Il 18 ottobre 2013, a Malé (località Mulino Ruatti, in valle di Rabbi), si è dibattuto sul tema Alpinismo, esplorazione e libertà.
Quanto assieme concordato dai relatori è espresso nella Relazione finale, documento che nella sua complessità impegna la SAT per il futuro in una precisa direzione e chiude degnamente il 119° congresso dell’associazione.
119° CONGRESSO SAT
a) l’alpinismo in ogni sua manifestazione;b) la conoscenza e lo studio delle montagne, soprattutto trentine;
c) la tutela del loro ambiente naturale;
d) il sostegno alle popolazioni di montagna.
Anche dopo le varie modifiche subite nel corso degli anni dallo statuto queste definizioni sono rimaste immutate e sono tutt’ora condivisibili, attuali e ribadiscono la lungimiranza dei padri fondatori di SAT.
Infatti il modo di andare per monti è ora sicuramente diverso rispetto a un passato anche prossimo, è fortemente cambiato negli approcci, nei tempi, nelle visioni, nella ricerca di mete, nella scelta dei mezzi. Ma se ci fermiamo a riflettere non ci risulta poi così differente, le sensazioni e visioni personali sono quelle di sempre.
Dobbiamo notare che i padri fondatori non fanno cenno ad alcuna preoccupazione per la libertà: segno che a quel tempo non esisteva il problema.
Oggi invece dobbiamo fare i conti con una società che impone ritmi, divora spazi, annulla distanze, ammalia con il no limits. Una società nemica del tempo dilatato, che non lascia assaporare le atmosfere, una società suadente che confonde esperienza con acquisto, nega il valore della poca o tanta fatica della montagna lenta e non competitiva.
Sandia Peaks, Albuquerque, USA
Salire le montagne per una sfida più sportiva, controllando cronometro e cardiofrequenzimetro, con le scarpette ginniche e pantaloncini corti per tenere il fisico tonico e allenato, rientra più facilmente nei canoni accettati dalla società odierna: queste pratiche sono componenti dell’alpinismo e rientrano tra quanto recita il nostro statuto, proprio perché vogliamo declinare la parola alpinismo assieme a libertà.
Praticare l’alpinismo, a qualsiasi livello e forma, arrampicare in falesia, salire un Ottomila, fare una passeggiata o un’escursione, salire e scendere di corsa, andare a passo lento, d’estate come d’inverno, con sci o altro, studiare piante o minerali, spiare animali, ammirare panorami, confrontarsi con chi in montagna vive e lavora, è un appagamento per quanto ognuno si aspetta di ricevere dal suo praticare la montagna.
Alpinismo quindi come realizzazione delle aspettative personali, arricchimento interiore, piacere. Un alpinismo che si riappropri di un diritto fondamentale, quello dell’evoluzione individuale, oggi tendenzialmente trascurato o anche negato dalla società.
Esplorazione, sempre l’enciclopedia Treccani recita: “Cercare di scoprire, di conoscere quanto è sconosciuto o nascosto o quanto altri cerca di tenere celato, servendosi dei mezzi opportuni” . Questa bizzarra definizione va decisamente aggiornata.
Dopo il periodo delle grandi esplorazioni, da Marco Polo ad Amundsen, da Whymper a Bonatti, le biblioteche (come per esempio quella di SAT) sono piene di documentazione e testimonianze. Ciò permette di trovare una risposta alla domanda su cosa ha spinto tanti uomini a intraprendere simili avventure: è stata una prospettiva di vita, una scelta interiore, un desiderio di scoperta, una voglia di apparire, o un’idea di futuro? probabilmente un mix di tutto questo. E quanto il desiderio di libertà è stato motore per tutto ciò?
E ora cosa possiamo proporre come esplorazione in quest’epoca dove sembra sia stato tutto scoperto e conosciuto? Sicuramente vi saranno ancora in qualche angolo di mondo luoghi non ancora esplorati a fondo, ma questo è un capitolo che continua a essere per pochi.
La ricerca di prestazioni sempre più performanti, superamento di difficoltà alpinistiche impensabili fino a poco tempo fa, tempi di salite e concatenamenti di tutti i tipi e con tutti i mezzi, bici, sci, al limite della umana considerazione, è un modo di frequentare la montagna, ma non può essere considerata esplorazione e nemmeno può essere la sola aspirazione al nuovo.
