Fritz Stammberger, alpinista e spia?
di Giampiero Assandri
(già pubblicato su lafiocavenmola.it il 18 ottobre 2016)
Se Fritz Stammberger (Monaco, 22 giugno 1940 – Tirich Mir (Pakistan), ottobre 1975) sia stato solamente un alpinista fortissimo e uno sciatore estremo, o se invece abbia avuto un ruolo come spia russa, oppure al soldo della CIA con l’incarico di controllare la remota zona del Chitral (Hindukush), al confine tra Afghanistan, Pakistan ed ex Unione Sovietica, nessuno lo ha mai chiarito. Questo potrebbe sembrare l’incipit per un romanzo di pura fantasia, invece si tratta di una storia vera cui manca un finale certo.
Un paio d’occhiali da sole, una carta geografica e una piccozza rinvenuti nel 1978 sulle pendici del Tirich Mir, nella zona dove Fritz si era recato nel settembre del 1974 per realizzare il suo progetto di salita solitaria a questa montagna che con i suoi 7690 m è la più elevata della catena montuosa dell’Hindukush, sono tutto ciò che rimane di lui.
Quel che sappiamo per certo è che è stato il primo a tentare di salire e scendere da una montagna di 8.000 metri con gli sci – il Cho Oyu – nel lontanissimo 1965, ben prima che lo svizzero Sylvain Saudan affrontasse in sci con successo il Gasherbrum, nel 1982. Per inciso Saudan nel 1962 e 1963, dopo aver conseguito il brevetto di maestro di sci, esercitò la professione di istruttore proprio ad Aspen, in Colorado, dove Stammberger si era trasferito in quegli anni e dove svolgeva la medesima attività: dunque è molto probabile che i due si siano conosciuti e influenzati a vicenda, affinando la tecnica dello sci ripido, spezzando barriere tecniche e psicologiche e facendolo assurgere a disciplina specifica e autonoma rispetto all’alpinismo.
Le notizie circa la discesa in sci del Cho Oyu reperite su internet non sono sempre concordanti: la più attendibile è quella riportata sull’annuario on line del Club alpino americano del 1965 http://publications.americanalpineclub.org/ (NOTA 1), che riferisce:
“Cho Oyu. Una spedizione tedesca guidata da Rudi Rott al Cho Oyu (26.750 piedi), la settima montagna più alta del mondo, ha tentato la sua terza salita e la prima con gli sci. Durante il periodo di acclimatazione Fritz Stammberger e la Sherpa Aila hanno… (omissis). Il 15 aprile è iniziato l’attacco al Cho Oyu. Il 26 aprile Huber, Stammberger, il Dr. Alois Thurmayr e lo Sherpa Phu Dorje hanno lasciato Campo IV a 23.600 piedi per il primo tentativo alla vetta. Stammberger e Phu Dorje hanno raggiunto un punto a 150 piedi (= 45 m. n.d.a.) sotto la parte sommitale, dove lo Sherpa si è fermato mentre Stammberger è salito da solo in vetta. Gli altri due alpinisti sono stati raggiunti in discesa e hanno deciso di tornare al campo IV, da cui speravano di fare un altro tentativo. Dopo due giorni nel campo alto, si è reso evidente che nessun ulteriore tentativo sarebbe stato possibile. In effetti, quando i tre sahib sono usciti dalle tende per iniziare la discesa (Phu Dorje era già sceso per rifornirsi di combustibile ormai esaurito), Thurmayr e Huber erano troppo deboli per muoversi. Stammberger allora ha deciso di scendere con gli sci da solo per cercare aiuto. La via di salita in sci si era dimostrata impraticabile negli ultimi 2000 piedi (corrispondenti a 610 m), e dunque si deduce che la discesa abbia avuto inizio a circa 7580 m (7272 m. secondo altra fonte), sempre che i “2000” piedi riportati non siano un riferimento approssimativo in mancanza di un dato certo (NdA). Quando due giorni dopo i soccorritori, tra cui l’infaticabile Stammberger raggiunsero il Campo IV, trovarono Huber già deceduto e Thurmayr in delirio. Con una slitta portarono lo scalatore indebolito verso il basso, ma Thurmayr morì il 7 maggio, durante l’evacuazione tra il campo III e il campo II“.
