosto un libretto delle salite.

2. — Percorri tutto quello che puoi “naturalmente”, cioè in libera, nei limiti della sicurezza.

L’adesione degli alpinisti a questo principio non può essere sottovalutata. Sanno che la tendenza umana a facilitare le cose è troppo grande. Ad esempio, a partire dal V grado salire in A1, invece di “esporsi”. Oppure non cercare di risolvere problemi più difficili di quelli che si trovano nell’intervallo di un metro tra due chiodi.

Prendiamo il caso della parete nord del Sentinel Rock in California. Quasi identica ad una via sulla parete est del Grand Capucin, la prima salita è stata effettuata più o meno nello stesso periodo e nello stesso stile: la maggior parte in “artificiale”, in cinque giorni e quattro bivacchi da parte dei due migliori alpinisti del momento . Oggi, ovviamente, essendo il livello più alto rispetto a dieci anni fa, usciamo regolarmente senza bivacco; ma invece di avere una scala di chiodi dal basso verso l’alto, questa via non presenta alcuna traccia dell’uomo, salvo qualche chiodo ad espansione “giustificato” su una piccola placca liscia al centro, altrimenti impraticabile. Molto sostenuta, resta quindi una salita riservata ad alpinisti molto esperti, ancora più severa che all’inizio, poiché comprende ormai un percorso quasi interamente in libera di grado molto elevato, 10 lunghezze di VI.

Per molte salite in California ci sono due “primati”; il secondo è la “prima tutta in libera”. Ed è considerato pari al primo, qualche volta nettamente superiore.

Sulla parete sud-ovest del Capitan

3. — Passaggio in libera.

Con le tecniche moderne, deve essere chiaramente definito. Ciò significa non utilizzare mai la corda, i chiodi, i moschettoni o qualsiasi altro oggetto che non sia parte integrante della roccia, per scopi diversi dall’assicurazione.

4. — Non utilizzare mai tasselli ad espansione (anche uno già in loco, tranne che come ultima risorsa).

Eventuali chiodi ad espansione ingiustificati dovranno essere rimossi o rotti. Eccezione importante: il chiodo ad espansione posizionato per rendere sicura una sosta o un passaggio in libera che non presenta una fessura sufficiente per una buona assicurazione. (La sicurezza occupa, come vedremo, un posto molto importante nell’arrampicata su roccia in California).

5. — Non troppe informazioni su un percorso prima di attaccarlo.

Solo un’idea del percorso, dove inizia, dove finisce, i gradi di difficoltà che incontreremo e l’attrezzatura speciale da portare.

Con maggiori dettagli, c’è troppo rischio di perdere la gioia di risolvere i problemi da soli.

Con questi principi lo scalatore californiano ha la certezza che le salite di ieri e di oggi non rimarranno limitate alle sensazioni e alle possibilità dei primi scalatori. È certo che l’arrampicata rimarrà pura e fedele al suo spirito originario, e che ogni alpinista potrà ripetere qualsiasi salita, anche la più classica, con quasi la stessa gioia che gli alpinisti del passato nello scoprire e risolvere le difficoltà.

Sulle placche verticali dell’Happy Pinnacle

Prepararsi per il futuro
Tuttavia, poiché il mondo moderno in perpetuo cambiamento non cessa di presentare un futuro pieno di minacce e di speranze, gli alpinisti – senza un’organizzazione formale da parte loro – cercano di proteggersi dagli eventi sconosciuti del domani.

Ogni novità porta numerosi alpinisti d’avanguardia a provarla. Dopo un po’ si forma un’opinione più o meno generale. Se è ovvio che la novità può aumentare le loro possibilità, senza sminuire il loro ideale estetico di arrampicata, tutti la adottano. Altrimenti è “fuorilegge”.

Nascono così razzetti, archi, frecce, fionde per proiettare la corda verso l’alto; gru, scale, corde per alpinisti e attrezzature; perforatori a motore, chiodi ad espansione ingiustificati; il pre-equipaggiamento e le tattiche d’assedio per comodità sono state utilizzati più volte, prima di cadere in disgrazia.

Chiunque ritenga valido l’uso di tali oggetti o metodi, sarà discretamente scoraggiato dal gruppo, che non riterrà le sue ascensioni degne di menzione.

