In viaggio fra le Alpi del Sud-ovest

Sabato 8 ottobre 2022 si è svolto a Genova il convegno organizzato dal Gruppo Occidentale del Club Alpino Accademico Italiano, dedicato all’affascinante e poco conosciuto mondo delle terre alte che vanno dal Monviso alle coste liguri.

In viaggio fra le Alpi del Sud-ovest
di Serafino Ripamonti
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 14 ottobre 2022)

Cosa sono le Alpi del Sud-ovest? Quale la loro essenza più vera? Forse la risposta più profonda e carica di significato arriva – come spesso accade quando si parla di montagna e di alpinismo, dalle parole di Gian Piero Motti, scalatore e scrittore di incomparabile sensibilità:

«Davanti al paesaggio dolomitico chiunque si sente di dire che è “bello”, come chiunque di fronte al versante meridionale del Bianco sa dire che è “grandioso e selvaggio”. Invece, percorrendo una qualsiasi valle delle Alpi piemontesi, non ti compare di fronte agli occhi nulla di così bello, nulla di così sconvolgente e grandioso. Ma se poi ti soffermi, se osservi, invece di guardare semplicemente, se vi ritorni con luci e ombre diverse, se ne segui il mutare dei colori nelle stagioni, con tutta facilità come per magia ed incanto ne scoprirai un mondo di bellezza riposta e nascosta che esplode in tutta la sua luminosità solo dopo un lungo approccio».

Lo spigolo superiore del Corno Stella visto scendendo dal Monte Stella percorrendo la sella dell’Argentera. © Bertubertu – Wikimedia Commons.

Proprio queste montagne dalla bellezza “riposta e nascosta” sono state al centro del convegno nazionale annuale del Club Alpino Accademico Italiano, organizzato dal Gruppo Occidentale e svoltosi a Genova lo scorso sabato 8 ottobre 2022, nella splendida Sala del Minor Consiglio del Palazzo Ducale, messa a disposizione dall’amministrazione comunale del capoluogo ligure.
L’incontro ha visto la presenza di oltre 170 partecipanti fra membri del CAAI, rappresentanti delle sezioni del Club alpino e tanti altri esponenti dell’alpinismo italiano e internazionale, riuniti per raccontare il passato, il presente e il futuro della scalata fra le terre alte che vanno dal Monviso fino alle coste liguri.

«Questo convegno», ha detto Fulvio Scotto, presidente del Gruppo Occidentale, «vuole essere un viaggio che, a partire dai protagonisti di ieri e di oggi, evidenzi, soprattutto a chi poco le conosce, le tante possibilità che queste montagne offrono, sia per l’arrampicata estiva su roccia, sia d’inverno su ghiaccio e misto».

Il convegno del CAAI a Genova. © Serafino Ripamonti.

Alpinisti italiani e francesi
In apertura dei lavori lo stesso Scotto, assieme a Matteo Faganello, ha acceso un riflettore sulla grande tradizione degli alpinisti nizzardi, protagonisti, sin dalle origini, della storia della scalata nelle Alpi del Sudovest. Porta infatti la firma del transalpino Victor De Cessole una delle prime grandi imprese compiute nelle Marittime, con la conquista del Corno Stella nel 1903.
Una tradizione poi proseguita con le belle imprese sul versante francese delle Alpi Marittime e delle Cozie meridionali, firmate da grandi nomi come il compianto Patrick Bérhault, e come Jean Gounand e Stéphane Benoist, anch’essi intervenuti al convegno.

È spettato poi a Michele Perotti e Cege Ravaschietto il compito di riportarci sul versante italiano delle Alpi, raccontando la storia degli alpinisti cresciuti fra le valli e le montagne cuneesi.

Da sinistra: Alessandro Gogna, Fulvio Scotto e Andrea Parodi. © Serafino Ripamonti.

I liguri, le donne alpiniste, i climber
Alessandro Gogna e Andrea Parodi hanno focalizzato invece l’attenzione sui tanti “lupi di mare ammaliati dai monti” nati in terra ligure. Una dettagliata panoramica storica in cui spiccano nomi illustri come quelli di Euro Montagna, Enrico Cavalieri e Gianni Calcagno, ma anche di tanti altri appassionati che, fra le montagne che si affacciano sul mare, hanno vissuto piccole e grandi avventure degne di essere ricordate.

Interessantissimo lo sguardo alle donne protagoniste del grande alpinismo fra queste montagne, tema su cui si è focalizzato l’intervento della giornalista e scrittrice Linda Cottino, coadiuvata da Alice Arata e Betty Caserini, due fra le più attive giovani scalatrici cresciute alpinisticamente in questo territorio.
È stata poi la volta di Giovannino Massari e Matteo Gambaro, testimoni della storia dell’arrampicata libera e sportiva, che, fra le pareti del sud-ovest, ha visto alcuni dei luoghi, delle tappe fondamentali della sua evoluzione e della sua interazione con l’evoluzione dell’alpinismo.

