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Il Gruppo Alta Montagna ha 25 anni (1946-1971) (GPM 017)
di Gian Piero Motti
(pubblicato su Liberi Cieli n. 5, 1970)
1946: la guerra è appena finita, è ora di ricostruire, anche nell’alpinismo. I giovani alpinisti torinesi sono un po’ disorientati: i maestri Giusto Gervasutti e Gabriele Boccalatte sono caduti in montagna, lasciando un vuoto incolmabile; gli altri «grandi» dell’epoca d’oro ormai vanno invecchiando e certo non hanno più la forza e la voglia di radunare le file e di adeguarsi ai nuovi criteri che vanno sorgendo. C’è un’esigenza quindi di ritrovarsi, di unirsi, di andare in montagna insieme per conoscersi, per divenire amici e per portare altri ragazzi in montagna. Le scuole d’alpinismo allora non avevano certo lo sviluppo che hanno oggi e l’Accademico aveva ancora quel livello un po’ aristocratico che lo ha sempre contraddistinto: i giovani torinesi erano ragazzi in gamba, ma non disponevano di grandi mezzi, per lo più erano operai, gente che poteva andare in montagna solo la domenica, in treno o in bicicletta, qualche volta anche a piedi. Il campo d’attività erano le palestre torinesi, la Parete dei Militi, le montagne piemontesi, il Corno Stella, la Torre Castello. Il Monte Bianco, le Dolomiti, erano obiettivi per lo più irraggiungibili.
Così, soprattutto grazie all’opera di Giulio Salomone, si viene creando un gruppo di amici che tutte le domeniche si trovano ad arrampicare insieme alla Rocca Sbarua, ai Denti di Cumiana o alla Parete dei Militi. Nasce il Gruppo Alta Montagna, con caratteristiche esclusivamente torinesi, e subito si appoggia alla sezione Uget del CAI, di cui sarà sempre il punto di forza e di orgoglio.
Con il passare degli anni il Gruppo prende forza, carattere e consistenza e sotto la presidenza di Guido Rossa attraversa uno dei suoi periodi più brillanti. Ormai l’attività dei membri del Gruppo ha raggiunto un livello di tutto rispetto, sia nette Occidentali come nelle Dolomiti. Grazie ad arrampicatori come Rossa anche il livello tecnico compie un notevole passo avanti, sia in arrampicata libera che in artificiale. È ancora grazie ad Andrea Mellano che il Gruppo può ampliare il suo raggio d’azione e guardare senza timori alle «grandes courses» delle Alpi. Vengono demoliti i «tabù» che hanno sempre inibito l’ambiente torinese e gli alpinisti possono liberarsi di alcuni complessi che hanno sempre impedito loro di cimentarsi con un certo genere di salite. Non che mancassero gli uomini e tanto meno le capacità; ma si era venuta creando una mentalità strana, per cui alcune salite erano mitizzate, riservate solo a un’élite particolare.
Mellano con grande coraggio affronta a una a una la Nord del Cervino, la Nord delle Grandes Jorasses e la Nord dell’Eiger, di cui effettua la prima ripetizione italiana. Gli alpinisti torinesi incominciano finalmente a comprendere e a convincersi di essere preparati per qualsiasi genere di salite e cominciano ad uscire dal loro guscio. La personalità di Gianni Ribaldone ben presto si impone e realizza in Dolomiti ciò che Mellano ha saputo fare in Occidentali. Anche Ribaldone affronta le grandi ed estreme arrampicate dolomitiche e riporta i torinesi verso quelle montagne che erano sempre state guardate con un certo timore e con grande rispetto. Purtroppo Ribaldone cade al Couloir Gervasutti al Mont Blanc du Tacul: oltre al grande dolore resta il rammarico per ciò che Gianni avrebbe potuto dare a noi tutti.
Frattanto il GAM è andato via via ampliandosi. Ormai i suoi membri non sono solo più torinesi, ma tra le sue file figurano alpinisti pinerolesi, biellesi, genovesi, ed anche milanesi. L’attività va assumendo proporzioni eccezionali: non voglio entrare in rivalità con altri gruppi consimili, ma penso che pochi gruppi in Italia possano vantare un’attività come quella effettuata dai membri del GAM. Salite come la Nord delle Grandes Jorasses, la Nord del Cervino, la Nord del Triolet, la Bonatti al Dru, la Poire, il diedro Philipp, la Carlesso alla Torre Trieste, sono all’attivo di numerosi membri del Gruppo. Anche l’attività extra-europea ha assunto la sua importanza: lo testimoniano le numerose e brillanti spedizioni effettuate in questi ultimi anni.
Tuttavia il Gruppo non ha mutato quell’atmosfera caratteristica di amicizia e di semplicità un po’ scanzonata. E pur essendo oggi in molti, non per questo ci si sente meno legati.
In un recente numero della splendida rivista francese La montagne apparve un articolo a cura del formidabile Groupe Haute Montagne, dal titolo L’alpinisme a refaire. Proprio oggi, mentre l’alpinismo va assumendo forme in contrasto con i suoi veri valori, mentre sempre più si va cercando di abbattere la difficoltà a scapito del coraggio e della capacità, ci deve essere un gruppo che indirizzi i giovani alle grandi salite classiche, al ritorno all’arrampicata libera estrema, disprezzando tutti i meccanismi artificiali che uccidono la difficoltà. Sebbene più modestamente del GHM, il Gruppo Alta Montagna ha come primo programma futuro quello di riportare i giovani alle forme più vere e più genuine dell’alpinismo: le grandi salite classiche occidentali, compiute senza alcun appoggio esterno, valendosi solo dette proprie forze e della propria esperienza, l’arrampicata libera intesa soprattutto come arte e come sfruttamento spinto al massimo di tutto ciò che la roccia ci può offrire, le spedizioni extra-europee leggere ma decise a conquistare gli obiettivi prefissati.
È in questo senso che l’azione del Gruppo Alta Montagna potrà farsi valere e apprezzare anche nell’ambito dell’alpinismo italiano.
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Direi che la tendenza non si è invertita, anzi. Persino nelle scuole di alpinismo si fatica a trovare persone che pratichino attività fuori dall’ambito falesistico o pseudo-tale 😑