La profondissima
leggerezza di Hansjörg Auer
di
Luca Calvi
In memoriam, 22 aprile 2019
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(4)
Mi viene spesso fatto notare che uno dei privilegi e, contestualmente, una delle più grandi responsabilità di chi è chiamato a tradurre da una lingua ad un’altra, derivino dalla capacità di instaurare una sintonia reale tra oratore e traduttore. Quando poi ambedue condividono, ognuno a modo suo e con un’intensità assolutamente propria, la stessa passione, se da un lato si presenta il rischio dall’assenza d’imparzialità, dall’altro si ottiene una sinergia i cui risultati sono evidenti al fruitore, ovvero al pubblico, all’ascoltatore o al lettore che sia.
Avevo conosciuto la figura di Hansjörg Auer, come molti, subito dopo il suo grandissimo exploit in Marmolada, con la visionaria e fantascientifica salita della Via Attraverso il Pesce in free-solo. Per parecchio tempo mi ero chiesto che tipo fosse, complici le immagini regalateci dalla stampa o dal web… Mi dava l’aria di essere un tipo stralunato, che viveva di sola arrampicata, lontano dal mondo reale…

La fortuna mi ha sorriso nel 2017,quando Alessandro Filippini mi ha proposto di tradurre il Directors Cut di Still Alive, primo film di Reinhold Messner, per il quale a fare da attori c’erano Vitus e Hansjörg Auer. Alla presentazione di questa versione in Director’s Cut del Film, al Trento Film Festival, mi sono trovato a chiacchierare con Vitus, uno dei fratelli Auer. Con lui mi sono messo a discutere amabilmente a tavola di Dolomiti e altre montagne e ad un certo punto il discorso è finito, senza forzature, su Hansjörg. “Eh, è in America, sta combinando qualcosa…”. “Qualcosa di suo, una delle sue solite auerate?” Vitus si è messo a ridere, allegro e, pur mantenendo il totale riserbo sulle mire del fratello, mi ha promesso che gliel’avrebbe riferito.
Qualche mese dopo inizia a prendere corpo un progetto nato quasi per scherzo tra Alessandro Filippini ed il sottoscritto e subito fatto proprio da Reinhold, che, peraltro, non ha nascosto il dubbio sulle nostre capacità di cooptare tutte quelle personalità e ancor di più di riuscire a ricavarne un libro…
Mai sfidare un leone ascendente capricorno, è stato il mio primo pensiero. Una delle prime email per le quali ho ricevuto la risposta alla velocità della luce e con una modestia incredibile è stata proprio quella di Hansjörg. Ha accettato immediatamente la sfida, ripagando la brevissima attesa per il suo contributo con un articolo davvero interessante e ben scritto, uno di quelli che un traduttore si ricorda per anni di aver tradotto e per il quale prova un orgoglio quasi pari a quello dell’Autore. Ci sentiamo poi al telefono e si rivela per quello che mi aveva anticipato il nostro comune amico Igor Koller, ovvero un ragazzo d’oro, simpatico, con una bella “testa” e per nulla presuntuoso o arrogante.

Il 2018 diventa così l’anno in cui finalmente posso far conoscenza con un ragazzotto, un bocia che ispira immediatamente simpatia, non fosse altro per quell’aria solo apparentemente stralunata che invece rivela uno sguardo allegro e curioso, preavviso di quei suoi sorrisi e di quelle risate di gusto rimaste ben impresse a chiunque abbia avuto il piacere di conoscerlo.
