Trasmettere passione

Nell’ottobre 2017 usciva nelle librerie la bella pubblicazione Trasmettere passione Wie überträgt man seelische Erfahrungen im klettern, di Giuliano Stenghel e Heinz Grill, a cura di Idea Montagna Edizioni.
Ne riportiamo qui qualche brano, unitamente all’introduzione di Ivo Rabanser.

Lettura: spessore-weight**, impegno-effort***, disimpegno-entertainment**

Trasmettere passione
di Giuliano Stenghel e Heinz Grill

Introduzione di Ivo Rabanser
Conobbi Giuliano Stenghel inizialmente attraverso le sue vie nella Valle del Sarca. In quegli anni, le salite dell’Alto Garda erano racchiuse in un tomo che sapeva di tempi passati. Relazioni scritte con precisione illustravano agli arrampicatori il potenziale di questo angolo trentino dal clima mediterraneo in cui Franz Kafka curava i suoi disturbi polmonari e Thomas Mann trovò la quiete necessaria per lavorare al suo «Tristano». L’entusiasmo iniziale, di percepire sotto le dita i percorsi classici, cedette presto il passo al fascino di itinerari misteriosi e raramente ripetuti. Sulle rocce stregate sopra Campione, un lembo di terra tra il lago e il cielo, feci un salto nel vuoto, trattenuto poi dalla corda e dalle solide mani di Stefan Comploi. Imparai che sapersi muovere con efficacia su terreno infido richiede molto più della sola capacità arrampicatoria. Penso che la personalità di Giuliano Stenghel si definisca molto bene attraverso le sue vie: arrampicata libera intesa come superamento di grandi difficoltà con un supporto ridotto di tecnologia. Più tardi poi conobbi la persona, che mi colpì almeno quanto prima mi aveva colpito l’alpinista. Un carattere vulcanico, proteso verso il bello e il buono. E la stessa intensità, con cui aveva vissuto la sua passione per le scalate, Giuliano la profuse – dopo vicende avverse della vita – nel nobile impegno di migliorare la mediocrità di questo mondo. Con contagiosa generosità, sempre davanti, come quando conduceva la sua cordata alla conquista delle più impervie pareti. 

Nello stesso periodo di «Sturm und Drang», in cui mi affacciai al mondo delle scalate, mi imbattei anche nel nome di Heinz Grill. In seguito ai miei rendimenti scolastici – o meglio, i miei non rendimenti – mia madre mi scaraventò in un collegio, quale ripetente di classe alle medie. Abituato a scorrazzare libero per i boschi vicino a casa, mi ritrovai rinchiuso in una grande aula, sotto il bastone di rigidi insegnanti. Fu in quell’anno che colsi appieno, malgrado la giovane età, quanto fossi legato alla mia valle con i suoi monti, in cui avevo potuto assaporare qualche lieve approccio all’anarchia. In cui potevo agire senza regole calate dall’alto, assumendomene per contro la completa responsabilità. Ciò che ravvivò quei mesti pomeriggi sui banchi di scuola era lo studio delle guide delle Dolomiti. Piccoli libriccini verdi, che richiudevano un mondo di vie e della loro storia, che sempre più assorbivano il mio interesse e i miei desideri – quel mondo che tanto mi mancava e mi era lontano. Almeno che l’insegnante di tedesco avesse qualche soddisfazione di queste mie piccole evasioni letterarie. Era appena uscita la guida dedicata alla Marmolada, in cui Heinz Mariacher svelava i segreti della parete d’argento, che in quegli anni aveva visto una rivoluzione del modo di approcciare le scalate in montagna. A fianco di un drappello di forti arrampicatori tirolesi compariva H. Grill, autore di diverse solitarie, sia delle vie tradizionali della parete che di quelle che segnavano il nuovo corso. Di seguito lessi altre volte il nome di questo misterioso arrampicatore tedesco, delle sue temerarie scalate solitarie.
Un giorno poi ebbi la gradita sorpresa di una sua visita a casa. Percepii da subito una piacevole empatia, anche se sarebbero trascorsi alcuni anni prima di legarci insieme in cordata. In parete Heinz si rivelò come arrampicatore istintivo, svelto e risoluto, che se la sbrigava senza patimenti d’animo anche in situazioni ben complesse. Ma oltre a queste doti, maturate in decenni di ininterrotta attività, si rivelò oltremodo stimolante per me stare in giro con questo spirito filosofico, impregnato di profonda cultura umanista. 

