Da Julius Kugy ai giorni nostri – 4 (4-4)
(quale il futuro dell’alpinismo in Friuli Venezia Giulia?)
a cura di Francesco Leardi
(ripreso dall’Annuario del CAAI 2014-2015, per gentile concessione)
Puntate precedenti:
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Il 25 e 26 maggio 2013 si è tenuto a Trieste, nella sede della Società Alpina delle Giulie, il Convegno di primavera del Gruppo Orientale del CAAI. Il tema era Da Julius Kugy ai giorni nostri: quale il futuro dell’alpinismo in Friuli Venezia Giulia?
Le relazioni, in ordine di intervento sono state di Spiro Dalla Porta Xydias, Mauro Florit con Stefano Zaleri, Roberto Simonetti (tutti CAAI Orientale) e Peter Podgornik (Slovenia).
La notoria modestia di Peter Podgornik non ci deve impedire di sapere qualcosa di più al riguardo dell’evoluzione dell’arrampicata slovena sulle Alpi Giulie. E’ per questo motivo che abbiamo riportato, in seguito alla sua relazione, il capitolo Sloveno scatenato, tratto da Dolomiti e Calcari di Nord-est.
Dalla Slemenova Špica verso lo Jalovec
Una visione d’oltreconfine
intervento di Peter Podgornik
Qui in zona Trieste l’arrampicata è una cosa diversa che da noi, dove la maggior parte delle persone sono contadini. Mentre da voi l’alpinismo è una tradizione di origini lontane, io provengo da una regione dove non si parlava di alpinismo, si parlava di caccia ed eventualmente di qualcuno che va in montagna.
Dopo tanti anni di alpinismo e arrampicata ho incontrato tanti vecchi alpinisti e ho scalato con tanti italiani, allargando così il numero delle persone conosciute in montagna, sulle vie e nelle spedizioni.
Non credo che questo sia il momento di parlare dell’alpinismo sloveno, dati i limiti di tempo, così vorrei invece parlare di alpinismo nella zona di confine, che conoscete abbastanza bene.
Negli anni dopo Enzo Cozzolino, come ricordato in precedenza, si arrampicava sulle pareti del Rio Bianco, sul Rio Freddo, sul Mangart, poi sul Canin. Alcuni alpinisti del tempo, come Tine Michelic, hanno scritto in quel periodo le guide di quelle zone in lingua slovena, e noi giovani, che iniziavamo in quegli anni, abbiamo potuto capire dove salivano le vie di Cozzolino, Ignazio Piussi, Ferdinand Krobath, Hans Metzger e di tanti altri. Si è cominciato dunque a salire quelle pareti, facendo diversi campeggi, una settimana al rifugio Pellarini non era una esperienza rara, ed aprendo anche vie nuove sempre sul Rio Bianco e sul Rio Freddo. Così in Slovenia abbiamo conosciuto queste montagne dove, come ha detto il Signor Spiro, camminava il grande Julius Kugy insieme ad altri esploratori, ad esempio Damiano Marinelli, che sono stati importanti per la nostra generazione, perché dobbiamo ricordare che l’alpinismo non è iniziato con noi, e neanche finirà con noi.
Conoscere questa storia dell’alpinismo è molto importante perché si capisce l’evoluzione della mentalità.
Il versante settentrionale dello Ŝpik
Quando ho cominciato ad arrampicare si usavano calzature pesanti, moschettoni in ferro, qualcuno aveva l’imbraco, ma veramente pochi, come pochi avevano il casco… Così con mio fratello gemello Pavel abbiamo cominciato ad arrampicare su pareti relativamente basse, come la Val Rosandra sopra la valle di Rio Bianco, con risalti alti fino a un centinaio di metri, con i nostri chiodi casalinghi, moschettoni e martello, era il mio mestiere fabbricarli, ed usavamo una corda per legare le mucche.
Peter Podgornik
In queste condizioni abbiamo mosso i primi passi sulla roccia, per lo meno io, forse altri sono stati più fortunati. Ma torniamo di nuovo sulle montagne di confine. Come ho detto gli alpinisti sloveni dopo gli anni Settanta hanno seguito la strada aperta, facendo anche prime ripetizioni delle Vie di Piussi sul Mangart, le vie di Lorenzo Bulfon e Celso Gilberti… poi abbiamo iniziato a ripetere, sopra il Pellarini, le vie di Giordano Bruno Fabjan, Comici, Krobath, cominciando a conoscere tutte queste pareti… e dopo di esse, per la mia generazione, vi era ancora tanto posto per aprire nuovi itinerari.