Sulla base di queste considerazioni SAT rivolge la propria attenzione a tutti coloro che frequentano le montagne, soci e non soci: ci poniamo come obiettivo una ricerca che non si esaurisca nella logica dei record, che sia condivisibile e alla portata anche delle future generazioni, e questo non può essere che qualcosa di personale, intimo e spirituale, che non si limiti a una prestazione fisica. Ognuno di noi ricorda la sua prima cima, magari poco più di una collina: ma è chiaro in noi che quello è stato il primo passo che ci ha spinto e ci spinge verso altre mete, nella sensazione di aver fatto un enorme balzo avanti.
Questo dovrebbe essere per noi l’esplorazione, vivere come scoperta, come fatto unico e nuovo ogni salita, ogni escursione in luoghi mai visitati, o anche già noti, lasciarsi entusiasmare da quanto ci circonda. Usare il territorio in maniera sobria e intelligente, consapevoli che chi visiterà gli stessi luoghi dopo di noi ha il nostro medesimo diritto di trovarli integri e di entusiasmarsi.
Non perderemo mai l’entusiasmo e la voglia di guardare avanti, di trovare nuove mete grandi o piccole che siano, continueremo a crearci nuovi percorsi e situazioni dando tempo al tempo e respiro alla mente, un passo dopo l’altro; come dice Simone Moro, continuare a sognare e poi impegnarsi nella realizzazione.
Libertà, ancora dall’enciclopedia Treccani: “La facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo”.
La libertà è un diritto essenziale di ogni uomo, l’alpinismo e la montagna sono una delle massime espressioni di libertà, perché le attività alpinistiche per loro natura non possono rispondere a regole prefissate come avviene negli sport classici. A regolamentare la nostra vita ci pensano già con molta efficacia e spesso con indiscutibile utilità e necessità i vari codici normativi. SAT individua la libertà come ricerca e conoscenza di sé e dei propri limiti, come espressione alta di chi sa mettere in gioco se stesso con la consapevolezza dei propri mezzi e con la conoscenza del terreno di sfida. Libertà è ricerca di evoluzione individuale che va di pari passo con l’aumento di responsabilità del singolo. Un terreno sul quale l’uomo si è sempre confrontato, con esiti diversi, ma senza il quale la vita sarebbe meno ricca, la letteratura più povera, la geografia dell’emozione una piccola collina.
Libertà come diritto
Potremmo partire da una citazione filosofica di John Stuart Mill: “Ogni vincolo in quanto vincolo è un male”. Ma può sembrare banale e anarchico, perché non rifuggiamo le regole ma le vogliamo declinate col buon senso. Il libero accesso alla montagna è un diritto ma solo se accompagnato da un lungo percorso di autodisciplina e auto responsabilità. Quando il nostro esercitare un diritto si confonde con la volontà prepotente e infantile di far ciò che si vuole questo va a scontrarsi con le altrui libertà, mette a rischio altre persone, limita i diritti di terzi, e quindi cessa di essere un diritto, trasformandosi in abuso. Libertà in montagna è quindi libertà di movimento ampliata dall’esercizio della responsabilità: che vuol dire preparazione,disciplina, consapevolezza del limite, e, solo secondariamente, raggiungimento di una prestazione. Libertà è anche quella di rinunciare, avere il coraggio di tornare indietro se i presupposti non sono sufficienti alla progressione: persino gli alpinisti di punta non dovrebbero limitare la propria libertà di scegliere per compiacere gli sponsor o per una qualsivoglia specie di sudditanza psicologica, soprattutto per la valenza di esempio di cui sono portatori. Il ruolo di tutti diventa di formazione, educazione e sensibilizzazione alla responsabilità.
Panorama su Aguglia di Goloritzé, Supramonte di Baunei
Il rischio in alpinismo
Il rischio nasce dalla disparità tra uomo e montagna, come tra uomo e mare o uomo e deserti. Il rischio è elemento costitutivo dell’alpinismo e catalizzatore di libertà di scelta. Il rischio zero in montagna è una pura illusione che l’odierna società spaccia come raggiungibile. Il rischio in montagna va legato all’esercizio della responsabilità e la domanda che dobbiamo porci è: quale rischio mi posso permettere in questa situazione? La valutazione e la successiva accettazione del rischio è anche positivo elemento di opportunità e consente il percorso di evoluzione personale.
