La pubblicità e il futuro dell’uomo-macchina
di Franco Michieli (Garante internazionale di Mountain Wilderness)
(pubblicato su mountainwilderness.it il 26 marzo 2017)
Le foto di natura selvaggia o di auto in corsa negli stessi elementi sono immagini ingannevoli che toccano nel vivo la nostra filosofia “wilderness”.
Nei prossimi anni avverrà un ulteriore mutamento radicale nello stile di vita dell’umanità, seguendo la tendenza che lungo le epoche preistoriche e storiche ha portato l’uomo a distaccarsi sempre più dalle capacità del proprio corpo, sostituite dal potere delle protesi tecnologiche. Tutto cominciò circa 70.000 anni fa, quando l’uomo si scoprì capace di costruire armi da caccia e quindi di confezionare abiti e calzature in pelle di animali; con queste dotazioni, poté lasciare le foreste calde e irradiarsi nei continenti, tra faune sconosciute e climi altrimenti invivibili. Non possiamo snobbare un uso equilibrato delle protesi: senza di esse non esisteremmo più, e tantomeno potremmo frequentare l’alta montagna col solo corpo nudo. Eppure, nel difendere la relazione con la wilderness, oggi più che mai stiamo facendo i conti con questa caratteristica umana: saper costruire oggetti e macchine che “prolungano” il corpo e il suo potere, senza che la mente sia in grado di potenziare in egual modo la propria consapevolezza di come usare quel potere. Il risultato è la dismisura del nostro agire, l’incapacità di metterci dei limiti, e di proteggerci da noi stessi.
Se negli ultimi 25 anni si è celebrato il più clamoroso distacco della storia dal corpo e dalla realtà, sostituiti dalla virtualità della rete che tiene catturata almeno mezza umanità, e presto tutta, e a cui si accede solo con un dito e con la mente, presto si toglierà anche quel dito.
Entro pochi anni, lo si dà per certo, l’uomo smetterà anche di guidare le proprie macchine, che saranno condotte dalla tecnologia del Web. Verranno meno anche molti degli ultimi gesti fisici della vita domestica, perché vi provvederanno dei robot.
L’errore è pensare che sia sufficiente “usare bene” e con “moderazione” questi mezzi perché la vita continui come prima, solo migliore. Al contrario, passare dal rapporto continuo del corpo con la materia percependo tutti i limiti dell’essere vivente, a una vita cerebrale dove tutto pare possibile, è cosa che modifica drasticamente l’essere umano, il suo pensiero, la sua coscienza, i suoi modelli.
Ma è poi vero che tutti vorremmo smettere di “guidare” e abbandonarci all’automatismo? Certo che no. Per questo è iniziata una campagna mondiale di marketing, per ora su iniziativa della case automobilistiche, volta a imporre il nuovo traguardo. Mentre prima la pubblicità delle auto verteva sul “piacere di guidare”, di colpo si è spostata a un livello ben più ingannevole, che tocca nel vivo la nostra filosofia della wilderness. Nelle pubblicità attuali si alternano immagini di natura selvaggia, con persone e spesso bambini a contatto con la neve, la terra, i grandi spazi, e immagini dell’auto in corsa negli stessi elementi, imponendo l’idea che le prime coincidano con le seconde, ovvero che l’auto percepisca le stesse sensazioni di quei bambini per conto dell’uomo che vi siede dentro. È il primo passo; una volta acquisito dal pubblico, il messaggio diverrà più esplicito.
La frontiera che ci troviamo di fronte è dunque il tentativo di assegnare alle macchine la sensibilità umana, e di spingere l’uomo a usarle ovunque al posto del proprio corpo e dei propri sensi. È facile prevedere come questo influirà sulla fruizione della wilderness. Siamo condannati alla sconfitta?
No, non è detto. Talmente smisurato è questo passo, che forse non avrà il successo cui aspira. Io constato, in esperienze in giro per montagne, che molti non vedono l’ora di spegnere i cellulari e riscoprire giornate di silenzio e di immersione corporea nella natura. Occorre lavorare su questo.
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Sono d’accordo con Franco Michieli sull’uso smodato degli smartphone, su quella che per me è una sempre più nevrotica paura del silenzio e della solitudine, di se stessi.
Per quanta riguarda le macchine, però, penso positivo: se a beneficio dell’umanità intera ci libereranno dal lavoro.
Paolo quello che spaventa è che le persone attraverso l’uso di questi strumenti si sentono liberi, padroni di una situazione. Invece non ci rendiamo conto che siamo in mano ad un sistema che ci obbliga a comportaci secondo le sue regole.
Poche sere fa ho visto alla televisione che ci sono persone, anche dipendenti di aziende, che già si fanno mettere sotto pelle un microcip.
Ma che sono dei sonati?
Molti senza lo smartphone non parlano più . E’ lo strumento che permette alle persone di parlare, non la piazza.
Il risultato è che mi sembra ci sia sempre più isolamento.
L’
Io faccio atto di pentimento, da quando ho smesso di lavorare per anni non ho più voluto avere a che fare con roba nata dall’elettronica, ma ho dovuto adeguarmi per mio figlio.