E’ proprio nel 2018, a Trento, in occasione della “serata Messner”, dedicata al cinquantesimo anniversario dell’Assassinio dell’Impossibile, che si presenta l’occasione per poterci conoscere di persona un po’ più a fondo. Ero arrivato per tempo all’Auditorium Santa Chiara, dove avevo appuntamento con Sandro Filippini con Reinhold per discutere della conferenza stampa. Nel giro di pochi minuti, alla spicciolata, erano poi comparsi Hervé Barmasse, Adam Ondra, Manolo, Nicola Tondini, Tommy Caldwell. Da ultimo, allegro e scanzonato, un po’ ciondolante, arriva Hansjörg Auer. Mi osserva mentre gli vado incontro, mi presento, non faccio a tempo a dire “è un piacere” che subito mi investe: “Ah ma sei tu Luca, ciao, che piacere! Grazie per avermi invitato a scrivere per il libro!!”. Subito dopo mi porta i saluti di Vitus e mi chiede cos’avessimo combinato l’anno prima… Iniziamo a chiacchierare, mentre nel frattempo ci avviamo verso la sala dove deve aver luogo la conferenza stampa. Lì vengo piazzato da Sandrone Filippini (regista e maestro di cerimonie) tra Hansjörg e Tommy Caldwell… Devo tradurre per loro. Per evitare eccessive perdite di tempo, chiedo ad Hansjörg di rispondere in inglese ad eventuali domande e se poteva andar bene che traducessi solo in inglese quanto veniva detto oppure se volesse una traduzione anche in tedesco… Mi risponde sogghignando: “Ma no, dai, e poi non senti che io parlo tirolese stretto? Se mi fai parlare Hochdeutsch per me è difficoltoso quanto parlare in inglese. Dai, usiamo l’inglese così non devi fare doppio lavoro e Tommy ci può seguire meglio”.
Per un amante delle lingue locali, dei dialetti e delle varianti regionali o locali di una lingua “letteraria”, è come un invito a nozze… Gli dico in tirolese: “Allora dai dopo parliamo solo tirolese!” Lui non mi permette di finire la frase, si limita ad abbassare la voce, a fare uno sguardo da “furetto”, a chinare la testa per non essere notato per poi dirmi: “certo che dopo una birra il tirolese viene meglio e più semplice, anche come pronuncia…”. A quel punto è stato doveroso uscire a farci una birra, forse due, a cianciare di tutto e di più, spesso interrotti da richieste da appassionati che volevano che una foto con Hansjörg, chi un suo autografo, richieste immediatamente esaudite col sorriso Ci siamo poi dati appuntamento a più tardi per la serata.

Di nuovo all’Auditorium, mi viene incontro con due occhietti che iniziano a brillare non appena mi vedono e, ancora prima di dirmi “ciao”, si preoccupa di dirmi “Oh, Luca, stavo arrivando qui, e sai chi ho trovato per strada? Matteo Della Bordella… Beh, siamo stati in birreria…” E giù a ridere. Del testo a Trento durante il Film festival la birra scorre a fiumi e gli amanti della montagna si guardano bene dal rifiutare una birra in compagnia.
Le immagini fisse nella memoria ed in qualche scatto mostrano poi un capannello di persone sotto al palco, tutti a parlare di vie salite o da salire… Ondra, Manolo, Barmasse, Tondini, Caldwell e Auer… La crema dell’alpinismo e dell’arrampicata, a livello mondiale, volti noti e “mediatici” ad altissimo livello, eppure…Modesti, tranquilli, coi piedi per terra. Per nulla supponenti e con atteggiamenti arroganti… Eppure in Auer mi colpisce la metamorfosi del suo sguardo non appena si inizia a parlare del piacere o del perché di una via o di un principio per la pratica della nostra comune passione… La sua modestia, la sua leggerezza, quella sorta di understatement che lo ha portato e lo porta ad evitare atteggiamenti egocentrici, rimangono lasciando però spazio alla sua determinazione ed alla sua volitività. Il desiderio e la forza di volontà possono essere letti a caratteri cubitali nel volto ed in particolare negli occhi. Stanno parlando della Dawn Wall, vicino