Che cosa non sono le elezioni
di Yuval Noah Harari
(pubblicato su La Repubblica del 9 febbraio 2020, fonte The New York Times)
Traduzione di Anna Bissanti
La stagione elettorale 2020 degli Stati Uniti, che è entrata in una nuova fase con i caucus democratici nell’Iowa, presumibilmente sarà tra le più divisive e contrastate della storia americana. Il risultato delle elezioni avrà ripercussioni in tutto il mondo ed è plausibile che plasmerà l’ordine globale per gli anni a venire. Mentre il clima politico si arroventa fino al punto di ebollizione, tutti quanti farebbero bene a riflettere su quale sia la vera natura delle elezioni democratiche.
Le elezioni non sono un mezzo per trovare la verità. Sono un mezzo per raggiungere un compromesso pacato tra i desideri discrepanti di persone diverse. Può darsi che viviate in un Paese che dovete condividere con persone che considerate ignoranti e perfino malefiche. E può darsi che loro pensino di voi la stessa cosa. Malgrado questo, preferite raggiungere un compromesso pacato o risolvere le diatribe imbracciando le armi? Poiché le elezioni sono un mezzo per raggiungere un compromesso sui nostri desideri, nei seggi non si chiede: “Qual è la verità?”. Si chiede: “Cosa volete?”. Per questo motivo, tutti i cittadini hanno pari diritto di voto.
Quando si cerca la verità, le opinioni di persone diverse hanno pesi diversi. Se si parla di desideri, tutti dovrebbero essere trattati nello stesso modo. All’indomani del referendum del 2016 sulla Brexit, l’illustre biologo Richard Dawkins dichiarò che non si sarebbe mai dovuto indire un referendum, perché la maggioranza dell’opinione pubblica britannica è priva del bagaglio culturale necessario a prendere una decisione. «Il referendum è stato come un plebiscito nazionale convocato per decidere se Einstein capisse l’algebra» ha scritto. La sua analogia, tuttavia, è ingannevole. Indire un plebiscito per decidere se accettare o meno la teoria della relatività di Einstein è un’idea peregrina, perché si tratta di una questione di verità da demandare agli esperti. Sulla relatività, l’opinione di un solo professore di fisica conta più di quella di mille professori di storia. Ma la domanda sulla scheda non concerneva la verità. Era: “Il Regno Unito dovrebbe continuare a far parte dell’Unione europea o uscirne?“. Ebbene, questa domanda sonda un desiderio, e non c’è motivo per privilegiare i desideri degli esperti rispetto a quelli di chiunque altro.
Potreste sostenere che i desideri sono formulati su fatti reali, che il dibattito sulla Brexit verteva su teorie economiche. Pertanto, potreste concludere, la Brexit è una faccenda che avrebbe dovuto essere lasciata agli esperti. Se il Pil fosse stato l’unico fattore di cui tener conto, allora la Brexit avrebbe dovuto essere decisa davvero dagli esperti. Tuttavia, può darsi che il popolo britannico abbia voluto uscire dall’UE per altri motivi.
In una democrazia gli elettori hanno il diritto di dare la loro preferenza ai sentimenti nazionalistici e agli ideali religiosi rispetto agli interessi economici. Gli esperti potrebbero disapprovare, ma permettere agli esperti di imporre ciò che la gente dovrebbe volere è la strada che porta al dispotismo.
Aneddoto vuole che un giorno un attivista comunista si sia rivolto a un gruppo di operai con una promessa: «Quando verrà la rivoluzione, mangerete tutti fragole con la panna!». Un operaio disse: «Ma a me non piacciono». E l’attivista ribatté: «Quando verrà la rivoluzione, vi piaceranno le fragole con la panna».
Tenuto conto che le elezioni vertono più sui desideri che sulla verità, non si dovrebbero dare diritti speciali di voto agli esperti. Per la medesima ragione i governi eletti dovrebbero rispettare l’indipendenza del mondo scientifico, del ramo giudiziario e dei media. I governi rappresentano infatti la volontà della maggioranza popolare, ma la verità non dovrebbe essere subordinata al volere del popolo, perché spesso il popolo desidera che la verità sia diversa da quella che è.
I cristiani fondamentalisti, per esempio, desiderano che le Scritture siano vere e che la teoria dell’evoluzione sia falsa. Non dovrebbero avere il potere di imporre una verità scientifica o di impedire agli scienziati di indagare. A differenza del Congresso, il dipartimento di biologia non dovrebbe riflettere la volontà popolare.
Parimenti, quando un leader carismatico è accusato di corruzione, i suoi sostenitori sperano che le accuse si rivelino false: i loro desideri non dovrebbero mai impedire a giornalisti e giudici di indagare per portare la verità alla luce. Anche nel caso in cui un Parlamento approvi una legge per la quale le accuse contro il leader sono menzogne, non cambierebbe la realtà.
Certo, scienziati, giornalisti e giudici hanno i loro problemi e non sempre si può fare affidamento su di loro. Tuttavia, subordinarli a un ipotetico Ministero della Verità peggiora la situazione. Il governo è l’istituzione più potente della società, spesso ha interesse nella distorsione dei fatti. Consentirgli di sovrintendere alla ricerca della verità è come incaricare una volpe di fare la guardia a un pollaio. Per salvaguardare la verità, è meglio fare affidamento su altri due metodi.
