L’autonomia “differenziata” alle Regioni ricche

Ecco la lettera che Carlo Alberto Pinelli ha inviato nei giorni scorsi a tutti i membri del comitato etico/scientifico di Mountain Wilderness.

L’autonomia “differenziata” alle Regioni ricche
(avvio dello smantellamento dell’Unità d’Italia?)
di Carlo Alberto Pinelli

Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(3), disimpegno-entertainment(1)

Venerdì 15 febbraio l’Unità d’Italia ha cominciato a sgretolarsi: la ratifica dell’intesa fra il governo Conte-Salvini-Di Maio e le prime tre Regioni (Veneto e Lombardia, a maggioranza Lega, con referendum, ed Emilia-Romagna a maggioranza Pd, con voto del Consiglio Regionale) che in modi diversi hanno chiesto di accrescere notevolmente le competenze che già detengono sancirà la sostanziale dissoluzione dello Stato unitario, dello stesso Stato regionale, con una divaricazione sempre più forte fra Regioni ricche e Regioni povere.

Un atto costituzionale che assesta un colpo mortale allo Stato unitario, alla Repubblica voluta nel 1946 dal popolo italiano, destinato a portare al massimo il caos politico-amministrativo del Paese anche nei suoi rapporti con l’UE e col resto del mondo. Reso possibile dalla sussistenza del disastroso Titolo V della Costituzione voluto dal centrosinistra nel 2001 e purtroppo mai riformato.

Suscita grandissima preoccupazione il fatto che fra le prime competenze rivendicate “in esclusiva” vi sono Ambiente, Beni Culturali, Urbanistica (ma non solo). Grandissima preoccupazione giustificata dai fatti, cioè dalla pessima attuazione o dalla inattuazione delle deleghe già ricevute in materia dalle Regioni a statuto ordinario quarant’anni fa (per non parlare della Regione Siciliana a statuto speciale, dove gli abusi non si contano). Per esempio la sostanziale renitenza o addirittura il pratico rifiuto della stragrande maggioranza delle Regioni di attuare leggi dello Stato sul Paesaggio come la legge Galasso del 1985 sui piani paesaggistici, ribadito ostinatamente nei confronti del Codice per il Paesaggio del 2008 con appena 3 piani co-pianificati e approvati, spesso fra furibonde polemiche locali. Tutto ciò mentre nel paesaggio italiano, palinsesto fondamentale della nostra storia (come lo definì Giulio Carlo Argan discutendosi al Senato la legge Galasso approvata, si badi bene, quasi alla unanimità), si stavano attuando autentici massacri, con la cementificazione e l’asfaltatura di decine di migliaia di ettari all’anno, 30 ettari al giorno nel 2018!

Non è un caso che le tre Regioni le quali pretendono mano libera su ambiente, paesaggio, beni culturali (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) risultino le più massacrate dalla speculazione fondiaria ed edilizia, quelle dove il consumo di suolo e l’impermeabilizzazione dei suoli agricoli raggiungono i livelli più esasperati in Italia e fra i più alti in Europa. Quelle dove gli stessi Parchi Nazionali sono stati già smembrati (vedi lo Stelvio) o non si riescono a costituire (vedi il Delta del Po, fra Veneto ed Emilia) per opposizione delle Regioni. Con leggi urbanistiche regionali al ribasso fondate sulla contrattazione coi privati e non più sull’interesse generale dei cittadini.

Tokyo, Shinjuku, Tokyo Metropolitan City Hall al centro, visione aerea

Ma altre Regioni chiedono già di avere più autonomia e più competenze esclusive. La Campania (regione record dell’abusivismo) le vuole per ambiente, ecosistema, paesaggio. La Regione Lazio, a quanto si apprende, le chiede (pur avendo al suo interno la Capitale del Paese) anche per i rapporti internazionali e con la UE. La Liguria le esige per le grandi reti di trasporto e di navigazione (assolutamente impensabili anche nella federale Germania). E’ soprattutto la Lega a volere con forza questa sostanziale secessione delle Regioni più forti da essa controllate e la fine dell’Unità d’Italia.

