Metadiario – 201 – Con le ciaspole sulla Catena di Belledonne (AG 1996-001)
(scritto nel 1998)
Dopo aver passato le vacanze di Capodanno a Levanto impegnato a scrivere i testi per il volume IV dei Grandi Spazi delle Alpi, nel gennaio 1996 avevamo ancora da completarne la documentazione fotografica. Con Marco Milani, il 17 gennaio andai con gli sci da Revolé in vetta al Pizzo di Gino 2245 m, nelle Prealpi Comasche. L’ultima meta fu poi il Niederhorn 1950 m, il 9 febbraio e ancora con Marco, ma questa volta nelle Prealpi Bernesi.
In quel periodo (14 gennaio) ci fu anche una gita “storica” al rifugio Stoppani, nel Lecchese, con Bibi e con gli amici Paola e Giovanni Sicola e le nostre tre bambine. Inutile dire che c’era un freddo siderale e che giunti al rifugio Giovanni ed io continuammo per andare a scalare sulla Parete Stoppani, lasciando mogli e figlie impossibilitate a giocare all’aperto. Quando, dopo sette tiri, ci degnammo di riscendere al rifugio, le pargole avevano messo a soqquadro il locale, a stento trattenute dalle madri, ormai in preda alla famosa “crisi di nervi”. Questa si aggravò durante la discesa sul sentiero, in più punti una specie di toboga di ghiaccio.
Su nostra proposta, ci fu poi una bella settimana, commissionata da Airone, nella catena francese di Belledonne. Questa volta con noi era anche Chiara Baù. Questa ragazza, di una simpatia esagerata, ci aveva già accompagnato il settembre precedente in zona Lavaredo. Era, ed è tuttora, un’entusiasta della natura e dello sport: avrò modo di riparlarne.
La nostra squadra in Belledonne godette in genere del bel tempo e della bella neve: quest’ultima assai importante visto che il servizio doveva enfatizzare l’uso delle ciaspole. Il 14 febbraio andammo dal dal Plateau d’Arselle al Lac Achard con brutto tempo; il 15 febbraio, con tempo bellissimo, traversammo la Croix de Chamrousse, il Col de l’Infernet, il Lac Achard e la Roche Béranger; Il 16, altra gita meravigliosa: dal Col du Pouta (seggiovia, 2400 m) alla Quota 2430 m c., poi allo Chalet de Pincerie, Col de Merdaret, La Frey e Cul de Pet 1837 m; il 17, dal Collet d’Allevard eseguimmo fedelmente un giro segnalato dedicato alle racchette da neve; e infine il 18 febbraio Col du Barioz – Foyet de Fond – Crêt du Poulet 1726 m – cabane 1700 m c. – Crêt Luisard 1803 m – Foyet.
Nei boschi innevati della catena di Belledonne, il popolo degli alberi è pronto a sorridere. C’è aria di neve, quella fresca ed abbondante, neve appena caduta o che forse sta per cadere di nuovo. Sorride in silenzio mentre l’uomo cammina con una buffa andatura caracollante. Perché, in quelle condizioni, con gli sci da fondo o con le pelli di foca sarebbe troppo faticoso percorrere un tratto in piano o in leggera salita. L’uomo che cammina può farlo più agevolmente con le racchette da neve, proprio tipo quelle che abbiamo sempre visto nelle baite e nei rifugi di montagna appese al chiodo sul muro. Ai piedi di qualcuno, quasi mai le abbiamo viste, almeno fino a qualche anno fa.
