Di stili e di censura
di Matteo Pilon
Il drytooling è uno sport relativamente nuovo. Certo, si può dire che abbia superato da tempo la fase embrionale ma sta ancora cercando una sua identità come disciplina a sé.
Per molti si tratta solamente di un allenamento per le cascate, alcuni lo chiamano l’arrampicata ignorante. In verità la popolarità di questo sport è in rapida crescita, con un circuito di competizioni mondiali rodato e con la sua piccola storia di grandi exploit nell’outdoor.
Come succede a tutti gli sport giovani, è ancora alla ricerca di un set di regole assodate e di una sua etica che, pur avendo molto in comune con l’arrampicata sportiva, comportano sicuramente alcune differenze. Il dibattito in corso è acceso, tra stili e fazioni locali. E tutto ciò è fisiologico. Anzi, è un bene per il futuro della disciplina. A meno che non vada a degenerare in episodi come quello che voglio raccontarvi. Un grave passo indietro che va a ledere le basi stesse su cui la cronaca d’alpinismo si basa e non può che riflettersi negativamente sul drytooling.
Ma iniziamo dal principio. La storia di questo sport è nota a tutti. Si tratta dell’evoluzione dell’arrampicata su ghiaccio. La ricerca di linee invernali sempre più effimere e difficoltose portò ormai diverse decine di anni fa ad allargare la tecnica all’utilizzo di ramponi e piccozze anche sulla roccia. Fino ad arrivare al punto di eliminare del tutto la componente ghiaccio. Diversi alpinisti, contemporaneamente in tutto il mondo, stavano esplorando un nuovo mezzo con le sue difficoltà sempre crescenti e intanto la tecnologia dell’attrezzatura si stava adattando. Fiorivano qua e là linee impressionanti, fatte di ghiaccio sospeso nel vuoto e muri fortemente strapiombanti che non avrebbero potuto essere scalati altrimenti. Le piccozze si facevano più curve per poter lavorare sugli appoggi rocciosi e iniziava ad essere necessaria la doppia impugnatura. E’ in quel momento che nel misto e nel drytooling acquisì importanza la tecnica della figura 4, o Yaniro, che era già stata sviluppata occasionalmente dalla sorella maggiore, l’arrampicata sportiva, ma qui apriva una serie di possibilità completamente nuove. Non ha senso dilungarsi sulla tecnica in particolare, basta sapere che con il posizionamento delle gambe sopra i gomiti permetteva di semplificare alcuni movimenti in strapiombo che avrebbero altrimenti richiesto uno sforzo maggiore di braccia, spalle e addominali. Stavano inoltre nascendo le prime competizioni che sarebbero velocemente cresciute nell’attuale circuito di coppa del mondo. E la Yaniro, in quanto soluzione più logica, ne era il simbolo. E lo è tutt’oggi.
Nel frattempo l’esplorazione della difficoltà cresceva anche nell’outdoor, proprio come era successo con l’arrampicata sportiva nelle falesie attrezzate. Alcuni tra i più forti atleti dell’epoca, in particolare in Francia, si accorsero che con la giusta preparazione era possibile concatenare decine di queste Yaniro e rendere il superamento di tetti orizzontali quasi banale. Decisero perciò di bandire il movimento e dar vita allo stile DTS (Dry Tooling Style o Stile Francese) per continuare l’esplorazione. Essendo questa la scelta di molti dei più forti “grottisti” dell’epoca, lo stile fiorì in determinate zone. Nel frattempo il resto degli atleti delle gare continuava ad adottare la tecnica su artificiale e non.
Il grado aumentò rapidamente, apparvero i primi D13, poi D14, fino a D15 e D16. Grandi prestazioni in tutto il mondo in grotte che sono diventate famose come L’Usine o la grotta di Tom Ballard in Marmolada. Forti drytooler dichiaravano salite impressionanti e per di più fatte in stile DTS che spesso le rendeva ancora più difficili. E la narrativa di questa disciplina andò a seminare un diffuso campanilismo nello sport, soprattutto nella definizione del grado che, bisogna ammetterlo, non può che rimanere il riferimento chiave nella pratica dell’arrampicata a livello sportivo.