a me c’è l’apritore, Tommy Caldwell, e al suo fianco c’è Adam Ondra, che l’ha ripetuta… Auer mi guarda e, tranquillo, mi dice “Sai, quella è una via davvero bella, grandiosa. Hanno fatto un capolavoro…”. Poi, imperturbabile, mi aggiunge: “La nostra fortuna è che il mondo è pieno di linee favolose, sta a noi saperle vedere, riconoscere, e solo da ultimo salirle, senza forzarle… Se riconosci e individui una via così e poi la sali rispettando le regole del gioco, quella via ti può rendere davvero felice. Le difficoltà che ti opporrà saranno solo un preavviso, un trailer della gioia che la montagna ti avrà riservato come compenso per esserti messo in gioco con tutto te stesso…”. Mi parla a ruota libera e, quando gli faccio presente che io sono solo un vecchio quartogradista della domenica, mi risponde serissimo che “… la passione è la stessa, io vedo che mi capisci fino in fondo quando parlo, lo vedo da come lo spieghi alle persone. Vedo che capiscono fino in fondo quello che voglio raccontare…”. Lo prendo come un complimento, lo mando a quel paese, ci mettiamo a sedere ridendo per una serata che per me rimarrà nei ricordi alla voce “storica ed irripetibile”. Quando inizia la presentazione della serata sono seduto a tradurre per Caldwell e Auer. Tommy, subito prima dell’inizio non si era reso conto che mi avevano riservato il posto tra lui e Auer per necessità di traduzione. Ondra, il ragazzino terribile, “osa” sedersi sul posto del Calvi in prima fila, tra Auer e Caldwell. L’ira del Calvi si abbatte dunque sul fuoriclasse di Brno: “fila dietro, ragazzino!!!”. Ondra diventa rosso e si scusa, mentre me la rido sotto i baffi. Tommy Caldwell mi guarda sbigottito: “Ma Luca, hai fatto sloggiare Adam Ondra!!!”. Arriva secco a gamba tesa Hansjörg, che gli dice “Ehi, Tommy, se non c’è lui noi due non capiamo un accidenti. E poi è lui che mi ha offerto la birra…”. Ondra ride e si scusa ancora, mettendosi seduto vicino a Manolo subito dietro a me.

Reinhold sale sul palco e parla dell’Assassinio dell’Impossibile, chiamando a turno sulla scena Nicola Tondini, Manolo e poi gli altri. Arriva quindi il momento di Auer ed ha luogo proprio a questo punto una scenetta tra le più gustose della storia del Film Festival di Trento: Auer si siede vicino a Reinhold ed io, da buon traduttore, rimango “nell’ombra” dietro a lui per la necessaria opera di chuchotage (la cosiddetta traduzione bisbigliata).
Hansjörg, pur essendo abituato a parlare in pubblico, mostrava comunque la sua timidezza di fondo. Difficilmente guardava il pubblico e quando lo faceva era possibile rendersi conto che sapeva di doverlo fare per non mancare di rispetto. Preferiva guardare Reinhold che gli avrebbe fatto le domande e poi guardare chi gli avrebbe tradotto ciò che sarebbe stato detto in italiano.
Così sarebbe andata la sua parte dello show se non ci fosse stata l’incognita Messner.
Reinhold è un grande comunicatore, non spetta a me ricordarlo… Ma è profondamente schematico nei ragionamenti e fa fatica a riconoscere l’esistenza di chi passa da una lingua all’altra, spesso più di tre o quattro, da un momento all’altro. Sembra che questa mia piccola virtù, che pur mi riconosce, lo mandi comunque in confusione… Me l’avevo già sperimentato durante un “Quo Climbis” a Castel Firmiano…
Quella sera, però, a Trento, stavo usando solo inglese e tedesco… Eppure, ciò nonostante, è partito l’effetto Messner.
Reinhold, con giustificato sussiego, spiega al pubblico che Auer è tirolese, lui sudtirolese, sarebbe quindi suonato “poco reale” vederli parlare tra loro in un’altra lingua. Avrebbe quindi chiacchierato con lui in tirolese lasciando a me il compito di riassumere il tutto per il pubblico non germanofono…
Traduco la dichiarazione d’intenti ad Hansjörg, che annuisce.