La montagna, e chi fa parte del gruppo lo sa bene, significa per ognuno qualcosa di diverso, e nessuno si sente responsabile degli altri fino a che non si ritrova personalmente danneggiato. Inoltre, nel caso in cui il “fuorilegge” danneggi le salite con la sua attrezzatura – come fa il Sierra Club con i rifiuti dei turisti – c’è sempre qualcuno che pulisce la montagna dopo il suo passaggio…

A la recherche d’un équilibre
par Gareth Gary Hemming
en collaboration avec Claude Guerre-Genton

«Pour moi chaque course en montagne doit être l’objet de la recherche de la perfection (Robert Guillaume)».

Il n’est pas absolument nécessaire de connaître, les expériences — ni les travaux des autres — pour faire de la recherche personnelle; mais peut-être faut-il admettre qu’elles sont d’un grand secours…

C’est peut-être la faute de notre sœur l’Amérique du Sud, plus haute et plus célèbre dans le monde de la montagne, mais on ignore en général que l’Amérique du Nord offre dans ses frontières des régions d’intérêt alpin plus diverses encore que l’ensemble des Alpes, du Caucase et de l’Afrique du Nord. Plusieurs même de ces régions, presque aussi vastes que la France et bien pourvues de beaux sommets alpins, restent très peu explorées à l’heure actuelle.

Aussi, loin de l’Europe, éloignées les unes des autres, privées de l’influence, de l’esprit et de la pratique des montagnards étrangers, chaque région a suivi une évolution bien particulière, selon ses propres besoins et avec ses propres innovations.

Je me propose de jeter un coup d’oeil sur une de ces régions, plutôt réputée pour ses plages et ses fruits que pour ses montagnes: la Californie. On n’y pratique que ce qui est la base de l’alpinisme: l’escalade pure, mais avec un équipement, une technique et un esprit qui peuvent présenter un certain intérêt pour les grimpeurs d’Europe.

Les “deux” Américains
Un des traits distinctifs du caractère américain actuel vient de son besoin de réviser et de moderniser tout ce qu’il touche ou voit. Efficacité, vitesse, utilité, sont les grands dieux du jour. On pense aussitôt au modernisme de notre standard de vie et l’Européen sait bien que l’Américain, qui a pendant plusieurs générations orienté toutes ses forces et son énergie dans cette direction matérialiste, manque d’un certain sens de l’équilibre de la vie.

Dans une société pareille, il est facile de croire que l’alpinisme n’est pas bien considéré par le grand nombre. En fait, ce caractère est la cause probable qu’il y a en Europe beaucoup de gens pour croire que nous pratiquons l’alpinisme avec la même mécanisation qui préside à la construction d’un pont ou d’un téléphérique, sans aucun sens de l’esthétique ni du sport, c’est-à-dire avec des câbles, des échelles, des marteaux électriques, des grues portables, des foreuses à explosifs, etc…

Mais… arrêtons-nous un peu; car ce caractère, prétendument américain, a été plutôt celui de l’avant-garde européenne d’il y a cent et deux cents ans, transbordé en Amérique comme le lapin en Australie, sans aucune des restrictions qu’apportent les institutions, les mœurs ou les traditions; aucun obstacle dans toute l’Amérique du Nord, sauf le “wilderness” et l’Indien, (wilderness: intraduisible en français; on en rendrait l’impression dominante par “immensité sauvage”).

Nous y voilà: le seul vrai Américain, c’est l’Indien; et le “wilderness” d’il y a cent cinquante ans, c’était la vraie Amérique, sauf pour les petits groupes d’Européens sur les côtes, et les quelques aventuriers, trappeurs et pionniers de l’intérieur. Au contraire de l’Européen, l’Indien se trouvait bien placé dans cet environnement originel. En rapport complet avec le “wilderness”, il pratiquait une conservation radicale de la nature sans aucun gaspillage, et son passage restait indiscernable, tandis que le blanc, orgueilleux de sa civilisation, tient à laisser une trace après lui, veut tout changer à son image et tout exploiter à son profit, sans égard aux besoins de ceux qui le suivent ni aux droits des populations premières…

Entre les deux extrêmes
De nos jours, on ne se bat pas contre le progrès; l’Indien et le passé ont perdu la partie, et ils la perdront toujours. Le monde d’aujourd’hui et de demain voudra rester à l’avant-garde de la technologie et de la mécanisation.

