Aprire le vie come forma d’arte

Una riflessione di Fabrizio Manoni, guida alpina e forte alpinista, che ringraziamo per la disponibilità e lo stile con cui va in montagna.

Aprire le vie come forma d’arte
di Fabrizio Manoni
(pubblicato su deveronaturalmente.org il 12 agosto 2020)

Negli anni ho aperto molte vie in uno stile che definirei alpinistico-sportivo-social. Social perché quasi tutte le vie sono state aperte con un numero limitato di spit, a volte molto limitato, in alcuni casi anche solo 1 o 2 su 35 metri di 6a, per poi integrarli con numerosi altri al fine di dare l’opportunità alla comunità di scalatori di ripeterle rispettando i canoni di sicurezza sportivi.

Fabrizio Manoni sulla via Diretta (Paolo Stoppini, Paolo Covelli e Massimo Medina) al Piccolo Fillar nel gruppo del Monte Rosa.
Fabrizio Manoni libera Esperanza al Clogstafel da lui aperta una ventina di anni prima.


Ho sempre storto il naso verso questa pratica sociale dell’aprire vie alpinistiche. Una via è una realizzazione non solo sportiva. Ma è anche una forma d’arte. Osservi, elabori nella tua mente una linea attraverso una parete e poi la realizzi. Il modificarla per fare piacere agli altri, aggiungendo a posteriori degli spit, è una pratica che non ho mai amato. Anche sentendo le critiche dei ripetitori che spesso scambiano le vie in montagna come un parco giochi che deve avere per una sorta di diritto determinate caratteristiche. Grazie alle riflessioni di Luca Mozzati ma anche a quelle di altri, si sta rafforzando la mia idea che da anni esterno agli amici: è che quello che userò (se aprirò ancora vie) in apertura come ancoraggi fissi (fix) saranno quelli che si ritroveranno i ripetitori. Pochi o tanti che siano, sarà una sorta di firma. Quindi meno fix possibili (per quello che son capace io) e più ancoraggi mobili. È una strada che vorrei percorrere, ne ho già discusso spesso anche in passato con i miei compagni di scalata, credo sarà una pregiudiziale per la mia partecipazione a un’apertura di una via alpinistica. In falesia è altra cosa ma è questo un settore di cui non mi sono mai occupato se non in maniera molto limitata. Buone scalate!

Fabrizio Manoni
Aprire le vie come forma d’arte ultima modifica: 2020-12-10T05:36:28+01:00 da GognaBlog

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19 pensieri su “Aprire le vie come forma d’arte”

  1. Usciamo  dalla geologia.La danza e’ arte, musica e movimento e scenografia e costumi.Ultimamente ballerini e coreografi tengono performance appesi a corde su facciate di monumenti o su pareti illuminate da riflettori. Dove e’ possibile assistere, anche gli arrampicatori provetti   sembrano danzare , se poi e’ una prima apertura..mente  e corpo sono in accordo nello scegliere il percorso ed i movimenti.Ognuno ha il suo stile in base alla propria conformazione ed allenamento… certi scalatori sembrano proprio ballerini/e e praticano ginnastica artistica, yoga ecc.Poi ci aggiungono un look che puo’ essere classico o con spunti originali..Per  i normali salitori  a volte impacciati   e’ piu’ difficile arrivare a gesti atletici  armonici ed allora si consolano con il look imitativo(abbigliamento, corde e ferraglia, barbe o tutine..ecc)

  2. . Ma si devono anche restaurare le vie di roccia?

    Se per restaurare intedi sostituire un vecchio chiodo marcio, dico di si. Ma con un chiodo non con uno spit.

    Forse qualcuna, ad esempio la Gusela  del Vescova’sopra Belluno..è ‘monitorata. in quanto simbolo  e si pensa ad iniezioni di cemento speciale..

    La Gusela è un monumento naturale, simbolo o non simbolo, se non ci sono pericoli per chi è sotto,  deve essere la natura a decidere. Quindi le iniezioni le riserverei a qualcos’altro di meno naturale, c’è solo l’imbarazzo della scelta.

    Quanto al Colosseo, di quale Colosseo si parla? quello originale e’sparito e. .a volte ne hanno tratto mattoni e pezzi di minerale per farne calce..  