Infine, Anselmo Giolitti, Matteo Faganello e Massimo Piras hanno raccontato l’epopea della scalata invernale su ghiaccio e misto, una realtà oggi messa a dura prova dai cambiamenti climatici, ma che ancora, dalle vette del Mercantour alle alte vallate cuneesi, riserva agli appassionati la possibilità di ripercorrere itinerari ormai divenuti classici e di avventurarsi alla scoperta di nuovi terreni da esplorare.

La platea del convegno di Genova. © Serafino Ripamonti.

In ricordo di Gianni Calcagno e Roberto Piombo
Degna conclusione della giornata è stata la serata dedicata al ricordo di Gianni Calcagno e Roberto Piombo, i due grandi alpinisti liguri scomparsi trent’anni fa nel tentativo di ripetere in stile alpino la via Cassin allo sperone Sud del Denali, la vetta più alta del Nord America. Una vera e propria folla ha preso parte a questo appuntamento, reso ancora più emozionante dall’intervento del grande himalaysta Kurt Diemberger.

Massiccio dell’Argentera, versante ovest

Brevi lineamenti di storia dell’alpinismo ligure nelle Alpi Sud-occidentali
di Alessandro Gogna (con l’essenziale contributo di Fulvio Scotto)

Le Alpi Sud-occidentali non hanno nulla da invidiare alle altre montagne dell’arco alpino. E vorrei aggiungere che anche alpinisticamente non hanno nulla da invidiare!

Ci sono episodi che calendario storico alla mano lo confermano. Basti citare la prima salita del Corno Stella (1903) di Victor De Cessole, con le guide Andrea Ghigo e Jean Plent. Decisamente superiore ai tanto celebrati Campanile Basso e Campanile di Val Montanaia. Inferiore solo alla Sud della Marmolada.

Già dall’inizio i liguri, i genovesi in particolare, dalle rive del loro mare, diversamente da quanto i luoghi comuni del pensiero potrebbero indurci a ipotizzare, hanno avuto illustri, importanti rappresentanti nell’ambiente alpinistico. Sono tutti personaggi di rango in ambito sociale e di elevata cultura, gente che esplora la montagna con salite man mano di livello alpinisticamente sempre maggiore e scrive saggi e monografie su di essa oltre ad arrampicarne le pareti.

Il culmine della creatività si ebbe quando, in occasione della fondazione del Club Alpino Accademico nel 1904, dei 16 alpinisti che fondatori ben tre erano liguri.

E’ un genovese il primo italiano a raggiungere la vetta del Monte Bianco: Giuseppe Imperiale (1806-1871) il 27 agosto 1840

La vetta più alta, la cima dell’Argentera, sarà salita nel 1897, ma non da un alpinista locale bensì dal reverendo William Auguste Brevoort Coolidge con le sue guide Christian e Ulrich Almer, con l’ascensione peraltro del Canale di Lourousa, una via per l’epoca già di un certo impegno, seguita dalla traversata dell’intera cresta sommitale, andata e ritorno.

Lorenzo Pareto (1800-1865), genovese, è riconosciuto come il primo alpinista ligure, autentico esploratore delle valli e montagne sud-occidentali tra Genova e il Colle della Maddalena. Uomo politico, scienziato, alpinista sale molte cime, in particolare nelle Liguri e Marittime tra il 1830 e il 1864. A lui è stata intitolata una delle principali cime del Marguareis. E io, personalmente, ho abitato in via Lorenzo Pareto a Genova per 7 anni…

La fondazione della prima sezione CAI Ligure (Sezione Ligure, appunto) è solo 41a in Italia. Dal 1863 abbiamo atteso il 1880. In questo gli aostani (1866), i piemontesi di Varallo (1867), i veneti di Agordo (1868), i fiorentini (1868) ci hanno preceduti.

Cesare Gamba (1851-1927) è il primo presidente della Sezione Ligure. E’ il primo alpinista ligure capace di affrontare difficoltà già di un certo livello tecnico relativamente all’epoca. A lui sarà intitolata la Capanna Gamba allo Chatelet e l’omonima guglia, il Pic Gamba sulla cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey. Un bravo alpinista… evidentemente allora i presidenti dei vari CAI erano alpinisti…

Nel 1882 fu fondata la sezione Alpi Marittime a Imperia, nel 1884 la sezione di Savona e solo nel 1926 quella di La Spezia.

Giovanni Dellepiane (1855-1938), soprannominato Padreterno individua e percorre nel 1900 quella che diverrà la via normale dell’Argentera. A lui è intitolata una cima nel Gruppo dell’Antoroto nelle Alpi Liguri.

