Le solitarie per Maurizio Giordani
di Barbara Holzer
intervista del 7 giugno 2014
Come ti è venuta l’idea delle solitarie?
Forse è una cosa che arriva dall’ambizione. Se cerchi un buon punto di arrivo per la tua ambizione, ti metti a confronto con le cose che pensi siano difficili. Penso che nell’alpinismo, nell’arrampicata, ma non solo nell’arrampicare, penso un po’ dovunque, si cerca il confronto diretto con la difficoltà, con il problema, con l’ostacolo, il confronto diretto e soprattutto un confronto onesto, un confronto pulito: questo ti permette di superare la difficoltà, l’ostacolo e di arrivare all’obiettivo con grande soddisfazione personale. Naturalmente se questo confronto è appunto pulito e libero da tanti aiuti. Il fatto di trovarsi da solo ad affrontare un grande ostacolo è il sistema più diretto, diciamo, per ottenere una grande soddisfazione, se tu riesci di superare l’ostacolo. Un conto è fare un esame di qualsiasi tipologia, dando ti te stesso il massimo, un conto è farti aiutare dal computer, dal professore, dall’amico, da tante cose. Cioè qualsiasi obiettivo ottieni, dà più soddisfazione se lo ottieni con meno aiuto possibile e dando quindi il massimo di te stesso. E questo anche in alpinismo. Io credo che la soddisfazione che ti arriva da quello che fai nell’alpinismo sia un po’ come una grande scala con tanti scalini. E lo scalino più alto è quando sei a confronto con te stesso, senza aiuti, con un grande obiettivo, con un grande ostacolo. Se riesci a superarlo, per la tua ambizione è il massimo.
Quando hai iniziato a fare solitarie?
Credo proprio subito. Ho cominciato ad arrampicare nel 1979 facendo il corso di roccia e poi sono andato a militare. Già durante il militare tornavo a casa e non trovando compagni, andavo a farmi le scalate solitarie sulle pareti di Rovereto, sulle Piccoli Dolomiti, ad Arco. Ho cominciato nel ’79 e ‘80. La Renata Rossi ai Colodri l’ho fatta da solo nel 1980, appena è stata aperta. Avevamo appena fatto la prima ripetizione con Giuliano Stenghel e dopo l’ho fatta da solo. Mi è sempre piaciuto, perché mi sentivo sicuro.
Lo fai anche adesso?
Sì, su livelli diversi, ma se sono ad Arco a lavorare, e ho due ore libere, prendo le scarpette e vado a fare una via di Heinz Grill, su e giù…
I tuoi compagni facevano solitarie?
C’erano pochi che facevano solitarie a quei tempi, i miei amici non lo facevano. Avevo cominciato a scalare con Sergio Martini, anche con Giuliano Stenghel, con Toni Zanetti, però loro non andavano in solitaria. Con loro facevo le vie invernali, andavo sempre a cercare le avventure strane, quindi poi si andava in inverno, si andava a fare vie nuove. Mi è sempre piaciuto fare cose diverse, ma la solitaria è una cosa mia, intima, qualcosa di speciale. Uscivo ogni tanto, quando era il momento giusto: allora mi lasciavo andare verso obiettivi vari. Come uno stimolo interiore a fare qualcosa di perfetto, ecco. Io lo chiamo così: andare alla ricerca della perfezione nell’Alpinismo.
Come ti vedevano gli altri?
Non c’erano problemi. Non ho dato mai peso al CAI e alle opinioni di altri. Facevo la mia strada, secondo quello che ritenevo giusto per me.
Non c’erano polemiche. Anzi, questa ricerca del massimo obiettivo in solitaria, era una grande soddisfazione perché io mi ponevo degli obbiettivi e dicevo: “qual è la via più difficile che potrei fare?” E dicevo: “guarda, mi piacerebbe fare questa via, perché secondo me è un percorso di ricerca importante. E negli anni ‘80 avevo proprio l’ambizione di fare le vie più difficili degli alpinisti più bravi di allora e di poterle fare da solo, o da solo d’inverno, diciamo la via più difficile, fatto però in un confronto solitario, diretto, pulito. Allora facevo le vie di Mariacher, di Manolo, di Koller, andavo a fare le cose più difficili che avevano fatto loro.
