La nostra specie in natura
di Guido Dalla Casa
(pubblicato da www.ariannaeditrice.it il 14 febbraio 2018
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Premesse
Secondo l’idea più diffusa nella cultura occidentale fino all’inizio dell’Ottocento, il mondo intero, l’universo stesso, erano “fatti per l’uomo” che era al centro di tutto, era “lo scopo della Creazione”. Con un breve excursus storico, vediamo come si presenta la situazione con le conoscenze attuali.
Partiamo da alcuni secoli fa, cioè da Copernico. Con la rivoluzione copernicana il centro dell’Universo passa dalla Terra al Sole: si tratta del primo passo per mettere in discussione il rapporto uomo-natura, di un timido spostamento dalla posizione centrale, anche se ci vorranno secoli per percepirne l’effettiva portata. Tuttavia l’esclusiva spirituale della nostra specie non viene ancora minimamente intaccata.
Oggi sappiamo che: siamo una specie fra le altre specie, parte della Vita, nata tre miliardi di anni fa sul terzo pianeta di una stella di media grandezza lanciata sul braccio esterno di una galassia qualunque, fra miliardi e miliardi di altre galassie. Non siamo al centro di niente, anzi, non esiste nessun centro, di alcun tipo.
Biologia
Nell’Ottocento si era ormai affermato il pensiero cartesiano: la corrente principale della biologia considerava gli animali e lo stesso corpo umano come macchine, automi da sezionare in parti sempre più piccole, specie di orologi da smontare pezzo a pezzo per comprenderne il funzionamento. I fenomeni spirituali ed emotivi erano considerati appannaggio del solo essere umano e completamente separati dal corpo, oppure negati.
Ma l’evoluzione biologica, espressa in forma completa nel secolo XIX, intaccò decisamente l’idea che l’umanità fosse “speciale”, “frutto di creazione separata”, qualcosa di “staccato dalla Natura”.
Tuttavia, quando comparve questa forma di pensiero su base scientifica, si perse un’ottima occasione per una vera svolta culturale. Invece di mettere in evidenza il fatto essenziale, cioè l’appartenenza della nostra specie alla Natura e quindi la necessità di seguirne le grandi leggi cicliche, l’evoluzione fu inquadrata in pieno nel meccanicismo imperante: venne evidenziata soprattutto l’idea di “selezione naturale e sopravvivenza del più adatto” con ogni sorta di estensione arbitraria.
L’evoluzione poteva soppiantare ben più a fondo la concezione precedente: ma questo non è avvenuto, o forse non ancora. L’evoluzione, anziché essere vista come il fatto essenziale e cioè che noi siamo Natura, è stata vista come “progresso”. L’uomo restava il vertice dell’evoluzione: il “diritto divino” veniva sostituito con il “merito selettivo” e, dal punto di vista pratico, tutto andava avanti peggio di prima.
Nella prima metà del ventesimo secolo, era stato addirittura formulato un principio antropico, in base al quale noi eravamo un evento “estremamente improbabile”: basta una variazione di pochissimo in una sola delle costanti universali per rendere impossibile la nostra esistenza. Quindi l’universo ha come scopo l’uomo! Ma questo ragionamento vale anche per la marmotta, o per l’abete rosso, o per un torrente…
Credo molto all’unicità della Vita, compresa l’umanità, ma non penso assolutamente che competizione e selezione siano le uniche molle dell’evoluzione, probabilmente dovuta a cause molteplici, a una specie di creazione continua, un processo immanente nella Natura animata. L’uomo non fa eccezione, è una specie animale, un componente dell’Ecosistema.
Come massimo esponente del pensiero biologico meccanicista, possiamo citare Jacques Monod, fondatore della biologia molecolare, che negli anni Sessanta del ventesimo secolo così concludeva il suo pensiero (Ne Il caso e la necessità):
“L’antica alleanza è rotta. L’uomo sa finalmente di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo, da cui è emerso per caso. Il suo dovere e il suo destino non sono scritti in nessun luogo”. Qui siamo al massimo dell’angoscia metafisica, appena attenuata da una forma di etica della conoscenza. Niente ha un senso.
Perché siamo qui noi, eventi così estremamente improbabili? Per puro caso, anche se il “caso” non ha un significato del tutto chiaro. Secondo Monod, noi siamo qui perché “il nostro numero è uscito sulla ruota di Montecarlo”. Ma, in certo senso, l’uomo restava al vertice di una fortunatissima catena di eventi casuali.