Felice Mondini (1867-1953) genovese. Cresce nell’ambiente alpinistico torinese di fine ‘800 di cui frequenta in particolar modo Ettore Canzio. Solo successivamente rientra a Genova e frequenta le Alpi Liguri e Marittime. Diverrà amico e compagno di ascensioni di Questa e Bozano. Poi si trasferisce in Cile.

Lorenzo Bozano (1869-1918) pioniere e promotore dell’alpinismo genovese (20 anni di attività tra 1890 e 1911). Spesso in cordata con il più giovane Emilio Questa. Come tutti i genovesi suoi contemporanei Bozano fa una ampia attività in Apuane e pubblica scritti monografici sulle sue esplorazioni e avventure alpine. A lui è intitolata una cima della Catena del Marguareis ed il rifugio omonimo, il più importante alpinisticamente parlando dei vari rifugi della sezione ligure del CAI.

Emilio Questa (1879-1906), è uno dei più rappresentativi e produttivi alpinisti genovesi a cavallo tra ‘800 e ‘900. Nel 1905 (con Bozano e Gaetano Rovereto) scrive e pubblica la Guida delle Alpi Apuane. Arrampicatore completo, purtroppo dopo solo 10 anni di attività morirà a 27 anni all’Aiguille Centrale d’Arves. Emilio Questa ha compiuto un gesto straordinario con l’ascensione, assieme a Bartolomeo Figari, della cresta sud-sud-est della Cima Biurca, nell’Appennino Genovese: una via in genere abbastanza facile ma con un passo singolo completamente sprotetto e infido per la roccia (puddinga).

Mondini, Questa e Bozano saranno tra i 16 fondatori del CAAI nel 1904. Gianni Pastine definisce Bozano e Questa i due padri, a fine ‘800, dell’alpinismo genovese.

Alpi Liguri, versante nord del Marguareis, visione completa dal Pian del Lupo. Foto: Federico Raiser.

Bartolomeo Figari (1881-1965) fu spesso compagno di Questa. Notevolissima la sua attività su tutto l’arco alpino, anche se non di elevato livello tecnico, anche per una menomazione subita a causa dell’incidente mortale per Questa. Figari fu soprattutto organizzatore e dirigente, un punto di riferimento in ambito CAI. Dal 1909 è ammesso al CAAI e in seguito anche all’Alpine Club inglese. Fu presidente del Club Alpino Italiano dal 1947 al 1955 (quindi era lui il presidente quando l’Italia conquistò il K2).
A lui è intitolata la Scuola di Alpinismo genovese e una cima del Gruppo Castello-Provenzale, oltre che un torrione nelle Apuane.
E’ autore del bel libro Alpinismo senza chiodi.

Nota personale: per puro caso, quando Figari morì, mi trovavo con Pastine e quindi fummo ammessi in casa sua per rendere omaggio alla salma. Ero molto giovane ed era il primo defunto che vedevo.
Figari lasciò tutti i suoi averi al Soccorso Alpino.

Sempre in Liguria, ma nell’estremo ponente, quindi un mondo a parte rispetto a Genova, si mettono in evidenza alcuni personaggi sicuramente degni di citazione. Dal 1910 si mette in evidenza il sanremese Bartolomeo Asquasciati (1877-1933). Tra le sue tante salite va ricordata la prima italiana del Corno Stella (1912). Poi Guglielmo Kleudgen (1895-1929), che ha praticato un alpinismo rigorosamente senza guida. Quando morì, precipitando a 34 anni, era stata da poco inoltrata la domanda per ammetterlo al CAAI e sul suo corpo qualcuno appuntò lo stemma del sodalizio.

Sulla scia di Kleudgen fa la sua comparsa Francesco Salesi (1906-1992, con attività significativa dalla metà degli anni Venti alla metà degli anni Trenta) e con lui il fratello Romeo (1911-1972) e il compagno di cordata Stefano Bigio (1909-1969). Con essi, dice Gianni Pàstine, c’è stato il salto di qualità.

Francesco (per gli amici François) a metà anni Trenta interrompe l’attività per impegni di lavoro e poi per la guerra. Riprenderà poi, con una bella attività esplorativa in Marittime, alla fine degli anni Quaranta legato dietro la corda del figlio Bruno.

Tra il 1925 e il 1935 entra in scena a Genova un affiatato quartetto (peraltro tutti accademici) con, soprattutto negli anni Venti, decine di prime ascensioni. Si tratta di Augusto Daglio (1881-1965) lombardo, che a 30 anni si trasferisce a Genova e qui inizia una intensa attività in Marittime, ma ha anche significative salite in tutte le Alpi; di Attilio Sabbadini (1899-1983, famose le sue guide, pietre miliari della documentazione sulle Alpi Marittime); di Antonio Frisoni (1888-1940), oltre 80 prime ascensioni tra Liguri, Marittime e Apuane e notevole attività anche nel resto delle Alpi; e di Emilio Stagno(1890-1961), socio anche della SUCAI torinese, che ha attività in tutte le Alpi e, come i suoi amici, nelle Alpi Apuane.

