Greenpoint – 02

Greenpoint (seconda parte)
di Andrea Gennari Daneri
(pubblicato su Pareti n. 134)

Alessandro Larcher

Alessandro Larcher
Alessandro Larcher, figlio di Rolando, garista e climber sportivo, fino a poco tempo fa non c’entrava nulla col trad e col greenpoint, ma è stato fulminato dall’idea di tentare coi friend il tiro probabilmente più difficile che in Italia sia stato realizzato in questo stile su roccia calcarea. Buona la prima, ecco il suo racconto.

«Bombo Balla è una via chiodata da Valerio Ballardini al Bus de Vela, falesia vicina a Trento. Per diversi anni l’ho provata saltuariamente, a causa della difficile e complicata prima sezione che ripetutamente non riuscivo a superare.

Anno dopo anno aspettavo paziente, sperando di essere migliorato e di poterla finalmente salire; ma niente, ogni volta era la stessa storia. Tutto ciò era frustrante perché ero in grado di salire anche in giornata vie sulla carta più dure, ma su Bombo niente, nemmeno un misero miglioramento.

Nuovo anno, nuovo tentativo, nuovo bastone, nuova lezione di umiltà e quindi nuova falesia la volta successiva. Era un loop che pareva destinato a durare all’infinito.

A ottobre, tornato sulla via, sin dal primo giro mi sono reso conto che le cose erano cambiate: come per magia le prese della prima sezione non mi parevano più così brutte e per la prima volta sono riuscito a risolvere tutti i passi. Mentre tornavo verso casa ero esterrefatto: finalmente Bombo Balla mi era sembrata fattibile!

Alessandro Larcher durante la salita greenpoint di Bombo Balla, 8b+. Foto: Martin Giovanazzi.

La settimana successiva la motivazione era più alta che mai, volevo farla e sapevo che era possibile.

Dopo un giro di ricognizione mi sono ritrovato pulito in catena, non potevo crederci, ero felicissimo, ma allo stesso tempo un po’ amareggiato. Perché nel tempo mi ero affezionato alla via: Bombo ha rappresentato una sorta di test nel mio percorso di sviluppo nell’arrampicata e ogni volta che la ritentavo mi faceva capire che non ero ancora abbastanza forte, che dovevo impegnarmi di più.

Ora l’esame annuale era stato passato, si era lasciata superare senza opporre troppa resistenza e non c’era stata l’epica battaglia finale che mi sarei aspettato e che, alla fine, avrei pure voluto.

Mentre mi stavano calando dalla sosta, però, mi venne un’idea: dato che Bombo Balla è ricca di buchi e di clessidre naturali, pensai: “forse si potrebbe salire anche trad”.
Scalarla in quello stile sarebbe stata la degna conclusione del percorso!

C’era un problema però… io un friend non l’avevo mai messo e di trad climbing, ad essere sincero, non ne sapevo quasi nulla.

La sera stessa, arrivato a casa, ho parlato con il mio babbo (anche lui scala e i friend li sa usare bene…). Gli ho chiesto consigli sulla scalata trad e le sue dinamiche e gli ho spiegato la mia idea. Nonostante all’inizio fosse un po’ scettico, quando ha capito che volevo provarci realmente, mi ha aiutato a capire cosa fosse meglio fare e come comportarmi sul tiro. L’incognita rimasta era solo una: non sapevamo se il tiro fosse completamente proteggibile.

Alessandro Larcher durante la salita greenpoint di Bombo Balla, 8b+. Foto: Martin Giovanazzi.

L’ispezione di Babbo Rolando
Siamo quindi tornati al Bus qualche giorno dopo con due mezze corde, lo zaino pieno di friend e il caschetto; mio padre, a seguito di un’attenta ispezione sulla via, mi ha spiegato quali friend potessi/dovessi usare e soprattutto come utilizzarli in sicurezza.

Il progetto era realizzabile: le protezioni c’erano tutte, anche se meno rispetto agli spit presenti, ma nessun tratto risultava eccessivamente scoperto.

I runout su friend aggiungevano ulteriore difficoltà sul piano psicologico, quel pepe che cambiava le carte in tavola, e mi intimorivano assai, data la mia pressoché inesistente esperienza nel trad.

Dopo un briefing organizzativo era il momento di passare all’azione e provare a posizionare i friend.

Fin da subito mi è parso chiaro che la realtà dei fatti era ben più complicata e che le variabili da tenere in conto per incastrarli bene non erano poche.