Quindi erano vie di settimo grado?
Anche di più, anche perché andavo quasi sempre senza corda.
Che cosa portavi con te?
Il massimo era per me di riuscire a salire senza niente. Quindi le salite mie più belle, che ricordo come massimo in assoluto, sono quelle che ho fatto senza materiale. Solo scarpe, casco, sacchetto di magnesite e basta.
In questi casi, per esempio Tempi Moderni (Moderne Zeiten) in Marmolada e tante vie così, la Stenico sul Colodri, la Martini sulla Cima alle Coste. Tantissime vie ho fatto senza portare neanche un cordino o un moschettone. Solo in pochissimi casi ho portato materiale: d’inverno, sulla Ezio Polo in Marmolada, perché sono stato su quattro giorni, allora bisognava portare lo zaino e allora ho anche portato la corda. Era una via impegnativa, ci volevano già due giorni per andare solo all’attacco con gli sci; era impegnativo, quindi portavo lo zaino. Per il Pesce ho portato la corda; l’ho usata solo in pochi tiri, però c’e l’avevo. L’avevo anche su Supermatita al Sass Maor, una via di Manolo, lunghissima, allora difficile, l’ho salita d’inverno. Ho avuto la corda, usata solo su un tiro, però ho utilizzato un aiuto, questo era un piccolo aiuto. Quando riuscivo andare senza aiuto per me era il massimo. Gli aiuti per me sono un po’ un compromesso, quando sceglievo di portare la corda, scendevo uno scalino. Non ero sullo scalino più alto, ero sotto; quando invece riuscivo a fare una bella salita, una salita importante che mi piaceva, senza nulla, mi sentivo sullo scalino più alto.
In rosso, il tracciato della via dei Tempi Moderni alla Marmolada
Ti sei preparato per le vie?
Non tanto, è una cosa molto spontanea. Quando riuscivo ad arrampicare tanto, mi sentivo veramente preparato, a mio agio, soprattutto di testa. È una cosa che ti senti dentro.
Quale vie hai fatto?
La più bella scalata credo che sia stata proprio la Moderne Zeiten in Marmoada nel 1985. Insomma era considerata allora una via molto, molto difficile e questa sono riuscito a scalarla proprio nel modo migliore. Senza portare nemmeno un cordino, un moschettone, nulla, ero molto veloce e sicuro e quindi è stata la più bella scalata della mia vita, posso dire. Era come arrampicata pura. Quando sei perfetto come testa, senza peso, senza la corda, senza nulla, leggero, perfettamente libero, ma sei sicuro, questo è il massimo della scalata.
Ti sei sentito sicuro?
Ti senti perfetto e quindi, mentre scali, hai una bella sensazione di gioia.
Quali erano le esperienze?
È un piccolo momento di perfezione diciamo, come mi piace dire. È un momento in cui ti dici: va bene, sono sullo scalino più alto della scala. Più di così probabilmente non riuscirei a fare, però quando sei al massimo, è una grande gioia. È qualcosa che ti arriva da dentro, una grande soddisfazione per quello che fai.
Che cosa dà la gioia?
Non è solo la prestazione. Forse è anche una visione romantica nel senso che tu sei a posto con il fisico e quindi quando scali non fai fatica. Quando sei a posto anche con la testa, perché non hai paura, non hai limite dovuto alla paura. In più ti trovi anche nell’ambiente migliore per te, sei nella montagna, quindi una bellissima via, una bellissima roccia, una bellissima giornata. Questo si aggiunge alla difficoltà della scalata, ma quella nemmeno la senti; non pensi al grado, alla difficoltà, pensi proprio solo al salire, al movimento e a quello che hai intorno. Tutto questo costruisce l’esperienza migliore che puoi avere in scalata, per me sono state le esperienze migliori queste.