Un giovane Stenghel in arrampicata

Una caratteristica che accomuna le personalità di Giuliano Stenghel e di Heinz Grill – trentino d’origine il primo e d’adozione il secondo – è la totale identificazione nel loro operato. Entusiasmo e appassionato ingaggio nelle loro dedizioni, in montagna così come nella vita di tutti i giorni. Sulla roccia verticale entrambi hanno trovato un modo per potersi esprimere, attraverso la creazione di nuovi percorsi. Queste prime salite non si esauriscono in loro stesse, ma si caricano col tempo di un significato duraturo, lasciando dietro di sé una traccia che alla fine convoglia per segnare un‘unica opera. Mentre per Giuliano Stenghel la creatività è vissuta in modo più istintivo, per Heinz Grill si aggiunge anche una crescente consapevolezza. E posso dire, per conto mio, d’aver approfittato di questa consapevolezza nel plasmare una buona linea lungo una parete, individuando i punti vulnerabili della roccia, collegandoli in modo opportuno fra di loro, come in un prezioso ricamo. 

Negli ultimi anni, insieme a Heinz ho potuto condividere ripetutamente il piacere di poter lasciare una traccia. La sua azione pedagogica ha rafforzato la mia convinzione che una virtù poco conta se non riesce a portare dei frutti. E da lui ho imparato che tra tesi e antitesi, va ricercata una sintesi. Unico modo per rifuggire gli estremismi, che in montagna come altrove non sono certo auspicabili. 

Giuliano Stenghel:
Un pomeriggio di metà settembre di qualche mese fa, con il forte alpinista Heinz Grill, dopo esserci scolati una birra analcolica come aperitivo alle sei di sera, si chiacchierava di alpinismo: era uno scambio di opinioni sulla nostra passione per l’arrampicata. 

“Credo che il segreto, l’arte di un buon maestro, sia quella di trasmettere tanta passione”. Dissi con tono deciso. E raccontai la vicenda di un’insegnante di mia figlia che continuava a infliggerle voti bassi e non aveva capito che il castigo non solo umilia, ma corrode sul nascere l’autostima.

Mia figlia mi confermò che a tutt’oggi è ancora nei suoi sogni più brutti. Insomma un vero incubo! La “prof” non aveva capito che istruire significa semplicemente contagiare passione: quella fortissima emozione che si vive quando si fa qualcosa che si ama. Dopo una breve pausa: “Tanti anni fa, quando ero studente ho avuto la fortuna di avere un professore di lettere che non ha mai usato la cattedra come una barricata, una grande anima che sapeva insegnare anche la vita e che non ho più dimenticato: si chiamava prof. Giuseppe Dalbosco e, nonostante le mie carenze nella sua materia invece di mortificarmi, pazientemente ha colto in me quel poco d’interesse per la letteratura e miracolosamente mi ha aperto alla passione per la poesia. Non ero capace di scrivere e tanto meno di esporre i miei pensieri a parole, ciononostante i versi, l’arte poetica quanto mi hanno afferrato”. 

Heinz mi ascoltava attentamente, affascinato dal concetto di trasmettere passione. Continuava a ripetere che ciò che stavo sostenendo fosse una cosa importante.

Allora incalzai: “Come si fa a trasmettere la passione? Ci vuole entusiasmo, forza vitale e tanto amore”. Come se non bastasse: “La passione non è il contrario della ragione, non è quella di prendere la vita con irrazionalità, né tanto meno è trasgressione che ti fa andare contro i principi dell’amore e che può condurre a perdere il dominio di se stessi, con la libertà di compiere azioni che generano male, ma è passione intesa come forza per aiutarci a crescere, che ci spinge a uscire dalla mediocrità per una vita migliore e che ci porta a crescere, che ci insegna ad amare. La mia vita è stata piena di passioni più o meno nobili, che mi hanno spinto a rischiare, che mi hanno portato addirittura ad azzardare, passioni che mi hanno arricchito dentro avvicinandomi a Dio e, purtroppo, anche quelle più effimere che mi hanno sopraffatto”.