Una volta piazzato tutto il materiale era giunto il momento di fare un primo test, qualche volo programmato nei punti chiave della via per prendere fiducia nelle protezioni e soprattutto per vedere se fossi stato in grado di metterle in modo appropriato. E alla fine…Test superato!

A fine giornata ho preso coraggio e ho deciso di provare a fare un giro riuscendo a salire fino in catena pinkpoint (da primo e senza cadere ma con i friend e le altre protezioni già posizionate).

Era un grande risultato e con la mente già pensavo a quando sarei tornato.

Non stavo più nella pelle, era una bella sensazione rendermi conto di poter salire addirittura trad una via che fino a poche settimane prima ritenevo quasi impossibile per le mie capacità.

Alessandro Larcher durante la salita greenpoint di Bombo balla, 8b+. Foto: Martin Giovanazzi.

Il giorno dell’emozione
Oggi è IL giorno! Mi scaldo facendo un giro a resting, pulendo le prese, ripassando le method e il posizionamento dei friend.

Molti dubbi mi assalgono, ho paura di fare errori soprattutto nel piazzare il materiale. So che la base per questa salita è la tranquillità; se mi agito spreco energia e la probabilità di cadere aumenta. Riposo un po’, ascolto un po’ di musica per caricarmi e poi parto. Tocco la roccia, metto il primo friend e mi sento rilassato, freddo e determinato. Salgo la prima parte non troppo intensa e arrivo al riposo prima della sezione che per anni mi aveva respinto, metto i friend e sono così determinato e concentrato che passo agile sul primo blocco. Non sto scalando, mi sembra di fluttuare, guardo giù, l’ultima protezione è lontana e non poco, ma sto bene. Faccio il lancio di mano destra alla fine della sezione e proseguo per arrivare al secondo riposo, nonché la mia prossima protezione, una grossa clessidra dove metto una ghiera nel cordino passante. La moschetto, riposo bene, riparto. Risolvo anche il secondo blocco, questa volta non proprio super solido, ma comunque non cado. Altra clessidra, ultima protezione, adesso rimane solo la parte finale di resistenza su tacche. La conosco a memoria ma devo tenere i nervi saldi perché la catena dista circa 8 metri e sono sprotetti. Supero la sezione e arrivo sugli ultimi facili metri. Mentre salgo mi godo a fondo quei movimenti/momenti che rappresentano la conclusione di un bellissimo percorso. Moschetto la sosta di Bombo Balla e questa volta una grande soddisfazione mi avvolge, il percorso è completato e ora ha un degno finale».

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Massimo Bruseghini è scomparso nel 1999 in un incidente stradale sulla statale della Valtellina. Bruse, o Vigne a seconda delle versioni degli innumerevoli amici, non era solo uno dei più forti e costanti garisti italiani; è stato anche il padre del greenpoint italiano. Ma in questo caso senza saperlo, senza volerlo e senza cercare di farne una scuola. Lui era un ciclone di spontaneità. Si fissava che una cosa per lui era una magata e la faceva o si allenava per farla meglio, buttandoci dentro sempre il 110% dell’energia. Così ha percorso a friend e dadi molte delle vie dure dello Zoia, dove le fessure sono poche, irregolari e spesso orizzontali. Negli anni ’90. In Italia.

E’ stato un po’ frustrante cercare invano una foto che so di avere da qualche parte e che forse un giorno salterà fuori, beffarda. Ma è stato emozionante che Richard Colombo, Ivan Pegorari e Luca Canon Zardini si siano fatti subito in quattro per recuperare dai ricordi queste vecchie foto di un grande amico andato via presto. Ciao Bruse, è stato bello conoscerti e volerti bene anche se ci si vedeva solo ogni tanto.

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Massimo Bruseghini in isolamento pre-gara a Cortina, nel 1999. Foto: Luca Zardini.

Massimo Bruseghini
di Matteo De Zaiacomo

La storia della Val Malenco è direttamente legata alla storia della sua pietra. Il Serpentino! Le attività di estrazione e successiva lavorazione di questa pietra hanno origine medioevale e a partire dall’anno 1000 circa nacquero e si svilupparono i mestieri ad essa legata: cavatore, scalpellino, posatore. Il mestiere che ci interessa però aspettò il ventesimo secolo prima che a qualcuno venisse l’idea di arrampicare sul serpentino. I sassisti non si lasciarono sfuggire l’occasione. Questa roccia ha la particolarità d’essere particolarmente resistente all’aggressione degli agenti atmosferici o agenti esterni, motivo per cui veniva impiegata per rivestire i tetti. Posso confermare personalmente, nei panni di agente esterno armato di trapano, quanto sia maledettamente duro il serpentino.

