Assaggio di ghiaccio in Karakorum

Assaggio di ghiaccio in Karakorum
(esplorando il potenziale dell’inizio stagione sopra al Trango Glacier)
di Dodo Kopold
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2007)


In Himalaya non cerco l’avventura sulle vie classiche, dove incappi in centinaia di persone. Non lo cerco nemmeno sulle vie che sono state salite poche volte. Una nuova linea è come un viaggio senza mappa, come un punto interrogativo alla fine di una frase. Parti per due mesi con la promessa di tornare vivo. Chiudi la porta e all’improvviso sei in un altro mondo, nel mondo del rischio, che cerchi di ridurre con le tue buone decisioni e con una razione di fortuna che ti è stata data. Hai due mesi per realizzare i tuoi sogni. Il muro che osservi da tre anni, cercando una linea inviolata. Studi ogni metro; pensi ai singoli passaggi e prendi in considerazione la tattica giusta. Le domande si accumulano. Un’enorme valanga si stacca dalla cresta sommitale. Hai promesso di non cedere al rischio; hai promesso di tornare a casa. Ma il tuo sogno è davanti a te.

Il campo base sul Trango Glacier all’inizio di stagione. La ghiacciata parete nord della Uli Biaho Tower sovrasta il campo.

Nel 2006 volevamo scalare il Gasherbrum IV per una nuova via sulla Shining Wall. Ma la situazione con i soldi era peggiore di quanto ci aspettassimo. Fortunatamente, la nostra motivazione per scalare il Karakorum era forte, quindi abbiamo scelto la Torre Uli Biaho come alternativa. La sua inviolata parete nord sembrava essere una fantastica linea ghiacciata. Per questo obiettivo dovevamo andare prima, perché di solito a fine stagione le condizioni del ghiaccio non sono buone. L’arrampicata su ghiaccio nel Karakorum era come una nuova dimensione dell’arrampicata. Non potevamo immaginare cosa ci avrebbe aspettato.

Siamo arrivati ​​al campo base di Eric Shipton alla fine di maggio, più di un mese prima del solito. Nevicava molto e di notte gelava, ma solo in queste condizioni saremmo riusciti a scalare l’enorme parete di ghiaccio dell’Uli Biaho. Nella nostra piccola squadra c’erano un sirdar, un cuoco, un aiutante di cucina, un cameraman Palo Pekarèík, Gabo Čmárik e io.

La nostra idea era quella di scalare la parete in perfetto stile: stile alpino, senza spit e il più velocemente possibile. Ma la neve continuava a cadere di notte e durante il giorno le valanghe cadevano dalle pareti. Abbiamo dovuto aspettare un bel periodo di tempo per iniziare le nostre salite di acclimatamento.

Abbiamo iniziato a salire la nostra prima via, sulla Hainabrakk East Tower, durante la notte, per evitare le valanghe che sarebbero cadute lungo un ripido canale. Era il nostro secondo tentativo su questa parete e questa volta siamo saliti molto più velocemente. All’alba siamo arrivati ​​al punto che avevamo segnato al campo base con un grande punto esclamativo. Abbiamo dovuto scendere in corda doppia per 60 metri in uno stretto camino e continuare su ghiaccio ripido fino alla cresta sommitale. Questo era anche un percorso principale per le valanghe, e quella del mattino ancora non si era staccata. C’era un groviglio di corda che dovevamo sciogliere. “Sarà…” ho cominciato a dirmi, quando all’improvviso una grandissima valanga passò rombando a pochi metri da me per poi continuare la sua rovinosa caduta. Era proprio quello che stavamo aspettando. La strada sembrava aperta.

Ho aspettato che Gabo risalisse fino alla sosta. “Attento!” Ho urlato e mi sono rannicchiatoa contro la parete. Non ce lo aspettavamo. Abbiamo esitato e abbiamo discusso se dovessimo scendere. Ma la via del ritorno era chiusa. Avevamo già tirato la corda della doppia, quindi abbiamo dovuto proseguire verso l’alto. Salendo dove solo pochi minuti prima era caduta la valanga, mi muovevo il più velocemente possibile.

La sera ci siamo rifugiati in una grotta di ghiaccio, al riparo dalle scariche. Il secondo giorno abbiamo raggiunto la cresta sommitale a 5375 metri. Quella era la fine del nostro percorso; una torre di roccia bloccava la strada per la cima. La lunga discesa al campo base ci aspettava.

Il passo successivo verso un perfetto acclimatamento è stato sulla parete nord dello Shipton Spire. La sua parete di ghiaccio aveva pericolosi seracchi che minacciavano la parte inferiore della via e anche un passaggio di misto duro più in alto. Abbiamo iniziato ad arrampicare la mattina presto, muovendoci velocemente attraverso un camino di ghiaccio e tratti di neve profonda accatastata dal vento per raggiungere un contrafforte roccioso. Abbiamo scalato 500 metri su questo terreno pericoloso, ma alle 8 del mattino, quando Gabo è arrivato alla mia sosta, aveva la faccia rosso-verdastra. Colpo di sole. Siamo andati giù. La parete nord di Shipton è ancora inviolata.