    Appunto, visto che non è più originale, (perchè Pompei è originale?) tiriamolo giù e facciamoci il nuovo stadio per la Roma.

    Se anche se sulle montagne agisce l’erosione, si tenteranno altre imprese ed altre vie. Trovo sul web che “Martial Dumas e Jean-Yves Fredericksen, due guide alpine di Chamonix… sono partiti il 30 gennaio 2007(?)scorso da Grands Montets con 100 chilogrammi tra materiale e cibo. Dopo 6 giorni avevano raggiunto la grande cicatrice lasciata dal distacco della frana e il settimo giorno erano sulla cima. La via si chiamerà “Les Papas”. Appunto, nuova via sulla frattura  dove nel 2005 la spalla della montagna Petit Dru e tutto ciò che stava sotto sono crollati, trascinando nell’oblio le vie tra il Pilastro Bonatti e la Direttissima Harlin-Robbins (compresi).

    nulla si crea , nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E’ stata la natura a decidere, non l’uomo. Com’è giusto che sia.

    Oblio proprio non del tutto , rimangono foto e documenti, ma non sono ripetibili.

     l’uomo mica può tutto.

  3.  Anche i monumenti di pietra sono soggetti all’erosione, si tratta solo di quale arco di tempo scegliere , infatti  alcuni richiedono continua manutenzione, altri si lasciano andare al loro destino. Se poi si tratta di ponti autostradali..controllo e manutenzione sono obbligatori, inteoria. Ma si devono anche restaurare le vie di roccia?Forse qualcuna, ad esempio la Gusela  del Vescova’sopra Belluno..è ‘monitorata in quanto simbolo  e si pensa ad iniezioni di cemento speciale..ma  per tutt montagne e’ impresa impossibile.Quanto al Colosseo, di quale Colosseo si parla? quello originale e’sparito e. .a volte ne hanno tratto mattoni e pezzi di minerale per farne calce..   Se anche se sulle montagne agisce l’erosione, si tenteranno altre imprese ed altre vie. Trovo sul web che “Martial Dumas e Jean-Yves Fredericksen, due guide alpine di Chamonix… sono partiti il 30 gennaio 2007(?)scorso da Grands Montets con 100 chilogrammi tra materiale e cibo. Dopo 6 giorni avevano raggiunto la grande cicatrice lasciata dal distacco della frana e il settimo giorno erano sulla cima. La via si chiamerà “Les Papas”. Appunto, nuova via sulla frattura  dove nel 2005 la spalla della montagna Petit Dru e tutto ciò che stava sotto sono crollati, trascinando nell’oblio le vie tra il Pilastro Bonatti e la Direttissima Harlin-Robbins (compresi).Oblio proprio non del tutto , rimangono foto e documenti, ma non sono ripetibili.
     

  4. .Le precedenti relazioni di vie e le discussioni  diventano inutili per effetto dei crolli.

    allora buttiamo giù anche il Colosseo che ha fatto il suo tempo

  5. Sai da dove parti e dove dovresti arrivare..se ci riesci ..e poi  si valuta come .Qualcuno ha detto che l’alpinismo assomiglia alla ricerca scientifica ..alla dimostrazione di un teorema matematico…La dimostrazione, non riesca o riesca, vien sottoposta a controllo e a volte se ne trova una piu’ elegante.Col tempo la natura fa il suo corso tramite l’erosione o l’orogenesi,non curandosi dei distinguo. .Le precedenti relazioni di vie e le discussioni  diventano inutili per effetto dei crolli.
     

  6. Praticamente la scoperta dell’acqua calda, una filosofia praticata in moltissimi luoghi e da moltissimi scalatori e alpinisti.

  7. Aste diceva che ci sono occhi per guardare e occhi per vedere. Nel guardare una parete, una roccia, non tutti riescono a vedere una possibile via di salita. Facendo sempre il solto  paragone (esagerato) un pò come Michelangelo che nel guardare  un blocco di marmo ci vedeva il Mosè, a quel punto gli bastava togliere il superfluo.
    Poi sta alla sensibilità e alla capacità di ognuno di noi, e in base a queste, il risultato sarà sicuramente diverso: un obrobrio, una cosa insignificante, un capolavoro.

