C’era una volta… l’Alpinismo Giovanile
a cura della Commissione del Corso di Alpinismo Giovanile della Sez. Cai Luigi Zamboni
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(2)
Le riflessioni della Commissione di Alpinismo Giovanile della sezione CAI di San Pietro in Cariano “Luigi Zamboni” (provincia di Verona) sui nuovi vincoli per portare in montagna i ragazzi. Con l’intento non di far polemica, ma di portare alla pubblica attenzione una questione rilevante per la frequentazione futura della montagna e per il ruolo del CAI nell’educazione giovanile.
Il 27 gennaio 2018 il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo del Club Alpino Italiano ha emanato un Atto di indirizzo in tema di Alpinismo Giovanile che ci ha destabilizzato (e non solo noi). In questo documento ufficiale, si afferma che “le attività in falesia, su monotiri e difficoltà massime su 4a/4b, di scialpinismo su percorsi di dislivello moderato e con difficoltà MS, in ambiente ipogeo a sviluppo orizzontale o sub-orizzontale di breve sviluppo […] potranno essere svolti con la presenza di titolati delle rispettive discipline”. Inoltre, le attività alpinistiche che prevedono l’uso di attrezzatura (corda, ramponi, piccozza), l’arrampicata in falesia oltre il 4b e la speleologia “potranno essere svolte esclusivamente con ragazzi di età superiore a 15 anni e realizzate dagli Accompagnatori di Alpinismo Giovanile unicamente in collaborazione con gli Istruttori delle rispettive discipline o le Guide Alpine”. Cosa significa tutto ciò? E perché cambia di molto, e secondo noi in peggio, l’organizzazione delle attività di Alpinismo Giovanile, ovvero quelle rivolte alla formazione dei soci dagli 8 ai 17 anni per una frequentazione rispettosa, preparata e cosciente della montagna? Partiamo dalle fondamenta teoriche di questa importante funzione del CAI e dalla nostra esperienza venticinquennale.
Traversata integrale del ghiacciaio della Vanoise, Col du Dard, 2016
La filosofia dell’Alpinismo Giovanile e l’educazione dei giovani alla montagna
Il Consiglio Centrale del CAI, quando nel 1984 costituì la Commissione Centrale Alpinismo Giovanile (CCAG), precisò nella relativa delibera che anche i ragazzi devono essere formati da un punto di vista tecnico, affermando che “è compito istituzionale del Club Alpino Italiano promuovere l’educazione e l’istruzione tecnica degli alpinisti, specialmente dei giovani”. Quattro anni dopo, il Progetto educativo, ovvero il documento ufficiale del CAI per il settore giovanile (integrato negli anni successivi da circolari), specifica che l’Alpinismo Giovanile si deve occupare, oltre che delle attività tipicamente escursionistiche, di “tutte le iniziative atte a consentire il corretto approccio del giovane alle tecniche più specializzate”, le quali devono essere organizzate “secondo le regole dell’imparare facendo”, perché “è importante che i ragazzi conoscano con osservazione ed esperienza diretta tali attività affinché da adulti siano in grado di scegliere quelle loro più confacenti”. Questo documento, in quanto esplicitamente menzionato nell’Atto di indirizzo come punto di riferimento, dal Comitato Centrale è ancora considerato di importanza strategica. Tuttavia, noi non ci capacitiamo come il Progetto educativo e l’Atto possano coesistere, visto che il secondo limita fortemente il primo. Noi Accompagnatori, dall’esperienza pluriennale, abbiamo evidenziato in questo nuovo Atto alcuni punti che ci lasciano alquanto perplessi.
Traversata integrale del ghiacciaio della Vanoise, verso il Col de Chasseforet, 2016
La questione del limite d’età
Il Consiglio Centrale del CAI ritiene che occorra la tardiva età di 15 anni per far mettere la prima volta ai piedi di un giovane i ramponi, o per fargli provare una via di arrampicata sportiva oltre il 4b. A parte il fatto che il ragazzo avrebbe solo due-tre anni di Alpinismo Giovanile per approcciare le tecniche alpinistiche, perché limitare così il tempo dedicabile alla sua preparazione? Nella nostra esperienza abbiamo constatato che è estremamente più utile spalmare gli insegnamenti relativi alle attività tecniche in molti più anni, con un aumento delle difficoltà e un accompagnamento alla crescita psicofisica graduali.
Dopo anni di corsi, un nostro ragazzo di16 anni non aveva ancora imparato a mettere un rampone davanti all’altro su una mulattiera innevata. Era evidente che l’età anagrafica non contava. Infatti, le linee di indirizzo del Progetto educativo del 1984 continuano dicendo che sta “all’esperienza degli accompagnatori una scelta oculata del corretto inserimento del giovane valutandone il livello di maturità”. C’è chi è più portato, chi si sviluppa prima sia fisicamente che mentalmente, chi ha voglia di sperimentare nuovi modi di vivere la montagna: con l’età prestabilita di 15 anni non si possono certo valutare queste importanti variabili!