Fritz venne incolpato di non essersi prodigato abbastanza per salvare i due compagni e anzi di averli abbandonati. Anche se in seguito venne chiarito che aveva fatto l’unica cosa possibile, ossia scendere il più rapidamente possibile per organizzare i soccorsi, il peso di quelle polemiche lasciarono su di lui una specie di marchio negativo da cui non si liberò mai del tutto. A quella data, anche se la discesa non ebbe inizio dalla vetta, essa costituiva la massima quota raggiunta in sci, come riportato nel titolo di un articolo dello stesso Stammberger sulla rivista Sky magazine del dicembre 1965 (NOTA 2).
Aspen e le prime imprese alpinistiche e sciistiche
Aspen è una cittadina situata a più di 2400 metri in Colorado, nella contea di Pitkin, circondata da catene montuose che superano i 4000 metri, un tempo centro minerario e divenuta poi rinomata stazione sciistica. Fritz vi si trasferisce nel 1963, dopo aver trascorso alcuni anni, giovanissimo, girando per l’Asia, in particolare in Pakistan e in Giappone, alternando l’insegnamento della lingua tedesca a quello dello sci e scalando nel tempo che gli restava. Ad Aspen intraprese un’attività di editore di montagna accanto a quella di istruttore di sci nella scuola locale, la stessa dove esercitava Saudan, mentre il resto del tempo libero lo passa ad allenarsi. Non gli difettava il “physique du rôle” dell’agente segreto: bell’aspetto, prestante, dotato di forza e resistenza straordinarie e un certo fascino nelle relazioni sociali. Si narra che per potenziare forza e resistenza portasse uno zaino carico di pietre e che sciasse in inverno senza guanti e ancora che corresse tutte le mattine, d’inverno, con in mano due palle di neve. Durante una ricognizione in Antardide, preliminare a un’ipotesi di spedizione in quell’area, lasciò di stucco l’equipaggio della nave facendo il bagno tra gli iceberg! Era anche un ambientalista della prima ora, salutista e contrario alla pubblicità del tabacco, tanto che manifestò contro una gara sponsorizzata da un noto marchio di sigarette ad Aspen. Nella seconda metà degli anni Sessanta realizza alcune salite di notevole livello e anche numerose discese sulle più impegnative pareti delle montagne statunitensi, tra cui alcuni quattromila:
– la discesa dell’Hayden Peak 3805 m;
– la discesa del Grizzly Peak 4265 m;
– la prima salita invernale del Pyramid Peak 4274 m nel 1969, ultima cima della lista dei cosiddetti “fourteeners” (NOTA 3) che ancora non era stata raggiunta in inverno;
– la prima e una delle poche sciistiche del versante nord del Maroon Peak Nord, anch’esso un “fourteener”, con strettoie obbligate, salti di roccia e tratti superiori a 50 gradi, senza supporti esterni e senza corda, nel 1971. Nella stessa primavera Bill Briggs scese la parete nord del Gran Teton in Wyoming: queste due discese sono state ritenute per anni il livello massimo dello sci estremo negli Stati Uniti;
– la prima sciistica, con Gordon Whitmer, del Capitol Peak 4309 m nel 1972.
Parete nord del Maroon Peak Nord. Foto: Alex Platt (2009)
Queste e molte altre imprese erano pressoché inconcepibili per la mentalità tradizionale dello sci in America in quegli anni, ma non gli dettero la popolarità che lui si sarebbe aspettato e cui ambiva, anche per poter vivere di sola montagna. La realtà dello sci statunitense di quel periodo, a parte un numero ristretto di addetti, non era ancora in grado di valutare e apprezzare il formidabile balzo in avanti realizzato da Stammberger. La stampa locale gli dedicò qualche notizia, ma la sua fama rimase piuttosto circoscritta. A deludere ulteriormente le sue aspettative intervennero anche alcuni fallimenti in Himalaya, tra cui il tentativo al Makalu del 1974 (NOTA 4).