Noi elettronici abbiamo iniziato.
Il nostro obiettivo era centralizzare tutto, pochi dovevano decidere cosa e come produrla o venderla o gestirla.
Eravamo in pochi e abbiamo atrofizzato la maggioranza dei cervelli che potevano pensare per lasciare a pochissimi il pensiero.
E ci siamo riusciti, pochissimi usano tutto ciò che è stato costruito e programmato di elettronico solo come strumento, come fosse un martello o un cacciavite, tantissimi sono dipendenti ossessionati.
Pochissimi si rendono conto che eseguono ciò che altri hanno programmato per loro e pensano di inventare o peggio pensare.
Abbiamo e stanno continuamente pensando e programmando per evitare qualsiasi pensiero diverso da ciò che pochissimi decidono.
Scusate lo sfogo, ma ormai non si può fare più nulla per cambiare.
Forse è l’uomo che preferisce illudersi così.
Si condivide tutto in maniera frenetica, con l’illusione di essere presenti e contare qualcosa.
Bocche solo da “sfamare”, “soldati” per le lotte di potere fra non più di cento persone al mondo.
Perdonatemi.
Per fortuna riesco ancora a scalare le pareti delle montagne.
c’è chi usa certi strumenti tecnologici non perchè ne ha un effettivo bisogno. Ma solo per farsi grande, perchè è moda, per far vedere che ha l’ultimissimo modello.
Come quelli che fanno le code di intere giornate fuori da negozio per acquistare il primo smartphone.
La tecnologia certo che è utile. Ma ne stiamo diventando schiavi. Stiamo diventando schiavi delle macchine. Senza la macchina non si può fare nulla.
Sono d’accordo con Valerio.
Considerando l’esempio dell’orientamento, io ho imparato a servirmi di carta topografica, bussola e altimetro, e tuttora faccio cosí (non possiedo nemmeno il navigatore GPS).
Però sono consapevole che in certe condizioni, per esempio in mezzo alla nebbia su un vasto ghiacciaio, il GPS sia molto piú efficiente.
In conclusione, la tecnologia è benvenuta, ma non bisogna abusarne e il cervello viene al primo posto.
La tecnologia non è nè buona nè cattiva mentre l’uso che se ne fa si. Se oggi siamo qui a disquisire su questi argomenti è anche perchè la tecnologia ce lo consente. Forse molti di noi ne farebbero a meno ma vivere nei tempi passati non era certo meglio.
Il problema è un altro e dipende da come si affrontano le cose. A titolo esemplificativo, ci sono persone che utilizzano il navigatore solo quando lo ritengono necessario, altre che lo utilizzano anche per andare in località note. E’ chiaro che così facendo indeboliscono il senso dell’orientamento. A fronte dei primi e dei secondi ci sono coloro che non lo utilizzano mai, sviluppando così ulteriormente il senso dell’orientamento.
A mio avviso una persona dovrebbe utilizzarlo il meno possibile, diciamo pure mai, ma se in qualche circostanza particolare ne facesse uso per perdere meno tempo a girare a vuoto non mi sembra che si scaverebbe la fossa.
La capacità di gestire correttamente la tecnologia a disposizione è anch’essa un modo di sviluppare i circuiti neurali. Come spesso accade in medio stat virtus.
Continuo ad usare la mia vecchia Punto che mi ha sempre consentito di arrivare dove inizia la neve: eppure intorno a me vedo i miei amici scialpinisti ( non tutti più abbienti) che hanno automobili più prestanti, quasi tutti 4×4: segno che i pubblicitari fanno bene il loro mestiere, che è quello di convincere i poveracci ad acquistare oggetti non indispensabili, surrogati di qualcosa che non si può avere . Come dice Balasso nel divertentissimo video in cui fa la satira del venditore di Mercedes, la pubblicità vende prima di tutto sogni, e quasi nessuno riesce a dire di no ad un sogno, perchè la realtà si fa sempre più dura, la pensione lontana e con essa il tempo libero.
Uomo nudo buono, macchina (tecnologica) cattiva?
No, noi esseri umani ridicoli siamo “macchine” anche noi, e creiamo ridicole macchinette (spesso inutili e mostruosamente stupide) anche noi.
La sensibilità fluisce dalle macchine ancestrali a macchine generate, e se entra cacca, esce cacca.
Quindi il punto è: quale sensibilità trasportare?
Questo articolo è taggato con la parola chiave “etica”, appunto.
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p.s. nell’articolo i link alle immagini sono rotti.
Ecco un bel mix pubblicitario, direi variegato e poco meccanizzato:
https://www.caitorino.it/news/2017/07/24/sea-vive-il-raduno-del-9-e-10-settembre/
La nostra irresponsabilità e la nostra poca voglia di fare fatica, unite alla nostra ignoranza, aprono sempre più spazio al controllo tecnologico…. il mio mestiere era fare automazione…. prima però i primi PC 🙂
Per chi volesse approfondire in merito alla presunta neutralità ed innocuità della tecnologia.
