Metadiario – 42 – All’Aiguille de Leschaux per la parete nord-est (AG 1972-007)
di Miller Rava
(pubblicato su Rivista Mensile del CAI, gennaio 1973)
Stiamo salendo verso il rifugio Dalmazzi, abbiamo appena lasciato il fondovalle e già la nostra lampada deve illuminare il sentiero in attesa che la luna la sostituisca. La ferraglia che appesantisce i sacchi rallenta la marcia e ci fa invidiare i nostri antichi colleghi e la loro ampia possibilità di scelta nell’attaccare vergini pareti. A noi poveri cercatori di vie nuove non sono rimasti che «ultimi problemi», pareti sempre più lisce e verticali, oppure nascoste in fondo a qualche vallone dimenticato da strade e funivie, pareti che ti danno «soltanto» ore di gioiosa salita su difficoltà medie, magari senza bivacchi e sofferenze. Queste vie sui monti-mai-sentiti-nominare nessuno le porta via, mentre i problemi lisci e verticali e anche di più sono oggetto di attenzione da parte di parecchi grossi nomi. Bisogna prima andare su questi; sulle pareti ignote ci andremo poi, vecchi di anni e di esperienze, a goderci la vita e, se ci saremo fatti un nome, a renderle conosciute.
Le pareti che tentiamo adesso richiedono forse più metallo che coraggio, ma anche (e per fortuna) un po’ di quella voglia di soffrire che permette a chi proprio «mostro» non è, di fare cose egregie. Intanto è sorta la luna e la pila diventa inutile. Il sentiero molto ripido permette di guadagnare quota rapidamente: presto saremo al rifugio.
Siamo partiti tardi per attendere fino all’ultimo l’arrivo di un terzo compagno. Non è venuto. Avrebbe diminuito un po’ il rischio del tentativo e avrebbe alleggerito i sacchi di parte del materiale, portando anche qualche chiodo in più. Siamo partiti con un «tentiamo in due» che suggellasse l’aumentata difficoltà della salita e ora mi rendo conto che nell’intimo c’è soddisfazione per l’imprevista riduzione della cordata. E anche, appena percettibile, l’inconscia e incosciente speranza che un certo numero di chiodi estratti dal sacco nel momento in cui placche ghiacciate e verticali faranno venir meno la nostra fiducia (come sicuramente accadrà), possano precipitare per una fortunata disattenzione, dandoci l’esaltante possibilità di avvicinarci al limite.
Sogno il sesto grado, mi immagino l’indomani su placche lisce senza fessure per chiodi, lunghezza dopo lunghezza, sino al termine di una via miracolosa, senza sapere che purtroppo commetteremo l’errore di non commettere errori. E il giorno dopo, seppure scossi dalla vista di quel pazzesco diedro intasato di ghiaccio, come nelle più coreografiche invernali, i chiodi non cadranno dalle mani più abituate a stringer chiodi che impercettibili appigli. Né le stesse mani potranno permettersi il lusso di invertire per un giorno l’abitudine.
Rava in arrampicata sulla parete nord-est dell’Aiguille de Leschaux. Foto: Alessandro Gogna
Poco dopo siamo al rifugio. Prima di entrare restiamo un momento a guardare la nostra montagna, cercando di immaginare una via diretta sugli 800 metri di parete. Più tardi, dopo un ricco banchetto, sfogliamo il libro del rifugio: nomi conosciuti e sconosciuti, qualche scemenza, alcune belle salite e… «Guarda, la firma di Paolo e Andrea, il giorno prima… (Paolo Armando e Andrea Cenerini, NdR)».
Rava in arrampicata sulla parete nord-est dell’Aiguille de Leschaux, 1a ascensione via diretta, 1972. Foto: Alessandro Gogna
Accanto ai nomi due piccole croci. Dedicare la via ai due amici scomparsi sarebbe di prammatica, anche se poi quasi sempre i nomi si dimenticano, salvo quello dell’alpinista più blasonato della prima cordata. E non tutti i blasonati sono come il mio compagno, che in salita precede volentieri la corda. Tutti comunque danno il loro nome alle vie, per cui è inutile dedicarle a donne, società, avvenimenti, pontefici o presidenti. Nel nostro caso è meglio pensare semplicemente ai due amici e sperare di essere più fortunati.
