Dagli Òmeni di Segonzano alla Valle dei Mòcheni

Dagli Òmeni di Segonzano alla Valle dei Mòcheni
(scritto nel 1996)

Gli Òmeni sono piramidi di terra che si ergono tra i 600 e i 900 metri di quota, in una località presso Segonzano, e formano uno degli spettacoli più suggestivi del Trentino, anche per la loro colorazione. Trattandosi di terreno in gran parte sabbioso-argilloso, poco o mal cementato, le acque di pioggia lo dilavano facilmente. Alcuni blocchi rocciosi, angolosi o arrotondati, trasportati lì dagli antichi ghiacciai e lì alla fine inglobati, impediscono con la loro presenza fisica l’asportazione totale di quel terreno. Ecco che pian piano si formano dei coni di terra che con il tempo crescono al massimo di altezza possibile, fino a che l’erosione implacabile del vento o l’azione del gelo e disgelo non fanno precipitare il “cappello” nei pressi. A quel punto, mentre una piramide muore, altrettanto lentamente se ne forma un’altra nelle immediate vicinanze. Da Cembra si raggiunge Faver e lì si prende la strada che scende al ponte sull’Avisio: dall’abitato di Piazzo, dopo il ponte sul Rio Regnana, si giunge ai piedi dei famosi Òmeni (uomini) di Segonzano. Un sentiero didattico permette di raggiungerne i tre gruppi principali. Intagliate in materiale morenico, formate di ciottoli e sfasciumi rocciosi misti ad argilla, ognuna originariamente terminante in alto con un grosso macigno, sono molto numerose, sparse a piccoli gruppi o isolate in punti diversi della zona. Le loro forme sono quanto mai varie e bizzarre: per la maggior parte sono tozze e coniche. Alcune sono prive del masso di protezione e le più slanciate sfiorano i 40 metri di altezza.

Gli Òmeni di Segonzano (Val di Fiemme)

Dall’altra parte del crinale, e oltre la Valle di Piné e il Passo di Redebus è la Valle dei Mòcheni. Dalla testata fino allo sbocco nell’ampia conca di Pérgine Valsugana, così è chiamata la parte superiore della valle del Torrente Férsina, un affluente dell’Adige che nasce dal piccolo Lago di Erdemolo, sulla breve catena secondaria Cima Sette Selle – Monte Gronlait – Monte Fravort (all’estremità occidentale della catena dei Lagorai).

Mentre la parte inferiore della valle del Férsina ha carattere collinare e può essere considerata come il naturale prolungamento verso ovest della Valsugana, la Valle dei Mòcheni è caratterizzata da aspetti di bassa e media montagna, con altitudine di fondovalle variante dai 500 ai 2000 metri su 13 km di lunghezza. L’ingresso alla valle, alle spalle di Pérgine e un po’ simbolico, è una stretta galleria che l’ha tenuta appartata per secoli. Gli abitanti della valle sono, almeno in gran parte, di lontana origine tedesca; nella parte superiore della valle (Palù del Férsina) e nelle località del versante sinistro (Fierozzo, Frassilongo) si è anzi conservata fino ad oggi la parlata originaria, un arcaico dialetto tedesco detto dai trentini il mòchen, donde il nome Mòcheni, che pare derivi dal tedesco machen (fare). La popolazione non arriva alle duemila unità. La colonizzazione massiccia della valle sembra sia avvenuta nel tardo medioevo da parte di germanici specializzati nell’estrazione mineraria; ancora oggi le valli confinanti, quando parlano dei mòcheni, li chiamano canopi, da Knappen = minatori. Per come le abitazioni sono distribuite, assai sparse, e per l’architettura delle case rustiche, in gran parte in legno, si possono riscontrare molte similitudini con gli insediamenti rurali tedeschi del Sudtirolo, segno che questi minatori non ebbero difficoltà a sovrapporsi alla locale civiltà pastorale. Tali caratteri sono particolarmente evidenti a Palù del Férsina, forse il villaggio oggi più pittoresco, alla testata della valle.