Jacques Monod
Venti anni dopo la pubblicazione de Il caso e la necessità di Monod (1965), usciva, quasi con una risposta contenuta nel titolo, La Nuova Alleanza di Ilya Prigogine e Isabelle Stengers: studiando le “strutture dissipative” o lontane dall’equilibrio, come sono anche i sistemi viventi, si vede una tendenza a strutturarsi, ad auto-organizzarsi. C’è una spinta interiore, un immanente “desiderio” di creare strutture. Nel determinismo biologico non si tiene conto della creatività del caos, dell’indeterminazione creativa delle strutture dissipative, del fatto che c’è una sorta di libero arbitrio, o proto-intelligenza, nell’energia-materia. Anche il DNA è intrinsecamente indeterminato, così come tutte le influenze ambientali non sono mai identiche, perché basta una differenza infinitamente piccola per provocare divergenze macroscopiche dopo tempi finiti. L’instabilità è creativa e genera differenze. E’ come dire che la creazione non è un evento preciso del passato, ma un processo continuo. La Natura è una Mente, o possiamo anche dire che l’Universo è un Grande Pensiero (Arthur Eddington, Fred Hoyle, James Jeans, Gregory Bateson).
Invece la scienza “ufficiale” meccanicista pensa che l’universale sia una Grande Macchina, con l’optional del Grande Ingegnere: ha sostituito il diritto divino con un ”merito” evolutivo-selettivo e tutto è rimasto come prima, o peggio di prima.
Psicoanalisi
Veniamo alla psicoanalisi. Dopo Niccolò Copernico e Jean-Baptiste de Lamarck o Charles Darwin, la specie umana non è più staccata dalla Natura, né al centro dell’Universo; almeno così doveva essere. Ma dopo la rivoluzione di pensiero iniziata da Sigmund Freud, l’uomo non è più padrone neanche di se stesso. Ci sono in noi forze, pulsioni, spinte di cui non siamo coscienti. Tutto ciò che ci accade o che facciamo risente di eventi che non ricordiamo minimamente. Tuttavia il fondatore della psicoanalisi parlava sempre solo della persona umana come individuo autonomo e definito. Pensava che l’inconscio fosse individuale e cominciasse a “formarsi” alla nascita, o al concepimento.
Solo con la più profonda svolta operata soprattutto da Carl Gustav Jung si comincia a manifestare, anche nella cultura occidentale, l’idea dell’inconscio collettivo, di qualcosa che collega interiormente le varie individualità.
Più si va nel profondo, più la psiche si espande, più diventa collettiva e generalizzata, ancestrale o “archetipica”; comprende comunità sempre più ampie, classificazioni animali sempre più vaste, tutta la Vita, probabilmente la Totalità Universale. Oggi si può parlare di Inconscio Ecologico, o di Grande Inconscio.
Siamo parte integrante del mondo in cui viviamo tanto quanto le marmotte, i fiumi e gli alberi, intessuti dello stesso flusso di mente-energia-materia.
Konrad Lorenz
Etologia
Anche nel campo dell’etologia è stata messa in evidenza la non-discontinuità qualitativa fra la nostra specie e le altre specie, come hanno ampiamente dimostrato gli studi di Konrad Lorenz.
Da un’intervista al mensile Natur del novembre 1988, tre mesi prima della sua morte, riportiamo queste parole di Lorenz:
“Una volta lei ha detto di avere paura di un nuovo tipo di uomo circondato solo da cose brutte e tecnologiche. Arriviamo così alla questione della formazione culturale.
“Se vedo un essere vivente o addirittura una varietà di esseri viventi – per esempio una dafnia, una leptodora e altri tipi di pulci d’acqua – intuisco che sono membri di un unico albero genealogico, che incorporano un divenire. In tal modo mi è possibile un’intuizione dei milioni di anni passati. E questo è un fatto che suscita in me il più profondo rispetto”.
“Rispetto per che cosa?”.
“Per il buon Dio, se vuole”.
“Ma allora lei è un credente…”.
“In un certo senso si è panteisti per natura. Il sistema periodico degli elementi è costituito in modo tale che la vita doveva nascere. Ma non credo nel “buon Dio” e meno ancora nel “Padre dei cieli”, non voglio fare parte di una Chiesa…”.
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Molto interessante!
“Noi siamo per gli dei come mosche per i monelli di strada: ci uccidono per passatempo.” (William Shakespeare)