La “peste” dell’Everest
di Agostino Da Polenza
(pubblicato da montagna.tv.com l’11 maggio 2016, per gentile concessione)
Come le sette piaghe d’Egitto. La prima: la grande valanga che ha ucciso il più alto numero di lavoratori/alpinisti nepalesi due anni fa. La seconda: il terremoto dell’anno scorso e le vittime del campo base. La terza: il mal di montagna diffuso di quest’anno, pervicace, strisciante. Un male che ha già ucciso due alpinisti, ne ha cacciati dal campo base una ventina, ne ha costretti 140 a ricorrere alle cure dei medici che al base hanno una postazione di pronto intervento. Bhuwan Acharya, del presidio sanitario di Periche, un ospedalino che funziona da 30 anni voluto dall’Himalayan Rescue Association, ha detto che ha erogato in tre settimane almeno 320 trattamenti a pazienti , mentre più di 10 persone sono state quotidianamente visitate e trattate con ossigeno: “Sette stranieri e tre sherpa d’alta quota sono stati anche evacuati ” ha aggiunto.
Il campo base nepalese dell’Everest 5364 m
Le calamità della grande montagna non accennano a diminuire, la sua rabbiosa indignazione, ancorché divina, è ancora ad elevato potere distruttivo.
Sono certo che in buona sostanza è questo che pensano i mitici e miti (sempre meno) compagni autoctoni degli alpinisti delle spedizioni commerciali accampati sui fianchi del Sagarmatha, la Dea Madre.
400 alpinisti presenti, secondo le autorizzazioni di salita concesse, oltre a 500 tra cuochi, ragazzotti di cucina, portatori d’alta quota e sherpa. Una tonnellata di cacca al giorno, prodotta al campo base e portata a spalla e seppellita su una morena secca più a valle, e, nelle giornate di bel tempo, almeno un’altra mezza tonnellata tra campo due, tre e quattro. Mi perdonino le anime belle delle montagne, ma, se di sostenibilità ambientale dobbiamo parlare, di questo bisogna occuparsi. E la Dea, che sarà pure Madre, credo si sia stufata di pulire il culo dei suoi ingordi figli, asiatici o occidentali che siano.
Perché se tutto questo mal di montagna, gli edemi polmonari e pure quelli cerebrali, è ascrivibile a una forma di psicosi determinata più dalla grande inesperienza di chi è in questo Luna Park d’alta quota, che dalla fisiologia, allora, magari, la questione non è grave da un punto di vista medico, ma lo è certamente da quello ambientale.
Mi spiego. Difficile fare valutazioni sull’esperienza alpinistica dei partecipanti alle spedizioni commerciali che si iscrivono per salire l’Everest e che ora (moda lanciata al Nanga Parbat lo scorso inverno) si pre-acclimatano sulle montagne circostanti come il Lobuche Peak.
Non è che i quasi 6200 metri di questo bel monte siano meno letali della stessa quota a campo due all’Everest se non si è acclimatati per nulla. Difficili anche che le considerazioni su coloro che assumono 5 o 6 pastiglie di Diamox (diuretico) al giorno per poi farsi delle flebo per reidratarsi. Lakpa Norbu Sherpa, che lavora con un team di medici al campo base dell’Everest, ha informato che di aver trattato clinicamente almeno 140 persone nelle ultime tre settimane.
Pemba Sherpa, forse il maggior e più esperto organizzatore nepalese di spedizioni commerciali con la sua Agenzia Seven Summit (dopo le decine di clienti sull’Everest, pensate che porterà 44 clienti anche al K2 quest’estate), ha confermato che la maggior parte dei lavoratori/nepalesi quest’anno ha problemi di salute, ma ha anche detto che ce ne sono pochi di esperienza che hanno accettato di tornare sulla montagna. La maggior parte sono ragazzotti che vengono da valli lontane, verso il Terai: esperienza 0.