Tale disegno è assolutamente, drammaticamente inaccettabile. Eppure esso sta andando avanti col pieno avallo della maggioranza di governo e con la sostanziale ignavia dell’opposizione Pd. Eppure esso sta procedendo nel silenzio dei Tg e delle reti televisive. Nella sommessa protesta, quando c’è, della stampa distratta da altri argomenti.

Come atto di testimonianza culturale, eleviamo la più forte e argomentata protesta contro un’operazione che smantella lo stesso Stato regionale, dissolve un governo centrale già debole che invece negli Stati regionali è forte e deciso. Un vento di follia sta investendo il Paese, quanto resta dello Stato viene sbriciolato a favore di Regioni che, in quasi mezzo secolo, hanno spesso dimostrato inerzia, incapacità, opacità a danno della comunità, della Nazione italiana.

Ed ecco le risposte di alcuni dei membri del comitato etico/scientifico di Mountain Wilderness.
Sandro Lovari
Purtroppo temo che sarà più che mai l’ennesima battaglia contro i mulini a vento, ma… se ci fosse modo di intervenire, lo farei subito e sono disponibile.

Matteo Righetto
Sono assolutamente d’accordo, è necessario fare qualcosa da parte nostra.

Paolo Cognetti
Una domanda a Pinelli: a te pare che in Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, che hanno soprintendenze regionali, il paesaggio alpino sia tutelato meno o peggio rispetto alla Lombardia, al Piemonte e al Veneto? Ci sono esempi in merito? Vorrei capire dove e quando la soprintendenza MIBAC ha bloccato opere o interventi che le regioni autonome invece fanno passare. Se fosse vero, aderirei senz’altro al tuo appello. Io che vivo al confine tra VdA e Piemonte non ho notato queste differenze, vedi attuali battaglie sugli impianti di risalita all’Alpe Devero e in Valle dell’Orco, vedi concessioni per le microcentrali idroelettriche, vedi TAV. Lì il MIBAC dov’è? Dispostissimo a farmi spiegare quello che evidentemente non conosco!

Carlo Alberto Pinelli
Caro Paolo, raccolgo un poco di materiale e poi ti rispondo. Per ora aggiungo solo questo: Se da un lato è vero che le sovrintendenze andrebbero in parte ripensate per permettere interventi più efficaci e tempestivi, dall’altro spesso sono state le uniche nostre alleate. Vedi il caso del Comelico. Per ben tre volte la sovrintendenza del Veneto ha espresso parere negativo sui progetti di sfruttamento sciistico, con collegamento con l’Alto Adige, malgrado le fortissime pressioni politiche. Ovvio che la sovrintendenza si è avvalsa anche del dossier che è stato redatto da Mountain Wilderness. Già oggi lo stato italiano ha sottratto alle sovrintendenze alcune importanti competenze: vedi i pareri vincolanti all’interno delle conferenze dei servizi. Se in Valle d’Aosta ci fosse stata una sovrintendenza indipendente dai poteri regionali, forse non avremmo oggi l’obbrobrio della stazione funiviaria della punta Helbronner. Ma ti sarò più preciso fra un paio di giorni.

Salvatore Settis
Sono ovviamente d’accordo, e citerei come il più perverso l’esempio della Sicilia (infinitamente peggio di qualsiasi altra sperimentazione autonomistica nel campo dei BBCC). E’ un tema su cui ho scritto varie volte, vi mando solo un esempio (vedi pdf).

