Metadiario – 194 – Il tempo della lentezza (AG 1995-004)
(novembre 1995)
Dopo Merano, oltre il poderoso edificio della birreria, una stretta gola dell’Àdige ci apre la Val Venosta: è giugno, la natura si celebra con un tripudio di colori. Al colmo di questa larga valle verde, oltre alle cime brune su cui occhieggia ancora qualche chiazza di neve, un cielo azzurro movimentato da veloci macchie bianche sigilla la pace di questo mondo. Si allargano anche i nostri cuori, che non speravano tanto. Eppure la valle è antropizzata, sia accanto al fiume che sui conoidi delle confluenti laterali: mele ed erba la fanno da padroni. Ovunque si vedono impianti di irrigazione artificiale con spruzzi a scatto che ruotano a 360°. Segnalano la presenza di grande abbondanza di acqua e non cancellano l’uomo, che s’indovina sempre presente e attento.
Una volta i raccolti di fieno erano due, oggi sono tre: e l’erba cresce più alta. Non ci si può sottrarre alle leggi di mercato neppure se abiti in Sud Tirolo, dove le pressioni perché la vita contadina subisca nuovi impulsi sono enormi. Incontriamo trattori per tagliare, seccare e raccogliere l’erba, macchinari per aspirare il fieno e riempire i fienili senza lavorare di forcone: e poi le inquietanti mungitrici meccaniche. Al maso in cui alloggerò con tutta la mia tribù familiare, il primo che ci viene incontro è il piccolo Simon Mair: sottobraccio ha il forcone, che tiene con due mani, e in bocca, ben stretto, ha il biberon. I prati intorno sono ripidi, ma con il trattore si riesce a fare l’80% del lavoro. Il resto a mano, come una volta. L’orario è dilatato alla luce di giugno, quando il giorno è più lungo. Ogni tanto si fermano, ma per poco.

Già all’inizio ci si accorge che il tempo qui, lungi dall’essere statico, segue i ritmi della luce e quindi degli animali. Girovagando per le Alpi e per il mondo avevo già visto angoli dove il tempo sembrava non scorrere affatto: ma erano mondi in decadenza, se non proprio di degrado culturale ed economico. Qui in Val Venosta le esigenze del mercato hanno costretto il lavoro a un’accelerazione. Quando a 1300 metri l’erba non è ancora alta a sufficienza per essere tagliata, il contadino scende a Prato, perché a 700 metri invece è il momento di «segare». Può farlo sulle sue proprietà o sui campi di qualche parente, che poi restituirà il favore. La giornata è quindi tempisticamente programmata in funzione dei metri quadri da fare, dell’accudire agli animali, del mettere in fienile o in magazzino i vari prodotti: e poi c’è la manutenzione delle macchine, la preparazione dei pasti, la sorveglianza ai bambini piccoli, la pulizia della casa e le mille altre piccole e grandi incombenze che determinano e scandiscono il tempo di Herr e Frau Mair.

Non v’è alcun lento scorrere nelle attività lavorative perché non si dedica un minuto di più di quanto necessario a un’attività, in quanto subito dopo si passa all’altra. E così da prima dell’alba fino a notte. Eppure è un lavoro decisamente a misura d’uomo, perché non è spersonalizzato: il contadino sa sempre perché sta facendo una cosa in quella maniera e non diversamente. Ciò che colpisce noi cittadini, abituati per di più ai frenetici ritmi del lavoro nella comunicazione, è la mancanza di fretta, nella consapevolezza che agli animali e alle piante non si può comandare di far più presto: la mungitura meccanica per esempio richiede per il singolo animale lo stesso tempo di quella manuale.

Il proprietario del maso qui si vanta di non usare mangimi particolari per i suoi animali, siano essi maiali, vacche o galline. Però l’irrigazione artificiale ha sconvolto la tempistica del fieno e c’è di sicuro qualche differenza tra il foraggio di oggi e quello di ieri. Mungere 10 vacche con le macchine è meno faticoso che farlo a mano, ma costringe ad un’estrema pulizia della stalla e di tutto il macchinario. Alla fine anche qui vince la tecnica, perché pulizia ed efficienza fanno parte del nostro mondo futuro più che sporcizia e lentezza.

Però non stravince. Certi standard igienici al di sotto del minimo in alcune malghe di altre zone delle Alpi non figurano più in Val Venosta. E allora il buon sapore antico? Come abbiamo già fatto nella spesa al supermercato, tra ortaggi cresciuti in serra e fragole di bosco grosse come prugne, rinunceremo al pane del forno casalingo? Qui esigenze e diritti degli animali sono ancora alla base della convivenza con l’uomo, contrariamente a quanto avviene nei lager degli allevamenti di pianura.