La descrizione potrebbe essere quella di una bella musica. Tu hai una bella parete con una bella roccia, una successione di appigli che non conosci, però cerchi e li trovi. In solitaria è simile, proprio come in una bella musica c’è una successione di note che sono giuste, che si legano fra di loro e fanno una bella musica. L’arrampicata è uguale: tu prendi gli appigli, i movimenti sono talmente perfetti come una bella musica, arriva naturale.
Arrampicare è per te un’arte?
Sì, per forza, tu scegli la via in base alla linea che può essere più o meno bella. Va anche detto, prima ho fatto l’esempio di Moderne Zeiten, ci sono stati anche gradini più alti per me. Ho fatto anche vie nuove da solo come anche Heinz Grill in alcuni casi, lui ha fatto delle varianti e altre cose. Il massimo è proprio l’opera d’arte dell’aprire una via. Se tu riesci a costruire la via, senza aiuto, questo è il massimo, ancora di più, in solitaria. In Marmolada ho aperto diverse vie in solitaria in un’ora. C’era la parete, e io sono andato a salire su una via nuova, seguendo appunto gli appigli, senza materiale. Queste vie sono riportate nella mia guida.
Avevi materiale?
No, non ho portato niente. Sono vie che ho aperto in un’ora, in alcuni casi.
E’ difficile trovare un percorso nelle prime ascensioni? Perché, appunto, non c’è niente.
No, segui la roccia. Appiglio dopo appiglio. Io salivo, ma ero anche sicuro di poter scendere, se non riuscivo a passare, quindi mi sentivo sicuro… se mi sento sicuro dove salgo, scendo. Quindi il materiale non era utile, era utile la velocità. Sono state tante volte senza materiale: la via dell’Ideale in Marmolada, Tempi Moderni, anche tante vie nuove senza materiale.
La via più difficile che ho fatto era Medusa, questo pilastro l’ho fatto da solo. Qui c’è un passaggio proprio sul tetto; si sale e si attraversa il camino e qui, a 20 metri dalla cima, c’è uno strapiombo, molto, molto, molto difficile. Sono arrivato lì e non avevo nulla, né un chiodo, né un cordino o moschettone, niente insomma. Ho pensato: se non riesco a passare o torno giù, 1000 metri, oppure provo. Ho provato ed ero sicuro: sono riuscito. Non so quale difficoltà è, perché non l’ho più ripetuta. Quando faranno una prima ripetizione, troveranno la difficoltà. Dovrebbe essere un 6b, 6c, non lo so. A 20 metri dalla cima.
Se arrivi a un punto difficile senza niente, cosa fai?
Come dicevo prima, bisogna partire sapendo che, dove sali, puoi scendere. Questa è un’attenzione che ho sempre usato: però, se arrivava la paura, e in alcuni casi mi è successo, tornavo giù, verso casa, perché se arriva la paura, allora diventa pericoloso. Poi sono ritornato in un momento migliore per fare la salita e farla bene. La sicurezza è il conoscere bene se stessi e il sapere sempre quando è il momento di andare avanti e quando è il momento di tornare indietro. Questo è l’equilibrio importante, di non andare nell’azzardo, nel rischio, nel rischio totale. Specialmente se sei da solo, quando non hai materiale e non hai protezioni, non puoi sbagliare. Allora devi conoscere bene te stesso per poter dire: vado sicuro. Questo deve essere l’atteggiamento, perché altrimenti sarebbe un suicidio, altrimenti vai a morire e in montagna. E non bisogna morire, bisogna vivere. La sicurezza è una cosa che senti dentro, perché è una cosa tua. Quando c’è l’equilibrio di testa e di forza e riescono ad essere allo stesso livello, allora è il momento giusto per fare una buona solitaria.
Il tracciato della via Supermatita al Sass Maor
Puoi descrivere ancora l’esperienza?