Negli anni Venti è attivo anche Giuseppe Zapparoli Manzoni (1893-1979): bresciano, avvocato laureato a Milano, si trasferisce a Genova e prende a frequentare le Marittime in particolare la Valle Stura avendo una casa a San Bernolfo aprendovi una cinquantina di vie nuove talvolta con il quartetto precedente.

Negli anni 20 si mette in evidenza come arrampicatore Ettore Marchesini (1907-1971): notevole attività di scalatore, anche in solitaria, (proprio Tita Piaz un giorno lo soprannomina “un diavolo” per la determinazione e velocità nello scalare. Suo fedelissimo compagno di cordata è Gastone Pisoni (1906-1936, caduto in aereo in Africa). Di questo ho un particolare ricordo del camino ch’egli percorse sulla parete sud del Torrione Grande del Castello della Pietra nell’Appennino Genovese: una salita quasi speleologica, molto suggestivo e certo non facile.

Ettore Speich (1902-1970) fu formidabile sciatore di gran fondo: pregevole fu la sua attività alpinistica a fine anni Venti (6 vie nuove nel 1927). Ricordato perché l’8 agosto 1927 la sua cordata con Anton Buscaglione è la prima cordata genovese sul Corno Stella, 16a salita).

Anton Buscaglione (1905-1990) di origini biellesi, avvocato a Genova, ha un’ampia attività su tutto l’arco alpino. Frequentò praticamente tutti i suoi contemporanei genovesi e parecchi dei grandi sia occidentalisti che dolomitisti. In particolare per le Marittime va sottolineato che strinse legami di amicizia e di cordata (primo genovese in tale misura) con l’ambiente cuneese, in particolare con Dante Livio Bianco, Gianni Ellena, Edoardo Dado Soria, Aldo Quaranta, Riccardo Cado Nervo e altri).

Di Buscaglione ricordo ancora oggi la sua lezione di storia dell’alpinismo extraeuropeo al corso di cui ero allievo nel 1964. Quella lezione fu una delle più belle: ho ancora nelle orecchie il tono di deferenza con il quale pronunciò due o tre volte il nome di Pasang Dawa Lama. Sembra evocasse un Mito, un’adorazione che risultava contagiosa.

Dopo la pausa della seconda guerra mondiale Buscaglione è forse il primo a riprendere a scalare, forse anche per i suoi contatti con i cuneesi.

Giovanni Guderzo era nato a Marostica il 5 novembre 1915. Era operaio saldatore elettrico delle ferrovie, con la passione per il mare e la barca a vela. Nell’immediato dopoguerra lo avvicinò alla montagna Pippo Abbiati. L’arrampicata per Guderzo era una cosa istintiva e ben presto nel ristretto giro di amici (Buscaglione, Cavanna, Pettinati, Podestà), tra cui in primis lo stesso Abbiati, divenne il capocordata indiscusso. Notevole sarà anche la sua attività di scialpinismo. In quegli anni i rifugi vicini alla linea di confine necessitavano di notevoli interventi di ricostruzione e sistemazione per i danni subiti durante la guerra. Guderzo si dedicò con la massima disponibilità ai rifugi della Sezione Ligure, impiegando quasi tutto il suo tempo libero e lasciando solo brevi pause per le salite alpinistiche nei dintorni. Questo il motivo per cui la maggior parte della sua attività esplorativa si concentra nella zona dei rifugi Zanotti e Questa. Era definito “il frenetico” per il suo carattere che non lasciava spazio all’inattività. Gianni Pastine ne riconosce indiscutibilmente il valore e (Storia della Sez. Ligure, 1975) scrive di lui: “In città Guderzo dà del lei ad Abbiati, ma in montagna ogni inibizione cade, anche perché il capocordata è ordinariamente lui”. Citiamo alcune delle sue numerose prime ascensioni. Con base al rifugio Zanotti, parete nord della Punta Zanotti (con Abbiati e Marchesini, 1948), la traversata delle Guglie della Lausa (con Abbiati, 1948), lo spigolo ovest della Rocca Rotonda (con Abbiati, 1949), lo sperone nord del Becco Alto del Piz (con Ramagli, 1950), più aperture in solitaria come alla cresta sud-est del Dente del Vallone (1951) e alla cresta est della Cima Centrale di Schiantalà (1951).