A mio parere – e tengo a sottolineare che è un mio parere – non c’è niente di male nel ricercare la difficoltà in questo modo come scelta personale e anzi, ammiro da sempre quegli atleti e le loro salite. Ma diventa un po’ arrogante pretendere che il resto del mondo si adegui ai propri standard e così faccia il grado. Ed è questo che ho sempre visto in questo mondo da quando ho iniziato. Se si vuole essere presi sul serio e avere un’etica solida, è assurdo porre una regola arbitraria invece che ricercare la difficoltà assoluta. Tanto più quando lo sport sul lato atletico va in tutt’altra direzione. E’ come decidere di eliminare tallonaggi, o lolotte per esempio, nel proprio stile di arrampicata e richiedere che lo facciano anche gli altri. Io pratico entrambi gli stili per divertimento, classico e DTS, ma nella gradazione il discriminante rimane ovviamente la Yaniro perché determina sempre la soluzione più efficiente e più semplice.
L’ultimo punto fondamentale da comprendere, e su cui si basa gran parte del conflitto, è che se una persona decide di imporsi lo stile DTS e quindi arrampica ad ogni livello di difficoltà escludendo la figura 4, tutta la sua scala di gradi con i suoi riferimenti sarà tarata in eccesso. Faccio un esempio. Io e Antonio scaliamo un D12, io normalmente e lui senza Yaniro, per entrambi quello è un D12. Poi andiamo a provare un D15, stesse scelte di stile, quello sarà sempre un D15. Indipendentemente dal fatto che per me risulti più semplice. Anzi, più propriamente: indipendentemente che per lui risulti più difficile.
Ma veniamo a noi e all’episodio incriminato.
Di recente ripeto una salita importante – ovviamente nello stile che ritengo più intelligente, quello classico – e questa riceve l’attenzione delle riviste online specializzate. La prima salita del tiro è stata fatta addirittura in DTS, poi il grado è stato ritoccato di mezza grandezza dal secondo ripetitore avendola rifatta in stile classico, e la mia è la terza ascesa per cui ho confermato la modifica. Questo fa di me il primo italiano ad aver salito tale difficoltà confermata e ciò riporta la cronaca. L’episodio scatena le ire di un personaggio dell’ambiente che conosco di vista e ritengo un punto di riferimento in Italia per questa disciplina. Egli da anni spinge la narrativa del DTS come unica forma valida nella ripetizione dei tiri e ha costruito intorno a sé una buona visibilità tra collaborazioni con sponsor e chiodatura dedicata. Non nascondo che a questo punto sono ben al corrente da tempo della tensione che ha creato in questo piccolo ambiente con tale propaganda.
Le notizie lo irritano a tal punto da andare a recuperare il mio numero di telefono da un amico comune, già vittima delle sue pressioni in passato, e contattarmi per scrivermi insulti gratuiti e sicuramente poco sportivi. E fin qui niente di grave. Invidia, frustrazione e malelingue sono conseguenze naturali e comprensibili in ogni situazione in cui c’è un successo.
Scopro però che questo personaggio, di cui non è importante fare il nome, è arrivato al punto di contattare alcune di queste testate online che hanno riportato la notizia, esercitando la sua influenza per chiedere la rimozione degli articoli. E su queste pressioni, una rivista online e cartacea, con cui ha collaborato in passato, elimina l’articolo.
Questo è un fatto grave se visto dal punto dell’etica giornalistica. Corrode i pilastri su cui si appoggia l’intero macrocosmo dell’arrampicata e di conseguenza la sua industria.
Nello specifico, io ho indagato via email sulla scomparsa dell’articolo e, non ricevendo risposta, ho scritto nuovamente per domandare se ci fosse dietro questa persona. A questa seconda richiesta ho ricevuto una rapida e brusca risposta, difensiva e accusatoria. E la fine delle trasmissioni.