Certains d’entre nous, en Amérique, élevés justement dans ce monde nouveau, regardent cette évolution comme irréversible, et plus clairement que personne. Mais nous sentons aussi le besoin d’un équilibre entre l’esprit de l’homme primitif — en rapport avec la nature — et l’esprit de l’homme moderne — contre la nature — si l’homme veut survivre.

Sans l’équilibre, le sport d’escalade, comme tout le reste, risque de se détruire, ou tout au moins de perdre de sa beauté et de son élégance originelles pour devenir quelque chose d’assez grotesque, sans doute. Seulement, pour gagner cet équilibre, il faut penser plus soigneusement qu’avant. Se posent alors les questions de base: qu’est l’esprit de l’alpinisme? Pourquoi le pratique-t-on, et pourquoi l’aime-t-on? S’impose le besoin de créer certains principes pour perpétuer cet esprit malgré toute forme d’avancement technique. Se pose le problème des compromis et des règles.

Puis ces principes et ces règles ont prise sur nous et limitent notre liberté — voilà bien ce qu’en montagne nous n’aimons pas perdre —. Cependant, au regard de la destruction complète, respecter quelques règles légitimes est un moindre mal.

Le prix pour un pays “vierge”
Ici, je dois parler de John Muir. Il y a soixante-dix ans, en Californie, cet homme attiré par la nature dans sa pureté, a réalisé que la progression rapide de la technologie détruirait en quelques décades toute la beauté originelle du pays, sans la création à l’échelle nationale de certains principes relatifs à sa protection.

S’interrogeant d’autre part sur la joie particulière que lui apportait la nature, Muir a conclu qu’elle venait en grande partie de la découverte personnelle, c’est-à-dire de trouver les montagnes, les vallées, les fleuves, les cascades, dans leur état naturel, et — point très important — sans aucun signe du passage préalable de l’homme. Il reconnut donc, comme une évidence, que le plus important principe de conservation des régions sauvages était de ne laisser aucune trace de son passage personnel, pour qu’après lui, d’autres hommes passant aux mêmes endroits, puissent tirer autant de joie que lui de leur propre découverte.

En quoi il rejoignait les Indiens qui avaient par couru ce pays vierge des centaines de fois avant lui.

Alors, avec quelques disciples, il organisa le Sierra Club, se donnant pour initiative de garder et protéger les plus belles régions de Californie de la même façon que lui et l’Indien avant lui.

L’existence de groupes comme le Sierra Club et d’hommes comme Muir, a poussé le gouvernement fédéral et presque tous les Etats de l’Ouest à créer un système très organisé de réserves sous la protection de l’Etat, et non plus seulement sous celle de l’idéal d’un petit groupe “d’amants de la nature”, sans force légale contre le grand capital.

Dans ces réserves on a le droit de passer n’importe où, n’importe quand (sauf dans les régions considérées comme non sûres), mais sans laisser de traces. Dans les réserves de première catégorie — parcs nationaux — on pratique la conservation jusqu’au bout: à part un nombre très limité de maisons, pistes pour le cheval et l’homme, et une ou deux routes d’accès, aucune structure nouvelle. On ne peut couper aucun arbre, arbuste, plante ou fleur; on ne peut tuer ni transporter aucun animal. Tout détritus doit être enterré, et même des groupes comme le Sierra Club poussent la responsabilité à réparer les dégâts des autres, voire même à évacuer les débris laissés par les touristes… à dos d’homme!

Beaucoup plus étendus maintenant, les travaux du Sierra Club intéressent tous les domaines d’activité dans les régions sauvages de Californie, en particulier la promenade et l’escalade. Tous les grimpeurs apprennent la varappe dans cette société, ou sont au moins très influencés par elle.

Le prix de l’escalade “pure”
Le grimpeur californien d’aujourd’hui est alors inspiré par deux grandes tendances égales: modernisation et mécanisation ultra rapide, héritage ancestral; esprit de préservation de la nature et de découverte personnelle, héritage de l’Indien et de John Muir.

En outre, parce qu’il fait de l’escalade pure, il est aussi guidé par l’esprit d’aventure, la passion sportive, la compétition, le goût de la difficulté.

Pour sauvegarder cet idéal en lui et dans toute région sauvage où il pratique l’escalade, il sait que cela coûte un certain prix. Mais il sait aussi que ce prix doit être fixé par lui, pour lui, et avec lui comme seul arbitre. Donc pendant des années il a accumulé un certain nombre de principes, non codifiés, qui circulent simplement de bouche à oreille et sont adoptés par chaque nouveau grimpeur plutôt comme un ensemble de déductions raisonnables que comme une liste de règles intangibles.

