Immagine mediatica dei rischi in montagna
di Alessandra Longo
Sicurezza: qual è l’immagine mediatica dei rischi in montagna?
(già pubblicato il 13 gennaio 2017 su www.verticales.it
Domenica 15 gennaio 2017 è stata la giornata della sicurezza sulla neve. Iniziative CAI in diverse località dell’arco alpino. Un’occasione rivolta a tutti i frequentatori della montagna per riflettere sull’approccio più adeguato nella stagione invernale.
Sicurezza. Nella vita non ce n’è alcuna. Figuriamoci in montagna. Un ambiente multiforme e in costante mutamento. Neanche l’ombra della definizione da dizionario per cui la sicurezza è “condizione oggettiva esente da pericoli”. Sui pendii, là fuori, c’è neve instabile, ghiaccio e rocce.
Dove ricercare allora la sicurezza? Se non fuori, allora dentro di noi. Con la consapevolezza, la giusta cautela e la preparazione tecnica più adeguata. Il rischio non si elimina: ogni attività nasconde delle minacce per la nostra incolumità. Anche in casa: l’ISTAT stima che nel 2014 più di 700.000 persone siano state vittime di incidenti proprio nell’ambiente domestico. In quota, esser coscienti del margine di pericolo diviene fondamentale.
Qual è l’immagine mediatica dei rischi in montagna?
Montagna assassina
Lo stereotipo perde il pelo, ma non il vizio. Ricorre da sempre, appena accade una tragedia: sui giornali, in tv e oggi sul web. Una volta era l’annuncio cupo e costernato dei morti lassù. Nel nostro immaginario l’Alpe era ancora segnata dai ricordi di guerra tramandata dai nonni, dalle storie di alpini mai tornati, dalle croci che costellano i sentieri in salita, dalle targhe commemorative di scalatori rimasti tra le rocce. Nelle nuove generazioni poco o nulla è rimasto e l’immagine della montagna assassina è modellata interamente dai mass media.
“Era destino”. È il leitmotiv per garantire lo scoop e trasformare il fatto di cronaca nera in storytelling acchiappa like. Con tanti saluti alla sensibilità per il dolore di chi rimane. E’ il caso del veterinario che cacciava leoni morto per recuperare un camoscio appena abbattuto in Valle Soana (leggi l’articolo di Repubblica). Condiviso sui social come risposta del karma.
Cormayeur Mont Blanc. Vacanza estrema. Avventura e adrenalina oltre i limiti
No limits
Il marketing punta sull’outdoor e spesso finisce per travisarne la natura. Accade così che le Alpi si tramutino in una Disneyland, come segnalato la scorsa estate dall’associazione ambientalista Mountain Wilderness.
Un grande scenario ludico dove l’intrattenimento oscura la consapevolezza dell’ambiente e delle proprie potenzialità. Le moderne attrezzature tecnologiche contribuiscono poi a donare un senso di invicibilità cui non porre freno.
Quali sono i concetti più utilizzati nelle campagne promozionali turistiche? Sfida, avventura, adrenalina, record. Courmayeur pubblicizza la vacanza iperattiva senza sosta. Per scappare dallo stress della città ed esser inseguiti dagli stessi ritmi pressanti anche in vetta, oltre il limite della fatica.
Il capro espiatorio
La ricerca del colpevole a tutti i costi è l’elemento chiave dell’informazione giornalistica sugli incidenti in montagna. Al di là di ogni corretta attribuzione di responsabilità, spesso si traduce in accanimento per addossare obbligatoriamente la colpa a qualcuno. Non è l’eredità culturale cristiana del senso del peccato. Peggio. E’ il dilagare della tendenza statunitense del far causa per qualsiasi cosa accada, inclusi eventi metereologici o imprevedibili eventi ambientali. La Corte di Cassazione nel 2012 ha ritenuto corretta la condanna per la Società Escursionisti Milanesi, storica sezione del CAI, a risarcire un allievo infortunato durante un’uscita in ferrata. Non solo in montagna dilagano le denunce per danno. Tanto che accade che i medici demandino operazioni ad altri per paura di incappare in contenziosi legali dovuti non all’imperizia, ma alla naturale possibilità che qualcosa possa andare storto.