Nella mia attività alpinistica ho sempre cercato di avere l’occhio dell’esploratore, e grazie a questo ho ripetuto poche vie classiche, perché avevo sempre voglia di andare ad aprire vie nuove, come nella Val Coritenza. Così come la Cima del Lago, parete sud, che è alta 500 metri, quando ho iniziato ad esplorarla c’erano un paio di vie mentre ora ce ne sono almeno venti. E così la storia è stata per altre pareti anche in Carnia. Successivamente le nuove generazioni, con materiale più moderno e una nuova filosofia di arrampicata, hanno dato spazio all’apertura di itinerari sempre più duri. Quando ho iniziato il VI+ era il limite, e la via che abbiamo ripetuto io e mio fratello i primi giorni di settembre del 1980 e cioè la Lomasti-Mazzilis alla Cima Grande della Scala, per noi fu un’avventura grandissima perché sapevamo che dopo 2 o 3 tiri non si sarebbe potuti scendere. Così siamo usciti fuori dalla via tutti sporchi e gialli perché la fessura è tutta sporca di sabbia.
Nel 1982 ho aperto una via nuova sul Mangart con mio fratello e subito dopo proprio mio fratello è morto su quella parete con un’amica. Dopo la sua morte ho deciso di fare sempre un campeggio nella zona alla sua memoria: ormai sono 25 anni e dopo tutti questo tempo le pareti sopra il Lago di Fusine sono percorse da numerosissime vie, attualmente più di 160, dal Ponzer fino al Mangart.
Quando abbiamo iniziato l’esplorazione, la parete grande del Mangart aveva solo la prima via e quella di Gilberti. Il mio amico Filip Bence ha fatto, dopo 60 anni dalla ascensione di Gilberti, 10 vie nuove in solitaria, tutte più o meno dure e con uno sviluppo di 1000 metri.
Non mi dilungo su questa montagna perché abbiamo scritto la guida anche bilingue così da poterla consultare meglio. Ma parlando in merito alle guide di alpinismo, per me è molto importante che i giovani che iniziano ad arrampicare adesso sappiano dove avere indicazioni; non è difficile fare una guida con le vie più belle di una zona mentre è molto difficile fare una guida che riporta tutti gli itinerari di una parete così da permettere un’ampia scelta sull’intero terreno d’arrampicata.
Il versante settentrionale del Triglav
Così come progredisce lo sviluppo tecnico, sfruttando una ottima bibliografia si possono studiare ulteriori possibilità ed aprire nuovi itinerari.
Le vie di III e IV grado sono storia, sono lì e vi rimangono sempre; quello che ha fatto Julius Kugy non verrà mai rubato, ed è per questo che una guida deve riportare bene tutti gli itinerari per dare una informazione totale della parete.
Roberto Simonetti ha parlato prima di alpinismo invernale in Slovenia: vicino al confine ci sono pareti molto belle ed alte fino a mille metri che permettono questo tipo di alpinismo, come la Parete di Bretto (Loška Stena), che quando Comici apriva la sua via allo Jalovec negli anni ’30 contava solo tre vie, mentre ora ci sono più di 95 itinerari. Tre quarti di questi sono stati fatti in invernale (tra l’altro vie abbastanza dure). Così tanti alpinisti sloveni, dopo le esperienze sulle pareti vicino al confine come la cima del Lago, il Mangart e il Bretto, sono andati avanti aprendo vie su grandi pareti extraeuropee.
Quando io ho iniziato ad arrampicare era normale partire da gradi bassi, andando avanti pian piano, ad esempio partendo dalle dolomiti per arrivare al Monte Bianco e, talvolta, proseguendo fino all’Himalaya. Probabilmente oggi lo stile di vita troppo veloce fa saltare questa successione di passi; questo non è però positivo perché occorrono piccoli passi per raccogliere esperienza e acquisire ciò che serve per le grandi salite. Come già detto, sono stato fortunato perché ho conosciuto tanti alpinisti (tanti sono anche qui), ero amico di Piussi ed ho passato momenti molto belli nella mia vita insieme a loro, a parlare di montagna. Ero amico di Gino Buscaini e di tanti altri. Conoscere queste persone è stato positivo, un’esperienza che considero al pari di quella tecnica.