Dopo aver preso i dovuti accorgimenti per abbassare la soglia del pericolo, la consapevolezza del rischio aumenta la sicurezza globale. La consapevolezza del rischio può essere inquinata da una consistente “propensione” soggettiva al rischio, caratteristica di alcune persone, spesso inconsapevole e irrazionale. Propensione a volte esaltata dai media e dal mercato, confusa con la vera avventura.
Il diritto al rischio è valido solo quando è frutto di una scelta responsabile e rispettosa degli altri, nella consapevolezza che non esiste un diritto al soccorso sempre, comunque e in ogni condizione.
Sicurezza
Si è sicuri solo con il giusto mix di sicurezza interiore (preparazione e responsabilità) e di dotazione del corretto equipaggiamento e, se necessario, di altri strumenti tecnologici.
La sicurezza totale è una pura illusione, non esiste e non esisterà mai, né in alpinismo né in nessun’altra attività umana, e ogni alpinista sceglie liberamente e consapevolmente di prendersi carico della componente inalienabile di rischio legata al fare alpinismo. Se la componente di sicurezza soggettiva può essere aumentata (anche se mai totale) rimane comunque la parte legata all’imponderabile, sempre presente e mai eludibile. L’impostazione attuale della società è improntata alla cultura della sicurezza, la société sécuritaire, come scrivono i francesi. La società “sicuritaria” è anche il risultato di una motivazione positiva, ovvero l’idea che la società si faccia carico della sicurezza dei suoi membri. Sicurezza che è importantissima in tutti i luoghi, in tutte le attività dove le persone si trovano a lavorare, studiare, farsi curare, soggiornare, circolare. Esistono però spazi in cui l’individuo può e deve muoversi liberamente con la coscienza del rischio e dei propri limiti, con l’attenzione agli altri e all’ambiente in cui si muove: perciò, in quell’ambito, la cultura della sicurezza totale si manifesta in tutto il suo disvalore. La montagna è uno dei pochi spazi che consentono ancora l’espressione di una ricerca personale in cui si mette in gioco la dimensione della libertà della scelta. Questi spazi, questa libertà, questa dimensione non vengono però accettati dalla società sicuritaria. Scrive Annibale Salsa che oggi noi “assistiamo a un vero e proprio eccesso, un delirio della sicurezza” e continua “la ricerca della sicurezza è la psicopatologia della società moderna”.
Se però siamo concordi nel contrastare la diffusione a tutti i livelli di questa società sicuritaria dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e agire di conseguenza. Questo in montagna significa limitare al minimo l’uso di installazioni fisse di progressione, nonché la messa in sicurezza delle vie di alta montagna, perché queste opere non devono essere usate come alibi per propagandare (anche a beneficio politico) una salita come “via sicura”, correndo il rischio di far accedere a quella cima anche alpinisti improvvisati e ottenendo magari il risultato contrario.
Va tenuto in debito conto che qualsiasi istituzione crei dei percorsi, sentieri, o attrezzi vie di salita o ferrate ha l’obbligo di mantenerle efficienti con la dovuta manutenzione per almeno dieci anni. Obbligo, peraltro, già sancito dalla legge.
Non utilizziamo mai nell’indicare percorsi, sentieri, vie ferrate, trekking e nelle escursioni guidate la frase “in assoluta sicurezza”.
L’equipaggiamento e le attrezzature tecnologiche sono validi supporti, ma non costituiscono da soli garanzia di sufficiente sicurezza: conoscenza, esperienza, buon senso e istintualità sono ancora alla base della responsabilità e quindi indispensabili.
Ricerca della responsabilità giuridica
Altro vizio della società moderna è la ricerca obbligatoria di un responsabile per ogni cosa che accade, anche se questa è accidentale e totalmente indipendente dai comportamenti umani. Ad esempio la caduta sassi in montagna esisterà sempre e non è né prevedibile né eludibile. Il modello statunitense di far causa contro qualcuno per qualsiasi cosa accada, con lo scopo di farsi risarcire, sta ormai radicandosi anche nella nostra società e nel mercato della sicurezza assistiamo a denunce e richieste di danni che sono assurde persino nella loro impostazione.Simili comportamenti non sono utili a nessuno, salvo agli avvocati: ingolfano i tribunali, e soprattutto mettono a dura prova la voglia dei volontari nel continuare a dedicare il proprio tempo libero per il bene della collettività: situazione ben avvertita anche da SAT (manutenzione sentieri, accompagnamento, alpinismo giovanile). Nei casi di contenzioso nei confronti di operatori di montagna è auspicabile che chi dovrà giudicare sia quantomeno assistito da esperti di montagna; alla stessa maniera i pubblici ufficiali che dovessero intervenire nelle indagini dovrebbero avere delle buone conoscenze in materia.