Traversata integrale del ghiacciaio della Vanoise, sul Col de Chasseforet, 2016
Nei nostri corsi, i ragazzi cominciano a 12 anni, in tutta sicurezza, a prendere dimestichezza con la cordata, la semplice progressione su neve con ramponi e picca, l’arrampicata sportiva su gradi bassi con la corda dall’alto. Senza mai avere problemi a mettersi alla prova in queste esperienze, anzi. Un esempio? “Guida alpina”, così avevamo soprannominato D., 12 anni, doveva essere tenuto con le briglie perché voleva sperimentare difficoltà superiori a quelle che gli proponevamo. In falesia, un 5b lo portò a termine e fu l’occasione di spiegargli dove poteva migliorare la propria tecnica di scalata.
Con il limite dei 15 anni, imposto senza possibilità di deroga, si toglie discrezionalità alle Commissioni Sezionali di Alpinismo Giovanile nella scelta di cosa far fare ai propri ragazzi, ma sono proprio queste che conoscono meglio i loro giovani, i quali, soprattutto nell’età della preadolescenza, sono molto diversi tra loro. Nel Documento sui Corsi di Alpinismo giovanile del 20 gennaio 2018 della CCAG si afferma che “progressivamente si accrescono nel giovane le capacità (conoscenze e abilità) necessarie a percorrere la montagna”. Dove sta la progressività nel poter proporre ai ragazzi attività alpinistiche solo negli ultimi due-tre anni di un percorso potenzialmente di dieci?
Traversata integrale del ghiacciaio della Vanoise, Dôme de Chasseforet, 2016
Il ruolo del volontariato e la deresponsabilizzazione degli Accompagnatori titolati
In una circolare di integrazione del Progetto educativo, si specifica che le attività tecniche vanno “supportate, ove necessario, da esperti nelle specifiche discipline”. Quando necessario, quindi, non sempre. Invece, ora il giudizio e la preparazione degli Accompagnatori titolati di Alpinismo Giovanile non contano più: per portare i ragazzi in falesia a fare monotiri con la corda dall’alto occorre la presenza di un Istruttore titolato del CAI (di alpinismo o arrampicata libera), obbligatoria anche per far fare a quelli oltre i 15 anni qualsiasi itinerario in cui servano corda, picca e ramponi, anche se volessimo portarli su una mulattiera innevata giusto per far pratica. Come ogni sezione sa bene, essere Istruttore non è impegno da poco: ha la responsabilità della sua Scuola, delle sue uscite e dei suoi allievi. Dove ne troviamo uno che voglia accollarsi anche la nostra attività e togliere ulteriori fine settimana alla sua attività personale?
Cima Zevola, Piccole Dolomiti, 2018
Se non troviamo un Istruttore disponibile per l’alpinismo e l’arrampicata in falesia dal 4c in su, il Consiglio Centrale ci offre gentilmente un’altra possibilità: la Guida Alpina. Dove va dunque a finire il volontariato del CAI? Ricorrere alla figura di un professionista significa che il CAI, organizzazione basata sulla partecipazione volontaria, non è in grado di bastare a se stessa. Inoltre, la Guida Alpina va giustamente pagata, con conseguente aumento dei costi per le famiglie, cosa di questi tempi tutt’altro che trascurabile; glielo dicono i Consiglieri Centrali ai genitori?
(Un affondo sulle attività da fare con un Istruttore: i minori di 15 anni, alla sua presenza, non possono fare neanche una mulattiera innevata con picca e ramponi, ma scialpinismo sì. Non capiamo perché un alpinismo facile non sia contemplato. In ogni caso, visti i limiti imposti, immaginiamo non più di uno scialpinismo a bordopista…).
Lezione su progressione su neve, Piccole Dolomiti, 2018
Visto che per tutto ciò si deve ricorrere a figure esterne, viene da chiedersi se gli Accompagnatori titolati di Alpinismo Giovanile abbiano le competenze necessarie o da un giorno all’altro siano diventati degli incapaci. I Piani formativi per Accompagnatori di Alpinismo Giovanile del 2014 affermano che “l’Accompagnatore di AG è un tecnico preparato”. Infatti, deve seguire appositi corsi di formazione organizzati dalle Scuole di Alpinismo Giovanile, frequentabili da chi ha “già maturato un’adeguata esperienza pluriennale di montagna” e seguito preferenzialmente un corso base di alpinismo, arrampicata o altro nelle relative Scuole del CAI.
L’accompagnatore titolato possiede, al termine del corso, “capacità tecnico-alpinistiche tali da garantire agli accompagnati la massima sicurezza in montagna anche in situazioni di emergenza su terreno almeno EE/F/PD con passaggi fino al 3° grado su roccia, su vie attrezzate EEA e F su neve e ghiaccio, compresa la padronanza delle tecniche di autosoccorso”. Se è ufficialmente riconosciuto capace di ciò, perché le competenze e l’esperienza dell’Accompagnatore non vanno bene per gestire autonomamente delle uscite alpinistiche o di arrampicata adeguate al livello di preparazione dei propri ragazzi? In falesia non sono più in grado di mettere una corda dall’alto e fare moulinette? O condurre una cordata su un versante innevato di 30°?