Onestamente penso che commenti di tale banalità e scontatezza poco servano a migliorare ciò che si crede essere sbagliato.
Tutte queste energie spese a scandalizzarsi per cose che esistono da decenni e che coinvolgono una parte di umanità che mica si può eliminare perché non la pensa come te, mi sembrano male impiegate.
L’errore di base, secondo me, sta nel vedere sempre la montagna come un luogo puro che invece non lo è affatto.
Certo che gli scempi ambientali vanno combattuti, ma verso un’ignoranza così ben radicata in certi individui c’è ben poco da fare. Educare, educare e sempre educare è la cosa giusta ma come si educa il manager milanese danaroso che scatena il suo suv in direzione del Monte Bianco il venerdì pomeriggio?
Forse è meglio fargli credere di essere un figo, così se ne sta buono e da da campare a qualche famiglia di guida alpina compiacente e a qualche baretto di tendenza.
Anche le guide non sono tutte uguali, come i netturbini, gli architetti o gli avvocati. Ognuno persegue cause diverse e si accontenta di quello che riesce a raggiungere per sopravvivere. Esattamente come tutti voi (noi?).
Con lo scandalizzarsi non si migliora niente.
Intanto iniettiamoci una buona dose di egoismo volendoci bene e facendo quello in cui crediamo, che sia la gitarella o la scalata o la sciata con o senza pelli. Cose semplici, quelle che danno davvero buoni effetti. Le differenze ci saranno sempre.
E poi caro Merlo scrivi così arzigogolato che credo che ti capiscano in pochi. Per esprimere concetti chiari occorrono parole semplici, sintesi e buona mira.
Peace and love.
Status quo
La mercificazione di ogni espressione alpinistica e alpina, la loro riduzione a bene di consumo voluttuario è fenomeno alla portata di tutti.
Una tendenza inizialmente appannaggio delle marionette del marketing, il cui successo coinvolge ora anche i singoli professionisti e le istituzioni direttamente collegate alla montagna, quindi ultime figure da conquistare e primi riferimenti per chi ancora alla montagna deve avvicinarsi.
La natura, presentata come campo sportivo, come terreno di gioco, dove è necessario conoscere regole ed avere il giusto equipaggiamento, viene così scorticata della sua dimensione formativa collusa con il semplice muoversi liberamente in essa.
Ridotta a feticcio, celebrata da slogan commerciali, comprata, consumata senza più alcuna relazione con essa, ma con assoluta relazione con la certezza tutta edonistica di poter apparire a se stessi e al prossimo nel miglior modo disponibile sul mercato
Reificata come altro da noi, viene sconsacrata.
Chi può fare
Fatto salvo che le sparute rimostranze controculturali di qualche singolo, per quanto apprezzabili, e auspichiamo crescenti, spostano di poco (per stare larghi) l’ago della bilancia, gli “unici” che possono fare qualcosa in merito allo sperpero e al degrado patrimoniale, sarebbero le nostre (per essere gentili) principali istituzioni. Il Club alpino, il Soccorso alpino, i Collegi dei Maestri di sci e i Collegi delle Guide alpine in testa, insieme a qualunque altra istituzione – per esempio le Comunità montane se ci fossero ancora – vorrà unirsi per affinità elettiva istituzionale o dirigenziale.
Come fare
Un’azione che nasce con lo scopo di modificare il sordido tran-tran culturale – sul quale praticamente tutte le istituzioni hanno preso posto, convinte che cavalcare quella tigre corrispondesse a raggiungere il futuro – potrebbe essere rappresentata da due dei suoi principali referenti progettuali: il linguaggio e i giovani.
Ogni loro espressione impiegata per relazionarsi con l’esterno (opinione pubblica), con l’interno dell’istituzione stessa (organismi, soci), in contesto formativo e didattico dei nuovi adepti e del corpo istruttori dovrebbe essere ripulito da quelle formule che alimentano il mantenimento di quanto qui si vorrebbe superare.
