Il glorioso rimpatrio

Il glorioso rimpatrio

Attorno al 1170, a Lione, si riunivano i seguaci di Pietro Valdo, con idee rivoluzionarie per l’allora assoluto potere ecclesiastico: uguaglianza e diritto per tutti (anche per le donne) di leggere e predicare le sacre scritture in volgare. La scomunica non tardò ad arrivare e i valdesi si rifugiarono in ordine sparso in alcune valli delle Alpi Cozie. A dispetto della loro vita pacifica, per mano dell’Inquisizione cominciarono le persecuzioni. Nel 1488 vi fu una crociata del papa Innocenzo VIII.

La partenza dei valdesi da Nyon (lago di Ginevra)
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Ma i venti della Riforma ridiedero fiato ai valdesi, che vi aderirono nel 1532 in occasione del Sinodo di Chanforan. Usciti dunque dalla clandestinità, i valdesi si organizzarono con una disciplina di culto, con loro templi e con la traduzione della Bibbia in francese, che presto sarebbe diventata la loro lingua ufficiale: i pastori erano educati a Ginevra, alla scuola calvinista.

La Controriforma cercò di spazzare via quella spina nel fianco del cattolicesimo che ormai si era alleata con tutto il protestantesimo europeo. A dispetto della breve tregua con il Trattato di Cavour (1561) e malgrado l’Editto di Nantes (1598), le persecuzioni furono quasi continue, aggravate dalla peste del 1630. Culminarono nel 1655, quando il marchese di Pianezza, ministro di Carlo Emanuele II, alla testa di 4.000 soldati, fu responsabile delle terribili “Pasque piemontesi”, una serie di carneficine e distruzioni che decimarono ma non sottomisero i “ribelli”. Le “patenti di grazia” concesse subito dopo, con il diritto ad esistere, ebbero vita breve. Infatti con la Revoca dell’editto di Nantes (1685) da parte di re Luigi XIV, mentre gli ugonotti lasciavano la Francia per l’esilio nei paesi protestanti, anche Vittorio Amedeo II (nipote di Luigi XIV) fu costretto ad imporre ai valdesi o l’abiura o l’esilio. Sotto la guida del pastore Henry Arnaud questi decisero di resistere ma il 3 maggio 1686 furono pesantemente sconfitti dai piemontesi e francesi alleati. Circa 2.000 furono uccisi, 8.450 imprigionati; altri 2.000 si convertirono e un migliaio di bambini furono affidati a famiglie cattoliche di contadini cui erano state anche assegnate le terre abbandonate.

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L’anno successivo 2.500 valdesi ottennero asilo nelle città svizzere dove per due anni Arnaud cercò di organizzare un rimpatrio. Finalmente nel 1689 cambiò la situazione politica, perché si creò la Lega di Augusta contro Luigi XIV. Guglielmo III di Orange aveva ben compreso il loro potenziale destabilizzante ed appoggiò i valdesi armandoli. Così questi poterono partire da Prangins sul Lago di Ginevra il 27 agosto: erano circa 600 esiliati assieme a 300 ugonotti, guidati da Henry Arnaud e dal capitano Turel. Il ritorno di quei coraggiosi fu una serie di tappe forzate con il superamento di 14 valichi, tra i quali il Col de la Croix du Bonhomme 2483 m, il Col de l’Iseran 2770 m, il Colle del Moncenisio 2084 m, il Piccolo Moncenisio 2184 m, il Colle Clapier 2477 m. Piovve per quasi tutto il percorso, cibo ed equipaggiamento erano scarsi, eppure l’ottavo giorno di marcia vide lo scontro decisivo, a Salbertrand, con l’esercito piemontese pronto ad accoglierli. Del migliaio di partiti molti si erano persi per strada, sfiniti o dispersi o imprigionati perché in ritardo sugli altri. Fu un combattimento di disperati, all’arma bianca contro i fucili. Ed alla fine riuscirono a passare il ponte, dopo aver sconfitto un esercito numericamente doppio, tanto che Napoleone in seguito riconobbe alla Glorieuse Rentrée la qualifica di una delle più memorabili imprese militari della storia.

Henry Arnaud
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Dopo la vittoria fecero saltare il ponte, poi dopo un appello, continuarono per altri 17 km! Il 10 settembre 1689 arrivarono a Bobbio Pellice dove ciascuno dei combattenti, ormai in preda alle violenze dei saccheggi, cercava di raggiungere le proprie case. L’11 settembre a Sibaud il pastore Moutoux fece giurare loro reciproca fedeltà, per essere veramente degni del Regno di Dio. Il rientro era finito, ma cominciava la guerriglia per impadronirsi delle roccaforti ancora in mano ai piemontesi.

Nell’autunno 300 rimpatriati si rifugiarono a Balziglia, dove fortificarono lo sperone roccioso dello Châtel. Lì resistettero tutto l’inverno, compiendo di tanto in tanto delle razzie nel resto della valle e mietendo in febbraio la segale che i contadini cattolici in fuga non avevano raccolto: lo scirocco aveva liberato dalla neve le spighe. L’esercito francese e i piemontesi li attaccarono nel maggio 1690. I valdesi attaccarono all’arma bianca una delle tre colonne francesi, facendo prigioniero il colonnello Parat, mentre il generale in capo Catinat fu costretto a scendere in pianura perché le voci di un imminente voltafaccia di Vittorio Amedeo II erano sempre più insistenti. De Feuquières prese il comando e organizzò l’artiglieria per la soluzione finale. Sotto il fuoco dei cannoni non vi fu possibilità di difesa. Arnaud e compagni si rifugiarono a 1780 metri, sul Pain de Sucre, completamente circondati. Vistisi perduti, nella notte, guidati da Philippe Tron-Poulat, un montanaro che era nativo proprio di quei posti, i 300 sopravvissuti, scalzi per non far rumore, scapparono per un precipizio. All’alba del 25 maggio, che avrebbe dovuto essere il giorno dell’ultimo massacro, i francesi si accorsero che i valdesi ormai erano sotto al Colle Ghinivert. Durante la successiva fuga, i fuggiaschi ricevettero un messaggio di Vittorio Amedeo: tregua, in attesa di ulteriori comunicazioni. Per essere credibile, il duca aveva liberato il pastore Moutoux e il chirurgo Malanot, due grandi protagonisti del rientro. Il 4 giugno la notizia era ufficiale: i Savoia erano alleati con Guglielmo III d’Orange contro il Re Sole Luigi XIV.

La roccaforte valdese di Balsiglia
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Il glorioso rimpatrio ultima modifica: 2016-05-14T05:47:28+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Il glorioso rimpatrio”

  1. Sono contento che il blog abbia concesso un piccolo spazio a questa vicenda, importante e sentita ancora adesso. Per chi fosse di passaggio da quelle parti consiglio la visita al piccolo ma ricco Museo valdese di Prali.

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