La cordata Ratti-Vitali
Vittorio Ratti nasce a Lecco, il 22 gennaio 1916. L’amico Riccardo Cassin lo definisce gioviale e spensierato, simpatico a chiunque lo incontri. “Nasconde la spiccata personalità, la sicurezza di decisione e la generosità”, scrive Cassin, che lo conosce su un campo di sci nel 1933, quando Ratti ha 16 anni.
Ben presto Vittorio Ratti manifesta le sue capacità: il 1° agosto 1935 apre una via nuova sul Nibbio (in Grignetta), caratterizzata da una fessura assai atletica e difficile, accanto alla via Cassin. Gli sono compagni Emanuele Pellizzari e Vittorio Pifferetti. Inutile dire che questo gesto suscita l’interesse di Cassin.
L’11 e 12 agosto 1935, Cassin ripete con Mario Boga dell’Oro la via Comici al Civetta (3a salita): in cima trovano Lucien Devies e Giusto Gervasutti che hanno appena salito la via Solleder: mentre scendono Cassin viene a sapere dello spigolo sud–est della Torre Trieste. Pochi giorni dopo il grande lecchese lo salirà proprio con il giovanissimo Ratti, dal 15 al 17 agosto.
Ma i colpi di scena non sono finiti. Hans Hintermeier e Sepp Meindl stanno assediando e corteggiando la parete nord della Cima Ovest di Lavaredo. Cassin e Ratti passano silenziosi (e di notte) accanto ai due tedeschi che stanno dormendo alla base e salgono al primo colpo e con due bivacchi, dal 28 al 30 agosto 1935) quella parete che da anni costituiva il problema numero uno nelle Dolomiti. A proposito di quest’impresa Antonio Berti scriverà, nella riedizione della sua guida delle Dolomiti Orientali (1956), “Due bivacchi, due bufere, la gloria alpinistica”. In mezzo a cotanto eroismo, rimane assai divertente l’episodio del cordino di collegamento: gli amici, incaricati di passare ai due impegnati in parete, viveri e bevande, per qualche equivoco mettono nel cestino abbondanza di panini al prosciutto, quando invece Cassin e Ratti sono soprattutto assetati. Un po’ oltre al traverso il cordino diventa inutile perché non lungo a sufficienza.
Al riguardo di Vittorio Ratti va anche citata l’ascensione alla parete sud della Torre Venezia, 13 agosto 1936, con Vittorio Panzeri.
Dal 14 al 16 luglio 1937 la Nord-est del Pizzo Badile riporta insieme Cassin e Ratti, unitamente a Gino Esposito, su uno degli itinerari allora più ardui e non ancora risolti. Non stiamo qui a raccontare l’epopea in cui perdono la vita i comaschi Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi, aggregati alla cordata dei tre lecchesi. Ricordiamo solo che Ratti, ultimo di cordata, ha un ruolo essenziale nell’aiutare gli sfiniti Molteni e Valsecchi a raggiungere la cima.
Il 18 agosto 1937 con Gino Esposito, Ratti apre sulla parete nord-ovest della Piccola Civetta una significativa variante alla via Haupt-Lömpel. Per un camino mostruoso Ratti arriva al caratteristico nevaio: a quei tempi suscita stupore la notizia che egli ha attraversato quel ghiacciaio pensile munito solo di un martello da roccia e con le pedule ai piedi.
Con queste imprese Ratti assume nell’ambiente lecchese e italiano un ruolo di primissimo piano. In più pratica numerosi sport oltre l’alpinismo, soprattutto lo sci e il canottaggio di cui diventa campione italiano.
Per le sue belle affermazioni è insignito di due medaglie d’oro e due d’argento al valor atletico.
Le vicende della guerra impongono una battuta d’arresto alla sua esuberante e sempre crescente attività alpinistica. Con il richiamo alle armi, è alla Scuola Militare Alpina d’Aosta.
Il 26 aprile 1945 muore a soli 29 anni al fianco di Riccardo Cassin sotto una raffica di fucile mitragliatore: partigiano (ex sergente dell’esercito), è marito e padre di due figli piccoli. In questa sfortuna di quegli ultimi giorni di combattimenti, anche un altro grande rocciatore, Giovanni Giudici detto Farfallino, perde la vita.
L’ultima salita di Ratti era stata, con Vitale Bramani, la prima ripetizione della via di Alfonso Vincial Pizzo Ligoncio.
Germano Luigi Vitali, più noto come Gigi Vitali, nasce a Lecco il 19 dicembre 1913. Accademico del CAI e ispiratore (Alberto Benini dice “inventore”), dopo la Seconda Guerra Mondiale, della nascita del Gruppo Ragni della Grignetta.
Carattere brillante, un po’ esibizionista, donnaiolo. Sono famose le sue discese in doppia a testa in giù dal Nibbio e poi dal Fungo, salvo poi fare un bivacco vicino a un cimitero perché con gli amici aveva decisamente bevuto troppo.