Attorno al rifugio Questa, tante sono le sue prime (alcune in solitaria): io le ho praticamente ripetute tutte, sono su un livello in genere più difficile, in cui il quinto grado era cosa ordinaria, con passaggi di V+ e A1, citiamo:
– la parete est della Punta Jolanda (con Buscaglione e Trenti, 1952);
– la parete est della Punta Umberto (con Buscaglione, 1953);
– la Est della Punta Maria (con Riri Pettinati, 1954);
– lo spigolo sud-est (con Pettinati e Podestà, 1955) della Punta Giovanna;
– la prima traversata invernale della Cresta Savoia (con Lino Cavanna e Pettinati portandosi gli sci sullo zaino, 1954).

Con il senno di poi potremmo dire che purtroppo gli mancò un compagno alla sua altezza. Se anche Abbiati avesse avuto il suo livello tecnico, probabilmente l’alpinismo genovese avrebbe collezionato exploit di rilevanza assoluta già all’epoca.

La parete nord della Cima delle Saline (Alpi Liguri)

Stranamente Euro Montagna ne parlò poco e non lo inserì nel suo libro. A noi ha raccontato di lui:

Guderzo era comunque una persona semplice. Alpinisticamente dipendeva molto dagli altri compagni di cordata, principalmente Pippo Abbiati che era una persona di cultura che conosceva bene la montagna. Guderzo era dipendente nel senso che magari non era lui a lanciare delle proposte, anche se poi sul difficile gli altri lo mandavano davanti ed era lui che risolveva i passaggi… In arrampicata era un ragno, soprattutto su roccia. Ha fatto delle belle vie nella zona del Prefouns, vicino al rifugio Questa. Ad esempio avrebbe fatto benissimo la Sud dell’Aiguille Noire, ma di sicuro non la conosceva nemmeno… Era peraltro molto disponibile e attivissimo nella manutenzione dei rifugi della sezione, di cui si occupava principalmente Abbiati che era ingegnere, un libero professionista molto affermato. Più tardi Guderzo era stato indirizzato a fare un corso da istruttore nazionale, che si è concluso con un insuccesso perché lui era principalmente uno pratico, un tecnico, e forse non aveva dato una buona impressione nell’esposizione teorica. Questo episodio deve averlo lasciato molto male, allontanandolo anche dalla sezione. Non ho mai capito bene come siano andate le cose, ma poco per volta ha lasciato l’alpinismo e quando Buscaglione e Abbiati hanno mollato per ragioni anagrafiche anche Guderzo ha praticamente smesso”.

Quel fastidioso episodio dovette averlo lasciato molto male, ma a tal punto che nessuno seppe mai che fine avesse fatto.

Negli anni Cinquanta è il savonese Carlo Aureli a tenere banco, soprattutto nelle Alpi Liguri, dove conduce una grande attività esplorativa, sempre di ottimo livello.

Citiamo ad esempio la parete sud della Rocca Garba (1954, con R. Mirenco), di recente ripetuta e che ha generato grande sorpresa per le difficoltà che toccano il sesto grado!
Altra bella realizzazione di Aureli, con Mauro Mattioli, è del 1968, la parete nord della Cima delle Saline.

Il mio maestro, Euro Montagna, sale tutte le vie del Corno Stella esistenti nel suo periodo (anni Cinquanta).

Sue sono le precise guide alpinistiche della Collana dei Monti d’Italia sulle Alpi Apuane, Alpi Liguri e Alpi Marittime.

Con lui sono gli amici Nicolino Campora e Salvatore Gabbe Gargioni, e il suo indimenticabile compagno Giorgio Noli.

Risento ancora quella sua esclamazione mentre si legava per arrampicare: “Sun ansciusu de piccame” (sono voglioso di “picchiarmi”, s’intende con la roccia).

Euro ha iniziato nel 1957 a frequentare il CAI Ligure dove una sera, in sede a Genova, ha conosciuto Enrico Cavalieri. Due personaggi davvero diversi. Questi, con Giancarlo Bussetti aveva aperto nel 1959 la via del Diedro grigio-rosso al Corno Stella, una notevolissima salita.

C’era un po’ di antagonismo: Cavalieri con alle spalle la sez Ligure e la sua tradizione; a Sampierdarena Sergio Rinaldi e Renato Avanzini (futuro grande amico e compagno di Guido Rossa), e poi Bolzaneto, che si consideravano i proletari.

Cavalieri era un ricercatore, pieno di idee, voleva andare a scoprire cose nuove (sua per esempio l’idea sul Becco di Valsoera). A Montagna invece non interessava fare cose nuove, quelle le ha fatte quando gli è capitato, soprattutto in Apuane. Era un appassionato di grandi vie classiche storiche sulle montagne importanti come la Peutérey, le Jorasses…

Montagna racconta: “Il terreno preferito di Enrico era il ghiaccio e il misto, il mio invece la roccia, così facevamo un po’ come Gervasutti e Chabod: quando andavamo insieme spesso io facevo i tratti di roccia e lui quelli di ghiaccio, come al Mont Blanc du Tacul quando abbiam fatto la via nuova alla Corne du Diable. Io ed Enrico ci allenavamo ogni tanto alla Pietra Grande… poi quando è arrivato a Genova Guido Rossa ci ha ridicolizzati…

Un aneddoto simpatico, siccome Enrico parlava con una “r” un po’ marcata, soprattutto quando si agitava, Mario Porcile diceva: – Sembra che gargarizzi pietre…”.