“Trasmettere passione”… All’improvviso Heinz, come se tutto avesse uno scopo e un significato emotivo, nascosto e speciale, mi buttò un’idea che mi sembrò poco realizzabile: “Dobbiamo scrivere un libro che parli del nostro entusiasmo, della nostra passione”. 

Ammutolito: “Il mio nuovo libro dal titolo enigmatico E con un battito d’ali… sta rubando tutto il mio tempo, sono immerso in un’altra avventura e non me la sento proprio di rimettermi in gioco”. Con tutto ciò considerai: “Però ho sempre pensato che l’essenza di una persona è riflessa nei suoi pensieri e nei suoi ricordi, quindi, in fondo, non sarà difficile parlare della mia passione e raccontare qualche avventura in montagna”. 

Heinz sembrava determinato nel suo progetto: voleva scrivere un libro con me e sulla nostra sete di scalate. 

Grill è un fortissimo alpinista tedesco, filosofo e maestro Yoga, esperto conoscitore di molti argomenti riguardanti la medicina, la pedagogia e la spiritualità. Ha scritto numerosi libri e pubblicazioni e da una decina di anni vive in Trentino. In valle del Sarca e nelle Dolomiti ha realizzato una grande quantità di vie, con la mentalità di creare qualcosa di bello e utile agli altri. E’ riuscito a coinvolgere molte persone e alpinisti nelle sue iniziative e tutto ciò lo rende un maestro. Nonostante apprezzi la sua disponibilità e generosità, e la sua voglia quasi maniacale di esprimere sulla roccia la sua fantasia, caratterialmente siamo diversi anni luce, ma intimamente uniti, forse proprio a causa di queste profonde diversità: Heinz è un uomo sostanzialmente schivo, prudente, una parola in meno piuttosto che una in più. Io invece, spesso sono un fiume in piena. Insomma, due modi diversi d’intendere la vita e l’alpinismo, ma il solo fatto di unirci per trasmettere la nostra passione, a mio parere è un esempio di tolleranza, di rispetto e di persuasione, un buon modo per trasmettere la nostra passione. Per contro ho scoperto che alpinisticamente abbiamo una mentalità diversa, ma anche molte cose in comune: l’alpinismo come passione, coscienza di un qualcosa che c’invade, la ricerca di un ritmo, di un’armonia con il vuoto e con una grande parete rocciosa, è per noi motivo di esistenza e un’attrazione così forte da essere parte essenziale della vita. Un sentimento divorante che ci fa sentire in simbiosi con la natura e la montagna, un fuoco che ci brucia dentro. Condividiamo la leggerezza e la velocità in parete, ambedue non usiamo il magnesio e ci accomuna la voglia matta di legare il nostro nome alle montagne scoprendo e aprendo nuove vie. Siamo pertanto consci che è impossibile fare dell’alpinismo senza rischiare; la sicurezza prima di tutto non funziona in montagna e per abbassare i rischi bisogna essere allenati e valutare le conseguenze in ogni passo e non riempire le montagne di chiodi. Gli alpinisti sono esseri che nonostante la piena consapevolezza di tutte le alternative più facili e più redditizie che la vita offre, continuano a mettere alla prova il loro coraggio e la loro resistenza contro difficoltà sempre più grandi. La vita di un alpinista è piena di fascino e sulla montagna non si può barare: una passione indubbiamente dura, ma utile e leale. Di fronte al diffondersi di una mentalità alpinistica legata al grado e al proliferare dell’arrampicata sportiva diventa più difficile trasmettere la passione per le grandi vie in montagna. 

È impossibile fare dell’alpinismo senza osare. La colpa non è nostra, ma della passione! 

Credo che il mondo debba essere nelle mani di coloro che hanno il coraggio di correre il rischio di vivere i propri sogni. 

Quando gli manifestai la decisione di unirmi al suo progetto di scrivere purché il libro fosse un veicolo per sensibilizzare gli animi alla solidarietà verso chi si trova in condizione di grande povertà, lo vidi ancora più entusiasta.