Anche se d’inverno i cacciatori in Trentino usavano le ciàspole per portare da mangiare ai caprioli o per le loro scorribande, gli alpinisti non hanno mai fatto un grande uso di questi attrezzi. Molto più popolari sono sempre stati gli sci con le pelli di foca oppure quelli nella variante del fondo escursionistico. Nell’inverno del 1965 Walter Bonatti riuscì ad aprire in solitaria una via diretta sulla parete nord del Cervino. Per andare alla base della montagna aveva con sé un paio di racchette da neve. Che si sappia, fu il primo ad averle usate e poi a dirlo. Ma non fece scuola. Ci vollero ancora molti anni prima che i francesi le riscoprissero come attività invernale a se stante, proprio in quegli anni ’80 in cui la montagna viveva in pieno boom invernale e le nevicate cominciavano ad essere meno copiose e meno frequenti.
E così il popolo dei fruitori invernali ha scoperto solo da pochi anni che le racchette sono adatte a tutti: dai 2 agli 85 anni ed oltre, dalla passeggiata nel bosco all’impresa alpinistica.
Nel marzo 1994, all’inizio di una gita scialpinistica in Savoia, avevo potuto osservare che intere scolaresche francesi, accompagnate da istruttori, calzavano racchette in affitto e si divertivano un mondo nei boschi. Ed ecco che prese forma l’idea di andare proprio in Francia a provare quest’attività: scelsi i boschi e gli spazi aperti della granitica catena di Belledonne, proprio perché, data la sua vicinanza ad una città alpina come Grenoble, la sapevo molto frequentata dagli appassionati delle balades à raquette.
Lunga 60 km, la catena di Belledonne si estende da nord est a sud ovest lungo la Savoia e il Delfinato, tra l’Isère, la valle della Maurienne, il massiccio delle Grandes Rousses e la valle della Romanche. Accanto e praticamente ai piedi delle cime più alte (il Grand Pic de la Belledonne arriva ai 2978 metri) ci sono quattro grandi centri dello sci, assai concentrati e in definitiva non invasivi: Chamrousse (Olimpiadi del 1968), Prapoutel, Le Pleynet, Collet d’Allevard. L’enorme distesa del resto del territorio è del tutto integra. Paesaggio familiare agli abitanti di Grenoble, ci si dimentica facilmente che il massiccio è più selvaggio di altri. È una montagna a parte, marginale nel senso vero e proprio. A lato del fiume Isère, non è, come altri grandi massicci, nascosta tra gli altri. Dalle cime si vede, al di là della Chartreuse, la pianura francese. Il profondo solco della valle dell’Oisan la separa dai massicci di Taillefer e degli Écrins. Sui due lati, una ripidezza ed un dislivello fuori del comune mettono le cime in quel mondo dove valle e città appaiono vicine ma lontane. È a questi contrasti, più forti che altrove, che una visita alla Belledonne deve il suo sapore.
I principianti scelgono, per iniziare, delle racchette per neve fresca e si recano in boschi incontaminati. Cominciano a camminare, per soddisfare un’esigenza di natura vera, poi s’imbattono nei primi problemi.
Capimmo subito che non era il caso di addentrarci in posti troppo ripidi e pericolosi: meglio scegliere un terreno con media pendenza in un bosco non troppo ingombro di tronchi, rami e cespugli. È più consigliabile cominciare su percorsi già battuti, almeno per qualche volta. In Francia si trovano sempre delle piste balisé, segnalate esclusivamente per le escursioni con le racchette. In Belledonne, particolarmente, segnalazione vuol dire anche frequentazione e quindi sentiero battuto.
Lì apprezzammo molto i ramponcini, utili per non scivolare sulla neve che, pesta e ripesta, può diventare assai dura. Un inconveniente da evitare è il seguire, volontariamente o meno, le tracce di un anello di sci da fondo: si rovinerebbe il divertimento degli altri e si potrebbero creare degli incidenti. Altro problema nuovo fu che, nella scelta dell’itinerario “vergine”, dovevamo fare attenzione agli skilift: solo funivie e seggiovie permettono infatti una risalita a chi ha con sé solo le racchette!
Francia, Massif de la Belledonne. In salita verso il Grand Rocher: sullo sfondo l’intero settore nord-orientale della Chaine de Belledonne. Foto: Marco Milani.