Il punto di questa lettera non è quello di fare nomi o pretendere gloria ma di aprire una finestra su un problema che esiste e va a toccare atleti e sponsor e l’integrità con cui questo mondo tante volte opera. Personalmente, trattandosi degli apici di uno sport ancora giovane ed essendone in gioco il futuro, sento la pressante responsabilità di trattare l’accaduto con totale trasparenza e correttezza e di non tacere su comportamenti scorretti e faziosi. Non sono qui per dare risposte ma le domande che sorgono spontanee da questa discussione sono tante e riguardano diversi ambiti.
Quanto controllo c’è in realtà sulle notizie d’arrampicata che ogni giorno digeriamo? Chi decide realmente l’importanza di una salita e sulla base di quali parametri?
Secondo l’etica dell’arrampicata è una scelta corretta vietare un normale movimento del corpo nella ricerca della maggiore difficoltà? Dovremmo procedere un giorno a vietare anche incastri di ginocchio e tallonaggi? E’ corretto considerare il grado in base a uno stile arbitrario riconosciuto solo da alcuni? Spetta alla coppa del mondo il compito di dettare con le sue regole l’evoluzione di uno sport, anche nell’outdoor? O può essere di un gruppo elitario di atleti? E’ giusto che una salita sia pubblicamente giudicata e screditata da qualcuno che non l’ha neanche mai vista?
Chi è “più bravo” o “più scarso” si decide nelle gare, dove ci sono regole uguali per tutti.
Nella pratica al di fuori delle gare, invece, ognuno fa un po’ come gli pare. Qualora si volesse confrontare pubblicamente con gli altri, allora dovrebbe anche “dichiarare” lo stile che ha usato, cosa che l’autore dell’articolo ha fatto, tra l’altro anche spiegando le motivazioni che lo hanno portato ad utilizzare quel determinato stile.
Non penso ci sia altro da aggiungere.
Profanazione…nientemeno ! https://www.ibs.it/montagne-sacre-del-mondo-libri-vintage-edwin-bernbaum/e/2570071471026
Gia’ci sono abbastanza religioni….riti , associazioni con un codice interno scritto o non scritto.. ortodossi e ed eretici sismatici da inquisire..Il dry tooling e’un tentativo..poi si vedra’ se prende piede o rimane un ramo secco o viene resuscitato ad arte come il bob con trasfusioni di milioni di euro , spesa degna di miglior causa. Ad ogni modo come ci sono i fashion hunter, ci sono i cacciatori di tendenze varie ..pronti a fiutare gli sviluppi commerciali industriali.Il rampikino era roba da iniziati..adesso lo trovi al supermercato..pure elettrico..ruote grosse o normali, ripiegabile..e poi tra i piedi.
Il rispetto delle regole contiene un valore morale che merita rispetto, ma ovviamente nasconde un equivoco perché il rispetto non è sufficiente per legittimare il sistema delle regole. In questo caso il drytooling, come tanti altri sport, non impedisce la profanazione della montagna.
Le regole possono essere vissute come dogma, come divertente compromesso competitivo, oppure come sistema aperto in continua evoluzione. Dipende da noi e da cosa cerchiamo, con tutto ciò che ne consegue.
E le domande interessanti prospettate da Ugo Manera sarebbero da approfondire. Come piacevole scambio.
C’è chi ha sempre fatto giornalismo di montagna d’interesse. Ben fatto Matteo
il DT è una specialità sportiva che ha le sue regole. Per farlo bene bisogna avere stile, tecnica e forza. Specialità che trova anche applicazione in campo alpinistico.
A me personalmente piace molto l’arrampicata su misto da dove il D T è nato e si è evoluto come specialità, ma non mi interessa il D T fine a se stesso. Quindi su una via di misto se mi capita di fare un tratto a secco, cerco di farlo anche con gli attrezzi. Ma non mi interessa andare a cercare roccia pura da salire solo in questo stile. In diversi ad esempio vanno in falesia a salire con gli attrezzi i tiri danneggiando anche la roccia. Questo soprattutto avveniva all’inizio. Adesso sono state aperte falesie specifiche per praticare questa specialità sportiva.