Prove di progressione in cordata, Piccole Dolomiti, 2018
Tempismo e qualità dei nuovi obblighi
L’Atto di indirizzo in tema di Alpinismo Giovanile del Comitato Centrale del CAI è stato emanato il 27 gennaio 2018. Chiunque faccia parte di una qualsiasi Commissione Sezionale sa che i programmi vengono decisi, stampati e divulgati ben prima di Natale. Nel nostro caso, a quella data avevamo anche già chiuso le iscrizioni ai nostri due corsi di quest’anno. Ciò ha messo in difficoltà l’intera organizzazione: ripensare alle gite, cercare freneticamente Istruttori titolati, riconsiderare il bilancio per pagare eventuali Guide Alpine, relazionarsi e giustificarsi con le famiglie e i ragazzi. Non si poteva far partire queste modifiche dall’anno prossimo? Che fretta c’era, maledetta primavera…
L’Atto deliberato parla di “mutato livello di sensibilità che viene richiesto nell’approcciarsi all’esperienza montagna”, che “impone all’Accompagnatore un’attenzione ulteriore alle implicazioni che l’affidamento di minori comporta”. Nell’ottica della ricerca di una maggiore sicurezza, sulla quale non si discute (ma che non deve nemmeno diventare esagerata), perché quell’attenzione ulteriore deve passare attraverso un disconoscimento dell’Accompagnatore? Come se fino ad oggi non fosse stato nostra priorità riportare i ragazzi sani e salvi ai genitori prima dell’eroica conquista di qualsiasi vetta.
Gli Accompagnatori titolati conoscono i ragazzi, li vivono nelle tante situazioni che la montagna offre, ascoltano e comprendono le loro esigenze, organizzano uscite sulla base delle loro capacità. Nel nostro caso, possiamo inoltre affermare di coltivare allo stesso modo la nostra preparazione tecnica con una costante attività personale, in primis per la passione che nutriamo per l’alpinismo, poi anche per un senso di responsabilità nei confronti dei ragazzi.
Ora, per fare queste attività, per le quali ricordiamo di essere stati formati, dovremo avere a fianco un esterno che, magari, non è per nulla preparato a relazionarsi con i giovani. Un tale regolamento ci rende inoltre del tutto inattraenti agli occhi dei giovani, che non trovano nel Cai quello che tante altre realtà offrono in tutte le palestre di arrampicata indoor.
Chiediamo perciò che l’Atto venga abrogato fino a quando non sarà sostituito da un altro intervento, sicuramente necessario, ma condiviso e scaturito dal confronto.
Qui l’Atto di indirizzo in tema di Alpinismo Giovanile
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si dice che anche la Magistratura sia politicizzata. Ma di quale partito ?
Mi piace l’ultimo commento di Lusa
nonostante mi avvii verso i 60 e da oltre 25 iscritto al CAI vedo che c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare (non si finisce mai) e questa èl’unica cosa positiva della vita in tutti i sensi!
Ma non immaginavo di essere anche un tesserato politico. Posso almeno sapere a che partito sono iscritto??
Ragazzi prima di fare commenti dovete ricordarvi che l’Alpinismo Giovanile è un ORGANO TECNICO CENTRALE E PERIFERICO del cai. NON E’ UN ORGANO POLITICO!!!
L’ 0rgano politico è il Consiglio Centrale del cai.
Gli organi tecnici sono solo tecnici e sono subordinati a volgere le direttive del Consiglio Centrale del cai, non a prendere decisioni politiche.
Smettetela di fare commenti, dibattiti sterili e inutili su decisioni politiche che non vi competono.
Dovete SOLAMENTE svolgere il vostro lavoro seguendo le direttive del Consiglio Centrale del cai. Senza SE e senza MA.
“Siete solo chiacchera e distintivo!”
Rispondo a Brambilla sulla questione presenza titolati: mi pento di aver segnalato la collaborazione con la Scuola di Alpinismo (di cui anch’io faccio parte) senza aver specificato che non era la Condizio sine qua non…..infatti ….SE….venivano a dare una mano ….erano soprattutto i SEZIONALI! E non perchè i titolati non volevano ma petchè son pochi. Cosa diciamo ora ai 50 bambini che si aspettano l’attività “mani sulla roccia” e ai loro genitori? Attività già presentata a gennaio??? Ira ci sono i corsi e nessun titolato è disponobile! Ma mi chiedo: io come sezionale di alpinismo posso “tenere” adulti in mulinette e non posso tenere bambini? Spiegatemi ….voi ….che fate cadere dall’alto atti senza prima aprire dibattito e confronto!