La conclusione delle nostre ricerche è stata che la gita in racchette da neve è veramente adatta a tutti solo se si rimane almeno nei pressi di un anello già battuto. Ognuno può cercarsi la propria pista, nei limiti di un bosco che comunque è assai grande, e trovare la grande soddisfazione di calcare neve immacolata.
Le racchette da neve, come mezzo di trasporto, esistono… praticamente da sempre! Le hanno inventate gli indiani d’America in quei posti, come il Canada e l’Alaska, in cui la neve rendeva impossibili gli spostamenti. Con le racchette ai piedi, che impedivano di affondare, migravano intere tribù alla ricerca di una sistemazione più confortevole. In Europa sono arrivate dopo ma, anche qui, in epoca non precisata. Camminando o correndo, su di una pista d’asfalto, su un prato o sulla neve, la tecnica è sempre la stessa: semplicemente, un passo dietro l’altro. L’unica differenza, sui manti nevosi, sta nel fatto che mettendo sotto i piedi qualcosa di più largo dei piedi stessi si evita di affondare. All’inizio si trattava di un pezzo di legno circolare, abbastanza leggero, al quale veniva attaccata una reticella di corda: qui si fissava la calzatura con delle fibbie. In seguito la racchetta si è sviluppata con l’impiego di diversi materiali, assai più maneggevoli e resistenti all’usura: l’alluminio al posto del legno, la plastica anziché la corda. E poi la forma, più ovale ed allungata, in una parola più razionale. Alzandola davanti ed allungandola posteriormente, la racchetta diventa l’ideale per la neve fresca. Più è piccola e leggera, invece, meglio si adatta a camminare sulla neve dura e gelata.
In commercio esiste una grande varietà di racchette, di costo, forma e materiali diversi.
Conviene scegliere modelli di media lunghezza e comunque utilizzare quelli dotati di punta anteriore ricurva verso l’alto (se la neve è molle) e di piccoli ramponi applicati sotto (per poter salire se la neve è dura).
Le moderne racchette da neve non sono più quelle dalla sagoma “a fagiolo”, in legno con la trama di corda intrecciata: sul mercato ci sono diversi tipi di attrezzi ben più sofisticati, in plastica o in lega leggera-plastica, tutti più o meno funzionali, con un attacco rapido basculante (che permette di affrontare con facilità i pendii) ed una serie di punte per ramponare la neve dura, utilissime in discesa. Camminare con le racchette è diventata quindi una attività alla portata di tutti, permettendo anche ai non sciatori di rileggere i percorsi già frequentati da fondisti o scialpinisti. Occorre però ricordarsi sempre che la montagna d’inverno, meno frequentata che nel periodo estivo, esige cautela prima di lanciarsi nelle escursioni più lunghe: non dovendo imparare tecniche specifiche, sembra di poter fare con le racchette ciò che invece il fisico non tollera: saggiare il proprio allenamento quindi, per evitare i rientri notturni. Il rischio valanghe invece è quasi assente perché in genere si preferiscono tracciati che si sviluppano su pendenze ridotte, e il più delle volte in mezzo ai boschi. La filosofia del percorso in racchette infatti è rivolta alle grandi traversate, proprio come nei terreni nordici o canadesi. Difficilmente è spontaneo usarle per raggiungere una vetta, dove magari rimane più pratico l’uso degli sci abbinato all’uso dei ramponi. Gli appassionati di snowboard fuori pista usano le racchette per la salita, perché, iniziata la discesa, sono assai più comode e meno ingombranti degli sci.
Lasciate perciò a casa, appese sopra al camino, quelle racchette di legno con rete di corda. I lacci con i quali si fissano gli scarponcini alla racchetta devono essere di fibra sintetica, per comodità di allacciamento e per poterli slacciare facilmente anche quando sono gelati.
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