Traccia molte vie nel gruppo delle Grigne (la sua prima via nuova è del 4 settembre 1932 con Rizieri Cariboni al Sigaro, a soli 19 anni): una delle sue vie più “corpose” è senza dubbio quella da lui aperta nel maggio del 1934 sul Sasso dei Carbonari con Vittorio Cagiada Panzeri e Bruno Citterio (via che poi è stata battezzata via Panzeri ’34).
Ma a quei tempi no si poteva mai stare tranquilli con il richiamo alle armi. Vitali partecipa fra il 1937 e il 1938 alla Guerra in Africa Orientale (c’era anche Ugo Tizzoni), come aviere scelto e fotografo; in seguito presta servizio (1942-1943) in Russia.
Essendo un bravo fotografo documenta (gli album sono stati ritrovati solo recentemente) la crudeltà della guerra.
Dal 1943 combatte nella Resistenza organizzando una squadra SAP (Squadra Azione Patriottica) nello stabilimento metallurgico Aldè, dove lavora.
Notevole è anche la sua bella via nuova con Angelo Longoni sul Torrione Magnaghi Meridionale, 7 settembre 1941 (ho avuto l’onore con Andrea Cenerini di farne la 1a ripetizione, il 21 dicembre 1969, NdA).
Tra le altre cose, Gigi scopre anche le Pareti del Lago con 30 anni di anticipo: le recenti investigazioni di Ivo Ferrari lo hanno provato.
Come viaggio di nozze con la moglie Maria va a Capri (e anche lì apre una via nuova sui Faraglioni). Sono da registrare anche numerose vie nuove sul Resegone e nella catena della Mesolcina.
Fra il 1945 e il 1948, nella zona che va dal Passo del Monte Moro al Passo del Sempione, compie parecchie salite quasi sempre in compagnia del conte Aldo Bonacossa che vi era impegnato nella redazione di una guida della collana “Monti d’Italia” (CAI-TCI) che non vide mai la luce.
Il 1 settembre 1945 è osservato da Tita Piaz mentre con Mariadele Corti apre una via nuova sulla Punta Emma, in Catinaccio, dove lo stesso Piaz aveva aperto la sua famosa fessura.
Sembra un Ragno, dice Piaz. Da cui i Ragni della Grignetta e, di conseguenza, il fatto che Maestri abbia “usurpato” il titolo di ragno (delle Dolomiti)…
Nel 1949, a seguito di un grave incidente motociclistico, perde l’uso di una gamba: e in seguito la vita non gli sorride di certo. Alla morte in Grignetta dell’amico fraterno Luigi Castagna nel 1951, segue la disgrazia terrificante in cui perde la vita il figlio Dario (1961). Muore a Malgrate, il 31 dicembre 1962.
Ma arriviamo dunque alla cordata Ratti-Vitali, di cui al titolo.
Dal 21 al 22 agosto 1938 i due aprono una via nuova sulla parete nord-ovest della Cima Su Alto, gruppo del Civetta, 800 m di estrema difficoltà e quasi totalmente in arrampicata libera.
La parete, quando i due la approcciano, è completamente inviolata: non esiste ancora la via Livanos-Gabriel, né lo spigolo Piussi (quello poi crollato), né alcun itinerario sulla contigua parete nord-ovest della Cima di Terranova.
Vitali fa da secondo per tutta la salita. Nella relazione racconta che in un punto Ratti si è perfino tolto le scarpette di feltro ed è salito a piedi nudi. E narra anche di un volo pauroso di Ratti. Riportiamo un altro punto saliente: «Desidero soffermarmi sui particolari della scalata di questo difficile tratto: Ratti si lega alla cintola due capi di una corda e di un cordino di 50 metri ognuno; due chiodi di sicurezza alla base, ed attacca con spostamenti (rapidi del corpo a destra e a sinistra sfruttando in modo meraviglioso il sistema Dülfer per le fessure; sale senza mettere un chiodo di assicurazione; ormai non può più fermarsi e l’assicurazione migliore è quella dì proseguire senza soste. In questi momenti ho veramente sofferto; avrei voluto aiutarlo, essergli vicino se non altro per provare insieme con lui la sensazione del pericolo e della fatica, ma il mio compito era quello di rimanere al mio posto con un ginocchio incastrato in una fessura e con le corde che lentamente scorrevano nelle mani. Ratti, con voce che non lascia dubbio sullo sforzo che sta compiendo, mi grida che «pochi metri lo separano da un punto di sosta». E’ giunto. Un battere sul chiodo, e la gioia intimamente silenziosa di aver assistito all’audacia propria di chi sa sfruttare in modo perfetto le proprie possibilità, senza mezzi artificiali (Le Alpi, 1938-39, n. 5)».