In quegli anni frequentò e divenne amico di Bill Dunaway, un veterano ex-militare divenuto giornalista, che tra il 1956 ed il 1990 realizzò una fortuna nel campo dell’editoria incominciando con l’acquisizione dell’Aspen Weekly Times, lo storico giornale della cittadina. Il nome di Dunaway sulle Alpi è legato alla prima discesa della Nord del Monte Bianco nel 1953, effettuata con la guida francese Lionel Terray.
1962. Primo tentativo in solitaria di Stammberger al Tirich Mir, ventiduenne. Dall’American Alpine Journal (AAJ) del 1963: “Due spedizioni hanno tentato la salita al Tirich Mir (25,267 piedi) la scorsa estate. In primo luogo, il tedesco Fritz Stammberger, salendo da solo, ha piazzato una serie di campi raggiungendo circa 20.000 piedi quando è stato investito da una valanga da cui è riuscito a emergere con la testa riportando solo lievi ferite. Al suo ritorno al campo base, ha incontrato il gruppo americano di Felix Knauth, Peter Newell e Bill Bartlett, dal quale ha ricevuto soccorso. Gli americani hanno impiegato tre settimane e una mezza dozzina di eccellenti portatori locali per stabilire i campi fino a 20.000 piedi lungo un percorso diverso. Giunti al loro campo più elevato, 21.500 piedi, sono stati bloccati da cinque giorni di neve e costretti alla ritirata forzata per il grave pericolo valanghe (Felix Knauth)”. (NOTA 5).
1973. Secondo tentativo al Tirich Mir. Dall’AAJ del 1974): “Bill Dunaway, Chuck Hall, Fritz Stammberger, Vern Read ed io abbiamo tentato la via Sud lungo il Ghiacciaio di Barum, tracciata con successo dalla spedizione norvegese del 1950. Abbiamo organizzato il viaggio in meno di un mese. Dopo aver lasciato Aspen, il 5 maggio, abbiamo raggiunto il campo base a 11.400 piedi l’11. Sono seguiti il Campo I a 14.500 piedi, piazzato in tre giorni e i Campi II e III (17.000 e 19.500 piedi) senza portatori. La neve inconsistente ha reso difficoltosa la progressione e pericoloso il raggiungimento della sella, situata a 21.500 piedi, dove è stato collocato il Campo IV. Nevicate pesanti durante la notte hanno causato numerose valanghe da tutti i fianchi della montagna. Non potendo aspettare il miglioramento delle condizioni abbiamo rinunciato rientrando in tre giorni nella bella Chitral e poi abbiamo raggiunto l’aeroporto il 4 giugno (David Michael)”.
1974. Tentativo al Makalu, con gli amici Bill Dunaway e Andre Ulrich, un ristoratore e alpinista di Aspen che di Fritz disse: “Come arrampicatore non era molto tecnico, ma era dotato di una forza e di una resistenza sovrumane, allenato alla fatica ed al freddo da esercizi inverosimili”. La spedizione era composta da 13 alpinisti e l’obiettivo era l’inviolata parete sud senza ossigeno. Dopo un mese di assalti la squadra di punta, tra cui Stammberger, dovette fermarsi a circa 8230 metri, bloccata nella tenda dell’ultimo campo da venti fortissimi e nevicate.
Luna piena sul Tirich Mir. Foto: Brian A. Vikander/CORBIS, aprile 1984
Il Tirich Mir e la scomparsa
Tirich Mir designa un gruppo montuoso immenso, con due picchi principali: il massiccio è somigliante a un polipo, con il capo che comprende le due cime gemelle di 7708 m e 7692 m, mentre numerose catene laterali con vette superiori a 6700 metri si staccano come tentacoli ricurvi. La vetta più elevata venne scalata da una spedizione norvegese nel 1950 e lo stesso capo spedizione, Arne Næss, nel 1964 raggiunse anche la seconda cima lungo una via più difficile che percorre il ghiacciaio Barum Sud (NOTA 6).