Media e comunicazione
Chi non pratica la montagna normalmente non si interessa di alpinismo se non in occasione di incidenti e tragedie che vengono riportate dagli organi di informazione molte volte in maniera non corretta, se non altro scrivendo certi titoloni a effetto. Nostro compito è fare informazione e controinformazione corrette sottolineando il valore sociale e culturale della pratica della montagna. Inoltre sul costo sociale di soccorso, recupero e cura di eventuali infortunati dobbiamo diffondere i veri numeri, evidenziando a esempio che il fumo e l’alcol hanno un costo sociale molto più elevato, così come la nutrizione non sana (vedi l’obesità dei bambini) e la mancanza di attività motorie soprattutto in età scolare.
Soccorso
I soccorritori sono dei volontari ai quali è demandato istituzionalmente il compito di intervenire in caso di bisogno; essendo la partecipazione a questo corpo una libera scelta, il soccorritore non si lagna quando lo chiamano per un intervento. I soccorritori accettano che chi va in montagna possa sbagliare, e non giudicano su quanto è successo, solo chi è sul posto può realmente sapere come si sono realmente svolti i fatti, salvo poi tentare un’indagine e con il positivo scopo di creare una casistica che possa tornare utile in seguito. I soccorritori sono essi stessi degli alpinisti, e spesso tra i migliori, e pertanto i rischi che corrono sono da loro accettati sia come professionisti che come volontari. Di certo la mancanza di responsabilità personale aumenta sempre più le richieste di soccorso da parte di escursionisti improvvisati o alpinisti che scambiano l’elicottero del soccorso per un taxi. Non deve passare l’idea che l’essere soccorsi è un diritto sempre e comunque.
Molino Ruatti (val di Rabbi) 18.10.2013. Alpinismo e Libertà, convegno SAT. Da sinistra, Adriano Alimonta, Claudio Bassetti, Sandro Rossi, Martino Peterlongo (pres.AGAI Trentino), A. Gogna, Romano Stanchina, Luca Calzolari, Carlo Ancona, Sandro De Manincor.
Impegni istituzionali
SAT per dare senso e seguito a quanto enunciato deve mettere in campo tutte le proprie risorse costituite dalle Commissioni tecnico-scientifiche e Scuole che si avvalgono di collaboratori esperti e motivati, con valenze specifiche in ogni campo. Questi, se correttamente stimolati dagli organi politici interni, sono in grado di dare grande impulso a un movimento di opinione, a una maggior chiarezza di obiettivi pratici ma soprattutto all’assunzione di individuale responsabilità.
L’attività di SAT deve essere coordinata con le altre istituzioni, in modo particolare con il Collegio delle Guide Alpine e il Soccorso Alpino e Speleologico. Tale sforzo comune ha come obiettivi:
– indurre la consapevolezza, soprattutto nei meno esperti, che muoversi in montagna è esercitare il proprio diritto di libertà responsabile e non di libertà tout court;
– difendere il ruolo culturale delle libere pratiche di montagna in opposizione alla dominante cultura sicuritaria;
– sostenere il ruolo sociale delle pratiche di montagna tramite l’ideazione e realizzazione di progetti educativi e sociali;
– rilanciare il ruolo economico delle pratiche di montagna perché a pieno titolo fattori di sviluppo durevole dell’economia montanara, in quanto contribuiscono, per la loro forte immagine simbolica, alla promozione dei territori e al rispetto dell’ambiente;
– eliminare o almeno addolcire dal corpus di norme e regolamenti giuridici certe disposizioni poco meditate, non condivise e spesso dannose;
– adoperarsi in definitiva per favorire l’evoluzione e la vera crescita dell’individuo e della collettività.
Missione civile di SAT è perseguire questi obiettivi.
Missione etica è sfidare modelli imperanti e stereotipi e contrastarli con lo stesso spirito dei primi esploratori.
Male’ 11-20 ottobre 2013
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L’alpinista non vuole diventare un plastic people. (Reinhard Karl)