Lo scritto che segue vuole dare un contributo al dibattito. Questa era la strada che l’Alpinismo Giovanile del VFG aveva intrapreso per formare gli Accompagnatori. Purtroppo oltre ad essere censurato, nessuno, al vertice del CAI, si è preso la briga di leggerlo e soprattutto di prenderlo a spunto per confrontarsi con il corpo Accompagnatori.
Riflessioni e spunti sul XIV Corso Accompagnatori Alpinismo Giovanile VFG
“Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire.”
Vivaddio, un corso per Accompagnatori non ha risvolti così drammatici. Ma la sintesi tratta dal monologo del coach Toni D’Amato, mirabilmente interpretato da Al Pacino, ha il pregio di racchiudere quel vortice di impegno, passione, sacrifici e aspettative che ci accompagnano dall’inizio alla fine di un corso per Accompagnatori.
I centimetri sono tutti gli obiettivi che, uno ad uno, mettiamo assieme, dal confronto iniziale, tra istruttori, nella fase di progettazione, alla consegna del titolo.
Il primo centimetro è il più articolato: cosa significa essere un titolato del Club Alpino Italiano. Indipendente dalla specificità, quale deve essere il linguaggio tecnico culturale che accomuna e distingue il titolato CAI. Quale la base culturale comune.
E poi, come si traduce tutto questo nella nostra specificità, nel compito principale che ci viene affidato dal CAI: avvicinare i giovani alla montagna e al sodalizio.
Su questa sfida, da anni, la Scuola di Alpinismo Giovanile del VFG, sta costruendo una diga immaginaria che raccolga esperienze e sperimentazioni sia provenienti dall’interno del CAI sia esterne. Esperienze che vanno a formare l’ossatura portante del nostro essere Accompagnatori oggi, ma soprattutto in futuro sempre più incalzante perché stimolato dai repentini cambiamenti degli adolescenti.
Diciamola tutta, il CAI, su questo, non ci sta aiutando molto. Ma tant’è che noi ci crediamo veramente all’importanza e alla qualità del nostro operato e soprattutto abbiamo ancora un forte senso di appartenenza.
Una appartenenza che ci ha coinvolti, istruttori e allievi, in una delle fasi più caratterizzanti del corso Accompagnatori: il modulo neve ghiaccio. Da sempre gioia e dolori per chi muove i propri passi tra le familiari Dolomiti. Va da se che questo modulo fa discutere. Che ci azzecca un Accompagnatore di Alpinismo Giovanile con l’ambiente dell’alta montagna?
Torniamo al nostro coach. È una questione di centimetri.
E allora partiamo dalla valle, poco sopra Santa Caterina di Valfurva, impariamo a riconoscere l’architettura montana, l’antropizzazione del territorio. Impariamo a distinguere quando il “Genius loci” si esprime e quando viene rinnegato. Poi si sale, si cominciano a distinguere i piani altitudinali, il lavoro della natura sul paesaggio. Fino ad incrociare la potenza dei ghiacciai. Il loro geologico movimento che disegna un paesaggio tragico.
Da queste altezze si leggono precisamente le valli ad “u”. Qui si comprende il lavoro del torrente. Qui si comincia a capire che le mutazioni climatiche stanno travolgendo il nostro habitat. Qui si comincia a capire che l’acqua è un bene prezioso e che il rito dei ghiacciai sta minando quella strana certezza della gente di pianura, che basta aprire il rubinetto per avere l’acqua.
I ragazzi dell’Alpinismo Giovanile devono venire fin quassù. Devono poter addentrarsi in questo ambiente. E gli Accompagnatori di Alpinismo Giovanile devono essere in grado di accompagnarli. Devono saper svolgere, nel migliore dei modi, il compito che ne deriva dal loro affidamento.
E i centimetri tornano. Non è sufficiente sapere che esiste uno strumento per la ricerca del travolto in valanga. Bisogna saperlo adoperare, bisogna saper effettuare la ricerca. Bisogna, come titolato CAI, saper partecipare in maniera attiva, ad un intervento collettivo di soccorso e quando uno ti dice: tu e tu, veloci! Ricerca vista e udito, non si rimane lì con lo sguardo inebetito.
Da qui si apre un mondo. Fatto di sicurezza, di manovre e di proprietà di linguaggio, di capacità di movimento in ambienti di avventura che sono il patrimonio tecnico-culturale indispensabili per poter indossare quella giacca rossa.
Gli allievi del XIV Corso Accompagnatori stanno conquistando, centimetro dopo centimetro, il diritto e l’orgoglio di indossare quella giacca. Sanno che alla fine del corso potranno progettare, per i loro ragazzi, qualsiasi attività, adatta alla loro età, alla loro fisicità e alla loro preparazione psicologica. Saranno in grado di accompagnare i ragazzi che si avvicinano al CAI, da Santa Caterina fin su al Pizzini e magari al Casati e poi, sicuri, verso la cima del Cevedale. Centimetro dopo centimetro, passo dopo passo.