Causa della “pandemia” reale o immaginaria, possono poi essere le condizioni igieniche che si determinano al campo base. Vero che ci sono le latrine obbligatorie, ma è altrettanto usuale pisciare dietro la tende: lo fanno i cuochi, gli sherpa e gli ospiti lautamente paganti, che la fanno di notte anche in bottiglie e contenitori vari che svuotano al mattino (dove?). Il lavaggio delle mani poi è consuetudine poco frequentata. In più di temperature miti non facilitano, come fa il gelo, il blocco delle gite batteriche.
Le epidemie di gastroenterite, o più semplicemente di “cagotto”, in passato si sommavano, nelle giornate di maltempo e di grande scambio di germi dentro le tende collettive, a quelle di potenti raffreddori e bronchiti, che si sommavano agli effetti dell’ipossia e al mal di testa conseguente.
Se prima tutto ciò era considerato una normale ricaduta dell’essere in quota, in un luogo disagiato e freddo, ora il terrore della vendetta della Dea Madre pare stia seminando il panico e pare che gli alpinisti ricorrano alle cure dei medici dell’Himalayan Rescue più che i malati a quelle dell’ASL.
Vedremo le statistiche a fine stagione.
Rimane il dubbio che dopo le prime due “piaghe” e dopo la rivolta del popolo lavoratore delle alte quote, il film Sherpa lo documenta anche con crudezza, si sia pensato che riprendere con l’andazzo precedente fosse normale, anzi giusto. Si è creduto che autorizzare qualche volo di elicottero da campo base a campo uno, per diminuire i rischi e fare un paio di visite politiche al campo base, fosse rassicurante e risolvesse i problemi.
Ma le spedizioni commerciali organizzate in Europa, Nuova Zelanda o Nepal (la maggior parte ormai) e i permessi collettivi gestisti al ribasso sono stati e sono la vera degenerazione dell’alpinismo, lo svilimento del valore culturale ed estetico delle montagne. Pochissimi se ne sono sottratti e le evitano, anche tra i grandi, i puri ed i politicamente e socialmente corretti. E questa storia di innaturale malessere lo dimostra ampiamente.
Affollamento sull’Hillary Step
Si potrebbe risolvere con armadietti blindati a impatto 0 …8000.
O una formula assicurativa insoddisfatti/rimborsati personalizzata da firmare con sabbia colorata tipo Mandala al c.b. e benedizione relativa.
Che pena…
——— ULTIME NOTIZIE DAL BRONX ———
All’Everest le spedizioni di quest’anno hanno segnalato piú volte furti di attrezzatura (soprattutto bombole d’ossigeno) ai campi alti. Il primo furto è stato denunciato dall’olandese van Oss, che ha intravisto al campo II “un nepalese infilare bombole nello zaino e sparire”. Qualche giorno fa il neozelandese Guy Cotter ha comunicato di aver subito un furto di tende, fornelli, pentole e gas al Colle Sud (a ottomila metri!).
A diciassette anni, ignaro di come andasse il mondo della montagna, mi ritrovai intrappolato in una interminabile fila sulla ferrata del Pisciadú. Era agosto. Un’esperienza amara.
Da allora ho cercato di evitare accuratamente simili ammucchiate.
L’intasamento sull’Everest è molto peggiore di quello del Pisciadú di allora.
…
Ma questa gente non se ne rende conto? Perché sopporta? Perché si ammassa?
La salita a un seimila inviolato – uno dei tanti – non piace?
Io ho 65 anni e senza nessuna preparazione specifica ho fatto un simpatico trakeking sul amerà Peak acclimatando mi giorno dopo giorno senza prendere Dismox altri medicinali ma camminando piano piano piano fino in vetta. Effettivamente ho visto una quantità di giovani arzilli e veloci arrivare al campo avanzato per ritornare indietro con forti mal di testa e HaPe . Non serve andaresull’everest per provare che si è’ forti scalatore. Tutte le montagne sono belle anche se sono meno alte l’importante è’ arrivare in cima piano piano piano e con rispetto Carlo volpi
E cosa accadrà quando il ragazzo spagnolo e i suoi sponsor faranno il record “di incassi “.