Con Enrico la prima volta siamo andati al Bianco a fare due prime invernali nel 1957, alla Vierge dei Flambeaux e al Petit Capucin. È stato in quella occasione che al rifugio Torino abbiamo conosciuto Romano Perego. Poi, un mese dopo io ho avuto l’incidente in Baiarda…

Nel 1960 Ettore Marchesini, che era Accademico, ci ha presi da parte, me e Cavalieri che a Genova eravamo quelli che andavano di più, per chiederci se avevamo mai pensato alla possibilità di essere ammessi all’accademico. Quell’idea ci ha riempiti d’orgoglio. Entrambi siamo stati presentati e quindi ammessi con nostro grande entusiasmo nel ’62.”

Sempre nei primi anni ’60 c’è il sanremese Bruno Salesi, con il quale torna a scalare in Marittime anche il padre Francesco. Esplorano soprattutto i gruppi Dragonet- Asta, su cui scrivono una monografia. Anche lì, vie di notevole livello.

I miei primi compagni, subito dopo al mio corso del 1964, sono stati Gianni Pastine (guida Argentera-Nasta nel 1964) e Vittorio Pescia (innumerevoli pomeriggi passati dalle 16 in poi nel suo negozio in Piccapietra di Genova, neanche fosse stata una succursale della sede del CAI).

Ma più che i compagni mi furono importanti altre due grandi figure che a metà anni Sessanta arrivarono da Torino, quelle di Guido Rossa (1934-1979) e di Gianni Ribaldone (1942-1966).

Le pareti est della Cresta Savoia

La loro influenza è stata tangibile per tutti, ma specie per me che mi ero appena affacciato al mondo dell’alpinismo.

Se poi aggiungo anche l’influenza esercitata su di me da quel genio di Piero Villaggio (1933-2014), accademico dal 1961, ho finito.

Tutti e tre questi personaggi non hanno mai fatto grande attività di scoperta nelle Alpi Sud-occidentali, ma vanno citati lo stesso.

Guido Rossa, un po’ come Ribaldone, ha gravitato dapprima molto sull’ambiente torinese e poi è venuto a Genova ove ha partecipato molto più di Ribaldone che era tornato via.

Fulvio Scotto scrive:
“Guido Rossa è sicuramente conosciuto più per l’impegno sindacale e politico che, in coerenza con il suo carattere e le sue idee, lo portò ad essere vittima di una esecuzione delle Brigate Rosse, piuttosto che per l’attività alpinistica cui dedicò comunque gran parte della sua vita. Veneto di origine, è cresciuto a Torino ove la famiglia si trasferì quando lui aveva due anni. Quattordicenne ha iniziato a lavorare in fabbrica, entrando poi in Fiat come fresatore. È sempre stato un carattere forte, deciso, e poi, talvolta anche dissacratorio. Fin dagli anni giovanili ha frequentato l’ambiente alpinistico torinese. Nel 1961 si è trasferito a Genova entrando all’Italsider di Cornigliano ove è stato poi eletto nel Consiglio di Fabbrica come esponente della Fiom-Cgil. Era anche iscritto al PCI. Nei cosiddetti “anni di piombo” (periodo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 80) il terrorismo politico in Italia mise a segno numerosi attentati e atti criminali. In particolare le BR, frangia armata dell’estrema sinistra, si mise in evidenza, tra le altre cose, con il rapimento e l’uccisione dell’allora presidente della DC Aldo Moro nel 1978. Questa escalation di violenza determinò l’aperta condanna di tutte le forze politiche costituzionali tra cui in primis il PCI di Berlinguer ed il sindacato che invitarono i loro aderenti a vigilare contro il terrorismo. Nell’ottobre del ’78 Guido Rossa denunciò un operaio che aveva individuato, in modo comprovato dai fatti, quale attivista delle BR. Per vendetta e per timore che la denuncia, e successiva testimonianza, di Rossa potessero costituire un precedente da emulare, le BR decisero di sanzionarlo con la “gambizzazione” che poi si risolse in una esecuzione, un omicidio, all’interno della sua auto il 24 gennaio 1979. Il coraggio e l’atto esemplare di Guido Rossa, nonché il suo sacrificio nell’efferatezza del delitto compiuto dalle BR, segnarono l’inizio del declino della lotta armata terroristica in Italia.