Di questo hanno bisogno i ragazzi che si avvicinano al CAI. Di questo ha bisogno il CAI se vuole attirare i giovani, se vuole essere protagonista di un’offerta formativa qualitativa che sostenga i ragazzi nel momento più delicato della loro crescita.
I ragazzi del corso, fortunatamente tutti giovani, hanno superato con impegno le prove ma soprattutto hanno infilato nel loro zaino concetti come responsabilità, affidamento, preparazione fisica e intellettuale (in montagna in questo ordine) e formazione permanente. A sommarli tutti i centimetri di questi giorni, si comprende la differenza da quando si è cominciato e dove siamo arrivati, tutti assieme, allievi e istruttori. Che grande occasione ci offre la montagna. Che grande occasione ci offre il Club Alpino Italiano.
Prossimo appuntamento nelle Dolomiti.
Francesco Abbruscato
Direttore Scuola AG-VFG
Mi pare che in Cai si passi da un estremo all’altro, con buona pace del buon senso che è bell’e morto.
Ha senso che un ragazzo finisca il suo percorso nell’alpinismo giovanile senza sapere perché in certe situazioni è importante avere un paio di ramponi nello zaino, e come si usano? Evidentemente no. Ma chi deve insegnarglielo se non i suoi accompagnatori di alpinismo giovanile?
Ha senso dire che a un bambino di 8 anni deve essere negato quel gioco così emozionante che è arrampicare da secondo su un quarto grado? Evidentemente no. Ma chi deve fargli sicurezza se non il suo accompagnatore di alpinismo giovanile?
Grazie a tutti per i vostri interventi, che siano pro o contro credo che l’importante sia parlarne e diffondere il parere di tutti. Personalmente posso dire che nel mio corso la parola fondamentale era: “Consapevolezza” ovvero consapevolezza delle proprie capacità e di chi devi accompagnare. Forse è giusto porre dei limiti ma mi risulta che già c’erano, probabilmente potrebbe essere auspicabile avere nel CAI dei titoli che valgano da ieri a domani e che non si debba fare di tutta l’erba un fascio, ci sono sicuramente come in tutte le discipline i migliori e quelli un pochino sotto ma non vale solo per l’AG, e ci sono accompagnatori con capacità di tutto rispetto, compresi responsabili di zona del soccorso Alpino, forse dire loro che non sono in grado di far sicura ad un ragazzino……………. Forse prima di depenalizzare tutti ad accompagnatore da gita turistica che si può muovere solo dove ogni tre passi c’è un segnale del CAI sul sentiero………. Forse bisognerebbe valutare cosa sanno fare e differenziare le qualifiche. Oppure cari Amici accompagnatori, Se le scuole AG promosse dal CAI ad ogni livello in modo che diventassero addirittura periferiche per la formazione dei sezionali non sono state in grado di formarci, Allora forse non siamo nemmeno accompagnatori e domani al prossimo risveglio con la luna di traverso, qualcun altro potrebbe scrivere che non siamo più competenti per salire sopra i 1500 m oppure se le previsioni meteo prevedono un temporale dobbiamo annullare la gita, oppure sotto i 5° gradi non si portano i ragazzi in montagna. Cmq. il problema reale è il metodo nel quale è arrivata la limitazione ed inoltre se come scrivono quelli in alto è per il bene dell’AG, ok, e allora, D’ovè l’Atto di indirizzo che obbliga gli Istruttori e le scuole di alpinismo a dedicare almeno un giorno all’anno all’attività di AG? Riccardo Belotti AAG
Alberto ho specificato SOPRATTUTTO perché è sui nazionali che grava una grossa fetta di responsabilità soprattutto per la direzione delle scuole e il coordinamento dei corsi avanzati ( a mio avviso i più sensibili).
Ovviamente la franchigia e massimali non vanno bene per nessuno.
Concordo con te che la “volontarietà” sia un bene prezioso che viene percepito in termini di passione dagli allievi; quindi da non inquinare.
Tuttavia il livello di qualità richiesto attualmente agli istruttori implica grossi costi che se non vengono riconosciuti, potrebbero impattare sulla qualità degli stessi.
Mi sembra (non ne sono certo) che quel tipo di rimborso già avvenga per molte altre attività sociali.
Le Guide svolgono l’attività come professione; io mi riferisco solo all’attività sociale.
Intervengo anch’io come Accompagnatore di AG che soffre nel vedere questo gratuito gioco al massacro dell’Alpinismo Giovanile.
Ma di che cosa Sparliamo?
Accompagnatori “destabilizzati”? Il PE è il nostro ducumento di riferimento e TUTTI i titolati ne sono a conoscenza e lo hanno accettato. Il PE è chiaro nel definire gli Obiettivi e i limiti del nostro agire e sul ruolo che l’Accompagnatore deve avere verso i ragazzi.