Armonia… si può chiamare l’esperienza così. L’ho chiamata sinfonia, perché è comunque una sequenza di note che è come una sequenza di bei movimenti. La nota può essere stonata o può essere intonata. La musica bella è quando le note vanno d’accordo fra di loro. È lo stesso nella scalata: quando con il tuo movimento riesci a seguire la forma della roccia in maniera ideale, allora è un’armonia perfetta. L’armonia perfetta non la trovi sempre, la trovi, quando tante cose vanno d’accordo fra di loro, soprattutto anche la tua propria armonia – quando sei in armonia con il mondo che ti circonda, quando non hai paura. La paura è un grandissimo ostacolo. La paura è insicurezza e questo vuol dire pericolo. Vuol dire di non sapere prendere le decisioni giuste nel momento giusto, di poter sbagliare. L’armonia invece aiuta a non sbagliare.
E’ sempre anche una sfida; queste non sono cose facili da fare. C’è sempre la possibilità di non riuscire a fare la salita. Quello che dico io è che il limite non è il rischio, il pericolo, la caduta, è invece il dire: non riesco a passare, allora torno indietro, è una rinuncia. Io non ho mai scelto di fare qualcosa con il rischio di morire. In questo caso non sarei partito, perché non ho mai accettato il rischio della possibilità di non fare ritorno a casa. Ho sempre scelto di fare cose anche molto difficili, cose che nessuno aveva mai fatto prima, però sempre con la certezza di essere in grado di farlo. Io provo a fare questa cosa importante per me, ma provo a farla in maniera molto onesta, armoniosa e senza tanti aiuti, senza conoscere la via prima, questo era importante per me; non avere materiale, corda o aiuti ed essere nel momento giusto. Il momento giusto lo senti e lo senti dopo tre, cinque, dieci metri che arrampichi. Se dopo dieci metri non sei convinto, è meglio tornare giù e ritornare in un altro momento; se invece tutto è a puntino, allora vai avanti e la salita diventa una melodia perfetta.
Ti è successo di avere problemi nelle vie con la pioggia, i temporali?
Non è mai successo in solitaria, perché sono sempre stato molto veloce. Dipende anche un po’ dalla scelta del momento in cui il tempo è buono; anche d’inverno quando sono stato su tanti giorni è sempre stato bel tempo. Ripeto però che, se era inverno avevo le corde, dunque non sarebbe stato un problema tornare giù. Sulla Supermatita sono tornato giù perché non c’era bel tempo, poi sono tornato in una bella giornata e mi è riuscita. Sono però stato sempre veloce, il Pesce l’ho fatto in dieci ore, i Tempi Moderni in quattro ore, le altre vie facevo in tre-quattro ore, anche in due ore. Devi essere più veloce del temporale. Comunque brutto tempo ne abbiamo preso tantissimo, ma ero in cordata. La velocità in ogni caso è una grandissima sicurezza in parete.
Come hai scelto le vie? Hai delle preferenze?
In alcuni casi era proprio l’estetica della via: una bella via, una buona roccia. Ho sempre scelto vie con roccia buona, perché la roccia friabile è pericolosa e sulla roccia buona mi divertivo. L’ambizione mi ha sempre portato di scegliere le vie più difficili del periodo. Nel 1985 e nel 1986, quando ho fatto le solitarie più importanti, avevo scelto le vie più difficili di allora.
Che cos’è una bella salita per te?
Ci sono tante cose che formano una bella salita: la bellezza della giornata, se sei con te stesso e sei in armonia in solitaria, ma anche se sei con un amico o con la tua compagna, se fai bei movimenti; ma non solo questo, è un insieme di tante cose.
Che cos’è una bella via in roccia per te?
È una via al sole, su bella roccia, su una bella e grande parete, dove posso divertirmi a scalare, dove posso trovarmi in armonia con la roccia e con l’ambiente. Roccia e ambiente non sono due cose staccate. Sulla parete nord, all’ombra, al freddo e all’umido non mi diverto, non faccio una bella scalata. La faccio invece se la roccia è bella, aderente, e non scivola: quando c’è il sole, mi guardo intorno e dico che bello.