Ugo Mattei
Cari tutti ovviamente concordo. La logica è sempre la stessa…
Comunque volevo dirvi che io sono in campo per la raccolta firme della Legge Iniziativa popolare Rodotà e sto girando in lungo e in largo su questi nostri temi. C’è una sensibilità incredibile fra le persone e nonostante i mille distinguo più o meno condivisibili e accettabili nei toni e modi di qualcuno fra noi “addetti ai lavori”, stiamo già vicinissimi al target minimo delle 50 k firme perché la sensazione generale è che nel paese ci sia bisogno di ecologia, ecologia, ecologia e tutti firmano!
Ovviamente qualsiasi disponibilità vostra a partecipare al nostro sforzo di ecoalfabetizzazione del paese sui beni comuni nonché di costruzione di una soggettività stabile in forma cooperativa a ciò dedicata sarà benvenuto tanto a titolo individuale che collettivo.

Luisa Bonesio
Ovviamente sono del tutto d’accordo sul fatto che qui si gioca forse l’ultima residua (e già debole) difesa del paesaggio e dei beni comuni. Come studiosa di paesaggio e attualmente direttrice di un piccolo museo, cerco ogni giorno in ciò che faccio di arginare il dilagare della devastazione e dell’arroganza nichilistica che fa strame di ogni valore storico, culturale ed ambientale. Nell’ambito territoriale in cui svolgo maggiormente le mie attività, la Valtellina, provincia di Sondrio, la rapidità con la quale si smantella la responsabilità verso il territorio è impressionante (ci metto anche la corsa ad accaparrarsi le prossime Olimpiadi invernali, dopo gli effetti devastanti dei vari campionati mondiali di sci).
Ma nel dialogo ravvicinato con le forme di governo locale (salvo rarissime eccezioni e nonostante una pur vivace presenza di intellettuali e professionisti locali, oltre che di una tradizione culturale diffusa soprattutto di tipo storico) ciò che appare più incapacitante è una certa elementarizzazione arrogante del livello politico, la rivendicazione nichilistica secondo cui tutte le opinioni si equivalgono, le impressioni o la chiacchiera social “valgono” a fini di decisioni che interessano i cittadini tutti come quelle degli esperti, o degli “intellettuali”. Su questo muro di gomma tutto rimbalza, ineffettuale… rimane una strenua difesa (una testimonianza forse) di pochi individui (di solito non più giovani, insegnanti, “intellettuali”, docenti universitari, aderenti al FAI o ad associazioni culturali, musei, e anche qualche alpinista non autoreferenziale (pochissimi comunque).

Salvatore Bragantini
L’allarme è sacrosanto. Ciò detto, i dubbi di Paolo Cognetti sono giusti e razionali. Ci troviamo davanti ad un derby fra chi vuole il centro di decisione vicino e uno lontano. Se però guardiamo ai fatti sul mitico “territorio”, chi ha fatto più danni? Lì vediamo che questo, che si potrebbe anche descrivere come il derby, al negativo, fra la vicinanza amicale e la distanza burocratica, è vinto alla grande dalla prima. La vicinanza amicale ha fatto molto più danni della distanza burocratica, che pure ne ha fatti, anche come diniego di autorizzazioni che a volte si potevano dare più facilmente (non sempre negare tutto è la risposta giusta…). In sintesi, appoggio l’appello.

Vittorio Emiliani
Cinquant’anni fa eravamo tutti regionalisti, comunque fiduciosi. Personalmente non ero affatto d’accordo sulla regionalizzazione della tutela dei beni culturali e paesaggistici. La dizione originaria dell’art.9 di Tristano Codignola era, come sapete, “Lo Stato tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, poi, in vista delle Regioni, si preferì la versione Lussu “La Repubblica tutela, ecc.” Versione nobile quanto ambigua. La Regione Sicilia istituita come autonoma prima ancora del voto sulla Costituzione con poteri speciali iniziò discretamente per poi deteriorarsi sempre più anche in questo campo fino a lasciare senza fondi le Soprintendenze e a rifiutare di fatto l’applicazione di leggi dello Stato: la Galasso (e ora lo stesso Codice) come ha chiaramente sottolineato Salvatore Settis su Repubblica già il 16 ottobre 2012 provocando autentici disastri. Poco importa che Trento e Bolzano sino a ieri (oggi molto meno, vedi Stelvio e dintorni) si siano ben comportate. La stessa Sardegna ha collaborato abbastanza efficacemente con lo Stato. Ma il patrimonio della Nazione pur con le sue diversità e specificità è della nazione e come tale va tutelato con ben altri mezzi certamente, non con lo 0,25 per cento del bilancio dello Stato rispetto al già non grassissimo 0,39 dei governi Amato-D’Alema, da sognarselo oggi.