Un uomo lavora una mattina ed un pomeriggio per pulire la stalla e le mungitrici in una malga di 80 vacche; un altro lavora uguale per fare due volte il formaggio; e un altro ancora va al pascolo con gli animali per non doverli poi cercare per tutta la notte. L’igiene scrupolosa richiede un’enorme quantità di tempo, riguadagnato con la maggiore facilità di trasporto dei prodotti. Anche gli animali accedono alla malga in autocarro. Ma c’è ancora chi, proprietario di non molti animali, preferisce salire all’alpeggio come una volta. Il 26 giugno 1995 ho seguito a piedi animali e pastori da Ponte Stélvio alla Prader Alm: partenza alle ore 5 dal ponte sotto al paesino di Stélvio. Ho chiacchierato abbastanza con i due pastori delle vicinanze, i fratelli Otto e Alphonse Ortler. Quest’ultimo era il maggiore ed era proprietario di un maso sopra a Prato. I discorsi con loro erano abbastanza semplici, anche a causa delle difficoltà linguistiche, ma sono sicuro che non hanno visto in me l’italiano estraneo: pur domandandosi come facevo a sapere tante cose che li riguardavano, mi mostrarono l’Ortles e mi dissero che «di là c’è l’Italia»! Il significato non era la «tua» Italia, bensì l’Italia in genere. Pensai, mentre mi offrivano sorridendo generose fette di speck tagliato con coltello tascabile, che ormai ero «uno dei loro».
In seguito feci visita al maso di Alphonse, e lì ebbi modo di capire che l’accelerazione del Sud Tirolo non è stata uguale dappertutto. Lì, eccetto la mungitura, si fa ancora tutto a mano, dai prati al pane. Frau Ortler si è rifiutata qualche anno fa di ingobbirsi ulteriormente e ha preteso l’acquisto della mungitrice. I figli, Hubert e Kurt, lavoravano con i genitori nella conduzione di questa piccola e remota azienda familiare. Kurt era anche guida, del consorzio di Solda: quel giorno aveva salito in poche ore e da solo una difficile via sull’Ortles, era sceso e adesso era lì che falciava il prato. Perché voleva allenarsi, forse presto avrebbe fatto parte di una spedizione in Himalaya. Famiglia e profonda fede religiosa sono gli elementi che resistono alle tentazioni del modernismo a tutti i costi nella nuova società sudtirolese; ma anche il senso della comunità è ancora forte, perfino a Solda, forse il villaggio dove più di tutti il turismo ha cambiato abitudini e tempi. Chi non ci crede può andare a vedere la spontaneità e l’entusiasmo della Festa dei Fuochi del Sacro Cuore, quando tutte le cime della valle ardono di strisce di fuoco nella notte, oppure la funzione religiosa e poi la festa con danza delle donne che hanno terminato la raccolta delle mele. Oppure provare la loro ospitalità: al momento dei saluti finali, potrà succedergli di sentirsi dire da Frau Silvia, conosciuta solo pochi giorni prima, «mi raccomando, quando arrivate a Milano, per favore datemi una telefonata. Così so che tutto è andato bene».
Nei primi giorni eravamo solo Elena, Petra, Bibi, la tata Maritza Arredondo. Ma il 27 mattina ci raggiunsero Marco Milani e Luisa Raimondi. Con loro andammo tutti assieme prima alla Prader Alm (in auto) e poi, come accennato prima, al Maso Ortler. Il giorno dopo il tempo non era ottimo, così ne approfittammo per una visita alla bellissima cittadina di Glorenza per concludere poi nei prati a falciare con i padroni di casa.
Il 29 giugno bella gita in Vallelunga fino alla Melager Alm, tutti assieme ma senza Luisa. C’era una mezza idea di proseguire fino al rifugio Pio XI ma non se ne fece nulla. Il 30 giugno andai da solo alla Tschagainer Alm e, nel pomeriggio, breve passeggiata da Planal con famiglia.
Il 1° di luglio gran finale al Castello di Juval a trovare l’amico Reinhold Messner.

Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Valgerola, Sondrio, su all’alpeggio fanno il bitto in estate …un prodotto speciale da gente speciale
Un lavoro incredibile che ci regala uno dei migliori prodotti caseari del ns paese
…. e’ un magnifico territorio, che conserva antiche tradizioni, e rispettato dalla popolazione locale , usa a lavorare in zone impervie .