1975. E’ l’anno del tentativo solitario di Stammberger alla montagna.
E’ difficile capire perché Fritz abbia deciso di ritornare ancora al Tirich Mir, una montagna che, seppur prestigiosa, non possedeva a quei tempi il fascino sfidante di una salita senza ossigeno agli Ottomila. Al Tirich, come si è visto, aveva già fallito due volte, la prima nel 1962, in un tentativo solitario, la seconda nel 1973, costretto alla ritirata e con un ferito tra i componenti della spedizione. Forse era spinto dal desiderio di chiudere un conto in sospeso, oppure quella salita rappresentava solo un ulteriore campo di prova per il tentativo all’Everest, la montagna che voleva salire per primo senza ossigeno. (Sarà invece Reinhold Messner nel 1978 a realizzare questa impresa). Fritz partì in settembre per tentare la salita solitaria e fu visto l’ultima volta il 27 di quel mese nel villaggio pakistano di Parpish. Dopo quattro settimane di inutile attesa ebbero inizio le sue ricerche. I primi a cercarlo furono due suoi amici di Aspen, Bill Dunaway e George Vicenzi, recatisi in Pakistan nel novembre 1975. Dopo alcune settimane di perlustrazione, sia a piedi, sia in elicottero, dovettero rinunciare. Tutto quello che trovarono furono alcune attrezzature presso il campo base. L’anno successivo furono fatte indagini in Pakistan e nei Paesi confinanti nella speranza che Fritz potesse essere stato catturato e fatto prigioniero da gruppi militarizzati. Ma nessun risultato fu conseguito e a mano a mano che i mesi passavano la maggior parte degli amici accettò il fatto che fosse scomparso in qualche crepaccio o in una zona inesplorata. Tre anni dopo, durante l’estate del 1978, un alpinista canadese riferì di aver rinvenuto un cadavere parzialmente mummificato sui pendii superiori della montagna, ma non fu in grado di determinarne l’età, le dimensioni, e tantomeno la data della morte, né pensò di portare giù qualche elemento per una più completa identificazione. Nell’articolo si dice che furono rinvenuti anche un paio di occhiali da sole, una piccozza e una mappa, che avrebbero potuto appartenere a Stammberger, in un crepaccio.
Incidentalmente ricordo qui che circa un mese prima della scomparsa di Stammberger, gli alpinisti italiani Guido Machetto e Gianni Calcagno riuscirono a salire il Tirich Mir due volte in pochi giorni, per la via dei Cecoslovacchi e per il nuovo itinerario della via degli Italiani.
Il matrimonio tra Janis Pennington e “la spia”
Ma tutto questo sarebbe solo una collezione di avventure, per quanto straordinarie, accadute a un giovane alpinista morto precocemente come molti altri. Invece di lui e della sua misteriosa scomparsa si è continuato a parlare per decenni e ancora quest’anno (2016), Jeff Long, famoso alpinista e divulgatore statunitense, che gli fu amico e compagno al Makalu e in altre imprese, ha fatto uscire un lungo articolo su Ascent dal titolo Searching for Superman, aggiudicandosi il premio per il miglior articolo dal Banff Mountain Film and Book award: inutile dire che chi volesse documentarsi troverebbe in questo articolo della rivista americana notizie di prima mano certamente più approfondite rispetto a questa mia modesta ricerca.
Ed ecco dunque il (forse) lato oscuro della vita di Fritz. Nel 1973 Stammberg conosce la scultorea modella Janice Janis Pennington, che dopo aver occupato le pagine centrali di Playboy come playmate del mese di maggio 1971, divenne per 28 anni una delle vallette fisse della popolare trasmissione TV The price is right, format replicato in mezzo mondo compresa l’Italia. I due dunque si incontrano nel ’73 e nel maggio 1974 si sposano: per entrambi è il secondo matrimonio.
Janis avrà un ruolo determinante nel mantenere alta l’attenzione sulla scomparsa del marito, grazie o a causa delle sue ricerche giunte persino a Mosca e delle interviste rilasciate alla TV e al libro scritto nel 1994 (NOTA 7).