Se nei corsi di AG programmati vi sono attività svolte in autonomia dagli AAG che vanno oltre quanto è stabilito nel PE, mi meraviglia sapere che sono stati autorizzati da un ANAG e dal loro Presidente Sezionale.
Ma perché ci sentiamo lesi nella nostra maestà se altri con una preparazione specifica superiore alla nostra ci danno una mano? Siamo meno attrattivi verso i ragazzi? Io direi il contrario!
Perche facciamo finta di non sapere che dal sondaggio sulle attività giovanili, commissionato dalla sede centrale presso 157 sezioni Cai risulta che il 57% di esse già hanno in atto la collaboratione con I titolati di altre specialità?
E se non bastasse ricordiamoci anche la lettera delle CNSASA a tutti i Direttori delle scuole alpinismo dove oltre all’invito alla collaborazione chiarisce i rispettivi ruoli degli Istruttori e Accompagnatori
Il nostro Alpinismo Giovanile gode di ottima salute con i suoi 12.000 ragazzi che ogni anno frequentano i nostri corsi gestiti da tantissimi Accompagnatori che svolgono silenziosamente il loro ruolo con testa e cuore senza sentire il bisogno di fughe in avanti ma aperti alla collaborazione sinergica con tutte le realtà CAI .
Smettiamola di farci del male
Walter Brambilla
Primo Punto.
perche solamente i Nazionali. Gli altri che sono di serie B ?
Secondo Punto.
Non sono d’accordo. Questa è un’attività di volontariato, fatta per pura passione Nessuno obbliga a farla.
Se vogliamo essere pagati. Facciamo il corso guida diventando dei professionisti.
Personalmente ritengo che se un accompagnatore di Alpinismo Giovanile di qualsiasi livello avesse le competenze tecniche equivalenti ad un istruttore di arrampicata libera o ad un istruttore di alpinismo avrebbe quel titolo.
Gli accompagnatori di Alpinismo Giovanile sono innanzitutto accompagnatori e non istruttori. E posseggono certamente competenze che li caratterizzano ma in ambito educativo NON in ambito tecnico.
Dunque perché dovremmo insegnare delle tecniche ai giovani quando ci sono figure formate per quel ruolo? Non dovremmo semplicemente aiutare queste figure a dialogare con i giovani quando si tratta di terreni impegnativi?
Sono un Istruttore ( INAL, IA e ISA) da molti anni. Ho diretto molti corsi e fatto da Istruttore e nell’ultimo periodo mi sto dedicando molto all’arrampicata perché vedo, soprattutto nei ragazzi, un interesse fortissimo.
Nel tempo ho notato che i requisiti richiesti, soprattutto per la qualifica di Nazionale, sono continuamente (giustamente) aumentati, tanto che nei settori specifici i requisiti sono simili o superiori a quelli delle Guide Alpine. Aggiornamento, allenamento etc richiedono quantità di tempo e denaro sempre maggiori; l’attività stessa in corsi di ogni livello richiede sempre più impegno.
La responsabilità è sempre maggiore perché nel frattempo la sensibilità generale è aumentata ( soprattutto da parte della Giustizia) e si è sviluppata una burocrazia interna CAI i cui effetti ( sulle polizze assicurative) non sono ancora completamente noti.
Si sono poi sviluppate tutta una serie di attività collaterali (indoor, scolastiche etc) la cui cui classificazione a livello assicurativo non è certissima e che rientrano nell’attività personale le cui coperture non sono “esaltanti”.
Non entro nel merito se gli accompagnatori abbiano o meno le conoscenze tecniche adeguate; altri decidano.
Premesso tutto questo io penso che:
1) le coperture assicurative soprattutto per i Nazionali, dovrebbero essere aumentate e rese più generali ( tolta la franchigia ed estese ad attività professionale in ambito CAI)
2) si debba pensare a legittimare a chi si prende la responsabilità una forma di compenso almeno per il tempo e materiali spesi
La circolare stessa in commento specifica che le attività possono essere fatte con un titolato CAI o una Guida ( a pagamento). Ora mi chiedo per quale ragione un titolato CAI dovrebbe prendersi responsabilità gratis quando ad altri viene riconosciuto il compenso? Stiamo parlando di attività in ambito associativo
Io penso che attualmente gli Istruttori CAI Nazionali, abbiano un livello tale nei specifici campi, sia NON INFERIORE, ad una Guida e che pertanto il CAI debba pensare a supportare il loro operato in modo più completo e diverso.
Mi pare inoltre che recenti leggi Regionali abbiano del tutto ignorato gli Istruttori CAI ( leggi proposte e sponsorizzate dal CAI stesso).
