Le nuove conquiste

Le nuove conquiste
(scritto nel 1994)

Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(2)

Il Prarion, piccolo cocuzzolo erboso a cavallo tra la Val Mon­tjoie e la Valle di Chamonix, è probabilmente, tra i panorami più grandiosi delle Alpi, il più facile e comodo da raggiungere. Il Tramway du Mont Blanc, cioè il trenino a scartamento ridotto che sale da Le Fayet e Saint Gervais-les-Bains al Nid d’Aigle, ci porta fino al Col de Voza; da lì una seggiovia conduce all’Hotel du Prarion, a pochissima distanza dalla sommità. Oppure si può salire direttamente da Les Houches con una seggiovia fino all’hotel.

Proprio questa comodità, unitamente alla locazione del tutto par­ticolare del Pra­rion, mi suggeriscono delle considerazioni al ri­guardo delle località turistiche e al modo di usufruirne.

Il Tramway du Mont Blanc

Fin dai primi tentativi di scalata vi fu molta incertezza sulla via migliore per raggiungere la vetta del Monte Bianco: due stra­de erano possibili, la salita per i Grands Mulets e il bacino dei Bossons oppure quella da Bionassay per l’Ai­guille du Goûter. Quest’ultima via fu seguita il 17 settembre 1784 da Jean Marie Couttet e François Guidet che fallirono di poco l’obiettivo. Il primo per­corso fu poi quello seguito da Balmat e Paccard nella storica prima ascen­sione, anche se molti continuavano a ritenere che la via più giusta fosse quella esplorata da Couttet e Guidet.

La storia dell’Hotel du Prarion risale a tanto tempo fa, quando ai primi dell’800 un valligiano di Saint Gervais, papà Roux, dopo aver co­struito un rifugio nei pressi del Col de Voza, si riteneva furbo albergatore e cercava di convin­cere i turisti che la salita al Monte Bianco era possibile, in giornata, anche dalla parte di Saint Gervais: secondo lui era più facile incamminarsi dal suo rifugio piuttosto che affrontare l’i­tinerario di Balmat e Paccard dei Grands Mulets.

A tal punto convinto di quella soluzione papà Roux aveva anticipato i tempi costruito al Prarion il piccolo rifugio. Per far pub­blicità egli pose un cartello in cui si informavano gli alpinisti che da lì era possibile raggiungere la vetta e tornare in giorna­ta. Poiché ben pochi credevano all’affermazione, l’intraprendente Roux giurò che la salita era già stata fatta il 18 luglio 1819 da sei giovani valligiani, una testimo­nianza con­trofirmata e legalizzata. I quali in seguito, incalzati da domande pre­cise e insistenti, fini­rono per confessare l’inganno. Papà Roux perse i vari processi e finì in disgrazia, nella bufera della pubblicità negativa per un po’ tenne du­ro affamando i clienti con pasti da lager: Rodolphe Töpffer, nel suo bellissimo Viaggi a zig-zag, ci racconta in pratica che papà Roux teneva a stecchetto i suoi ospiti e che la cena gli fu salvata solo grazie alla buona volontà di mamma Roux!

Veduta dal Prarion, Monte Bianco, valle di Chamonix. A sin, in fondo, la Chaine des Aravis; a ds, il Desert de Platé e la Pointe d’Anterne. 22 novembre 1994

Pochi anni dopo, nel 1861, quella da St-Gervais davvero diventava la via normale al Monte Bianco, oggi una delle più affollate ascensioni alpine. L’intuizione di papà Roux si era rivela­ta corretta, per lui un po’ tardi. Aveva già chiuso bottega.

Oggi siamo ben distanti dall’epoca dei pionieri e delle prime conquiste dell’alpinismo; siamo ben oltre le grandi emozioni che i primi turisti provavano di fronte ai grandi spettacoli alpini: siamo oltre la maturità. Perciò, altre sono le conquiste che ci dobbiamo prefiggere.

Un bellissimo albergo antico, accanto ad un altro più recente, assicurano ospitalità in questo splendido posto. Forse solo in questo genere di alberghi, un po’ isolati e di lunga tradizione, ci si può ancora rigenerare con l’aria che si respirava con il turismo di un tempo. Albergatori che ci sapevano fare, veri animatori ante litteram, si preoccupavano di tener desta l’attenzio­ne del cliente che soggiornava presso di loro, con un calore uma­no e di simpatia che andava ben oltre il calcolo di riavere lo stesso ospite l’anno dopo. Di questi alberghi antichi e di buon nome le Alpi sono ancora ricche. Dovremmo cercare di non snatu­rarne troppo lo spirito, pur nel rispetto di alcune moderne esi­genze.

Senza voler fare dell’utopia, un valido sistema per conservare un certo tipo d’atmosfera è quello di non raggiungere la località in maniera eccessivamente comoda e rapida. Non voglio qui parlare di questo caso particolare, anche perché il salire in trenino è e­sperienza di tutt’altro tipo che servirsi dell’impianto a fune o dell’automobile: il treno, anche se elettrico, silenzioso e fun­zionale ci riporta con un po’ di fantasia all’800, al viaggio in compagnia, alla diligenza.

È il mezzo usato anche da Luisa Raimondi e Marco Milani, che sono però venuti quassù in un caldo pomeriggio di fine luglio. “In treno sembrava di essere in metropolitana all’ora di punta…”, è stato il loro commento, “ma poi ne è valsa la pena!”