Che cosa hai imparato nelle solitarie?
Ho imparato a conoscere me stesso e ho imparato dove posso arrivare e quando devo rinunciare, quando è meglio che non vada oltre. Questi sono insegnamenti molto importanti perché se sei da solo e non hai aiuto, tutto dipende dalla tua decisione, e la decisione deve essere giusta, non può essere sbagliata. In questo caso devi avere fiducia in te stesso, devi conoscerti veramente bene, senza raccontarti bugie. Tanti di noi si raccontano bugie, bisogna riconoscere dove è il limite. Devi saper pesare dov’è il tuo limite, dove ti porta l’ambizione, se quello che stai facendo vale la pena e se non vale la pena è meglio rinunciare. Questo gioco fra rinuncia e progressione, andare avanti, è un gioco molto importante nell’alpinismo, ancora di più in solitaria, perché non hai aiuti, non hai supporti o protezioni.
Nei tratti esposti servono giudizio e fiducia nella propria forza, nelle proprie membra.
Io non posso dire che potrei fare una qualsiasi solitaria in qualsiasi momento. Se qualcuno mi dice fai Il pesce, non vado, perché non ho la testa, non mi sento sicuro, non ho neanche la motivazione, la spinta da poterla fare. Ci vogliono tante cose d’accordo fra di loro per poter fare una cosa come una solitaria difficile e senza il rischio di non tornare a casa.
Bisogna sempre saper pesare e non è facile. Ma quando c’è la sintonia fra la testa e le mani, hai la sicurezza per muoverti, non senti più la difficoltà. Lo sai che in questo tratto arriva un appiglio giusto, lo cerchi, lo trovi, quando lo trovi, lo senti e vai avanti, se non lo trovi, torni, vai da un’altra parte. Questo lo puoi fare, se non arriva la paura, il panico, l’insicurezza, l’indecisione, questa uccide l’arrampicata solitaria, perché se hai il dubbio di te stesso, delle tue capacità, allora è meglio non partire, e non andare neppure un metro al di sopra. Il pericolo è quando sei in dubbio, ma se scalo e sono in sintonia non ho il dubbio. Ho la certezza di poter trovare l’appiglio o, se non lo trovo, di poter tornare indietro. Non è il dubbio che crea il pericolo, però non è sempre così. Se io adesso non ho sintonia e provo fare una solitaria anche facile, dopo dieci metri comincia a tremarmi la gamba. Comincio a non sapere cosa fare, comincio ad avere paura. Quando comincio ad avere un dubbio, comincio ad avere paura e allora sono a rischio di caduta. Questo è pericolosissimo e non deve mai succedere.
Il tracciato della via del Pesce in Marmolada
A volte ci potrà essere un punto da oltre il quale non puoi più ritornare… Trovi uno strapiombo e sai che dopo di quello non puoi più ritornare, non è così?
Non deve essere così perché allora azzardi. L’azzardo è fare qualcosa dove non sei sicuro, di andare oltre la sicurezza. Questo ho sempre cercato di evitarlo. Se arrivavo a un punto dove sapevo di andare avanti e di non essere capace di tornare indietro, non andavo avanti, piuttosto provavo a trovare un’altra strada. Mi è successo ancora, di trovarmi a un punto dove ho provato e riprovato: non sono riuscito, dunque tornavo indietro. Mi è successo sulla via dell’Ideale. Ho provato dove ci sono i chiodi a pressione: da solo non farei mai di aiutarmi con il chiodo, perché se il chiodo esce sei morto. Da solo ho sempre arrampicato sulle mani, sempre. Là non sono riuscito a passare, così sono sceso tre, quattro metri e ho provato in un punto dove non era mai passato nessuno: lì si poteva scalare. Ero sicuro che se andavo avanti tornavo anche indietro, perciò da lì sono passato, ho recuperato la via e ho proseguito. Questo mi è successo diverse volte. Non mi è mai successo di buttarmi su un tratto, dove non ero sicuro di poter scendere, se non avevo materiale. Perché, sai, con la corda puoi andare dove vuoi, hai la corda e scendi. Ma, se non hai un moschettone, se non hai un chiodo né la corda, se non hai niente, devi sapere arrampicare solo dove puoi scendere con le tue forze.