La linea di Dolzag Dihedral sulla Hainabrakk East Tower 5650 m. Foto: Dodo Kopold.

Terza settimana al campo base. Ci eravamo acclimatati molto bene e avevamo studiato i minimi dettagli della Uli Biaho. Sapevamo che era impossibile entrare in parete dalla sua parete rocciosa inferiore e che dovevamo invece risalire un ripido canale di ghiaccio. Ma avevamo ancora così tante domande. Quanti giorni ci sarebbero voluti? Come sarebbe stata la cresta sommitale? E se fosse collassata con noi sopra? Troveremo una cengia per un bivacco? Il tempo sarebbe durato?

Sapevamo che se volevamo avere successo e tornare a casa, dovevamo essere veloci. Quindi abbiamo preparato solo l’attrezzatura più essenziale per l’arrampicata, cibo d’alta quota per alcuni giorni e bevande energetiche. Niente saccopiuma, niente vestiti di riserva.

Abbiamo lasciato il nostro campo base avanzato alle 2 del mattino, dopo un breve sonnellino. Siamo saliti in simultanea fino al colle sotto la parete nord. Il ghiaccio era duro ed enormi seracchi si profilavano sopra di noi. Non bene. Siamo saliti più velocemente che potevamo e in quattro ore abbiamo raggiunto il colle, 1000 metri più in alto. Abbiamo attraversato con attenzione il crepaccio terminale e dopo 200 metri ci siamo trovati sotto uno splendido ghiaccio ripido. Ma eravamo sulla traiettoria delle valanghe e dovevamo allontanarci da lì il più velocemente possibile. Sono salito per primo e quando la corda si è esaurita ho semplicemente gridato a Gabo di arrampicarsi dietro di me. Questa tattica non era così sicura, ma il non perdere tempo era la cosa più importante in quel momento.

Eravamo in ballo da più di 16 ore; eravamo disidratati e stanchi. Ma non c’erano cenge, nessun luogo adatto al riposo, solo ghiaccio ripido e pareti rocciose monolitiche. Quindi abbiamo scavato nel ghiaccio per creare un piccolo ripiano per sederci. Abbiamo cucinato qualcosa e fatto un pisolino per un po’, ma non abbiamo potuto restare a lungo. Faceva freddo e sentivamo che stavamo per scivolare pian piano verso valle. Era ora di continuare.

Abbiamo scalato prevalentemente ghiaccio verticale, qua e là facendo qualche movimento su roccia. Il ghiaccio era duro ed era troppo faticoso mettere le viti; le caviglie stavano protestando. Non vedevo l’ora di finire ogni tiro e magari di fermarmi su una grande cengia per riposarmi, almeno per un po’. Ma non c’era modo. Solo due viti nel ghiaccio ripido per una sosta, e sopra il ghiaccio sempre più duro.

Dodo Kopold in testa quasi alla fine della parete nord della Uli Biaho Tower, sotto la sommità. Foto: Gabo Čmárik.

Ramponi striduli, punte di picca in pochi millimetri di ghiaccio. Gabo mi ha gridato di mettere una vite, ma non ho potuto; volevo solo finire quella lunghezza. Stavo trafficando per prendere in mano qualche micronut che avevo appesi da qualche parte sul retro cintura. Il ghiaccio era disperatamente sottile e seguivo una fessura sottilissima che speravo mi avrebbe portato alla cresta nevosa.

Ho fatto una sosta 10 metri sotto la vetta. Non abbiamo osato salire insieme in cima al cornicione sommitale, quindi Gabo è andato per primo e quando è tornato è stato il mio turno. Erano le 3 del pomeriggio e una bella giornata, con una splendida vista sulle montagne circostanti. Mi sono sentito molto fortunato ad essere riuscito su questa linea. Le condizioni erano al limite della scalabilità.

Discendendo la via, siamo arrivati ​​completamente esausti alla base avanzata, 54 ore dopo averla lasciata.

Sommario
Area: Valle del Trango, regione del Baltoro, Pakistan
Ascensioni: Tentativo sulla Hainabrakk East Tower 5650 m, salita alla cresta est fino a 5375 metri (Dolzag Dihedral, 750 m, VI 6), 8-9 giugno 2006. Tentativo sulla parete nord della Shipton Spire 5885 m; saliti i primi 500 metri. Prima salita in stile alpino della parete nord della Torre Uli Biaho 6109 m; la via si chiama Drastissima (1900 m, ABO VI 6), 21-23 luglio 2006. Tutte le salite sono di Gabo Čmárik e Jozef “Dodo” Kopold.

Una nota sull’autore
Nato nel 1980, Dodo Kopold vive a Bratislava, in Slovacchia, e disegna abbigliamento outdoor.

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Assaggio di ghiaccio in Karakorum ultima modifica: 2021-05-12T05:29:00+02:00 da GognaBlog

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1 commento su “Assaggio di ghiaccio in Karakorum”

  1. Essenziale, rapido, scevro.
    E il ghiaccio.
    C’è qualcosa di vivo nel ghiaccio. È una potenza legata ma beffarda. Immobile e fuggevole.
    La roccia riposa, dorme.
    Il ghiaccio fa finta, ti guarda in faccia.

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