Alpinisticamente, secondo Enrico Camanni (Nuovi Mattini, edizioni Vivalda, 1999) va considerato quale un caposcuola nel periodo che sta a mezza strada tra Giusto Gervasutti e la nascita del Nuovo Mattino, innalzando su roccia il livello dell’alpinismo torinese con audacia e determinazione. Fuori dagli schemi classici che caratterizzavano l’alpinismo all’epoca, fu talvolta anche autore di atti che in quel contesto appaiono provocatori, come quando alla Rocca Sbarua, in giacca e cravatta e con le scarpe di para, salì slegato la via Gervasutti. In un certo senso può essere considerato come un precursore dell’arrampicata “sessantottina” del Nuovo Mattino. Forte anche nell’arrampicata artificiale ebbe la genialità di inventare dei prototipi di cliff-hanger ed un progenitore del chiodo a pressione usando dei bulloni presi in fabbrica. Ancora minorenne aveva salito in Lavaredo la via Comici alla Cima Grande e lo Spigolo Giallo e a diciott’anni la via Gervasutti di destra alla Parete dei Militi in Valle Stretta, parete che scalò una trentina di volte sulle sue vie più impegnative dell’epoca.

Tra le ascensioni alpinistiche più significative ricordiamo ad esempio una tripla salita della Cresta sud all’Aiguille Noire de Peutérey (due di queste in solitaria slegato, una volta in sei ore…) e sempre alla Noire anche la via Ratti-Vitali sulla Ovest. Tra le sue salite più significative ricordiamo: la via Bonatti al Grand Capucin, la Cassin al Pizzo Badile, la Buhl alla Roda di Vael, la Steger al Catinaccio, le vie Soldà e Vinatzer alla Marmolada; in Civetta la Carlesso alla Torre di Valgrande, la Tissi alla Punta Venezia e la Livanos alla Su Alto. Il suo curriculum di alto livello gli valse l’ammissione al CAAI già nel 1958 all’età di soli 24 anni. Nel 1963 partecipò alla fallita spedizione al Langtang Lirung, in cui persero la vita due suoi compagni, e dalla quale Rossa ritornò parecchio scosso anche per la constatazione della miseria in cui versavano quelle popolazioni. Ciò contribuì ad accrescere la sua convinzione, peraltro già maturata, della necessità di un concreto impegno sociale. In una lunga lettera scritta nel 1970 all’amico Ottavio Bastrenta appare deluso da un ambiente alpinistico dal quale sente di starsi gradualmente allontanando e che giudica “quasi inutile pratica dell’andar sui sassi […] dominato dall’indifferenza, dal qualunquismo e dall’ambizione” rispetto alla necessità di “scendere giù in mezzo agli uomini e lottare con loro” per i diritti e la giustizia sociale.

Nelle Alpi Marittime, in gioventù all’inizio di luglio del 1954, fece un tentativo di via nuova al centro della parete nord del Corno Stella a sinistra della via Ellena, all’epoca unica via sulla parete, arrivando fino alla base della “fessura ad S”. Venti giorni dopo la salita sarà portata a termine da Dino Rabbi, uno dei suoi migliori amici, con Mario Maccagno, seguendo le indicazioni che lui stesso gli ha dato. Rossa tornò poi a ripetere (5a salita) tale via impiegandovi solo quattro ore. Ancora al Corno Stella Rossa salì la via Allain. Al Monviso salì in solitaria la parete nord. Al Marguareis salì la parete nord della Cima di Piero con Armando Biancardi con una nuova variante di attacco (2 ottobre 1955). Anche alla Rocca Castello c’è una sua via aperta sulla parete ovest nel 1955. A Genova oltre che con Euro Montagna, si legò in cordata e con una profonda amicizia con Ottavio Bastrenta, con Renato Avanzini, Piero Villaggio, Rita Corsi e Carlo Aureli”.

Gianni Ribaldone(Cavour, 25 agosto 1942 – Mont Blanc du Tacul, 3 luglio 1966) ha abitato a Genova da giovane ma la sua attività l’ha fatta nell’ambiente torinese.