L’immagine dell’imbuto forse torna utile per esprimere che quanto esce dall’ugello dell’imbuto stesso, dipende soltanto da quanto entra. E, dentro, ci siamo tutti.
“Basta non andarci” di Marcello penso alluda a questo.
La rivoluzione può partire da una critica a ciò che osserviamo nel prossimo, ma la si può compiere solo modificando ciò che siamo noi stessi.
Prima delle spedizioni commerciali, c’è stato lo step di quelle sponsorizzate che molti alpinisti hanno cercato per sé convinti fosse cosa innocua. Come i capitalisti credono innocuo, anzi benefico il consumismo. Il padre, il ceffone al figlio. Noi, il diritto di critica e di giudizio, svestito del dovere di assumerci la responsabilità della realtà che abbiamo.
Basta non andarci!
Tutto vero ma, basta non andarci?
Forse non ci accorgiamo che quello che sta succedendo all’Everest non è altro che l’espressione di ciò che questa società malata sa proporre, in più abbruttito da condizioni precarie come quelle di un campo base. La ” peste ” dell’Everest comincia in una società la nostra oramai allo sbando morale ed etico, dove si crede che tutto sia in vendita
Le famose piaghe d’Egitto sono 10 e non 7 per cui prepariamoci…ne vedremo ancora delle belle!
Alberto, se quella foto rappresenta l’ alpinismo, io allora sono Gesú Cristo…
Non capisco la gente cosa ci trovi a infilarsi in un merdaio del genere… giusto per dire, all’ americana, “Been there, done that, got the t-shirt”…
E soprattutto quel mega ammasso di gente, se tutto va bene, non sa neanche che cavolo stia facendo…
l’ultima foto, con tutta quella ammassata gente sulla cresta, come i polli negli allevamenti intensivi, spaventa.
Complimenti al sig. Da Polenza : mi permetto di utilizzare la chiusa del suo articolo….”questa storia di innaturale malessere lo dimostra ampiamente” … abbiamo perso il senso e la responsabilità del LIMITE, un’orgia di egocentrismo infantile ed un delirio di onnipotenza ridicolo.
Segnalo un recente articolo di Paolo Rumiz, anch’esso prodotto della medesima prospettiva impiegata da Agostino.
http://www.victoryproject.net/articolo.php?id=608
A parte condividere e complimentarmi con Agostino, propongo una nota e una considerazione in merito ai crescenti problemi di salute citati nell’articolo.
Oltre ai numeri assoluti che l’articolo riferisce, sarebbe interessante conoscere le percentuali tra presenze al cb/altri campi e i rispettivi assistiti.
È opinione di molti – ma non ancora della medicina main stream – che ogni patologia,
1. è espressione fisica (somatizzazione) di dimensioni metafisiche (psicologia, sentimenti, preoccupazioni, rancori, invidia, ambizione) presenti nella biografia della persona;
2. tende ad affermarsi solo a causa di un sistema immunitario indebolito.
Due aspetti che hanno ragione d’essere considerati secondo l’ipotesi – a mio parere difficile da non accreditare – che la decrescente qualità alpinistica delle persone che popolano le spedizioni commerciali, implichi sempre più facilmente un individuale sentimento oppressivo, di inadeguatezza, per ciò che stanno per compiere (dati interessanti, da raccogliere), premessa ideale per l’insorgenza di patologie varie.
In sostanza, si potrebbe pensare a persone fuori equilibrio, fuori centratura, fuori da sé, centrate invece su idee, ambizioni, orgoglio, espressioni dell’io e della cultura nel quale si è formato, spesso in contraddizione conl a nostra ultima e profonda natura.
Le impegnative condizioni ambientali e un’alimentazione facilmente – temo, come da indicazioni cosiddette scientifiche – ricca di zuccheri e cereali, sono l’ultimo e materiale step verso il malessere.
Tono vagamente sarcastico in questo scritto, che condivido in pieno
Questo è parlar chiaro bravo Agostino.