L’azione di aggiornamento dovrebbe prevedere anche il coinvolgimento delle istituzioni giornalistiche e della scuola.
Per quanto le generazioni già affermate non siano da tralasciare, l’attenzione alle nuove generazioni è da preferire per motivi evidenti.
Il linguaggio è la nostra prima fonte di realtà. In funzione di esso realizziamo immagini differenti. Dunque aggiornare il linguaggio abbandonando certe espressioni riconosciute ora come sconvenienti a favore di altre più idonee alla realizzazione del progetto.
Come
Nel caso ci si domandasse da che parte incominciare, non va dimenticato che esistono in foggia varia figure di alpinisti, intellettuali, docenti – e Maestri di sci, suppongo – che hanno in dote il necessario per fornire consulenze al progetto qui accennato, o di esserne coinvolte. Persone che sono in grado di argomentare quale valore culturale abbia parlare di ambiente naturale – in ogni contesto – con modalità che non ne sottointendano solo il suo valore di campo pratica della nostra passione. Personalità idonee a argomentare quanto la sicurezza sia direttamente proporzionale al modo con il quale frequentiamo la natura, nonché all’importanza che ognuno da individuo con diritti a causa del ticket acquistato per il proprio divertimento, divenga persona che si ritiene responsabile di tutto quanto gli accadrà, nel bene e nel male.
Perché
Non fa testo ricordare, semplicemente ripetendo, che la sicurezza totale non è realizzabile. È lapalissiano a tutti.
Si tratta di precisare che per elevarla è necessario essere in relazione con ciò che si sta facendo, con la propria condizione emozionale, con il dove lo si sta facendo, con chi si sta facendo. Una distrazione dovuta a pensieri, sentimenti, fatti esterni, cioè una relazione con altro da quanto si sta facendo comporta una riduzione della sicurezza. Solo successivamente è opportuno annoverare la sua dimensione tecnica e cognitiva, ovvero dedicarsi a segnalare i saperi utili, l’equipaggiamento necessario, il materiale indispensabile.
Raggiungere, provocare le consapevolezze utili per avviare l’iniziazione necessaria a identificare quale sia il nostro livello motivazionale istante per istante, è possibile.
Si tratta di non limitare più le proprie potenzialità a quelle confinate entro quanto si crede e si sa, entro le sole aspirazioni egoiche. E non è psicologia, è solo il necessario per capire che il treno in corsa sul quale siamo ci sta portando lontano, da noi stessi.
Si tratta di sentire altro da quanto i sensi permettono, perché l’armonia implica essere disintossicati dalle idee, di entrare in ascolto con dimensioni altrimenti impedite dalla corazza che certa cultura mercifica ci ha pennellato addosso come la nostra miglior divisa.
Si tratta di riconoscere che se ci emancipiamo dall’autoreferenzialità, dai saperi impugnati come spade dogmatiche, le sole capaci di decapitare la nostra creatività, molte delle nostre potenzialità cesseranno di essere mortificate.
Lo stesso slogan ammiccante usato da Courmayeur per promuovere questo marketing : # io lo faccio a Courmayeur , indubbiamente ambiguo e di pessimo gusto è il TERMOMETRO evidente di questi eccessi privi dell’etica, del senso vero e profondo della montagna, oggetto invece di mero sfruttamento turistico, ridotta a luna park . Lo spauracchio degli impianti sciistici sempre più a secco di neve adesso e ancora più negli anni a venire sta creando effetti sempre più spregiudicati e deprecabili da parte degli enti locali …Dimenticando forse che il puntare all’ipersfruttamento anziché alla salvaguardia del territorio non è solo un fatto etico , ma ha le ben note ripercussioni ambientali (con incremento degli stessi “costi”) che sono ormai sotto gli occhi di tutti.
Per una società di “Dementi” anche l’offerta montana non può che essere in linea con quello il frequentatore medio si aspetta.
No limit, adrenalina, Elisky, alcol, locali notturni.
Idioti in città, idioti in montagna
La vedo molto male come tutto il resto di queste misere vite che ci vogliono far vivere..