Reinhold inizia così a parlare dell’impossibile e dello spostamento dell’asticella verso l’alto, dei meriti di Hansjörg a partire dal “Pesce” in free-solo fino agli ultimi exploits…
Il tutto, però, in un’impeccabile lingua italiana…

Senza attendere la traduzione si volta quindi verso il pubblico, avviando immediatamente un’arringa sul perché e percome di quelle domande… In un meraviglioso tedesco con chiaro accento sudtirolese…
Hansjörg non ha il coraggio di dire nulla. Da dietro vedo i suoi lobi delle orecchie assumere la tonalità di rosso che va verso lo scarlatto… Mi guarda, con uno sguardo a metà tra il divertito e la richiesta di aiuto…
In sala inizia a serpeggiare tra il pubblico (in larga maggioranza italofono) prima un attimo di smarrimento poi qualche colpo di tosse, qualche timida risatina…
Reinhold non cede, conclude la sua teutonica concione nel migliore dei modi, mi guarda come per dire “ma sì, stavolta non sei servito”… Ci ripensa… Si rende conto della situazione… Inizia ad assumere in volto lo stesso colore che dai lobi delle orecchie di Hansjörg si era esteso fino alle gote … Messner, però, non ama molto ammettere di aver toppato… Tenta di andare avanti con le domande, ma senza aver fatto i conti con il Fattore “C”. Ovvero il fattore Calvi.

Blocco ambedue e dico al microfono “no Reinhold, fermati, mettiamo un po’ d’ordine…”. Ritraduco Messner in tedesco per Hansjörg che ormai palesemente non ce la fa più dal ridere… Sussulta… Mi volto quindi verso il pubblico e riesco, senza ridere, a tradurre quanto Messner aveva detto in tedesco… Mi rivolto quindi verso la leggenda sudtirolese e gli dico, in dialettaccio. “Va bene, adesso puoi continuare, ce la possiamo fare…”, frase sottolineata dalla cristallina e udibilissima risata di un paio di sudtirolesi presenti nelle prime file.
In quel momento c’è stato lo scioglimento del dramma, con un effetto che a provarlo mai sarebbe riuscito così bene.
Hansjörg ha iniziato a ridere di gusto, raggiungendo tonalità di rosso mai viste prima sulla Terra. Reinhold ha prima cercato di abbozzare e poi ha sghignazzato di gusto. Il tutto mentre in sala il pubblico si faceva risate omeriche…
Terminato il momento di Hansjörg, siamo tornati ai nostri posti…
Sandro Filippini, mentre stavo scendendo, mi guarda rosso in volto, ridendo sotto i foltissimi baffi e mi dice: “Cavolo, Luca, l’hai mandato in confusione…”.
Hansjörg prende posto, mi dà una pacca sulla spalla e continua a ridere… All’orecchio mi sussurra: “Questa vale almeno tre birre, la racconterò in giro!”. Io cerco di contenermi, ma mi arriva da dietro un mezzo “coppino”… E’ Maurizio, Manolo che vuole che gli dia un “cinque” e che sta ridendo come poche volte l’ho visto fare…
Terminata la serata, Hansjörg mi dà appuntamento per la fine dell’estate, dicendo che sarebbe stato in Italia e che ci saremmo trovati, visto che, nonostante ci fossimo dati da fare, eravamo rimasti indietro di qualche birra rispetto a quelle promesseci durante la serata.
Durante l’estate ci siamo poi sentiti per il libro dedicato all’Assassinio dell’Impossibile, ormai imminente, e per la sua partecipazione al Milano Montagna Festival….

Hansjörg Auer fotografa il vuoto sotto di sé durante la sua salita solitaria alla via spagnola (1989) sulla parete ovest del Lupghar Sar West 7181 m
Arriva dunque ottobre ed anche quel Festival, ed in una serata con un po’ di pioggia mi arriva una telefonata: “Ciao Luca, sto parcheggiando, arrivo tra cinque minuti!”. Poco dopo eccolo arrivare, un abbraccio non di facciata, un gran sorriso e subito gli occhi che prendono vita: “Beh, l’auto è parcheggiata, non devo più guidare… Ci facciamo la birra?”. Gentilissimo con chi gli andava incontro per una foto o un autografo, abbiamo parlato dei suoi progetti e di future collaborazioni editoriali… Il tutto tranquillamente, con una leggerezza non artificiosa, del tutto sincera e priva di pose. Poi, credo fosse la seconda o la terza birra, mi ha raccontato della sua famiglia, di suo fratello Vitus, dell’altro fratello che era andato in Himalaya… Mi ha anche raccontato dell’importanza che per la sua famiglia riveste la religione. Da buon tirolese, mi ha spiegato, si sentiva legato ai tratti identitari della sua terra e della sua gente, religione compresa. Non poteva certo definirsi un bigotto od uno strettamente osservante, ma allo stesso tempo non poteva pensare alla religione o a Dio come ad un fattore avulso alla sua vita… Mi ha confessato, sorridendo, di ringraziare Dio perché a lui doveva l’esistenza delle montagne…
Poi uno sguardo con gli occhi sorridenti, una pacca sulla spalla, una risata a novantasei denti… “Dai, andiamo, so che tradurrai il mio pensiero alla gente, ma soprattutto tradurrai per me ciò che loro dicono…”. Non ho capito subito cosa volesse dire…
Iniziamo la serata, durante la quale prima mi ha chiesto di poter parlare tirolese e non Hochdeutsch, per poi passare a mostrare alcuni spezzoni di filmati con le sue ultime realizzazioni… Durante ogni spezzone me ne parlava, un po’ per anticiparmi il suo intervento a chiosa dello spezzone, un po’ per farsi dire se il pubblico stesse recependo o meno… In poche persone ho visto questo immenso rispetto verso gli altri.