Le vicende narrate dalla donna lasciano piuttosto interdetti circa la loro veridicità: hanno l’aria di essere una montatura architettata dalla soubrette per occupare la scena del gossip e crearsi una popolarità nazionale, o almeno un tentativo di respingere con il cuore la verità più probabile e più dolorosa. Sta di fatto che la bionda e avvenente ragazza dagli occhi azzurri si dà da fare come una moglie innamorata che non si rassegna alla morte del marito di cui non si è trovato più alcuna traccia: inizia una ricerca presso i ministeri, la polizia, l’FBI, interessa il governo tedesco, va a Mosca, nella speranza di scoprire qualcosa, magari che è ancora vivo, in qualche prigione, oppure che è stato ucciso, basta non rimanere con il dubbio che la tormenta e che le rende difficile continuare il suo lavoro e anche la vita. La stampa, anche internazionale, ogni tanto ritorna sulla vicenda, così il 26 ottobre 1982 esce un articolo sul The Moscow Times dal titolo One woman’s quest for truth in cui si dice: “An american television celebrity will meet with Moscow officials this week seeking answers to a 17-year-old mystery concerning her first husband’s…” In realtà ad essere precisi Fritz non era stato il suo primo marito, bensì il secondo, e a Mosca ci andò con il terzo, Carlos de Abreu, un uomo d’affari che aveva sposato nel 1980. Nella capitale sovietica i due non ebbero risposte, o perché Fritz non era una stato una spia, o perché, se lo era stato, il KGB di certo non avrebbe rivelato loro notizie riservate, né su un loro agente, né su un agente nemico eliminato. Tra gli indizi portati a sostegno della tesi che Fritz Stammberger fosse una spia vi erano i seguenti:
- a) come mai il giovane Fritz aveva lasciato la Germania per venire in America dopo un periodo trascorso in Pakistan?
- b) perché aveva sposato in quattro e quattr’otto una donna dello spettacolo che non sembrava avere molte affinità con lui?
- c) perché girovagava, spesso senza autorizzazione, nelle zone sul confine sovietico, a quei tempi non molto tranquille?
A queste domande si può benissimo fornire una risposta logica senza necessariamente concludere che occorre essere una spia per fare quelle scelte: basta essere un giovane alpinista forte e ambizioso. A ben vedere non è stato neanche il primo caso di alpinista famoso che sposa una fotomodella di Playboy: anche Rossana Podestà ebbe questa sorte prima di legarsi nella vita a Walter Bonatti. A maggior ragione ci si può invece chiedere:
- a) perché mai una spia sceglierebbe un’attività di copertura così impegnativa e rischiosa come quella dell’alpinista e sciatore estremo?
- b) come farebbe una spia a conciliare i tempi e l’impegno propri di questa “professione” con quella almeno altrettanto esclusiva e totalizzante che conduceva Stammberger ad Aspen e in giro per le montagne del mondo?
- c) anche se non fosse morto per un incidente alpinistico, bensì catturato e ucciso da qualche banda armata di tribù locali, occorre necessariamente essere una spia per finire ammazzati e fatti sparire in una zona remota, politicamente instabile e presidiata militarmente?
Bisogna però tener presente che nel 1974 l’Afghanistan era interessato da forti tensioni interne, con l’URSS che si stava muovendo per annetterlo alla propria zona di influenza e gli USA fortemente preoccupati da questa strategia espansionistica, situazione dunque che poteva giustificare la presenza di una spia per così dire “specializzata” nei movimenti in zone montuose di difficile accesso, di fatto impraticabili per un comune militare per quanto addestrato.
Una più recente Janice Pennington
A completamento del quadro possiamo ricordare gli antecedenti che portarono al contesto politico della zona (1974).