Ora mi chiedo: Il CAI ci tiene davvero tanto ai suoi Istruttori? A voi la risposta
Senza entrare nel merito del dibattito, che comunque è molto interessante, alla luce anche di quanto scritto a proposito dal presidente nazionale Torti su Montagne 360, ricordo che alla fine degli anni ’60, durante il Congresso Nazionale di Carrara (presidente nazionale Renato Chabod) partecipai come giovane del Cai Reggio Emilia alla Settimana nazionale dell’Alpinismo Giovanile. Esperienza bellissima e benissimo organizzata. Alcuni dei partecipanti (quelli con qualche esperienza alpinistica) fecero anche una facile salita su roccia sulle Apuane. Allora il presidente nazionale dell’Alpinismo Giovanile era il mitico Pettenati. Non molti anni più tardi feci parte anche io della Commissione Centrale, che esisteva comunque da anni, come rappresentante dell’Emilia-Romagna. Presidente della Commissione centrale era Sala. Questo per dire che l’Alpinismo giovanile non è una invenzione degli anni ’80.
Concordo 100%. Atto ingiustificato, fatto male e intempestivo.
Anche noi a Firenze abbiamo in programma attività alpinistica questa estate e non sappiamo come fare, primo perchè non troviamo istruttori di apinismo disponibili e secondo perchè non è indicato, nell’atto e successivi tentativi di chiarimento, cosa significa in “collaborazione con gli istruttori”: ne basta uno che fa la supervisione delle tecniche oppure ne servono N per garantire il rapporto di accompagnamento? In questo secondo caso vorrebbe dire la fine di ogni attività alpinistica AG…
Ma di commenti ne avrei tanti altri, molti già espressi in modo adeguato nel primo post.
Mi viene però in mente anche questo spunto di riflessione, visto che nell’editoriale di apertura di Montagne360° di aprile si accusano gli accompagnatori contrari all’atto di essere autoreferenziali.
Coloro che hanno pensato e scritto l’atto sono partiti dalla voce dei giovani, che sono i protagonisti dell’Alpinismo Giovanile? Hanno parlato loro, li hanno intervistati, hanno fatto un sondaggio? I nostri giovani hanno detto che sono insoddisfatti del modo in cui gli accompagnatori di AG fanno l’attività? Hanno detto di non sentirsi sicuri con noi? Che non si sentono preparati quando fanno alpinismo? Che questa è la loro priorità tra le tante esigenze e richieste di miglioramento dell’AG? Eccetera…
A me non risulta questa insoddisfazione e primario senso d’insicurezza dei nostri giovani.
Quindi chi sarebbe autoreferenziale: noi AAG (a nostra volata neppure consultati) o chi ha scritto questo atto?
In una situazione così conflittuale tra la base AG e il vertice del CAI non serve arroccarsi, ma ripartire da un confronto senza pregiudizi e imposizioni.
La cosa migliore da fare, a questo punto, sarebbe la sospensione dell’atto, in attesa dell’annunciata assemblea nazionale prevista a novembre.
Alessandro Barucci – AAG CAI Firenze
A pescindere dal tema specifico e dalla fondatezza o meno delle tesi riportate nell’articolo, approfitto dell’occasione per esternare il mio rammatrico per questo eccesso di propensione a “normare” tutto. Un eccesso che sta condizionando ogni attività in ambito CAI.
Troppe regole, troppa burocrazia, troppa… prigione, laddove la montagna è libertà…
IL PROGETTO EDUCATIVO DEL CLUB ALPINO ITALIANO
L’Alpinismo Giovanile ha lo scopo di aiutare il giovane nella propria crescita umana, proponendogli l’ambiente montano per vivere con gioia esperienze di formazione.
Il Giovane è il protagonista delle attività di Alpinismo Giovanile e pertanto non si può prescindere da una dimensione educativa.
L’Accompagnatore è lo strumento tramite il quale si realizza il progetto educativo dell’Alpinismo Giovanile.
Il Gruppo come nucleo sociale, è il campo di azione per l’attività educativa; le dinamiche che vi interagiscono devono orientare le aspirazioni del giovane verso una vita autentica attraverso un genuino contatto con la natura.
L’Attività con cui si realizzano questi intendimenti è essenzialmente, l’escursionismo di montagna finalizzato verso obiettivi didattici programmati inteso come recupero della dimensione del camminare nel rispetto dell’ambiente geografico (naturale e umano).
Il Metodo di intervento si basa sul coinvolgimento del giovane in attività divertenti stabilendo con lui un rapporto costruttivo secondo le regole dell’imparare facendo.
L’Uniformità’ Operativa delle Sezioni nell’ambito dell’Alpinismo Giovanile è presupposto indispensabile perché si possa realizzare il progetto educativo del Club Alpino Italiano.
Giusto per fare chiarezza e non per sterile polemica, sottolineo alcune macroscopiche inesattezze riportate nella parte introduttiva dell’articolo e sulle quali si vogliono poi basare la successive riflessioni.