Sloveno scatenato
(tratto da Dolomiti e Calcari di Nord-est)
Anche per gli sloveni, il decennio degli anni ’80 fu la transizione dall’alpinismo classico a quello moderno. Subito emerse un arrampicatore instancabile, l’elettricista Franček Knez, quello che sulla Sud del Lhotse nel 1981 salì più in alto di tutti con Vanja Matijevec. La tuta da ginnastica sostituì i pantaloni alla zuava e le scarpette pensionarono gli scarponi di pelle. Knez aveva in Buhl il suo idolo, ma aveva idee ancor più chiare sulla propria attività. In trent’ anni di carriera salì oltre 2.500 vie sulle pareti di tutto il mondo, delle quali più di 700 nuove, tralasciando le vie brevi di allenamento. Solo sul Triglav ha aperto almeno 35 vie oltre il sesto grado e così anche sulle muraglie del Šite e del Travnik: con compagni diversi, per intere stagioni si dedicava a nuovi itinerari, sacrificando lavoro e possibilità di una vita più regolare. Tra le tante, ricordiamo la diretta (via Mec) sullo spigolo nord del Piccolo Màngart (con Lidija Painkiher, 1981), la via Algebra sul Travnik (IX-, A0), aperta con Silvo Karo nel 1985, probabilmente ancora oggi la via più difficile delle Giulie slovene.
Anche qui vi furono interminabili discussioni sull’abbandono delle vecchie etiche. Fu grande merito di Iztok Tomazin l’aver portato dall’America le nuove tecniche e la voglia di «liberare» i vecchi itinerari. Così dal 1978 in poi furono ripercorsi tutti gli itinerari classici, con passaggi fino al VII+. Autori di queste imprese sono Knez, Karo e Tomazin, assieme a Matjaž Ivnik, Rok Kovač, Bogdan Bisčak, Igor Škamperle, Šreco Rehberger, Janez Skok, Janez Jeglič e Pavle Kozjek.
Il versante nord del Piccolo Mangart di Coritenza
Nello stesso tempo continua l’alpinismo esplorativo coerente con la tradizione. Il gruppo dove maggiormente si rivolsero i giovani fu quello di Martuljek, dove svetta lo Špik ma figurano altre pareti estremamente impegnative. È qui la Široka peč, una parete assai friabile, forse la più marcia di tutte le Giulie. Rado Fabjan è l’unico che può vantarsi di aver salito tutte e venti le vie di Široka peč. È qui che si mette in luce il grande Tomo Česen, nativo di Kranj, salendo da solo nel 1985 la via Skorpion. Oggi, nell’epoca del X e XI grado, le vie più difficili di quell’epoca danno molto da fare a quei pochi che decidono di ripeterle. Era forse più facile allora adeguarsi alle scarpette e alla magnesite che oggi tornare ai chiodi e al martello.
Janez Jeglič
La cordata Karo-Knez-Jeglič, dopo un rodaggio nel 1984 sulle vie «liberate» fino all’VIII (valga per tutte la via Ključsreče sulla Nord del Triglav), sale in Patagonia la parete est del Cerro Torre nel 1985 (con Pavle Kozjek e Peter Podgornik) e il diedro sud-est del Cerro Egger nel 1986, attualmente tra le più difficili in quella regione. Questo va detto, tanto per far comprendere con chi abbiamo a che fare e di quale livello di difficoltà si tratti, anche nei confronti delle più ben conosciute Dolomiti. Knez, con Frešer, sale la Smer norosti (via della follia) sulla Nord del Vršac, ancora irripetuta.
Nel 1984 i giovani Rado Fabjan, Igor Mezgec e Igor Škamperle, tutti di Postumia, salirono al Votli vrh 2175 m per la via Znamenje ob poti (VII, A2, A3, 750 m): una via che fu ripetuta solo nel 1989, dopo aver respinto molti tentativi. L’etica dei primi salitori fu rispettata e non fu piantato nessuno spit, nonostante la precarietà delle assicurazioni.
Ma la tendenza, soprattutto altrove, andava al contrario. Negli anni ’90 l’arrampicata sportiva migliorerà a tal punto le capacità che le pareti non potranno più offrire terreno valido per i più forti. Sembra una contraddizione, ma in effetti le vie più difficili sono ormai «facili» per un’élite che, oltre a percorrere gli itinerari di X in palestra ben protetta, è in grado di salire l’VIII in montagna. Oltre occorrerebbe spittare, e questa scelta è ancora controversa. I più bravi si sono dedicati alle solitarie. Per merito di Slavko Svetičič, Knez, Jeglič e Česen tutte le grandi classiche fino al VI+ sono state percorse in solitaria, anche invernale, e in libera. Con questa scuola Česen poté nel 1986 fare il concatenamento delle tre grandi Nord delle Alpi, offuscato solo da Profit che lo precedette…
Il 1987 vede la salita della parete sud del Cerro Torre (VII, A3, A4, 75°, 1200 m, Jeglič-Karo); Česen sale da solo e d’inverno la via No Siesta sulle Grandes Jorasses, Knez supera i 1200 m di una via nuova sulla Nameless Tower (Torri di Trango) che un anno più tardi Kurt Albert e Wolfgang Güllich confermarono di VIII+. Nel 1988 Knez apre due vie nuove al Meru (Himalaya del Gahrwal).