Primo: le istituzioni accademiche, i media e il sistema giudiziario hanno meccanismi interni per combattere la corruzione, rettificare i pregiudizi e portare alla luce gli errori. Nelle istituzioni accademiche, le pubblicazioni peer-review sono soggette a un controllo degli errori migliore della supervisione governativa. Nei media, la libera concorrenza implica che se un quotidiano evita di pubblicare, un concorrente si butterà sullo scoop. Nel sistema giudiziario, un giudice che intasca tangenti può essere sottoposto a processo.
Secondo: l’esistenza di istituzioni indipendenti esercita un controllo. Per esempio, se le multinazionali corrompessero gli scienziati, giornalisti e tribunali potrebbero rivelare i nomi dei colpevoli. Se i media o i tribunali fossero afflitti da pregiudizi, il compito ricadrebbe su sociologi, storici e filosofi.
Nessuno di questi meccanismi di sicurezza è del tutto a prova di errore, ma nessuna istituzione umana lo è. Di sicuro, non i governi.
Certo, vi sono altre ragioni per salvaguardare l’indipendenza di istituzioni accademiche, media e tribunali. Le elezioni democratiche vertono sul desiderio umano e il desiderio condiviso da tutti è vincere. Come far sì che i potenti partiti politici non ricorrano a raggiri per manipolare le carte a loro favore? In una partita di calcio, l’arbitro non può far parte di una delle squadre. Lo stesso vale in democrazia. Anch’essa è una partita con le sue regole. Nelle democrazie l’arbitro indipendente è una Corte suprema e, se l’indipendenza dei vertici giudiziari è a rischio, il gioco democratico si trasforma nella dittatura di una maggioranza.
Prendiamo il caso del cambiamento del clima. La domanda “le azioni umane causano il riscaldamento del clima?” riguarda la verità. Molti vorrebbero che la risposta fosse negativa, ma il loro desiderio non può cambiare la realtà. A questa domanda dovrebbero rispondere gli esperti. Quando si tratta di prendere decisioni sul cambiamento climatico, in una democrazia la volontà dei votanti predomina. Ammettere la verità del cambiamento del clima non ci dice cosa fare. Scegliere è una questione di desiderio. L’unica opzione che non dovrebbe essere contemplata è nascondere o distorcere la verità. Possiamo scegliere quello che vogliamo, ma non dovremmo disconoscere il vero significato della nostra scelta. Distinguere tra desiderio e verità non è certo un’idea nuova. Per le democrazie che funzionano bene, è sempre stato di importanza basilare. Nel XXI secolo, tuttavia, sta diventando importante più che mai, perché le nuove tecnologie rendono più facile condizionare il desiderio umano.
La combinazione di tecnologie biologiche e informatiche offre ai governi e alle multinazionali la capacità di hackerare milioni di persone. Siamo molto vicini al momento in cui alcuni governi e multinazionali avranno raccolto e messo insieme abbastanza informazioni e dati biologici su di noi e saranno in grado di esercitare un potere informatico sufficiente a conoscerci addirittura meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. Grazie a nuovi potenti algoritmi, governi e multinazionali a quel punto saranno capaci non soltanto di prevedere le nostre scelte, ma anche di manipolare i nostri desideri e farci apparire appetibile qualsiasi cosa loro vogliano, che si tratti di un prodotto o di un personaggio politico. Quando questa rivoluzione sarà completa, gli algoritmi potrebbero far sì non soltanto che vi piacciano le fragole con la panna, ma anche il partito al governo.
In una democrazia, il governo rappresenta la volontà popolare. Ma che cosa può succedere quando ha il potere di manipolare la volontà del popolo? Chi rappresenta chi? A peggiorare le cose, stiamo assistendo all’ascesa di regimi populisti che prima conquistano il potere istigando all’odio contro gli stranieri e le minoranze, e poi attaccano qualsiasi istituzione sia in grado di limitarne il potere. Il loro bersaglio sono proprio le istituzioni che tutelano la verità: i media, i tribunali e il mondo accademico. I regimi populisti paventano la verità, perché essa si sottrae al loro controllo, e affermano che non esiste. Il leader populista blandisce la popolazione dicendole che l’unica cosa che conta sono i desideri del popolo. Gli esperti che fanno notare le verità scomode sono traditori che osteggiano la volontà popolare. Per salvaguardare il futuro della democrazia, dobbiamo mantenere la verità indipendente dal desiderio. Non è sufficiente dichiararsi fedeli all’ideale astratto della verità. La chiave sono le istituzioni: per quanto imperfette, solo le istituzioni possono trasformare gli ideali in pratiche sociali.
Non importa in quale Paese vivete: se intendete salvaguardare la democrazia, votate per i politici che rispettano le istituzioni che cercano e rendono nota la verità. Votate per un partito che dice al popolo che ha sì il diritto di eleggere qualsiasi governo gli piaccia, ma non quello di eleggere la verità che gli piace.
Yuval Noah Harari è storico, filosofo e saggista. Ha scritto Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità (Bompiani, 2015), Homo Deus, breve storia del futuro (Bompiani, 2017) e 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani, 2018).
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Si può condividere che al centro risieda il giusto.
Si può contestare perché la democrazia, la sua vulgata, non ha nulla – se non le briciole oppiacee necessarie per ingrassare l’opulenza e la sua implicita immobilità e pusillanimità – di ciò che nel votarla immaginiamo.
Non ha nulla se non il necessario per indurre il pensiero al centro.
Voteremmo la democrazia sapendo che il nostro segno è soprattutto un’accelerazione del pensiero unico?
A meno di aver scambiato il dogma del buon suddito come un valore supremo si devono spostare i pesi dal centro per portarli ai lati, sulle etremità.