J’énonce ici les plus importants, ceux qu’ils appliquent le plus rigoureusement:

1. — Ne laisser aucune trace de son passage personnel.
Pour appliquer ce principe à la varappe, autant que pour des raisons de sécurité, tout piton, étrier ou corde doit être retiré de la roche au passage. Deux exceptions: le piton à expansion “justifié “ (principe  4),  et  au  sommet  on   triche  un peu Muir avec un caïrn (l’orgueil du blanc!) où se   trouve  caché  peut-être   un  registre  des   ascensions.

2. — Passer tout ce qu’on peut de façon “naturelle”.
c’est-à-dire en libre, dans les limites de la sécurité.

L’adhésion des grimpeurs à ce principe ne peut pas être minimisée. Ils savent qu’il existe une trop grande tendance humaine à la facilité. Par exemple, à partir du Ve degré monter en AI, au lieu “d’exposer la viande”. et ne pas essayer de résoudre de problèmes plus difficiles que celui de grimper entre deux pitons séparés par un intervalle d’un mètre.

Prenons le cas de la face nord du Sentinel Rock en Californie. Très identique comme voie à la face est du Grand Capucin, la première ascension en a été faite vers la même époque et dans le même style: la plus grande partie en “artif”, en cinq jours et quatre bivouacs par les deux meilleurs grimpeurs du moment. Aujourd’hui, naturellement, le niveau étant plus élevé qu’il y a dix ans, on sort régulièrement sans bivouac; mais au lieu d’avoir un escalier de pitons de bas en haut, cette voie n’a gardé aucune trace de l’homme, excepté quelques pitons à expansion “justifiés” dans une petite dalle lisse au milieu, infranchissable autrement. Très soutenue, elle reste ainsi une course réservée à des grimpeurs très expérimentés, plus sévère même qu’au début, puisqu’elle comporte maintenant une voie presque toute en libre d’un degré très élevé, qui inclut dix longueurs de VI…

Pour beaucoup de courses en Californie, il existe deux “premières”; la seconde étant la “première tout en libre” est considérée comme l’égale, voire même souvent nettement supérieure à la précédente.

3. — Le passage en libre.
Avec les techniques modernes il faut le définir nettement. Cela signifie qu’on ne se sert jamais ni de la corde, ni des pitons, ni des mousquetons, ni d’aucun autre objet qui ne soit partie intégrante de la roche, pour autre chose que l’assurance.

4. — Ne jamais utiliser de pitons à expansion — même un déjà sur place — sauf en dernier ressort.
Tout piton à expansion non justifié doit être enlevé ou cassé. Exception importante:   le piton à expansion placé afin de rendre sûr un relais ou un passage en libre qui ne présente pas de fissure suffisante pour un bon piton d’assurance. (La sécurité tient, on le verra, une place très importante dans la varappe en Californie).

5. — Pas trop de renseignements sur une voie avant de l’attaquer.
Juste une idée du cheminement, où elle démarre, où elle finit, les degrés des difficultés qu’on va rencontrer, et le matériel spécial à emporter.

Avec plus de détails, on risque trop de perdre la joie de résoudre soi-même les problèmes.

Avec les principes ci-dessus, le grimpeur californien est assuré que les courses d’hier et d’aujourd’hui ne resteront pas limitées aux sentiments et aux possibilités des premiers ascensionnistes. Il est assuré que l’escalade restera encore pure et fidèle à son esprit d’origine, et que chaque grimpeur pourra répéter n’importe quelle course, même la plus classique, avec presque autant de joie que lors de la découverte et de la résolution des difficultés par les ascensionnistes du temps passé.

Préparer l’avenir
Pourtant, comme le monde moderne en perpétuel changement ne cesse de présenter un avenir aussi plein de menaces que d’espoirs, les grimpeurs — sans organisation formelle de leur part — tâchent de se protéger contre les événements inconnus de demain.

Toute nouveauté amène un certain nombre de grimpeurs d’avant-garde à l’essayer. Après un certain temps, une opinion plus ou moins générale se forme. S’il est évident que la nouveauté peut augmenter leurs possibilités, sans amoindrir leur idéal esthétique de l’escalade, tous l’adoptent. Sinon elle est mise “hors-la-loi”.