C’è sempre la domanda difficile: potresti raccomandare ad altri l’arrampicata in solitaria?
Non credo che ci possa essere nemmeno una raccomandazione, perché se la solitaria, l’andare slegato da solo, non lo senti, non sei neanche capace di farlo. È talmente difficile e rischioso che, se hai paura, non puoi arrampicare. Se hai paura, ti fermi subito, proprio non riesci.
È un po’ un concentrato di filosofia alla fine dire: l’ambizione mi porta a cercare qualcosa, mi porta un gradino più alto e il gradino più alto in assoluto è quello in cui non hai aiuti e quindi non devi scendere a compromessi. Però il gradino più alto lo riesci a toccare solo in poche rare occasioni. Ed è anche il bello, perché in queste poche rare occasioni hai la sintonia perfetta, hai toccato un momento della tua prestazione e questo è un bel regalo dell’alpinismo e poi per tantissime altre occasioni avrai altre cose ma diverse. In quel momento è bello anche toccare il momento più bello per te, per la scalata. Questo non lo puoi fare, se non conosci la solitaria, questa sensazione diciamo di sintonia non la riesci a sentire in cordata… è diverso, senti altre cose, anche queste importanti; però quello che riesci a vivere, nel momento di essere sul gradino più alto per te, questa è una sensazione che puoi provare solo lì.
Avevi qualcuno che ti ha ispirato particolarmente in alpinismo? Alcuni apprezzano Duelfer o Preuss o Comici, anche l’alpinista solitario Cozzolino, ci sono tanti personaggi.
No, per me non è stato così, è un richiamo mio. Non era per me così: faccio come Maestri, come Preuss, come Messner o tanti altri, assolutamente no, anzi, è stato proprio come fare una via nuova o di fare un’invernale, era la curiosità, la ricerca di emozione, l’avventura, è un’espressione di te stesso. Voler vivere un’esperienza completa che non puoi vivere in altri modi, tutto il resto è diverso. Ma quando sei tu, da solo, a mille metri da terra su una grande difficoltà, e ti senti sicuro, protetto, perfetto, questa sensazione non la puoi vivere in altri modi.
Solo in Marmolada ho fatto 50 solitarie, però anche queste erano sempre una ricerca dell’incognito. Una via nuova ha qualcosa che non conosci e quando scopri qualcosa che non conosci, per scoprirlo, devi metterci il tuo, devi avere una spinta importante per poterlo fare, perché ci vuole la preparazione, c’è il rischio, non sai cosa succederà, c’è la sfida. La via nuova prevalentemente è la sfida, è il riuscire a risolvere un problema.
Per me la solitaria non è risolvere un problema, scalare una grande parete non è un problema. Se hai il livello, la scali. È già stata scalata. E questo è una grande soddisfazione. E’ nel fare una nuova via che hai qualcosa di bianco per costruire un’opera d’arte.
Le vie dei diversi primi salitori portano l’impronta del primo salitore. Che ne pensi?
Certo, in ogni via c’è la personalità di chi l’ha aperta. E si legge anche bene di solito, che tipo di roccia, la linea seguita, quanti chiodi ci sono, come è stata scelta, queste cose parlano soprattutto di chi ha ideato la via.
In quali zone hai arrampicato da solo?
Gruppo di Brenta, Civetta e un po’ ovunque in Dolomiti, ma soprattutto in Marmolada negli anni ‘80. C’è la roccia più bella ed è tanto grande da offrire tante possibilità. È il massimo per una parete, è solare, c’è tanta luce, tanto caldo ed è bella. Non è una parete chiusa, ombrosa, ma è solare e questo a me è sempre piaciuto. È una parete molto difficile, ma ha la roccia solida e ha tutto per essere divertente.