Così accade gli incroci imprevedibili della vita: infatti dopo pochi mesi il libro era nelle nostre mani. Così succede che dal nulla nasca una grande avventura e a noi spettatori, o meglio testimoni della nostra passione succede di diventarne primi attori. Ambedue, da veri protagonisti, abbiamo condiviso la scelta che il nostro scritto fosse il veicolo per produrre bene.

Heinz Grill in arrampicata

Heinz Grill:
Non si dovrebbero confondere le vere esperienze animiche con l’emotività delle varie impressioni che si hanno durante la scalata di una parete. Qui non si allude al fatto che l’agitazione sale, che le ginocchia cedono o che si tremi durante il superamento di uno strapiombo. Piuttosto è l’incontro dell’essere umano con la roccia, con quelle forme calcaree che fanno come da specchio agli occhi in ogni sorta di spigoli, smussati e affilati, a costituire una grandiosa realtà. Questa realtà si manifesta come un vero e proprio segreto, come un mistero. Le pareti sono ripide, piene di pericoli e fatte, diciamo, non esattamente per gli arti umani. Volendo partire dal presupposto che esistono uomini normali e uomini che normali non sono, allora non si può che ammettere che l’alpinista va considerato appartenente più alla categoria di coloro che praticano l’assurdo e che quindi, all’interno del sistema sociale, è da classificarsi come anormale.

Il padre di Lionel Terray, rispetto a quel suo figlio divenuto famoso, disse che scalare montagne non è che una “conquista dell’inutile”, si potrebbe tuttavia aggiungere una piccola osservazione a difesa e spiegazione dello scalatore: per quanto matto costui possa essere, per il suo infliggersi, di mattino presto al gelo col suo pesante zaino sulle spalle, la salita e conquistarsi poi in parete, un metro dopo l’altro, una via percorribile, tuttavia egli scopre di essere incredibilmente radicato nelle sue forze volitive e creative e presto la sua individualità si manifesta nella forma di una prima ruga sulla sua fronte. Se non ci fossero montagne, né pareti verticali, se non ci fossero fessure ascendenti e diedri aperti arcuati ai quali prima i sensi e poi le mani possano aggrapparsi con gioia e voglia di fare, mancherebbe all’essere umano una possibilità per lo sviluppo della propria maturità in quanto individuo. L’educazione dell’essere umano necessita di ostacoli e delle forme più disparate da superare o magari addirittura da trasformare, in quanto è nel confronto con queste cose che cresce il nucleo essenziale dell’uomo in quanto individuo.

Il Dain: la via della Fessura
Il fascino della linea ascendente, che tiro dopo tiro lascia alle spalle la natura terrestre della valle e che serpeggia verso il cielo lanciandosi con fessure fino a raggiungere le rocce di vetta attraverso placche eleganti e ripide, rimarrà nei ricordi dell‘arrampicatore per una vita intera. Il rocciatore superando se stesso termina gli ultimi movimenti in tecnica Dülfer nella strapiombante fessura di mano e aggira poi uno strapiombo, conquistando un pulpito nel centro del Dain, che ha la forma di un grande pilastro. La linea esteriore che la montagna rivela s‘impronta nell‘interiorità dell‘anima umana e rimane viva come una fonte di giovinezza con la sua freschezza zampillante. 

Salire una via che si lancia nel cielo, dovrebbe far parte delle avventure alpinistiche fra le più affascinanti di un rocciatore. Se la linea della via non fosse logica, ma solamente complicata e se aggirasse solo le zone principali della parete, rimarrebbe dopo la sua ascensione nell‘anima solo una sensazione di una libertà limitata. La via al Dain però regala una delle più grandi esperienze di superamento di forza di gravità, di fisicità e chi arriva allo sperone sporgente di vetta, si accorge nella propria anima del suono lieve e melodioso di una realtà dell’aldilà. Ma allora ci si chiede: sono un cittadino terrestre? Sicuramente sì. In certi momenti però la via regala un sentimento per potersi davvero elevare dalla vita terrestre. 