C’est ainsi que fusées, arcs, flèches, frondes pour projeter la corde au sommet; grues, échelles, câbles pour monter grimpeurs et équipement; foreuses à explosifs, pitons à expansion non justifiés; équipement préalable et tactique de siège pour plus de confort, ont été utilisés à un moment ou à un autre avant de tomber en complète défaveur.

Pour celui qui garde l’usage de tels objets ou méthodes après leur décri général, le groupe ne fait rien, si ce n’est le décourager discrètement en ne considérant pas ses ascensions comme dignes du mot.

Les montagnes, ceux du groupe le savent bien, représentent pour chacun quelque chose de différent, et ils ne se sentent pas responsables des autres, jusqu’au moment où ils se trouvent personnellement gênés. Aussi, dans le cas où le “hors-la-loi” abîme les courses avec son matériel — comme au Sierra Club pour les détritus des touristes — il se trouve toujours quelqu’un pour nettoyer la montagne après son passage…

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Alla ricerca di un equilibrio ultima modifica: 2023-09-01T05:53:00+02:00 da GognaBlog

12 pensieri su “Alla ricerca di un equilibrio”

  1. Articolo bellissimo. Di purezza leggera.
    Tale resta, secondo me, anche con le pulci che cercano di attaccargli.

  2. A vedere lo sfruttamento turistico di Yosemite, J. Muir si rivolterebbe nella tomba.
    E sicuramente anche Hemming a vedere tutta la gente che penzola dalla pareti.

  3. Ho solo fatto notare il fatto del seppellimento dei rifiuti che , ingenuamente, poteva andare bene nell’800. Poi i numeri sono aumentati e nei parchi si è cominciato ad asportarli. Ora l’idea è quella di non farli!!. Enormi numeri di persone non sono utili ai parchi ma solo al business che ci gira attorno…siamo riusciti a cavare reddito persino dal wilderness…che dalla traduzione di Hemming significa “immensità selvaggia”…che poco si addice a confini che hanno i parchi e con strade e strutture per l’accoglienza dei visitatori. Eppure abbiamo constatato che la natura sta benissimo quando la abbandoniamo. Dovremo cominciare a pensare ad un nostro adattamento a Lei e non il contrario, se non altro perché (e questo lo si è capito) a Lei noi non serviamo

  4. Il me semble qu’il faut rester humble devant la montagne, devant une ascension ;
    On peut, discrètement, sans abîmer le rocher, et sans renforts artificiels, grimper et y prendre du plaisir, et aussi une certaine fierté,
    ou alors,  on laisse.

  5. “Lascia che la pace della natura entri in te come i raggi del sole penetrano le fronde degli alberi.
    Lascia che i venti ti soffino dentro la loro freschezza e che i temporali ti carichino della loro energia.
    Allora le tue preoccupazioni cadranno come foglie d’autunno”
    John Muir
    Da uno della fine 800 mi sembra molto avanti.

  6. carlo @4: andiamoci piano col revisionismo, Muir fu un gigante, a lui si deve quel poco, o tanto, della conservazione della natura dei grandi parchi americani. Noi europei dovremmo prendere appunti…Lui operava a fine ‘800! Non possiamo giudicare coi criteri di oggi, quando milioni di persone visitano ogni nno quei parchi

  7. Anche la visione di Muir è superata quando dice di seppellire i rifiuti!!!!

    beh…Muir non è proprio di ieri. Mi sembra il minimo di aver migliorato . Ma visto come viene trattata la natura oggi, non mi pare.
    Le regole di Preuss me le ricordo un pò più severe.

  8. Più che di nuove regole a me paiono affermazioni di quelle di Preuss….disattese come lo sono queste, quelle delle tavole …e le prossime! Anche la visione di Muir è superata quando dice di seppellire i rifiuti!!!!

  9. una forma di  anticipo delle “Tavole della Montagna di Courmayeur” del 1995 ?

  10. 5. — Non troppe informazioni su un percorso prima di attaccarlo.
    Solo un’idea del percorso, dove inizia, dove finisce, i gradi di difficoltà che incontreremo e l’attrezzatura speciale da portare.

    Questo principio è proprio in sintonia con le guide d’arrampicata di oggi, dove le relazioni indicano anche quanta carta igienica portare.

  11. È facile darsi regole quando non ce ne sono.
    E comunque,  certi individui sentono la necessità di regolare, quando hanno paura di perdere qualcosa. È una forma di egoismo spacciato per altruismo. Il Club.

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