Francesco Tomatis
In linea di principio auspico un maggiore controllo da parte degli abitanti del luogo dei destini del proprio territorio, in specifico per quanto riguarda le zone montane, scarsamente abitate e rappresentate, quindi in preda alle decisioni allotrie. Per questo condivido gli interrogativi sollevati giustamente da Cognetti. Tuttavia in questa situazione contingente, credo che la visione di Pinelli sia quella che vede le cose con spirito realistico, con il conseguente saggio allarme. Ciò che altrimenti potrebbe esser criticato, cioè il centralismo delle sovrintendenze, come anche di altre istituzioni, oggigiorno va difeso e tenuto a prezioso argine contro la devastazione.

Paolo Cognetti
Da anarchico la questione mi interessa moltissimo. Meglio un potere centrale lontano e irraggiungibile che argini dall’alto gli interessi locali, o confrontarsi con quegli interessi in una gestione (anche molto faticosamente) condivisa?
Non solo mi interessa ma mi riguarda da vicino: a Brusson sto costruendo un rifugio a partire da un vecchio alpeggio, diventerà un ostello per la gioventù e un circolo culturale in cui fare tante belle cose per la montagna, anche insieme a voi se vorrete. L’edificio sarà tutto in legno, riscaldato e coibentato con moderne tecnologie, punta all’autonomia energetica e a un impatto ambientale davvero minimo, però per realizzarlo abbiamo dovuto demolire il vecchio rudere in pietra (in disuso da 30 anni e sul punto di crollare), cosa nient’affatto semplice in Valle d’Aosta. Ora, in una regione piccola come la nostra abitiamo solo in 130.000 e ho potuto andare con gli architetti a incontrare tutti quanti: a partire dagli assessori regionali e giù fino al sindaco passando per il soprintendente alle belle arti e la commissione edilizia comunale. Mediamente, quando hanno capito che non voglio fare un altro b&b di lusso né guadagnarci dei soldi ma lavorare per davvero coi ragazzi sul territorio, mi hanno risposto: grazie, ce ne fossero di progetti come il vostro. E dopo un anno di giri per gli uffici ora ho i permessi che servono. Non credo proprio che se ne sarebbe fatto nulla se avessi dovuto confrontarmi con Roma.
Sarebbe successo anche se avessi voluto costruire una Spa per miliardari? Molto probabile. Però è in queste dimensioni che io sento di riuscire a partecipare al discorso pubblico, a fare politica dunque, a portare avanti delle idee e oppormi ad altre, a entrare in relazione con chi abita e lavora intorno a me e con chi ci governa. Un potere centrale non esclude solo i grandi costruttori di funivie (cosa che non fa in ogni caso), esclude anche e soprattutto i piccoli come me.

Sandro Lovari
Caro Paolo (e altri), come sempre, i problemi di correttezza, efficenza, ecc., non dipendono tanto dalle istituzioni quanto dagli uomini ai quali si fa riferimento. In tema di gestione della fauna, per esempio, se la Toscana fosse autonoma (più di quanto già sia) non oso pensare che cosa ci succederebbe.
Ovviamente il tuo caso non sarebbe probabilmente andato avanti se i “poteri” fossero stati lontani, a Roma.

Tuttavia ci sono molti altri casi dove un coordinamento nazionale dovrebbe esserci: pensiamo, per esempio, allo smembramento grottesco del Parco Nazionale dello Stelvio, ma ci aggiungerei anche altre amministrazioni di parchi nazionali interregionali (dove sono stato coinvolto nel CD e simili): pur non essendo Regioni (o Province) autonome, la gestione è sempre stata un compromesso tra interessi “localistici” – difficilmente nazionali.