  8. @Regattin, l’errore di fondo del tuo ragionamento, secondo me, è nella premessa: data una fessura verticale…
    L’errore sta nel pensare che le vie esistano e siano evidenti come una fessura, mentre invece la creatività degli scalatori è proprio nella capacità di vedere quelle “fessure” che nessun altro prima di loro aveva visto! La linea di una parete non esiste, finché qualcuno non la vede e non la libera, là sta la visione artistica, secondo l’articolo, secondo me.

  9. Per chi fosse perplesso sul titolo “Aprire le vie come forma d’arte” ricordo che è mio – in quanto sono uno dei gestori di “Deveronaturalmente.org” –  per scaricare da Fabrizio da una responsabilità che forse non si sarebbe presa. E che quello che potrebbe apparire come una presa di posizione “ufficiale” sia in realtà una lettera personale che ho chiesto a Fabrizio di poter condividere sul nostro sito in quanto mi sembrava – e mi sembra tuttora – che esprima dei valori condivisibili.
    Il paragone con l’arte va quindi preso non come presuntuosa affermazione di un’estetica dell’arrampicata, che è in buona parte ancora da scrivere, ma come un parallelo che cercasse di esplicitare un intrinseco valore nel fare le cose secondo una certa coerenza creativa e, ove possibile, visionaria, detto in altre parole con un determinato “stile”e, quindi, non serialmente e dando per scontati i risultati, come nel mondo dell’arrampicata troppo spesso accade, in particolare con l’uso di mezzi che adattano la parete alla capacità del primo salitore o al “target” di fruitori-consumatori-clienti che questo si è proposto di raggiungere col suo “prodotto”. E mi sembra che la logica di Manoni e anche il suo pensiero vadano in questa direzione.
    E’ bello vedere uno scalatore del suo livello ripensare cose che erano date per scontate ma che evidentemente gli rodevano e che col tempo sono venute a galla modificandone il modo di pensare e di muoversi.
    Ancora un grazie a Fabrizio per il suo modo di essere e per averci dato la possibilità di riflettere su questo tema.
    Buone scalate come forma d’arte a tutti!

  10. grande Fabrizio
    sempre in forma e con un’esperienza esagerata dalle falesie alle grandi montagne
    mi piacciono le tue scelte rispettando la tua forza e capacità sulle pareti
    quella capacità che ho avuto modo di notare quando nel secolo scorso abbiamo tentato la parete ovest del Makalù per poi raggiungere la vetta insieme lungo la cosidetta via normale
    grande manetta

  11. Luciano, infatti ho scritto senza voler fare paragoni esagerati….e forse li ho fatti. Sono consapevole che si cammina sul filo del rasoio. E per quanto mi riguarda non mi accosterei certo a Caravaggio ne tanto meno a Berhault. Volevo cercare di spiegare un’idea , una motivazione, una capacità di lettura  e la necessità di non fare dei copia incolla tra le vie ma di dare loro un’anima tutta sua, un proprio carattere che poi è quello che gli apritori scrivono sulla roccia.
    Concordo con te che poi le capacità fanno la differenza. Se mi tengo, se ho pelo mi muoverò lungo quella fessura o su quella placca in un modo o in un’altro.
    Ma anche se ho una maggiore o minore  o semplicemente una diversa sensibilità agirò su quella fessura o su quella placca diversamente . O addirittura non ci agirò affatto.
    Spesso si paragona l’apertura di una via alla creazione di un’opera d’arte, concordo con te che la cosa possa essere  un pò forzata. Ma penso che l’apertura di una  via sia l’espressione di chi la apre, della sua mentalità, del suo stato d’animo in quel momento e come ho scritto nell’intervento di prima, del desiderio di lanciare un messaggio. Che poi potrà essere o no recepito, oppure anche rifiutato. In questo senso per me il paragone può reggere.

  12. Forse, quanto dice Manetta, si evidenzia meglio su una parete articolata, sulla placca e sull’aderenza impegnativa.
    Meno su linee evidenti o immediate, quali fessure, diedri e creste.