Dal 18 al 20 agosto 1939, il capolavoro. Importantissima è infatti l’impresa di Vittorio Ratti e Gigi Vitali che salgono alla vetta dell’Aiguille Noire de Peutérey dalla parete ovest. I due lecchesi affrontano la parete esattamente nel settore sotto la vetta, a differenza della cordata di Gabriele Boccalatte e Ninì Pietrasanta, che invece nel 1935 avevano compiuto la prima ascensione di quel versante spostandosi notevolmente a destra.
E’ da notare una novità: la scelta cade su un itinerario più diretto su di una parete già salita, piuttosto che su un’altra delle tante pareti ancora vergini. Estrema eleganza di linea: un po’ quello che è successo sulla Nord delle Grandes Jorasses con la salita dello Sperone della Punta Walker preceduta di tre anni dalla salita allo Sperone della Punta Croz (non la vera vetta della montagna).
Sull’Aiguille Noire, alla fine del secondo giorno, proprio in mezzo alle maggiori difficoltà, sono sorpresi dal nevischio e bivaccano completamente fradici.
Riporto un breve passo della relazione di Vitali: «Siamo a circa metà parete, e ancora non abbiamo incontrato le difficoltà descritteci da Gervasutti. Presto, però, troviamo il pane per i nostri denti. Infatti, poco sopra, notiamo una fessura strapiombante, chiusa da un tetto: per superarla Ratti è messo a durissima prova, ma la sua volontà, unita alla forza e all’audacia, hanno ragione dell’ostacolo. In questo tratto, ho visto il mio compagno salire lentamente, centimetro per centimetro, adoperando tutti i mezzi della tecnica moderna: per superare il tetto fa uso, oltre che di chiodi, anche di due staffe e quando mette i piedi in queste, il suo corpo penzola completamente nel vuoto. Duro è il passaggio, ma ancor più duro è il mio compagno che sta per vincerlo: solo dopo più di un’ora, riesce a metter piede su un piccolo ballatoio e, piantato un solido chiodo di sicurezza, mi grida che posso raggiungerlo. Per essergli vicino affatico molto adoprando tutta la mia forza: ogni qualvolta levo un chiodo per ricuperarlo, faccio un volo nel vuoto e Ratti deve reggermi solidamente. Finalmente metto piede a fianco di lui (Le Alpi, 1939-40, n. 7)».
La prima ripetizione è del 1949, di Gaston Rebuffat e Bernard Pierre, seguiti qualche giorno dopo da Walter Bonatti, Andrea Oggioni ed Emilio Villa. La prima invernale è di Angelo Bozzetti e Luigi Pramotton (1967); la prima solitaria è di Giorgio Bertone, 1975; la prima solitaria invernale è di Renato Casarotto in occasione della sua famosa cavalcata fino alla vetta del Bianco (1982).
Un curioso particolare
La salita di Ratti e Vitali sull’Aiguille Noire segue di pochissimi giorni quella di Cassin e Tizzoni che, dal 14 al 15 agosto 1939, salgono in prima ascensione la parete nord-est dell’Aiguille du Leschaux; il 26 agosto 1939, la sera, tutti e quattro arrivano a Lecco, dove sono osannati dalla gente e dal podestà in un tripudio di festa lungo via Cavour. Il 1° settembre la Germania invade la Polonia, il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla Germania. E’ la fine di un’epoca.
Ho scelto questo articolo, ma ne sarebbero andati bene centinaia di altri. Anzi, migliaia.
E perché l’ho scelto? Per questo: grazie, Alessandro.
bella salita fatta parecchi anni fa. Il diedri superiori li ricordo belli sostenuti.
Però si rischia più ad attraversare il Freney che a fare la via.
Alpinisticamente dico sempre Ratti con il Vitali (Cassin chissà perché mai col Vitali ?! 🙂 ) e Vinatzer o Detassis con il Castiglioni e non dico o penso mai il contrario.
Secondo me bisogna trovare sempre le differenze, altrimenti non si conosce mai niente di niente, gli uomini sono tutti diversi.
Poi noi italiani quando uno muore ne parliamo sempre bene e facciamo santi tutti….. obiettivo divertirsi (da divergere) sempre.
La Storia, il ricordo, di certo anche impreziosiscono le narrazioni. Ed è bello così.
Non credo che a quei tempi gli slanci di gioventù fossero poi così diversi da quelli di molti ragazzi di oggi. Erano le condizioni materiali ad essere differenti. E sociali certamente.
Una delle ragioni che rendono l’alpinismo cosí affascinante è la storia. Salire lo Sperone Walker, lo Sperone della Brenva, una via di Preuss o di Gervasutti, consapevoli della storia alpinistica che vi si è svolta, impreziosisce la nostra avventura e la trasforma in qualcosa di piú di una semplice scalata sportiva.
In modo analogo, visitare il Partenone o il Colosseo ignorandone la storia riduce la nostra esperienza a misera cosa.
È straordinario leggere le gesta di questi precursori, di un alpinismo di conquista ormai quasi dimenticato dalle nuove generazioni.
Mi sono serenamente perso in questo bellissimo racconto.