Heinz Grill sale Il fantasma giallo (Moiazza)

Catinaccio – Via Marte – Colore e bellezza sotto gli strapiombi 
Una via è sempre come un’allegoria della vita; racconta di tensioni, ostacoli, bellezze, situazioni apparentemente irrisolvibili, passaggi chiave, difficoltà e possibilità per superarle. 

La via al Catinaccio offre una forma a ferro di cavallo capovolto, con strapiombi che contornano tutta la parete come un arco. Quando un rocciatore inizia a scalare, anche se ha l‘esperienza di reprimere certe sensazioni, individua immediatamente i passaggi chiave della parete, ogni volta che lo sguardo volge all‘insù. Gli strapiombi pesano come la travatura di un portico ed essi aspettano pazientemente lo scalatore. Poiché l‘uscita della via è immaginabile in modo stentato, sarà accennato solo in modo superficiale il fatto che la via offre, proprio sotto gli strapiombi, un rivolo beatificante di gocce lievemente rinfrescanti. Magnifica però diventa l‘esperienza per il rocciatore quando, dopo lunghi e ripidi passaggi e traversate, si offre improvvisamente una formazione di spigolo come possibilità d‘uscita. Con quanta facilità si raggiungono ora le piane rocce verso la cima! 

La Via Marte si “apre”, tiro dopo tiro, in modo logico. Quel sentimento orrendo degli strapiombi che pesano, rimane come una minaccia nell‘anima dell‘arrampicatore, però allo stesso momento resta la sensazione interiore che la montagna e il suo enigma, alla fine lasciano di nuovo libero l‘essere umano. La minaccia dopo l‘ascensione si dimostra vana e quando l’alpinista è scampato dalla parete nera, si sente un po‘ come nella posizione potente di un favorito. La montagna con le sue cascate e i suoi strapiombi ha lasciato di nuovo libero l‘uomo. 

A causa delle caratteristiche che circondano la via, la Via Marte rimarrà sempre un‘avventura nonostante le buone possibilità di assicurazione. 

Giuliano Stenghel:
Dall’alto della mia vetta saluto il sole, il cielo, le montagne e provo una gioia inspiegabile: un panorama mozzafiato, emozioni e sensazioni mai vissute prima mi afferrano e mi commuovono. Con lo sguardo fisso, mi apro alle mie montagne, riconoscendo che Dio mi ha fatto per uno scopo, però mi ha voluto alpinista e quando arrampico me lo sento vicino e sono felice. 

Mi siedo. Il momento è sublime e infrange la quotidianità. Poi le nuvole cadono, il sole scompare e tutto l’ambiente diventa sempre più grigio. Mi sento isolato tra le nebbie, mi sento tormentato, in un mare di pensieri e di solitudine; in un angolo di me trovo tanti ricordi… Come in un film rivedo la mia vita, tutti i miei sogni, i compagni di corda di tante avventure, alcuni di loro non ci sono più. I miei primi passi sulle rocce da autodidatta, senza aver frequentato ambienti di montagna o corsi roccia, ma soltanto apprendendo la passione sui libri, leggendo le straordinarie avventure dei grandi alpinisti di un tempo e innamorandomi del loro pensiero. Il mio alpinismo, con pochi chiodi, con compagni spesso alle prime armi e su vie estremamente difficili. Quante volte mi sono esposto in prima persona, consapevole dei rischi e del giudizio della gente, ma sono certo ne sia valsa la pena.

Da dove viene la forza per superare ostacoli a volte insormontabili? Ho sempre pensato che dentro a ogni uomo esista una forza misteriosa, la stessa energia che permette a una mamma di partorire su un barcone in mezzo al mare o a un contadino di alzare un trattore che sta schiacciando il figlio, a noi rocciatori capita spesso di usare tanto vigore e tenacia e soltanto per scalare una montagna. In fin dei conti noi alpinisti altro non siamo che dei sognatori, affamati di emozioni, bramosi di scoprire metro dopo metro l’ignoto e vincere le sfide non con la montagna, bensì con noi stessi. È impossibile fare dell’alpinismo senza osare. La colpa non è nostra, ma della passione! Provate a chiedere a un innamorato perché lo sia, vi darà mille spiegazioni, ma non saprà dirvi il perché; eppure sta vivendo uno dei periodi più belli. E allora, quanto si può rischiare per inseguire un sogno? Paradossalmente, sono poche le persone che hanno davvero un tale entusiasmo che li spinge a fare cose per molti assurde e prive di ogni logica e addirittura insensate. Tuttavia, mi piace pensare alla passione come una forza che coinvolge la nostra essenza e la nostra anima per portarci a seguire non il cervello, bensì il cuore