Grassani Enrico – L’altra faccia della tecnica. Lineamenti di una deriva sociale dotta e subita dall’uomo – Mimesis – Liutprand, Milano 2002
– “Con l’invenzione e la diffusione dell’orologio l’uomo ha spianato la strada a una diversa percezione della realtà, che le generazioni successive sono andate via a via estraniando da quegli eventi naturali di cui l’uomo rifiuta i messaggi, fino al punto di perdere la sensibilità a coglierne la presenza. Si tratta di un rifiuto umano nei confronti dell’esperienza diretta.”
– “L’uomo tecnologico è sempre più sollevato dall’onere di verificare di persona e da quello di pensare in proprio. Con ciò l’esistenza diviene apparentemente molto più “facile” …”
– “Sul modello tecnico che ricalca l’esigenza del “tutto calcolabile”, le cose tendono sempre più a perdere la loro segreta e specifica valenza per consegnarsi alla mesta equivalenza della regola, che in modo univoco e prestabilito codifica il significato di tutto.”
– “Tali condizioni nulla hanno a che vedere con la tendenza attuale a cui paiono essere destinati tutti gli uomini, vittime di un processo di razionalizzazione che li inquadra in un sistema tecnico, dove il calcolo funzionale assurge a legge invalicabile, sostituendosi alle leggi di natura”.
– Andreoli Vittorino – L’uomo di superficie – Rizzoli, Milano 2012
– Antunes Ricardo – Addio al lavoro? Metaformosi del mondo del lavoro nell’età della globalizzazione – Edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2002
– Baudrillard Jean. – Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? – Raffaello Cortina, Milano 1996
– Canetti Elias – Massa e potere – Bompiani, Milano 1988
– Cantelmi Tonino – I navigatori dell’oceano internet, Relazione al III Convegno Naz. – ARFIV, Roma 1998
– Capucci Pier Luigi (a cura di) – Il corpo tecnologico – Baskerville, Bologna 1994
– Cooper Alan – Il disagio tecnologico – Apogeo, Milano 1999
– Ferrarotti Franco – La perfezione del nulla – Laterza, Roma – Bari 1997
– Foucault Michel – Sorvegliaríare e punire. Nascita della prigione – Einaudi, Torino 1993
– Galimberti Umberto – La terra senza il male – Feltrinelli, Milano 1984
– Galimberti Umberto – I miti del nostro tempo – Feltrinelli, Milano 2010
– Galimberti Umberto – Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica – Feltrinelli, Milano 1999
– Gallini Luciano – Il lavoro non è una merce – Laterza, Roma – Bari 2007
– Giddens Anthony – Le conseguenze della modernità – Il Mulino, Bologna 1994
– Grassani Enrico – L’altra faccia della tecnica. Lineamenti di una deriva sociale dotta e subita dall’uomo – Mimesis, Milano 2002
– Grassani Enrico – L’assuefazione Tecnologica – Metamorfosi del sistema uomo-macchina – Delfino, Milano 2014
– Heidegger Martin – Sull’essenza della verità – Armando, Roma 1999
– Horkheimar Jurgen – Eclisse della ragione – Einaudi, Torino 1969
– Jaspers Karl – La situazione spirituale del tempo – Jouvence, Roma 1982
– Jonas Hans – Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità – Einaudi, Torino 1997
– Lao Tzu – La regola celeste – Giunti Demetra, Firenze 2007
– Latouche Serge – La Megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso – Bollati Boringhieri, Torino 2008
– Le Bon Gustave – Psicologia delle folle – Longanesi, Milano 1970
– Lyotard Jean-François – La condizione postmoderna – Feltrinelli, Milano 1981
– Lewis Harold Warren – Il rischio tecnologico – Sperling & Kupfer, 1995
– Manicardi Enrico – Liberi dalla civiltà – Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2010
– Manicardi Enrico – L’ultima era. Comparsa, decorso, effetti di quella patologia sociale ed ecologica chiamata civiltà – Mimesis, Milano 2012
– Mannino Contin Gemma – La fondazione metafisica dei costumi – Laterza, Bari – Roma 2005
– Mannino Contin Gemma – La solitudine tecnologica – Sellerio, Palermo 1999
– Manzone Gianni – La tecnologia dal volto umano – Queriniana, Brescia 2004
– Nacci Michela – Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni – Laterza, Roma – Bari 2000
– Nietzsche Friedrich – Così parlò Zarathustra – Adelphi, Milano 1996
– Popitz Heinrich- Verso una società artificiale – Editori Riuniti, Roma 1996
– Severino Emanuele – Il destino della tecnica – Rizzoli , Milano 1998
– Simone Raffaele – La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo – Laterza, Bari 2000
– Sprengler Osvald. – L’uomo e la tecnica – Guanda, Parma 1992
– Young Kimberly S. – Presi nella rete. Intossicazione e dipendenza da internet – Calderini, Bologna 2000
– Zielenzinger Michael – Non voglio più vivere alla luce del sole – Elliot Edizioni, Roma 2008
Interessanti considerazioni.