Nel 1929 l’Afghanistan divenne monarchia e lo rimase fino al 1973. A partire dagli anni ’50 crebbe l’ostilità con il Pakistan e parallelamente il governo divenne maggiormente filosovietico. Nel 1964 il Primo Ministro emanò una Costituzione maggiormente liberale, lasciando spazio in parlamento a esponenti nominati dal popolo. Queste aperture democratiche consentirono l’emergere di oppositori e di movimenti estremisti, tra cui il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA), comunista, non riconosciuto e con stretti legami ideologici con l’Unione Sovietica. Tra le accuse di corruzione e disonestà rivolte alla famiglia reale e la precaria situazione economica causata dalla grande siccità del 1971-1972, il 17 luglio1973 l’ex primo ministro Mohammed Daoud Khan conquistò il potere con un colpo di Stato militare mentre il re Zahir Shah era in visita in Italia, dove trovò asilo politico. Fu così scritta la parola fine sulla monarchia in Afghanistan. I tentativi di portare a compimento riforme economiche e sociali grandemente necessarie incontrarono scarso successo, e la nuova costituzione promulgata nel febbraio 1977 non riuscì a domare una cronica instabilità politica.
Mentre la disillusione cresceva, il 27 aprile 1978 il PDPA diede vita a un sanguinoso colpo di Stato (la cosiddetta “rivoluzione di aprile”), che si concluse con il rovesciamento e l’assassinio di Daoud e di gran parte della sua famiglia. Noor Mohammed Taraki, segretario generale del PDPA, divenne presidente del Consiglio rivoluzionario e primo ministro dell’appena costituita Repubblica Democratica dell’Afghanistan, fortemente sostenuta dall’URSS. Da allora ha inizio l’interminabile guerra civile, con URSS e USA che partecipano attivamente per evitare di perdere un’area di grande importanza strategica ed economica.
La moglie di Fritz comunque ha continuato ad alimentare i sospetti di una morte non accidentale con varie dichiarazioni e interviste. Tra queste una televisiva, risalente al 1992 e che si può ascoltare su You tube, in cui dice: “Una volta Fritz mi disse: “Janis, un giorno potresti sentire su di me qualcosa di strano. Ma penso di conoscerti abbastanza bene per sapere che non crederai a quelle cose…
Che cosa dovrei mai sentire su di te?
Che probabilmente sono una spia russa“.
Non so, non avendolo letto, se l’articolo di Jeff Long Searching for Superman sopra ricordato aggiunga qualcosa su questo aspetto, immagino però che si incentri sulle doti alpinistiche e umane di Fritz, che avrebbe desiderato e meritato di diventare un personaggio, però da vivo!
La giusta conclusione di questo enigma rimasto insoluto potrebbe essere il laconico e ironico commento lasciato da un visitatore al video su Youtube dell’intervista alla Pennigton: “A Soviet agent lost his pricing game on TPIR and exacted his revenge (un agente sovietico ha perso la partita in una puntata della trasmissione Il Prezzo è Giusto e ha preteso il risarcimento)”.
NOTE
(1). American Alpin Journal (AAJ). Climbs and Expeditions. Volume 14-Issue 2. Publication Year 1965, pag. 463.
(2). Ski Magazine. Skied Higher Than Any Man (Cho Oyu) by Fritz Stammberger. Issue dec. 1965, pag.82.
(3). Nel linguaggio alpinistico americano si indicano così le cime superiori ai 14.000 piedi, ossia ai 4267 m, che assommano a ben 96, di cui molte si trovano in Colorado.
(4). American Alpin Journal (AAJ). Section Climbs and Expeditions. Volume 20. Issue 1, 1975. Pag. 194 (reperibile on line sul sito: http://publications.americanalpineclub.org/articles/12197519402/Asia-Nepal-International-Makalu-Expedition). Relazione a firma di Fritz Stammberger, uscita nello stesso anno della sua scomparsa sul Tirich Mir.
(5). American Alpin Journal (AAJ). Section Climbs And Expeditions, 1963, pag. 526.
(6). The Himalayan Journal. Volume 26, 1965. Editor: Dr K. Biswas.
(7). Husband, lover, spy – a true story, di Janis Pennington con Carlos De Abries, 1994.
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Che storia, al di là dell’alpinismo!