E’ stato una delle promesse dell’alpinismo italiano che, al pari di Gianni Comino una quindicina di anni dopo, la morte ha fermato troppo presto, prima che alcune già notevolissime realizzazioni fossero solo l’inizio di una potenziale grande carriera alpinistica. Quando aveva otto anni la sua famiglia si trasferisce da Cavour a Genova e nella città ligure Gianni compie gli studi fino alla maturità per poi trasferirsi nel 1960 a Torino per frequentare il Politecnico. A Genova inizia a praticare la speleologia attratto dagli aspetti scientifici ma con un altissimo potenziale tecnico, divenendo ben presto punto di riferimento del Gruppo A. Issel. Scopre poi anche l’arrampicata per la quale ha una naturale predisposizione. A Torino riesce ad entrare nel gruppo di punta degli alpinisti locali del momento, entra anche a far parte del Gruppo Alta Montagna del CAI UGET e ne diviene vicepresidente, quindi viene promosso istruttore alla Gervasutti, la scuola di alpinismo per eccellenza a Torino. Primo tra i torinesi in quegli anni, scala anche in Dolomiti con l’amico Alberto Marchionni. Tra tutte citiamo la salita della via Graffer al Pilastro Occidentale della Tosa nel tempo eccezionale di quattro ore e lo Spigolo Graffer al Campanil Basso (1a invernale, 1964). In Lavaredo la Comici e la Brandler-Hasse alla Cima Grande e la Cassin alla Ovest, in Civetta la Solleder e la Andrich e la Livanos alla Su Alto. Continuando anche con la speleologia, nel 1963 realizza, con un amico, una importante prima, raggiungendo il fondo della temutissima Spluga della Preta, all’epoca seconda profondità mondiale con -875 m. Otto giorni di esplorazione continua in profondità con soli tre bivacchi in condizioni sempre difficili. Tra le tante importanti salite alpinistiche nelle nostre montagne sud-occidentali citiamo la prima ripetizione della Direttissima Sud Ughetto-Ruggeri al Corno Stella, la Direttissima Ovest (1a salita) e la prima invernale dello Spigolo Fornelli alla Torre Castello. Nel Gruppo del Monte Bianco la Sud dell’Aiguille Noire, il Pilier Gervasutti al Tacul (1a invernale, 1965) e la prima salita dello Spigolo nord-est del Petit Capucin (1965), la Bonatti e la Svizzeri al Grand Capucin, la Gervasutti-Boccalatte al Gugliermina e tante altre. Tutto quanto sopra solamente tra il 1960 e il 1966. Poi Gianni Ribaldone cade, all’età di 24 anni, qualche giorno prima di laurearsi, durante una salita al Couloir Gervasutti al Tacul (di cui quattro anni prima aveva fatto la 1a invernale) durante una uscita del corso di alpinismo mentre guida da istruttore la sua cordata.

Piero Villaggio (1933-2014) – Nato a Genova, ove si laureò in Ingegneria Civile nel 1957, fu studioso di matematica applicata e dal 1966 docente di Scienza delle Costruzioni alla Facoltà di Ingegneria di Pisa, poi professore emerito. Famoso all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, per le sue competenze scientifiche, scrisse varie pubblicazioni anche in lingua inglese e fece parte dei comitati di redazione di riviste internazionali. Alpinista con vasta attività soprattutto dolomitica, fu ammesso al CAAI nel 1961.

Poco tempo dopo la mia frequentazione del corso di alpinismo del 1964 ebbi modo di scalare con alcuni dei miei istruttori, tra i quali cito i fratelli Eugenio e Gianluigi Vaccari, ma soprattutto quello che in seguito diventerà il mio grande amico: Gianni Calcagno.

Ho già raccontato altrove delle prime avventure vissute con Gianni, della litigata bestiale che facemmo in occasione della nostra conoscenza, lui istruttore e io allievo, quindi in torto per definizione.

Tanto per stare nel nostro tema cito solo la prima esplorazione del Monte Bersajo e la nostra prima dello sperone nord-ovest della Testa di Tablasses (1965), appena chiuso il mio esame di maturità.

Vorrei chiudere queste note con un rapido accenno allapertura della via sulla parete nord-est dello Scarason, con il torinese Paolo Armando, nel 1967: un vero e proprio giro di boa nella storia dell’alpinismo delle Alpi Sud-occidentali. Avevo letto di questa parete sulla guida Marguareis dell’Accademico di Mondovì Sandro Comino, che la dichiarava l’ultima grande parete inviolata delle Alpi Liguri e Marittime. Mi ero informato: Armando Biancardi l’aveva proposta a personaggi di gran calibro come Cesare Maestri e Armando Aste, ma non se ne era fatto nulla, nonostante che Aste in effetti, assieme allo stesso Biancardi, due vie nel Marguareis, e belle, le avesse aperte.

L’accenno allo Scarason termina qui. Voglio solo concludere con un episodio che non ho ancora raccontato. In seguito alla nostra salita, assieme ad Armando Biancardi sono andato a trovare una sera a casa sua l’anziano Sandro Comino, gioviale ed espansivo. Mi abbracciò come un figlio e, mentre frastornato ricambiavo questo affetto, mi accorsi che stava piangendo a dirotto.

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In viaggio fra le Alpi del Sud-ovest ultima modifica: 2022-12-05T05:20:00+01:00 da GognaBlog

2 pensieri su “In viaggio fra le Alpi del Sud-ovest”

  1. 2
    alessandro gentilini says:

    Pur conoscendo buona parte delle storie citate devo dire che questo riepilogo complessivo e’ davvero pregevole e per certi aspetti commovente.
    Grazie

  2. 1
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