Massimo Bruseghini e il rito delle note post training sul bunker di casa (1997). Foto: Richard Colombo.

Ma una delle cose più belle della pietra oltre la sua qualità è la sua onestà. La pietra conserva in sé le tracce più o meno evidenti del nostro passato, del presente e in qualche modo ci aiuta anche a poter capire il futuro. La pietra della Val Malenco ci racconta tante storie, talvolta attraverso una cava dismessa o magari fermandosi ad osservare il tetto di una casa sul lago di Como, altre volte invece arrampicando. La storia che mi ha raccontato il serpentino è stata importante perché ho potuto conoscere le idee di una persona soltanto toccando la roccia dove lui era passato prima di me. Per anni era nascosto, tra i muri nero e arancio della Val Malenco, un messaggio, ed è ancora lì! Immutato nel tempo e perfettamente conservato nella pietra: Massimo Bruseghini. Non ho mai conosciuto Massimo personalmente, ma ho ancora in mente il giorno del suo funerale alla chiesa di Caspoggio. Non ero andato di mia iniziativa, io avevo solo 6 anni, ma mio padre voleva essere lì a dargli un ultimo saluto. In quel momento non avrei mai immaginato quante volte lo avrei incontrato tra le pieghe del serpentino. Massimo è tragicamente scomparso in un incidente d’auto nel 1999. È stato uno dei massimi interpreti dell’arrampicata sportiva, si dice ancora oggi di quanto fossero duri e mirati i suoi allenamenti. È stato un trascinatore per gli arrampicatori valtellinesi e ha regalato a tutti noi climber una delle falesie a mio parere più belle in assoluto, la falesia dello Zoia.

Massimo sul tetto netto di Viaggio nel futuro, 7c+, a Finale (1997). Foto: Richard Colombo.

Una volta, per esempio, ho incontrato Massimo mentre eravamo alla ricerca di una falesia che ci permettesse di spostare di qualche tacca l’asticella della difficoltà e ci trovammo ai piedi di un muro liscio con solo il nome dei tiri scritti alla base e le soste in cima. Non è difficile capire quale fosse stata l’intenzione di Massimo in quel caso. Finimmo di sistemare la sua visione e nacque la falesia delle Terrazze. Tutti tiri duri! Avevo 14 anni e ho imparato a chiodare in quell’occasione e in un certo qual modo devo ringraziare proprio Massimo. La falesia dello Zoia invece ha una particolarità che mi piace tantissimo: i lavori iniziarono nel 1993, il mio anno di nascita, si racconta che in una delle rarissime giornate di recupero dagli allenamenti Massimo si fosse trovato sotto questo muro di serpentino liscissimo, tagliato da tante fessure superficiali come a crearne una scacchiera nera e arancio. Preso dall’entusiasmo la settimana dopo era lì, ma non con il trapano, soltanto con nut e friend. Nacque così una serie di linee impegnative sia dal punto di vista tecnico che psicologico. A conferma delle performance la falesia ha la particolarità di avere scritto alla base delle vie sia il grado inglese che quello francese.

Massimo Bruseghini su La pelle, 8a bloc, a Cresciano (1997). Foto: Richard Colombo.

La falesia è oggi spittata e questo avvenne con il consenso e il lavoro di Massimo, come fosse un gesto d’altruismo affinché chiunque potesse godere della bellezza di quel posto. Giocare con le proprie regole non vuole dire imporle agli altri. Il settore basso, che accoglie i tiri più difficili, fu chiodato e interpretato esclusivamente in chiave sportiva e fu realizzato dopo la sua scomparsa. Ed è per questo che quando riuscii per la prima volta a trovare una logica di protezioni e prese per vincere in chiave trad l’impressionante muro nero mi son sentito di aver riscoperto la vera natura di questa falesia. Ma ancora una volta in un certo qual modo era stato Massimo a indicarmi anche questa strada. Poi, ancora, mi trovai appeso a una statica nello stesso posto di Massimo ma circa 20 anni dopo. Appena sotto Chiesa Valmalenco, c’era un tiro ancora da liberare spittato ma da sistemare; lo provai e trovai anche la possibilità di salirlo trad. Riuscii a salirlo piazzando le protezioni e si presentò un rarissimo caso di un tiro spittato ma liberato solamente con l’uso di protezioni tradizionali. Mi interrogai sul senso di quegli spit ma non mi sarei mai e poi mai permesso di toglierli. Massimo mi aveva già spiegato che giocare con le proprie regole non dava il diritto di imporle agli altri. E quindi quel muro di serpentino è ancora lì con due diverse interpretazioni. Come avrebbe fatto Massimo Bruseghini.