Il drytooling è uno sport con le sue regole e la sua etica. Piaccia o no, se ci dev’essere uno più bravo e uno più scarso servono delle convenzioni utili a definirlo. Se non piace basta non praticarlo. Anche l’arrampicata sportiva ha i suoi stili, a vista, flash, lavorata, ecc. E anche l’ artificiale ha gradi e stili. Sapendo che il DT è quella cosa lì, va bene cosi.
Premesso che so pochissimo di Dt, visto che e’ Natale e ci vorremo tutti bene si arrivera’ a catalogare le vie salite con l0 stile classico differenziandole da quelle salite in stile dts ? La censura e’ inqualificabile e vergognosa e fin qui non ci piove. Punto. Il personaggio innominato ha comunque una freccia al suo arco: se la via e’ stata aperta in dts la ripetizione valida (e con grado confermato -immagino dica lui ) dovra’ essere in stile dts. Da un punto di vista di etica-simil-talebana il ragionamento ci sta. Poi trattandosi di una arrampicata strana (vedi il commento 5 cosa e’ libera o libera con mezzi artificiali?), dal mio punto di vista si applica e ritiene valida la tecnica piu’ redditizia.
Che senso vuoi che abbia? E’ insensato attenersi ai rigidi standar delle attività sportive. Mi ripeto spesso , ma questà è un’attività ( se così è possibile chiamarla) di appassionati e non di eroi o di teste calde. Ciao
Oddio! Delinea un quadro che pare surreale. Ora dovremo preoccuparci delle limitazioni alla libertà di stampa anche nel nostro piccolo mondo, anzi, in quella parte del nostro piccolo mondo che si chiama dry tooling. Anche Yaniro diviene simbolo di libertà. Rivalutiamo le vecchie copertine della Domenica del Corriere dove si vedevano i rocciatori aggrppati alle piccozze sulla roccia. Il loro tempo è venuto!
Ho provato una volta sola la progressione in dry tooling. Degli amici mi convinsero a salire qualche tiro (da secondo) qualche anno fa. Ho trovato tale progressione intrigante e divertente ma, data la mia età, ero ormai fuori tempo massimo per prenderla sul serio. Quando leggo di questa specialità delle domande mi girano in testa e vorrei porle ai giovani scalatori di avanguardia. Non è che questa specialità rappresenti un passo in dietro nella scalata su roccia? Gli attrezzi molto sofisticati non sono in fondo dei mezzi artificiali in quanto non si tocca più con le mani la roccia? Per tale motivo non sono comparabili ai chiodi a pressione delle direttissime degli anni ’50 e ’60 o alle staffe dell’arrampicata artificiale? Non è una nuova forma di “assassinare” l’impossibile (anche se molto atletica) su roccia, come era stato definito allora l’uso dei “pressione” nell’apertura delle “direttissime”? Non è fuorviante come lo è stato il “sesto superiore (artif.) degli anni “30?
Sinceramente non sono più in grado di dare risposte a queste domande che comunque mi ritornano in mente quando leggo articoli come quello in oggetto.
Davvero un bell’esempio di come alcuni vivano la scalata solo per se stessi e per la loro crescita umana…
Consiglio all’autore dell’articolo di ripetere il tiro con picozze anni 80, senza dragonne e chiudere la bocca a tutti…
Comunque alla fine quando ci sono di mezzo i soldi c’e’ sempre qualcuno che sgomita
Vicenda squallida. Censura vergognosa. Meschinità indegna.
Vista la manipolazione dell’informazione quotidiana sul covid, non c’è da meravigliarsi più di tanto.
“E’ giusto che una salita sia pubblicamente giudicata e screditata da qualcuno che non l’ha neanche mai vista?”Per non ricevere critiche anche moleste, basterebbe non divulgare nei social o nelle riviste cartacee e tenersi le emozioni e sensazioni tutte per se stessi o pochi veri amici…Difficile da attuarsi se si entra in una dimensione “atletico sportiva” col suo”ambiente settario-elitario in cui ci si” misura” o anche si vuole didatticamente estendere ad altri le tecniche. Comunque un’impresa o tesi si avvalora sempre di piu’se trova contestazioni aspre, sempre meglio che essere ignorati.