La Valle perduta

La Valle perduta

I Walser vivono da sette secoli alle falde del Monte Rosa. Originari del Goms, cuore dell’Alto Vallese alle sorgenti del Ròdano, dove si era insediata una colonia di alemanni tra il X e l’XI secolo, i Walser (contrazione di «vallesani» o forse di Welsche, straniero) nel giro di due secoli colonizzarono anche le valli meridionali del Monte Rosa e la Val Formazza, fino a Bosco Gurin (Canton Ticino). Erano davvero, come in seguito li definì Horace-Bénédicte de Saussure, la «sentinella tedesca» a sud del Monte Rosa. Gli alpeggi che trovavano nella loro continua migrazione erano di proprietà monastica oppure feudataria: grazie a precisi contratti i Walser ottenevano la concessione delle terre in affitto. Il cosiddetto «diritto del colono» stabilì in seguito che la terra bonificata passasse, grazie all’estensione del contratto a tempo indeterminato, a proprietà perpetua ed ereditaria del colono stesso. Fu così che i nuovi abitanti delle alte quote furono incentivati al duro lavoro di tagliare i boschi e dissodare il terreno: con il miraggio di affrancarsi dalla loro condizione servile. All’inizio l’insediamento seguì il modello della fattoria isolata e autosufficiente, detta Hof. L’usanza del «maso chiuso» affidava al primogenito la gestione della fattoria, praticamente costringendo gli altri figli a migrare alla ricerca di nuove valli. Fu così che per altri due secoli (XIV e XV) l’economia walser si resse su due precisi pilastri: la coltivazione e l’allevamento del bestiame nelle località già sistemate, che così crebbero a villaggi veri e propri, e la continua migrazione in altre vallate. Questa espansione fu di certo favorita sia dall’interesse che i proprietari di terre incolte avevano ad affittarle, sia dalle particolari condizioni climatiche della prima metà del secondo millennio che videro i ghiacciai ritirarsi di molto rispetto alla geografia glaciale dell’Alto Medio Evo. I Walser si attestarono nel territorio dei Grigioni e nel Voralberg, fino al Tirolo e ai confini con la Baviera. Giunsero anche a toccare le valli occidentali bernesi e la Savoia. La piccola colonia walser di Juf (Val d’Avers, Grigioni) è ancora oggi, con i suoi oltre 2100 m, l’abitato perenne più alto d’Europa.

La leggenda della Valle Perduta
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La Valle del Lys (Gressoney) era collegata con la Valle Anzasca (Macugnaga) da un’antica via che attraversava a quote ben superiori a quelle degli ultimi pascoli. Saliva accanto al Ghiacciaio del Lys, poi toccando il Ghiacciaio di Bors e il Colle delle Locce scendeva all’Alpe Pedriola e a Macugnaga. Il percorso serviva per le vacche dirette agli alpeggi o ai diversi mercati: gli animali da soma vi portavano le mercanzie. Di questa strada affiorano ancora tratti di selciato oppure alcuni tagli nella roccia ne testimoniano l’effettiva esistenza. Alla meraviglia che provoca questa sicurezza storica, proprio là dove nessuno immaginerebbe la possibilità di passaggio, si aggiunge una scoperta della fine del XIX secolo. L’abate Antonio Carestia, uno storico valsesiano, scoprì accanto ad alcuni resti del tracciato un’iscrizione su roccia al culmine della cresta che separa il Ghiacciaio di Garstelet da quello di Bors, proprio sotto alla Piramide Vincent. La data riportata è il 1615, proprio l’epoca in cui i ghiacci ricominciavano ad avanzare. È questo il tratto centrale di un percorso ancora più lungo che collegava la valle di Zermatt a quella di Saas, toccando almeno 20 degli odierni ghiacciai. Fu tramite questo percorso che i Walser riuscirono a colonizzare le valli d’Ayas e del Lys, l’alta Valsésia e la zona di Macugnaga alla fine del XIII secolo, sostituendo una civiltà contadina e montanara a quelli che erano solo alpeggi di proprietà dei monasteri del vescovado di Novara. Sono di quel periodo i grandi lavori di dissodamento del terreno per semine e pascoli più adatti a una vita stabile per tutto l’anno oltre una certa quota.