Fienile mòcheno

La cultura del maso, autosufficiente e isolante, unitamente alle caratteristiche della valle, riuscì a conservare nei secoli la grande autonomia dei mòcheni. La valle, ricca di boschi e povera di pietrame, favorì il larghissimo impiego del legno nelle costruzioni. Con il legno si faceva tutto, dai tetti alle scarpe. Così, sopra una massicciata a secco, mai tinteggiata e costruita senza l’uso di calce, si alzavano quattro pareti che risultavano dalla contrapposizione di tronchi incastrati alle estremità. Un allineamento di assi robuste, sostenute da poche travi, realizzavano il soffitto che costituiva il pavimento del fienile sovrastante. Oltre alle pareti erano totalmente in legno gli infissi, le porte, i cardini, i tetti, le tegole, le gronde fissate con chiodi di legno, i canali per l’acqua e i loro sostegni ricurvi, le serrature, i paletti, i chiavistelli, perfino le fontane. Una bella testimonianza di tutto questo si può vedere nelle frazioni di Battisti e Tasaineri. Secondo Giuseppe Sebesta i primi insediamenti nella vallata risalgono al 1100-1200 e sono capanne ricovero per pastori, a carattere stagionale; le prime baite, fino al 1300, sono in legno appoggiato direttamente al suolo con tetto di paglia, con un solo locale, usato nell’epoca delle transumanze. A volte c’era un forno nelle vicinanze. Dal 1300 al 1400 le baite, sempre in legno, appoggiano su una massicciata a secco. Dal 1400 al 1450 l’abitazione è in muratura, sormontata dal fienile in tronchi di legno coperto da paglia. Fino al 1700 aumentano in altezza, ma il secondo piano è occupato dal fienile: anche le stalle, definitivamente isolate, sono sormontate da un fienile. In seguito aumentano anche la pianta e il numero di vani. Nel secolo XVIII i tetti si coprono con tegole di legno e sulle facciate appaiono i poggioli. Sono del secolo XIX rivestimento a malta e imbiancatura, segnata da curiosi striscioni paralleli di color rosso mattone.

Maso mòcheno

In seguito alla calata in massa dei “tecnici” minerari e ai migliori sistemi di estrazione introdotti, nuova mano d’opera anche meno specializzata era richiesta. Per strappare alla montagna sempre più rame, piombo e argento, molti contadini facevano anche i minatori. Tra il XV e XVII secolo c’erano ben una sessantina di miniere in attività: se ne può oggi vedere una, recuperata e adattata a museo. Esauritisi i filoni, i mòcheni furono costretti nel secolo scorso all’emigrazione: d’inverno andavano in Ungheria, in Polonia, in Transilvania o in Bulgaria. Il capitale che rendeva possibile la loro attività di commercianti ambulanti era comunitario. Così, quando rientravano a primavera nella valle natia, dividevano i ricavi tra tutti, sulla parola. L’opzione del 1939 per il Terzo Reich ebbe grande seguito. I 576 che vi aderirono furono trasferiti in Boemia nel 1942. I sopravvissuti tornarono nel 1945, pieni di orrori da raccontare.

Dagli Òmeni di Segonzano alla Valle dei Mòcheni ultima modifica: 2021-04-30T07:53:00+02:00 da GognaBlog

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7 pensieri su “Dagli Òmeni di Segonzano alla Valle dei Mòcheni”

  1. https://www.greenme.it/viaggiare/italia/piramidi-di-terra/
     Ecco perche’ l’esperimento in scala ridotta e tempi accelerati puo’fallire: occorre l’impasto giusto, la giusta direzione ed intensita’di scroscio, la giusta copertura a cappello. Forse e’ un’eresia, ma stimola  pensare a qualche tecnica per preservarle dall’inesorabile decadenza…Prevale il lasciar fare : sono cosi’proprio perche’  l’erosione funziona, altrimenti le Montagne Dolomitiche non sarebbero  affascinanti come le vediamo pur con inquietanti e frequenti episodi  di crolli e cedimenti.