Greenpoint per tutti
E’ ovvio che ogni disciplina abbia sia le sue punte di diamante, come quelle che vi abbiamo presentato, sia i tanti praticanti più “normali” che dai big prendono ispirazione. Il greenpoint può essere una attività davvero estrema così come anche poco più che “turistica”, per coloro che vogliono aggiungere qualche brividino alla loro domenica, ma senza rischiare di dormire all’ospedale. Il greenpoint è anche una ottima iniziazione per il trad puro: ci sono anche gli spit e se un piazzamento non ti è riuscito bene e non ti fidi, oppure se il chiave è troppo aleatorio per il tuo livello, puoi anche optare per un “greenpoint misto” e mettere uno spit ogni tanto. Non varrà come prestazione, ma ti sarai comunque divertito senza danneggiare niente e nessuno, avrai imparato qualcosa di più su te stesso e sul come si piazzano i pezzi.

Ma dove provare il greenpoint senza sembrare matti al resto del popolo?

In questa foto e quella seguente hanno prevalso gli spit…

Uno dei posti migliori del paese è senza dubbio proprio la mecca italiana ed europea del trad, cioè Cadarese, dove il primo dei dodici settori presenti era stato spittato malgrado fosse evidentemente quasi tutto proteggibile con materiale mobile. E’ una storia lunga che aveva portato feroci polemiche tra piemontesi (chiodatori) e lombardi (integralisti trad), culminato con la schiodatura arbitraria della più americana delle vie del settore che vi proponiamo, cioè il 7a di Crack a go-go, un capolavoro della natura che attualmente è disponibile all’estrema destra del settore, ma solo in versione trad con catena alla sosta. Ora i tempi delle azioni di forza, delle polemiche e anche degli scontri fisici sfiorati, sono terminati. “Peace, love and climbing” è tornato ad essere il motto anche di “Cadda” e il clima è uno dei più simpatici, scanzonati e meno competitivi che si possano trovare nei posti frequentati anche da “quelli che contano”, magari in fila per tentare il primo 9a mondiale trad (Tribe) o la famosa The Doors, al piano superiore. Per ingaggiarsi sulle assai più umane vie possibili anche greenpoint, trattandosi di fessure granitiche molto regolari, sono sufficienti i friend, ma talvolta anche grandi, anche 4/5 BD.

Andrea Gennari Daneri
Matteo della Bordella

Una cordata di due, ognuno con una dotazione decente di pezzi, potrà passare grandi giornate a decidere se scalare green o se lasciarsi, ogni tanto, tentare dai fix.

Per arrivare a Cadarese bisogna raggiungere Domodossola e proseguire per la Val Formazza fino a Premia e poi oltre, parcheggiando di fronte e dall’altra parte della strada rispetto alle Terme di Premia. Un sentiero taglia i prati e poi inizia a salire nel bosco. In 15′ si arriva alle prime rocce sulla destra, appena sopra c’è il settore che ci interessa. Corda da 70 m, doppia serie fino al 5BD, guantini consigliati.

3
Greenpoint – 02 ultima modifica: 2021-09-11T05:52:00+02:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Greenpoint – 02”

  1. Ho conosciuto Massimo ad un corso di kung fu a Sondrio. Ai tempi avevo 16-17 anni, è stato una meteora nella mia vita, ma mi ha lasciato tanta ammirazione e immenso dolore scoprire in seguito la sua scomparsa. La sua umiltà e disponibilità mi rimarrà nel cuore per sempre. Quando potevo mi allenavo due volte così di sera lui passando da Torre per andare a Caspoggio mi dava sempre uno strappo. Mi pacerebbe tantissimo che sentisse le mie parole perché mi commuovo ogni volta che penso a quel periodo e la disgrazia che gli è toccata. Neppure per caso, avendo un po’ frequentato la montagna da ragazzo scoprì che era un certo personaggio chiamato Vigneron, che lui non ebbe mai a dirlo nelle nostre chicchierate in auto. E persino avevamo delle conoscenze in comune senza saperlo. Solo dopo la sua morte scopri che era un atleta eccellente. Per me sarà sempre una persona dedita di rara fattura e intelligenza. Max, è stato un enorme previleggio per me averti incrociato. Ciao Bruse! Mi scuso con i suoi cari, per questo mio momento di nostalgia qualora leggessero il messaggio.

  2. Non stavo più into my skin, era a big sensation el poder  realizing , che i can rize addirittura trad una way a che fino a poche weeks inanti  ritenevo almost impossible per le mie skills.
    (e’ tutta invidia…del saper fare)

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