Ma purtroppo nel secolo XVI iniziò il lento declino dell’economia walser: la «piccola età glaciale» riportò i ghiacciai in basso, gli abitati erano continuamente minacciati dalle valanghe e dai ghiacci in vistosa avanzata. Il clima dei lunghi inverni, di molto più freddi di prima, non permetteva più alcuna coltivazione, il reddito della terra diminuiva. I Walser si aiutarono sfruttando la rete dei loro sentieri e impostarono un servizio di someggiatura attraverso i valichi alpini, in un’Europa che appena cominciava a essere transnazionale. La coltivazione delle patate portò sollievo a un’economia che ormai, per mancanza di nuove terre e per cambio climatico, non era più ricca come prima, anzi costringeva ai limiti di sopravvivenza. Poi, se il turismo ebbe il suo primo naturale impulso sulle montagne svizzere, questo lo si deve molto ai Walser che subito capirono quanto potesse rendere il mestiere di guida alpina; da lì al passo dell’industria turistica il passo fu breve.

Il Grenzgletscher sovrastato dalla parete nord del Lyskamm e dal Colle del Lys
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Nella stube durante le veglie invernali di generazione in generazione persero il ricordo di ciò che era stato; nacquero leggende in gran numero, fino a cancellare totalmente la memoria storica delle loro origini. La «città di Felik», felice e contorniata da messi biondeggianti, era stata sommersa dai ghiacci; una sorgente limpida e abbondante, il Fontanone (Grosse Brunnen), nei pressi di Macugnaga, traeva le sue acque dall’altro versante della montagna dov’era la mitica «Valle perduta», «das verlorene Thal», cui le popolazioni Walser dovevano la loro origine. Qualche cacciatore ne aveva veduto boschi e prati, naturalmente senza traccia d’essere umano. Fu così che il 15 agosto 1778 sette giovani di Gressoney, otto anni prima della conquista del Monte Bianco, anche per prevenire un analogo tentativo dalla Valsésia ed eventualmente aggiudicarsi le possibili ricchezze, salirono dal paese fino a una roccia (in seguito chiamata Roccia della Scoperta, Entdeckungsfels), situata nei pressi del Colle del Lys. Si erano legati in cordata, con i bastoni in mano e le grappe sotto le scarpe, e giunsero sfiniti. Scoprirono dunque che al di là non era alcuna valle perduta, bensì l’immane distesa del Grenzgletscher che scendeva verso le terre del Vallese. I loro nomi erano quelli di Valentin e Joseph Beck, Etienne Lisgie (Lisco), Joseph Zumstein (Delapierre), François Castel de Perlatoe, Nicolas Vincent e Sebastian Linty. Non riuscirono a scendere sull’altro versante, neppure nelle due spedizioni dei due anni seguenti. La traversata del Colle del Lys riuscì solo nel 1819 alla comitiva di Joseph Zumstein e Joseph Vincent. La Valle Perduta cessò di essere un mito per i Walser e lo divenne per il mondo culturale del tempo: un giornale parigino parlò di Nuova Età dell’Oro, mentre alle indagini in loco di De Saussure tutti rispondevano che la Valle Perduta era solo una favola… In Monte Rosa, la montagna dei Walser Luigi Zanzi conclude con questa riflessione: «Nessuno più, oggi, può sognare l’esplorazione di una valle ancora ignota e intatta: eppure c’è una valle perduta che va riscoperta per la salvezza del Monte Rosa. È la valle della sua storia passata, terra così dimenticata e smarrita che sta per diventare incognita, una terra che se fosse ritrovata potrebbe ritornare nuovamente feconda di nuova vita per la montagna e per le genti che tra le sue pieghe vivono. Le terre della storia non possono sopravvivere se non attraverso altra storia; occorre che una comunità se ne faccia interprete, che “resista” a tentare di vivere anche di quella storia».

 

La Valle perduta ultima modifica: 2016-07-06T05:16:25+02:00 da GognaBlog

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