Siamo in un paese di “anarchici” (ma non come te, purtroppo!) e abbiamo la tendenza a pensare soprattutto al nostro orticello prima che a quello comune. Però è solo pensando in termini di ampia scala che si può gestire bene il territorio nazionale, non frazionando il potere a livello di regioni, province e comuni. Personalmente penso che sia più affidabile una Mafia a livello nazionale che una miriade di mafiette locali. Se poi a livello nazionale si riuscisse anche ad avere un governo corretto, efficiente e competente (sono un sognatore, lo so…) … tanto meglio!!!

Carlo Alberto Pinelli
Caro Paolo, la tua esperienza positiva è istruttiva, almeno in una certa misura. Concordo con te che l’assessorato valdostano e la sua vassalla sovrintendenza regionale non pongono insuperabili pastoie burocratiche per cambi di destinazione, ristrutturazioni, nuovi edifici, nuove asfaltature di sentieri, nuovi impianti di risalita, nuove futuristiche stazioni di arrivo in alta quota, nuove spa. Ovvio dunque che i funzionari locali non si siano opposti al tuo progetto, certamente non invasivo e culturalmente qualificato. Francamente sarei più interessato a sapere quali e quanti divieti l’assessorato ha posto in questi ultimi anni per arginare l’ ulteriore antropizzazione mercantilistica delle montagne valdostane. Vogliamo parlare dei nuovi edifici multipiano progettati a Courmayeur? O della funivia alle Cime Bianche ( val d’Ayas)?; o del mostro di alta quota che ha distrutto la Punta Helbronner? O della nuova funivia che unirà il Piccolo Cervino svizzero con le piste del Plateau Rosà? Posso certamente sbagliare, ma ho il sospetto che alcuni di questi disastri non verrebbero ( o sarebbero stati) commessi se la sovrintendenza valdostana non fosse dipendente dalla regione autonoma, ma rispondesse al MIBAC. Bada bene: io non inneggio acriticamente alle Sovrintendenze nazionali e non ho difficoltà a riconoscere i loro limiti e le loro saltuarie ambiguità o debolezze. Ma, come giustamente fa notare l’amico Tomatis, nella pratica al momento attuale esse rappresentano l’unico baluardo che abbiamo a disposizione. Giustissimo sostenere che il centralismo statale non sempre ha ragione; purché poi non se ne deduca che gli abitanti del posto hanno sempre ragione loro.

Paolo Cognetti
Caro Betto, come dicevo, ti credo solo se mi porti a esempio un progetto funiviario bloccato da Roma. Per le Cime Bianche in cui sono coinvolto l’unica speranza pare essere l’Unione Europea. Mai e poi mai il governo italiano avrebbe vietato Punta Helbronner.
O vogliamo parlare del nuovo segretario Pd che come primissima cosa va ad assicurare il suo sostegno alla Tav? Su questo come MW non diciamo proprio nulla?

Franco Michieli
Da parte mia sono d’accordo sull’allarme che lanci; abito in Valle Camonica e il pensiero che i politici lombardi possano decidere autonomamente su cosa fare del paesaggio regionale mi è sempre parsa una grande minaccia, ben prima di queste richieste autonomiste (stiamo molto peggio del Veneto da questo punto di vista, non esiste paragone) . Capisco anche le osservazioni di Paolo; qui però mi pare che l’intervento necessario non sia tanto tentare di bloccare l’autonomia delle tre regioni (non saremmo determinanti), ma sollevare il problema di cosa succederà al paesaggio: riuscire almeno a far parlare pubblicamente del problema e vedere se l’opinione pubblica parrà darci un qualche peso. Aderisco quindi all’iniziativa, in primo luogo per diffondere maggiore coscienza dei rischi di queste iniziative politiche.

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L’autonomia “differenziata” alle Regioni ricche ultima modifica: 2019-03-11T04:52:01+01:00 da GognaBlog
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