  2. Ho fatto una esplorazione online della Valle ..certo che   i baiti in rovina non li regalano, quasi quasi meglio che acquistino il fascino delle rovine .Ormai passerei  il testimone  alle future generazioni di quella come di altre valli  e mi godrei angoli scampati a qualsiasi ipotesi di valorizzazione.Persino in altre valli del  Trentino che non nomino,  ormai ampiamente  dipendenti dal solo turismo,esistevano piccole enclave fuori dal circuito , note solo agli autoctoni che le frequentavano in esclusiva…rivelate solo dopo aver superato un  severo vaglio  a qualche  non locale  e previo giuramento solenne di non estendere .. .Una di queste   e’ stata”valorizzata” , amplificata grazie ai filmatini sui internet e concertoni in alta quota ed ha perso  le caratteristiche che la rendevano unica…la vecchia strada forestale un tempo chiusa da sbarra tranne per alcuni periodi,    fu  e sara’ di nuovo percorsa  da improbabili carrozze a cavalli , motoslitte.. cingolati..ciaspolisti ..e sbarra sempre alzata… utile  a un qualche  maxi ristorante .Un tempo  c’era uno scarno rifugio estivo , adesso dentro e’ tutto una  stube simil-Ladina ( forse fabbricata industrialmente  e rimontata in loco).Dulcis in fundo..dopo decenni di perdita di memoria utile e non rivangare antiche ruggini , cavalcano il revival delle linee e dei rifugi a Grande  Guerra.Non parliamo di zone ricche di fossili ormai spogliate..o di foreste di  pino mugo private di pigne per aromatizzare grappe..Se qualcuno prova ad indovinare quale valle..va bene  piu’ di una X nelle risposte , in quiz  scelta multipla.

  3. Che peccato Giorgio. Però la tua esperienza e i tuoi racconti sarebbero illuminanti. Mi piacerebbe sapere perché i tuoi progetti non hanno funzionato. I fallimenti, purtroppo, sono sempre una fucina di insegnamenti. Magra consolazione, ma sarebbe molto utile se ci racconterai. 

  4. Caro Giorgio! Saremo ben lieti di approfondire, grazie alla tua penna, la realtà della Valle dei Mocheni.

  5. Abito in Val dei Mocheni esattamente dall’anno in cui è stato scritto questo bell’articolo. Avrei tante cose da dire sulla mia esperienza ma poco tempo e forse anche poca voglia di farlo. Le iniziative che avevo lanciato, sviluppo di un turismo ecomuseale e ripresa di quello termale a Santorsola Terme, sono naufragate. Se Alessandro vorrà ho due miei articoli da proporre al riguardo, senza ora diventare noioso allungando troppo questo intervento. Anche il tentativo dell’etiope Agitu di smuovere le acque mi sembra naufragato, dopo il suo assassinio le sue capre (di razza autoctona mochena) sono state caricate su di un camion e finite in altre stalle fuori valle. Chissà se mai rientreranno. Il cantiere dell’agritur  che stava realizzando restaurando la vecchia scuola di Frassilongo è fermo da mesi. Chissà che fine farà. Finito lo sgomento per la tragedia tutto tace.

  6. In Piemonte li chiamiamo “cicu d’ pera”. All’imbocco della Val Maira (quella della Rocca Provenzale-Castello) c’è una bella colonia. Almeno c’era. Mi fermavo sempre andando/tornando dalla Provenzale.

  7. Per tenere allegri  bimbi in cortile, la formazione delle piramidi di terra  si può pure ricostruire con ammasso di argilla e terra e sassolini compattato, alcuni sassi piatti in cima allo strato, lasciato  seccare , e poi una pioggia artificiale perpendicolare ai sassi  con canna acqua o annaffiatoio. ( Meglio far a fare a loro). Dove manca la protezione del sasso..l’erosione porta via materiale..Dove  c’e’ l’ombrello di sasso almeno come ipotesi  dovrebbero rimanere mini piramidi, poi sempre disposti a far brutte figure…ma almeno si divertono.Se cade il sasso…( in natura anche per causa di terremoto) la piramide ha breve vita.

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