L’inverno 1988/89 era mite e senza neve, ma Česen salì da solo quattro vie impressionanti: Črni biser, Zarja, Sveča e Črna zajeda, tutte sulla muraglia settentrionale del Travnik-Šite. Tutte prove generali per la parete nord dello Jannu, nel 1989. Queste note, estranee alla nostra storia, sono qui portate per dimostrare l’altissimo livello dell’alpinismo sloveno in quegli anni, dove uno Svetičič si permetteva di salire in 27 ore la diretta Harlin sul’Eigervand (gennaio 1990). Sempre nel 1989, Edo Kozorog e Jože Serbec aprono Onkraj resnic nosti (VII e A3) sulla Nord-ovest del Vršac.
Filip Bence
Il seguito della storia diventa cronaca, sempre più confusa per definizione.
In Slovenia nuovi nomi si affacciano, tra gli altri Andrej Stremfelj, Vanja Furlan, Matjaz Jamnik, Matija Jost, Miha Kajzelj, Marko Lukič, Janko Opresnik, Bojan Pockar, Miha Praprotnik. Su tutti spicca Marko Prezelj, che nell’estate 1993 assieme a Matjaz Wiegele ha salito in libera la via Algebra al Travnik. Knez continua la sua infaticabile opera: è del 1992 la via Korenina sulla Nord del Triglav, ancora da ripetere: 36 lunghezze, VIII+, 6 spit, 1 bivacco. Una delle pochissime ascensioni con bivacco di Knez, ulteriore banco di prova per il futuro. La storia certamente non ha ancora messo Knez al suo giusto posto.
Solo per citare le più importanti, l’ulteriore evoluzione sulla Nord del Màngart, ormai percorso da una ragnatela di itinerari, vede le seguenti vie: Cvetlična, 30 luglio 1996, Filip Bence: V, 800 m, 2 ore; Navček, 10 settembre 1997, Filip Bence: VI-, 800 m, 2.30 ore; Gad, 27 settembre 1997, Filip Bence: VI+, 750 m, 3 ore; Črni angel, 13 agosto 1998, Matej Janko e Janko Meglič: VI+, 600 m, 8 ore; Stotica, 15 agosto 1998, Filip Bence: VI, 750 m, 3 ore; Kocka, 24 settembre 1999, Filip Bence: VI-, 800 m, 3 ore.
Per il Piccolo Màngart di Coritenza, invece: Usoda, 21 luglio 1998, Filip Bence e Peter Podgornik: VI+, 560 m, 10 ore; Gilda, 4 agosto 1998, Gildo Zanderigo e Riccardo Del Fabbro: VI+, 650 m; Porednica, 12 agosto 2000, Filip Bence: VI+, 700 m, 5 ore; Come le foglie al vento, 18 agosto 2000, variante di pregio a Gilda, Gildo Zanderigo: VIII, A3, 250 m (con spit); Johanova, 19 agosto 2000, Filip Bence, Peter Podgornik ed Erik Švab: dal III al VII, 30 lunghezze da 60 m, 12 ore.
Per il Véunza: Življenje, 23 luglio 1996, Filip Bence: VI-, 600 m, 2.30 ore; Ključek, 25 giugno 1998, Filip Bence e Klemen Premrl: VI+, 600 m, 7 ore; Spominčica, 5 luglio 1998, Filip Bence: VI, 500 m, 2 ore.
Qui di seguito riporto una tabella, compilata da Peter Podgornik e altri scalatori sloveni, allo scopo di dare un’idea dell’attività nell’ultima ventina d’anni. In essa sono riportate solo le ascensioni effettuate nelle Alpi Giulie slovene senza o con uso limitatissimo di spit.
Come si vede Filip Bence, di Trzic, è l’attuale “uomo delle Giulie”, con le sue circa 200 vie nuove (Filip Bence è scomparso sotto una valanga nel 2009, a 58 anni, NdR).