A quel punto ho capito cosa avesse voluto dire prima. Per Hansjörg ascoltare, conoscere era importante. Il rapporto umano, tanto a casa sua che girando il mondo era fondamentale, vitale. A lui piaceva certo parlare alla gente, ma a renderlo felice era vedere la gente “sentire” quel che lui stava raccontando ed entrare in sintonia con lui.
Una frase, su tutte, può rendere la cifra dell’umanità e della grandezza di Hansjörg Auer:
“Noi alpinisti dobbiamo cercare di essere meno egocentrici, dobbiamo tornare ad avere il contatto con la realtà e con gli altri. Vedete, noi siamo fortunati… Passiamo mesi a studiare una qualche parete, a tracciare una possibile via, poi partiamo per andare a salire quella montagna, non abbiamo altri pensieri che quelli relativi a quella montagna e a come scalarla… Poi ce ne torniamo in mezzo al mondo e magari ci aspettiamo pure che tutti abbiano voglia di parlare della montagna, di quella via… Quando invece il mondo e la vita vanno avanti e magari tutti quelli cui noi ci affanniamo a raccontare le nostre piccole “imprese” in montagna hanno in realtà racconti e riflessioni ben più importanti e interessanti delle nostre”.
Un pensiero rimastomi impresso per la profondità e l’assoluta leggerezza con cui l’ha espresso… Quel ragazzotto tirolese timido eppure determinato, volitivo ma rispettoso, professore di matematica, guida alpina… E’ stato comunque Un ragazzo con la testa sulle spalle, un inno alla vita che tanto amava, al punto da volerla vivere al massimo pur sapendo che così facendo si esponeva al rischio di poterla abbreviare…

All’ultima birra mi aveva salutato dandomi appuntamento ad inizio estate 2019. Abbiamo accennato alla possibilità di scrivere qualcosa a quattro mani su uomini, montagne e confini nel Tirolo… Ci siamo dati appuntamento per bere ancora altre birre e ridere, parlando di montagna e di famiglia, di montagna e di amici, di montagna e di scalate.
Ha deciso, invece, di passare oltre, assieme a David Lama e Jess Roskelley…
Probabilmente ha ragione lui: il Dio degli alpinisti ha permesso loro di liberarsi del fardello umano e di andare a scalare vette di una bellezza infinita, montagne visibili ed avvicinabili solo da loro e da chi come loro ha amato la vita al punto tale da viverla totalmente.
Per me, costretto a salutare un altro ragazzo d’oro, oltre che un grandioso alpinista, il lascito dell’esempio della “profondissima leggerezza” con cui affrontare la vita è davvero troppo poco per mitigare la dolorosa malinconia al pensiero di non poter più chiacchierare allegramente, tradurre e bere birra con una persona davvero tanto grande quanto umile e vera.
Moch’s guat, Bursch, irgendwon segn uns mol wieder!
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Andrea, l’asticella va sempre alzata.
La profondissima leggerezza di Hansjörg Auer.
Un titolo accattivante ed estremamente profondo, mi è piaciuto molto.