Anche Samivel (Il grande giro del Monte Bianco, Priuli & Verluc­ca, editori) sal­va in corner il Prarion: “Per altri sentieri si arriva all’alpeggio di Voza 1653 m, dove si trovano i binari del Tramway du Mont Blanc e in più un ammasso di fer­raglie ed un odo­re persistente di grasso ricotto al sole, oggetti ed effluvi che nulla aggiungono al fascino d’un paesaggio comunque sontuoso. Per meglio goderne è sufficiente innalzarsi sul versante di Prarion. La valle di “Chamouny”, un tempo molto selvaggia, sfoggia ora una fitta scacchiera nella quale i tetti divorano gli ultimi spazi verdi. Tuttavia l’insieme si salva grazie alla brillante corona di cime. Dall’Aiguille du Tour al Mont-Tondu, l’intero massiccio volge da sud-ovest a sud”.

Alessandro Gogna in vetta al Prarion, Monte Bianco. Foto: Marco Milani

Oggi i tetti di cui parla Samivel sono aumentati a vista d’oc­chio, il verde è diminuito, le ruspe si sono moltiplicate, una grande arteria d’asfalto occupa violentemente il fondo valle e un ronzio continuo di motori pesanti cancella una pace d’altri tem­pi: ma il panorama “si salva” ancora.

Perciò vorrei semplicemente accennare al grande problema dei luo­ghi turistici facilmente accessibili prendendo lo spunto da que­sta località delle Alpi, particolarmente favorita, servita e af­follata.

Rinunciamo al mezzo meccanico per quanto possibile: ecco la nuova conquista.

Prendiamo ad esempio le strade perimetrali di un’area wilderness, come pure gli accessi stradali o gli attraversamenti: di solito non permettono una forte velocità perché strette, ripide, sasso­se, oppure a tornanti con ridotto raggio di curvatura. Ebbene, capita anche di vedere gente che ha fretta, tanta fretta, dispo­sta a spaccare ammortizzatori e coppe dell’olio pur di raggiunge­re il limite fisico della propria vettura. Se proprio non si può rinunciare all’auto, evitiamo velocità, esibizionismo e impru­denze: l’ambiente ce ne sarà grato e ci saranno migliori possibi­lità di “sperimentarlo”.

Sopportiamo chi si produce in corse, sbandate e frenate su sentieri, boschi e prati, svilendo un ambiente con l’inquina­mento dell’aria, con il danno alla coltre erbosa, con il dissesto del terreno, con il disturbo agli animali, con il polverone sui pedoni.

Ogni regione, dipartimento, provincia o cantone ha il suo sistema per impedire il traffico su certe strade, riservate ai mezzi a­gricoli o forestali. Il sistema più efficace è quello di chiudere con una sbarra e con un lucchetto: ma talvolta c’è solo il car­tello di divieto, che di solito riporta avvertimenti minacciosi ai trasgressori. Però la sbarra è seducentemente aperta… Fac­ciamoci forza, posteggiamo lì e stiamo attenti a farlo in modo che chi interviene per un incendio o per un soccorso non trovi l’accesso ingombro.

In futuro la politica di risparmio energetico sarà inevitabilmen­te parte integrante della nostra coscienza civica e morale. Solo allora ci sarà più facile rinunciare a quelle false comodità che inducono solo allo spreco ambientale ed economico.

Oggi al contrario, invece che permetterci soltanto un più agevole accesso a una situazione naturale, usiamo auto e moto senza ri­sparmio per un inseri­mento rapido nel bel mezzo di quella stessa situazione naturale.

Funivie e impianti a fune sono richiesti, offerti e poi usati non per accedere ai margini della wilderness rispettandone il cuore, bensì per accelerare l’inizio e la conclusione di un percorso o di una gita tramite un consistente accorcia­mento.

Abbreviare le distanze facilita un’esperienza ma ne rimpiccioli­sce l’intensità: meglio visitare due luoghi nel tempo dovuto che tre in fretta e furia.

L’industria turistica può svendere percorsi ridotti o seleziona­ti, ma non può includere nel pacchetto alcun reale beneficio per lo spirito, perché l’esperienza interiore, al contrario dell’ac­quisto, non segue la logica del “paghi due, prendi tre”.

Non ci possono essere conoscenza e amore per la montagna e per la wilderness se stoltamente amputiamo quelle parti di percorso che riteniamo meno significative. Possiamo sperimentare una ma­ratona, per esempio, solo se cor­riamo per 42 km e rotti. Se così non si fa, l’esperienza che andiamo cercando si azzera, perché si svuota di significato.

Per questo ci permettiamo di suggerire un accesso al Prarion che abbiamo utilizzato in seguito: quello da Les Chavants passando dal Col de la Forclaz. Una bellissima escursione, magari conclusa con una dignitosa discesa in trenino.

Queste nuove conquiste non avranno mai la prima pagina dei gior­nali: saranno ottenute da persone normali e anonime. Ma questo è l’unico modo oggi per dare ancora un grande valore alle conquiste di un tempo.

La qualità di un’esperienza umana, avventurosa o meno, e la di­versità di un soggiorno in montagna avranno sempre più bisogno dell’abbandono del mezzo meccanico: perché, per avere un valore, dovranno essere sempre meno asservite ai consumi tipici della no­stra civiltà.

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Le nuove conquiste ultima modifica: 2018-09-25T05:53:36+02:00 da GognaBlog

3 pensieri su “Le nuove conquiste”

  1. É bello sapere che c’è chi crede e propone questo tipo di montagna. La penso esattamente nello stesso modo. Sarà per questo che dico che é bello. Purtroppo il sistema é degenerato nell’ottenimento dell’obiettivo senza curarsi di ciò che sta nel mezzo, che é la parte più vera e significativa di ogni esperienza. Manca il tempo ma ci sono i soldi, che sono considerati l’odierna ricchezza e che accorciano tutte le distanze anche laddove distante significa migliore. Ma i nostri sensi non sono cambiati mai e ingannarli non porta da nessuna parte. Basta guardarsi intorno.

    Noi non ci saremo. (I Nomadi)

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