Valle | Cima | Via | Primi salitori | Difficoltà |
Koritnica | Votli vrh, parete N | Znamenje ob poti | Rado Fabjan, Igor Mezgec e Igor Škamperle | VI, A2 |
Planica | Šite, parete NNW | Direttissima | Franček Knez e Silvo Karo | VII+ |
Trenta | Vršac 2190 m, parete NW | Steber | Edo Kozorog e Slavko Svetičič | VII-, A3+ |
Planica | Travnik, parete NNW | Črna zajeda | Franček Knez e Marjan Frešer | VIII- |
Planica | Travnik, parete NNW | Algebra | Franček Knez e Silvo Karo | IX- |
Trenta | Vršac, parete NW | Smer norosti | Franček Knez e Marjan Frešer | VIII |
Možnica | Jerebica 2126 m, parete S | Vaja con dios | Peter Podgornik e Vladimir Slamič | VII |
Planica | Travnik, parete NNW | Tuhinjska smer | Janez Jeglič e Silvo Karo | VII-, A3 |
Trenta | Planja 2453 m, parete N | Katarza | Slavko Svetičič, da solo | VII+, A2 |
Trenta | Planja, parete N | Leteče kočije | Peter Podgornik e Miranda Ortar | VII- |
Trenta | Glava Planje 2060 m, parete S | Bodeča neža | Franček e Andreja Knez | VIII |
Možnica | Prišna glava 2048 m, parete N | Vidimo se v peklu | Miha Kajzelj e Bojan Počkar | VII |
Planica | Šite, parete NNW | Das ist nich kartako | Silvo Karo, da solo | IX- |
Trenta | Glava Planje, parete S | Črni baron | Slavko Svetičič, da solo | VIII |
Vrata | Triglav, parete N | Korenina | Franček Knez e Dani Tič | VIII+ |
Možnica | Prišna glava, parete N | Ledene rože | Miha Kajzelj e Miha Vreča | VII+, A2 |
Koritnica | Bavh 2189 m, parete NW | Bitka za neznano | Miha Kajzelj e Grega Kresal | VIII- |
Planica | Šite, parete NNW | Bela čipka | Janko Oprešnik, da solo | VIII, A4 |
Vrata | Triglav, parete N | Na drugi strani časa | Tomaž Jakofčič e Miha Kajzelj | VIII, A2/A3 |
Vrata | Triglav, parete N | Metropolis | Tomaž Jakofčič e Matic Jošt | IX- |
La Parete del Bretto
Nel 1994 Marino Babudri e Ariella Sain aprono un lungo itinerario sulla parete sud della Cima de lis Codis 2380 m. Gianfranco Ferrari e Andrea Gallussi aprono la via Blizzard sulla parete ovest del Prisojnik 2547 m, con difficoltà di VIII.
Nel 1995 Eugenio Cipriani e Mario Tonegutti tracciano un lungo itinerario sulla parete nord-est della Cresta Berdo, in Montasio, piantando anche qualche spit.
Nel 1996 Gildo Zanderigo e Alberto Della Schiava tracciano una difficile via sulla parete nord-ovest del Monte Cimone. Sulle compatte rocce dell’Ozebnik, in Val Trenta, Mauro Florit ed Erik Ŝvab, assieme a vari compagni, aprono (dal basso) due vie moderne protette a spit: Arlecchino servitore di due padroni (11 lunghezze, VIII+) e Fiore di montagna (o Gorska roza, 10 lunghezze, IX-). Nel 1997, proteggendosi a spit dal basso, Marco Sterni e Massimo Sacchi aprono alcune vie estreme, fra cui La bellezza non conosce paura, sulla Ovest del Monte Robon (5 lunghezze, IX-). Il cambio dei tempi si vede anche dal fatto che Gino Buscaini, nella sua guida del 1974, definiva il Robon “senza importanza alpinistica”. Sempre a spit, Aldo Michelini, Alex Di Lenardo e Laura Ortolani aprono Ciclone (7 lunghezze, IX-) sulla Est del Bila Pec, ormai affermatasi come grande falesia in quota. Nel 1998, in agosto, Marko Car e Uros Rupar aprono all’Ozebnik Kopiščarjeva, 440 m, VIII-. Di tipo classico è invece la via tracciata da Marino Babudri e Ariella Sain all’inaccesso Pilastro degli Dei, sullo Jôf Fuart. Nel 1999 sulla parete nord-est del Razor Silvo Karo e Urban Golob tracciano Canto barato, VII.
Nel 2003 Marko Lukič e Andrej Grmovšek liberano una vecchia via artificiale dal nome evocativo: Smer norcev (la via dei folli), di Karo e Jeglič, sulla parete nord della Šite, VI+ e A3 su roccia marcia e chiodi dubbi. E così l’8a (X-) giunge anche nelle Giulie, ovviamente su protezioni tradizionali. Nelle Alpi di Kamnik (Slovenia) Marko Lukič nel 2003 apre e libera Last minute sulla parete della Vezica, adatta all’apertura di vie multipitch con lunghi run out.
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