Nel finale la parte che più mi ha fatto riflettere e stata questa:
“Noi alpinisti dobbiamo cercare di essere meno egocentrici, dobbiamo tornare ad avere il contatto con la realtà e con gli altri. Vedete, noi siamo fortunati… Passiamo mesi a studiare una qualche parete, a tracciare una possibile via, poi partiamo per andare a salire quella montagna, non abbiamo altri pensieri che quelli relativi a quella montagna e a come scalarla… Poi ce ne torniamo in mezzo al mondo e magari ci aspettiamo pure che tutti abbiano voglia di parlare della montagna, di quella via… Quando invece il mondo e la vita vanno avanti e magari tutti quelli cui noi ci affanniamo a raccontare le nostre piccole “imprese” in montagna hanno in realtà racconti e riflessioni ben più importanti e interessanti delle nostre.”
Non so perché, ma queste parole dette da personaggi di questo spessore , con una tale carica di modestia, (…stiamo parlando di supereroi, per valutare esattamente la grandezza di questo ragazzo dovrei aver almeno fatto, “il pesce”. lui lo ha fatto in free-solo !!! ) dicevo quindi che la sua affermazione precedente mi riporta un po’ alle riflessioni di Giampiero Motti, su i “Falliti” ironica quanto tragica digressione dell’umano libero arbitrio del poter spendere come si vuole la propria esistenza.
Ironica, perché nonostante tutti formulino questo tipo di giudizio poi proseguono nella ricerca spasmodica di nuovi problemi e nuove soglie di temerarietà. Tragica perché un numero impressionante di fuoriclasse perde la vita ogni anno. E qui si entra in un campo quello del free solo, che francamente posso solo ammirare con tanta tristezza nel cuore, perché mi rendo conto che per chi riesce in simili imprese, poi sarà costretto da mille fattori “ambientali” a ripeterle e ripeterle fino all’estrema conseguenza. In una sorta di roulette russa che negherà loro una serena vecchiaia. Ma impedire ciò, sarebbe un po’ come se volessimo impedire alle comete di solcare i cieli.
Con profonda gratitudine
Andrea Rossi
Mi ricordo di Luggi, un periodo che scalava con Heinz Mariacher inizio anni ottanta, fu il primo a liberare un tiro chiodato in artif a Lumignano….il primo 6C+ della falesia. Poi ho letto di lui quando apriva le vie in Marmolada con Heinz ( sempre lui ), Luisa Jovane,Shiestl e Brastetter….in giornata con una manciata di stopper e pochi chiodi…
Ho avuto la fortuna nell’83 di fare la sua via Mephisto al Sass dla Crusc con partenza ovviamente dall’originale Messner ( pilastro di mezzo….che marcia quella partenza !!!) perché all’epoca non si aveva ancora il concetto di arrivare in cengia dal diedro Mayerl…
Auer l’ha fatta da solo in onore forse del suo maestro….ma mi ricorderò sempre che a Trento (dopo che aveva fatto il Pesce in solitaria ) Pietro ( Dal Prà ) me lo presentò ed io amante della Marmolada e avendo fatto più volte il pesce , mi inginocchiai di fronte alla grandezza di quello che aveva fatto quel ragazzo !!!
Un grande
Bello e ben raccontato.
Il suo maestro è stato Rieser, magari qualcuno se lo ricorda.
Complimenti Calvi per la tua capacità di raccontarci un uomo ed un alpinista, senza retorica.
Grazie Luca ! Grazie davvero perché è difficile scrivere di un argomento così difficile senza sbagliare i toni ! Grazie per averci fatto conoscere un pezzettino umano di una persona grande!
Grazie Luca, sempre bello leggerti
Mi spiace per te GL se non cogli il profondo di alcuni scritti.
Non voleva essere , credo, un articolo di cronaca come forse pensavi tu….
Complimenti a Calvi per questo meraviglioso ricordo
Pensavo di leggere un articolo su Auer, l’alpinista, e invece ho letto un articolo su Calvi, l’interprete.
Un giorno parlavamo di scalate e di alpinisti, io gli chiedevo la sua opinione su certe vie, e a un certo punto mi ha detto come fosse una ovvietà: ci sono sempre uomini che brillano di luce propria e non hanno bisogno di luci che li illuminino.
Aveva appena salito col fratello una via, un regalo di compleanno che gli aveva promesso alcuni anni prima: erano felici!