La mia vita è stata piena di passioni più o meno nobili, che mi hanno spinto a rischiare, che mi hanno portato addirittura ad azzardare, passioni che mi hanno arricchito dentro e, purtroppo, anche quelle più effimere che mi hanno sopraffatto. Ho sempre permesso a me stesso di concretizzare i miei desideri più intimi e questi sono diventati parte integrante di me. Vale la pena vivere per rincorrere i propri sogni? Credo proprio di sì, soprattutto se questi c’insegnano ad amare!

Giuliano Stenghel oggi

Via del Missile – Monte Casale
… Abbiamo superato velocissimi i primi tiri di corda per, infine, arrestarci sotto una liscia e strapiombante parete. Decido di ritornare sui miei passi e infilarmi su un difficile traverso di cui non ho la minima idea di dove mi porterà. È difficile spiegare: c’è soltanto il cuore e un qualcosa dentro che mi spinge in quella direzione. 

È una radiosa giornata d’autunno. L’aria è limpidissima, nel cielo, senza una nuvola, splende un sole che riscalda ancora. C’è però un problema: le giornate si sono accorciate ed è oramai mezzogiorno. 

Per superare un tratto molto ostico m’invento un pendolo: oscillo sulla corda da una parte all’altra, nel tentativo di raggiungere una fascia rocciosa più appigliata. 

L’alpinismo è anche scoperta di noi stessi e della nostra vena artistica; per aprire una via nuova, legare il proprio nome alla parete, non occorre essere soltanto dei forti alpinisti, ma è indispensabile possedere tanta fantasia e un notevole intuito per riuscire a collegare le linee naturali della parete, quindi, ci vuole esperienza e tanta forza interiore e altrettanto coraggio. 

Finalmente in sosta, con una certa preoccupazione: “Che facciamo?”. Soggiungo: “È tardi, siamo in canottiera con una leggera felpa legata alla vita e non abbiamo nessuna vivanda, nemmeno una borraccia d’acqua; inoltre non siamo equipaggiati per sopportare una notte all’aperto”. 

“Se insistiamo dovremo per forza salire fino in vetta!”, mi replica il mio compagno. Combattuti e preoccupati: il ritorno non sarebbe facile. Guardo le rocce sovrastanti e considero la possibilità di salire in giornata. Con tono incerto: “Va bene, tentiamo!”. 

Paradossalmente, sono poche le persone che hanno davvero un tale entusiasmo che li spinge a fare cose per molti assurde e prive di ogni logica e addirittura insensate. Tuttavia, mi piace pensare alla passione come una forza che coinvolge la nostra essenza e la nostra anima per portarci a seguire non il cervello, bensì il cuore. 

Raccolgo le forze e ingaggio una dura battaglia con una lunga fessura sempre più strapiombante. In sosta, un’occhiata all’orologio mi indica che è già tardi: il mattino si è trascinato lentamente, il pomeriggio sta volando. 

“Credo di aver sbagliato i calcoli”, pronuncio, rivolgendomi a Baldix (Alessandro Baldessari, NdR) e ammetto, forse per giustificarmi, “non sono abituato a studiare nei dettagli le mie vie, arrampico d’impulso, spesso trasportato dal mio istinto”. 

“Ho capito, vuoi ricordarmi che siamo nei guai?”. “Ma… non so…”, gli balbetto confuso.
Alessandro con viso alterato: “Se non usciamo di qui, saremo bloccati e…”.
“Congeleremo!?”.
Di solito siamo sempre riusciti a conservare un atteggiamento entusiasta ma, questa volta, il grigiore della sera rende tutto tremendamente difficile. La stanchezza e la mancanza di qualsiasi vettovaglia si fanno sentire come un macigno sulle spalle. 