In tema di inesattezze, già il sottotitolo “a cura della …. Sez. Cai Luigi Zamboni” mi fa sospettare come ci sia, in chi scrive, una certa propensione a non conoscere le regole (o a non attenervisi). Infatti il Regolamento generale del Cai espressamente indica che “La sezione assume obbligatoriamente la denominazione “Club alpino italiano – Sezione di seguito da nome del comune…”. Quindi la dizione corretta avrebbe dovuto essere differente.
Nel 1984 NON è affatto stata costituita la Commissione Centrale Alpinismo Giovanile (CCAG): esisteva ed era operativa già da decenni. Una data certa è che esisteva già nel marzo 1954. Però, di fatto, Rovella ne rappresentava già da tempo gli ideali. Dopo di lui si sono succeduti alla presidenza della CCAG (che allora si chiamava diversamente) con lunghi mandati Credaro, Pettenati e Sala. Infine, Nel 1984 c’è solo stato un normale rinnovo.
Il Progetto educativo non è un estemporaneo documento ma nasce da profonde e ragionate motivazioni. Giusto per citare i passi più significativi, ricordo le riflessioni sull’argomento discusse nell’89° Congresso nazionale di Palermo (1978, relatore Roberto De Martin che poi diverrà Presidente generale), riprese sulla stampa sociale (La Rivista n° 5/6 del 1981 a firma Guido Chierego Vicepresidente generale e l’anno successivo a firma Guido Sala, allora Presidente della CCAG), nella relazione dell’allora Presidente della Commissione AG del VFG (1984, Lucio Marcato), nelle Linee programmatiche (Il giovane e l’ambiente) espresse da Leonardo Bramanti in occasione della sua elezione a Presidente generale e ampiamente pubblicate su La Rivista. Non ultimi i contenuti e le relazioni del 93° Congresso nazionale dal tema “Una proposta seria ai giovani: crescere con il Cai” (Chieti, 1988) interamente dedicato all’argomento.
Il Progetto educativo del 1988, ovvero il documento ufficiale del CAI per il settore giovanile, contrariamente a quanto da voi affermato NON è mai stato integrato negli anni successivi da circolari o altro. Quello era e quello è rimasto.
Il Progetto educativo NON specifica affatto – come dite – che l’Alpinismo Giovanile si deve occupare, oltre che delle attività tipicamente escursionistiche, di “tutte le iniziative atte a consentire il corretto approccio del giovane alle tecniche più specializzate”. Anzi, specifica proprio il contrario.
Il Progetto educativo NON dice, come voi supponete, che “…devono essere organizzate secondo le regole dell’imparare facendo, perché è importante che i ragazzi conoscano con osservazione ed esperienza diretta tali attività affinché da adulti siano in grado di scegliere quelle loro più confacenti”.
In conclusione, al di là del fatto che non mi pare si intendano portare nuovi vincoli ma solo normare quello che già dovrebbe essere in atto, se si vuole davvero portare all’attenzione una questione ritenuta rilevante per la frequentazione futura (perchè “futura” ?) della montagna e per il ruolo del Cai nell’educazione giovanile sarebbe forse sufficiente pubblicare il Progetto educativo così com’è, senza pretestuose ed errate deformazioni.
Contenuto dell’articolo a parte… mi chiedo perchè non chiamiamo le cose con il loro nome. Già nel parlato è cattiva abitudine “abbreviare” o “modificare”, ma quando si scrive bisogna avere rigore per non scrivere parole che hanno un altro senso, come “picca”. Magari consultiamo il vocabolario ogni tanto…
La picca è un’arma inastata costituita da una punta metallica di varie forme e fogge montata su un’asta di legno (preferibilmente frassino), della lunghezza variabile tra i 4 e i 6 metri, il cui uso crebbe dal XII secolo in poi.
Era già tutto scritto nel Progetto Educativo. Posso capire che non tutti gli Accompagnatori non condividono. Posso capire che non in tutte le sezioni ci sono titolati di Alpinismo, sci-Alpinismo, Speleologia. Posso capire tante cose. Non capisco la polemica perché non esiste. Chi conosce il PE sa bene che che la “passione” che muove un Accompagnatore non deve avere come obiettivo creare dei “piccoli Alpinisti” (questo è l’ Obiettivo di altri). E quindi? Lasciamolo fare ad altri! AAG CAI Missaglia (LC).
Concordo pienamente e voglio aggiungere che l’età d’ oro dell’apprendimento psico-motorio va dai 9 ai 12 anni: è qui che il giovane apprende facilmente quanto gli viene proposto, lo immagazzina in memoria permanente sviluppando una corretta motricità. Questo atto snatura tutto il nostro “lavoro” e ci dequalifica. Dopo 8 anni di “mani sulla roccia” (arrampicata in falesia che ha riscosso grandi adesioni- sempre 50 iscritti di età compresa tra i 5 e i 18 anni) cosa raccontiamo ora alle famiglie e ai ragazzi che non vedono l’ora di vivere con gioia esperienze così formative? E dove sono i titolati che dovrebbero supportarci? Pozzo Alessandra AAG Cai Gorizia