  13. Scusa Alberto (arrampico anch’io da una vita, per questo preferisco chiamarti per nome), ma a me questo accostamento dell’apertura di vie ad una forma d’arte l’ho sempre trovato una forzatura che serve più che altro a noi per attribuire chissà quali significati ad un gesto che è solo relativo a capacità fisiche e mentali, che prescindono da qualsiasi forma d’arte. Considera una parete solcata da una fessura (indifferente il grado di difficoltà) e invita 10 arrampicatori a percorrerla: ci sarà chi sale senza protezioni e chi ci metterà uno spit al metro, con tutte le possibilità intermedie. Perché questa varietà di intenzioni dovrebbe essere considerata forma d’arte se è mediata esclusivamente dall’allenamento e dalle capacità fisiche del singolo? Cosa ci mette di di realmente creativo ognuno da distinguere la “sua” interpretazione da quella degli altri? La distanza delle protezioni? Mi pare un po’ scarsa come giustificazione per poter attribuire ad essa un significato artistico. Dal mio punto di vista piuttosto intravvedo una forma d’arte in chi crea, e parlo dei tracciatori, a partire da una parete “finta” e con appigli “finti”, delle vie che, per la bellezza dei gesti  necessari alla sua percorrenza, possano suscitare emozioni sia in chi le percorre quanto in chi assiste al gioco. Veramente, sarà un mio limite, ma non comprendo quali valenze “artistiche” possano suscitare l’apertura e la ripetizione di una via, salita con più o meno protezioni; per me si tratta di pura scelta di stile, non di arte. Un’altra forma d’arte potrebbe essere eventualmente considerato il gesto, lo stile con cui si affronta lo stesso passaggio: ripenso a Berhault ed ai suoi video di danza-arrampicata, in quel caso regge l’accostamento, ma quanti climber sono in realtà in grado di poter esprimere una tale creatività, cioè aggiungere qualcosa ad un gesto che voglia o no è piuttosto ripetitivo?
    In ogni caso l’argomento è interessante e merita ulteriori approfondimenti.

  14. aprire una via può essere paragonabile ad una forma d’arte, se la creazione  rispecchia il pensiero, lo stile personale degli apritori. Se questa creazione lancia un messaggio  tutto suo fregandosene dell’approvazione.
    Il ripetitore mentre sale una via dovrebbe percepire questo messaggio, queste sensazioni, queste diverse emozioni.  Un pò come le  sensazioni e le emizioni  che si percepiscono mentre si ammira una quadro, che sono diverse a senconda che la pittura  sia di Van Gogh o di Renoir  o la scultura sia di Michelangelo o di Canova.
    Le opere di Caravaggio sono facilmete riconoscibili per la loro forza che sprigionano. Lo stile è inconfondibile.
    Ecco senza fare paragoni esagerati, credo che una nuova via dovrebbe avere uno stile inconfondibile e nell’epoca in cui viene creata, cercare di trasmettere qualcosa di nuovo.
     

  15. Come non essere d’accordo col buon “Manetta”? Aggiungo che Manoni ha aperto con Martino Lang a Finale (Monte Cucco) una delle vie, per l’epoca, più visionarie probabilmente d’Italia: Occhi dolci per Frank Zappa.

  16. Intrigante tesi, mi piace molto. E’ vero, aprire vie è una forma d’arte. Ma non lo è, forse, l’andare in montagna nel senso più ampio del termine? L’esplorazione, prima mentale e poi sul terreno, è la chiave del ragionamento. Non ci piove che gli apritori in senso stretto siano i top player, i Van Gogh, i Picasso, i Modigliani per stare su un terreno pittorico. Poi ci sono i pittori dilettanti, che si dedicano, pur senza un talento esasperato, a calcar vette e pareti, a risalire valloni, a realizzare trekking e raid sciistici. Infine quelli che, col pennello, confezionano solo delle “croste”, oppure copiano i quadri dei musei.  Occorre traslare la metafora pittorica all’andar in montagna: infiniti sono i modi. L’importante è che ciascuno, dal canto suo, sia felice. In questa conclusione, io penso, sta il valore artistico del salire sui bricchi, sta la sua particolarità che ne fa un qualcosa in più di un “semplice” sport. A tutti i livelli tecnici. Buona giornata!

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