“Sei un po’… anzi, sei matto da legare”, taglia corto il mio compagno con un forzato sorriso. 

Per fortuna che il bianco del calcare della roccia riflette un minimo di luce e ne approfittiamo per arrampicare con vigore, impegnati in una vera e propria corsa contro il tempo che passa inesorabile e non sembra bastare. 

Le mie mani e i piedi volano sulla roccia, il cuore mi martella, i polmoni scoppiano; è calata la prima oscurità, vedo poco in alto se non ombre e in basso le luci delle case, ho la sensazione di essermi messo in una trappola. Trattengo le ultime forze e il coraggio. Sguardi, frasi, spesso anche silenzi… insomma, ci troviamo in una brutta situazione dalla quale bisogna uscire al più presto. 

Sotto l’ultimo tratto, il più difficile, brutti pensieri s’impadroniscono del mio coraggio; è una beffa: le piante sommitali a pochi metri che non riesco a raggiungere. Mi butto deciso sul passaggio, per poi ritornare sfinito sui miei passi. Il cuore mi si arrampica in gola. Provo e riprovo a piantare un chiodo, ma inutilmente. Conscio di non poter rimanere ancora a lungo in questa situazione, chiudo gli occhi e mi allontano con la mente: al mare con le onde che s’infrangono sugli scogli, al volo solitario di un gabbiano che con un semplice battito d’ali, si alza in cielo per poi planare immobile sorretto dal vento. Mi rilasso e l’agitazione diminuisce velocemente. 

Monte Casale: via del Missile

Cercando le forze per rimettermi in azione: – Devo reagire!
Ma una vocina dentro: – Il tuo coraggio? Vediamo… vediamo dove ti porta. 

Ho seguito la mia passione lasciandomi trasportare dalla montagna e quasi sempre sono stato premiato, ma oggi ho come un triste sentore che nulla vada per il verso giusto. Sono su un passaggio duro, i muscoli indolenziti dalla fatica e dai crampi non rispondono quasi più e ogni movimento mi costa uno sforzo immenso. Il pericolo è nell’aria e la mente è invasa da strani pensieri e brutti presagi. Sono sul punto di cedere. Sto vivendo una grande sfida dalla quale voglio uscire e non rimanerci. Analizzo il passaggio e comincio a parlare fra me, ripetendo ogni movimento: devo tenermi con la mano sinistra su un appiglio esterno e con l’altra mano tirare con tutte le forze il bordo della fessura. Mi concentro al massimo, respiro a pieni polmoni e mi muovo tirando come un forsennato. Ansimando mi alzo incastrando il piede. Nonostante il fresco della notte, gocce di sudore scendono sul mio volto mentre tento di aggrapparmi a qualcosa: mi trovo sul punto di non ritorno e una caduta sarebbe catastrofica. Alla fine mi fermo: lo strapiombo è sotto di me, assieme al “Missile”. 

Stranamente l’alpinista, l’uomo stesso, a volte si sente terribilmente attratto dal rischio, dal pericolo, diciamo pure apertamente dalla prospettiva della morte. In ciò non vi è nulla di riprovevole da condannare, è semplicemente un dato di fatto derivato dall’insoddisfazione di vivere una vita piatta, è una realtà alla quale ci conduce la passione. C’è chi vive una vita accorta e non cambia modo di pensare e di agire, non si espone per non soffrire e prova emozioni attraverso gli altri. Non può esserci vita senza passione. Per non arrendersi ci vuole cuore. Per vivere bisogna essere innamorati della vita, e io voglio vivere, non esistere. A ogni buon conto, credo che le cose più grandi dell’umanità siano state fatte con la tempra, con il coraggio e con l’entusiasmo, e fortunatamente per il sommo bene. Per quanto mi riguarda non m’interessa un’esistenza piatta e vorrei trasmettere la mia passione travolgente che mi appaga perché mi permette di dimostrare la mia sensibilità, di creare allo stesso modo dell’artista con la sua opera e di essere l’unico e vero interprete della mia vita.

 

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Trasmettere passione ultima modifica: 2017-12-02T05:05:19+01:00 da GognaBlog

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