Un ultimo sguardo al cielo sempre sereno e poi si va a letto. Partiremo alle quattro. Il sonno tarda a venire, ma la cosa non mi preoccupa. So per esperienza che l’insonnia di questa notte mi verrà ripagata con un buon sonno domani sera e renderà meno penose le ore dell’inevitabile bivacco. Penso divertito a quale sarebbe la mia condizione se invece di essere un alpinista che va dove vuole e con chi vuole, fossi inquadrato in una squadra di alpinismo agonistico con tanto di allenatore, massaggiatore, medico sportivo, preparatore atletico e tabelle dei tempi come i professionisti dell’atletica e di altri sport agonistici. In questo momento l’allenatore sarebbe preoccupato per la mia insonnia, forse dovrei essere sostituito con la riserva convocata dal Commissario tecnico. Chissà però se il C.T. avrebbe scelto questa parete, o se non avrebbe forse preferito lanciarci all’attacco del record di salita su quella famosa nord…
L’ipotesi è suggestiva: forse il miglioramento si ottiene proprio adottando i sistemi di preparazione che hanno portato al superamento di tutti i limiti sportivi. Forse solo l’alpinista-atleta, l’alpinista-ginnasta — con molta voglia di soffrire — riuscirebbe a passare su difficoltà sinora mai raggiunte.
O si arriverebbe all’alpinista disumanizzato? Preferisco ancora l’alpinista un po’ hippy, senza miti e un po’ zingaresco, all’alpinista programmato che forse ci riserva il futuro. Anche se il mio alpinista non sarà incluso nella squadra olimpica per la prima edizione dei Giochi Alpini Estivi che ritengo si svolgeranno in Russia nel 19…
… L’orologio trilla, mi sveglio e guardo l’ora: le tre. Subito mi alzo ed esco. Il tempo è ancora splendido, anzi il freddo è aumentato. Meglio così, anche se già temo i lunghi momenti di immobilità, nell’attesa che il compagno salga schiodando il più possibile e continui chiodando il meno possibile.
Farà certo molto freddo su quella parete rivolta a nord-est, e troveremo anche molto ghiaccio sul diedro che sale diritto sino alla vetta. Ma mi consolo: niente sole, niente scariche, e siccome tutto ha termine, fra un paio di giorni saremo in cima, oppure nuovamente qui a pensare a un ennesimo tentativo.
Rientro nel rifugio, bevo il tè che Gogna ha preparato e sistemo il sacco. Poi, in silenzio (di sopra c’è gente che dorme) usciamo dal rifugio e ci incamminiamo verso l’Aiguille de Leschaux.
Nota tecnica
Aiguille de Leschaux 3758 m, via diretta sulla parete nord-est, 800 m. Prima ascensione di Alessandro Gogna e Miller Rava (a com. alternato), 22-23 agosto 1972. La via si svolge a sinistra della via Cassin, tranne che nel primo tratto, in cui le due vie sono in comune.
Attacco: superare la crepaccia terminale e risalire 200 m il pendio di neve (50-55 gradi), con qualche roccia affiorante, in direzione del salto di roccia che fa da zoccolo alla parete verticale. Senza via obbligata risalire lo zoccolo verso il fondo del rientramento che è la direttiva della via Cassin. Superare una fessura diedro (IV e IV+), obliquare a s. verso alcune fessure verticali. Superare quella di d. (3 ch., 20 m, V + ) e raggiungere un terrazzino. Fin qui si è seguita la via Cassin che prosegue nel fondo del diedrone, fino all’uscita fra cima e anticima nord-ovest. Si è su un diedro canale obliquo a sinistra e si arrampica sulla faccia a s., spesso intasata di neve e ghiaccio. Salire una lunghezza tenendosi sul fondo, poi spostarsi a s. per un’altra lunghezza, quasi sullo spigolo che limita la faccia s. del diedro-canale su cui si sta salendo (60 m, V+ e VI—, A1). Salire ora sullo spigolo, in artificiale (neve e ghiaccio), per circa 35 m (VI e A1). Sosta su piccolo spuntone. Proseguire ancora 40 m (V+ e A1) fino ad un accenno di spalla (neve e ghiaccio). Traversare qualche metro a s., salire una fessura verticale 15 m (IV+ e V) e riprendere a poco a poco il bordo del diedro-canale prima abbandonato. Piccolo diedrino sullo spigolo (A1), poi placca a sinistra (A1 e A2), uscita (V+ e A1) su piccolo terrazzino nel diedro-canale. Proseguire in questo (V+ , 2 passi di A1), poi spostarsi a s. (VI) di nuovo in parete, obliquamente (V+ , passi di A1), fino a riguadagnare il diedro-canale. Sosta sulle staffe. Proseguire nel camino di fondo (IV+ e V-) per 15 m, fino ad un buon terrazzino sulla s., ingombro di neve (bivacco). Salire ormai senza possibilità di errori per due lunghezze nel fondo del diedro (V+ e IV) fino a uscire sui blocchi sommitali, in cima all’Aiguille de Leschaux.
Usati circa 70 ch., di cui circa 25 lasciati in posto.
Profetico, centrato, umano, trasparente Miller.
(Capisco ora la perdita che ad ogni occasione non hai potuto fare a meno di esprimere.)
Questa salita di Gogna e Rava , pur essendo diretta alla vetta, segue una linea naturale, adattandosi alle pieghe della montagna, senza forzature.