Le prime vie sono sempre state ad Arco, però subito dopo sul Croz dell’Altissimo, in Brenta. Ma andavo anche all’estero, ho fatto un sacco di spedizioni. In Patagonia ho aperto tante vie nuove, in Karakorum sopratutto, in Pakistan tantissime volte, sempre andando a cercare non la parete famosa, ma la parete più bella, la parete più nascosta, più selvaggia, dove c’è l’avventura.
Sei anche stato in Medio Oriente?
Sì, sono stato in Giordania nel Wadi Rum, ho arrampicato in Egitto, in Oman, nel deserto del Sahara tante volte. Ho scalato un po’ dappertutto nel mondo, Madagascar, Mali, Nuova Zelanda, Cile, Messico, sono stati tantissimi i miei viaggi.
Come hai vissuto le diverse culture?
Il viaggio è una ricerca culturale, è lo scoprire quello che non conosci e non l’impari da un libro, lo impari dall’esperienza personale in questa ricerca di esperienze. Se ti senti povero di informazione e la vuoi avere dall’ambiente che ti circonda e quindi organizzi il viaggio.
Servono spesso portatori?
Sì, spesso sì. Specialmente nei paesi orientali come Nepal, Pakistan, India hai sicuramente bisogno del portatore, ma questo fa parte della bellezza dell’esperienza, perché è un po’ un immergersi nel contatto umano con chi vive là, con i locali. In effetti, abbiamo tanti amici con quali siamo andati tante volte, perfino a casa loro siamo stati. Siamo diventati amici con portatori, con guide che sono venute con noi, perché si crea un bel rapporto umano con queste persone. Questo fa parte della conoscenza e della cultura. Non conosci solo l’ambiente, la montagna nuova, la valle che non hai mai visto. Conosci anche una nuova religione, una nuova cultura, nuove persone tutte diverse, in ogni zona che vai c’è sempre qualcosa di diverso da scoprire. È come aprire una via nuova, come un appiglio nuovo, è tutto una ricerca, in fondo una fame di cultura, una fame di conoscenza. Quando scopri qualcosa di nuovo, è una grande soddisfazione. Conoscere quello che non sai.
Leggo alcuni commenti aggressivi, subdoli, e banalmente cattivi…
Ragazzi proprio non li capisco, mi dispiace molto per Maurizio Giordani perché alcuni invadono una certa sfera intima che non si merita proprio venga toccata.
Fosse uno dei moderni alpinfluencer da 700 video a settimana e 3 milioni di like direi ci può stare…ma per un Grandissimo che rilascia un’ intervista ogni due papi morti mi sembra una bassezza unica.
Forse c è tanta invidia…
Paolo, misteri della fede…
Alberto, dimenticavo, io rido anche perché di solito io non scrivevo mai quello che salivo sui vari libri-pseudo-testimoni e non sono mai stato interpellato.
Alberto, così per sorridere, una volta, dopo 20 anni di stop e ignoranza totale, guardavo un libro, forse quello che dici, per le foto e le relazioni finali: in fondo mi son trovato citato come ripetitore di alcune vie e pure numerato.
Quando ho ripreso a scalare, quasi subito sono andato a ripeterne una di quelle, perché non l’avevo mai ripetuta: avrei avuto un po’ di vergogna se mi avessero fatto delle domande. 🙂
” Ma veniamo ad Aste. Dove hai letto o quando mai mi hai sentito sminuire le sue salite? ”
Maurizio, sono andato a rileggermi “SOGNO DI PIETRA” il tuo bel libro sulla Marmolada.
Nella parte finale dove elenchi tutte le varie ci sono anche i tuoi commenti.
Su quelle di Aste: Madonna Assunta, Ezio Polo, Ideale, Canna D’organo si può leggere benissimo: si bravo Aste, via impegnativa ma… non difficilissima, però Aste si allenava poco, però usava parecchi chiodi, però non distingueva la libera dall’artificiale, se stai nelle fessure e nei diedri la roccia è friabile e difficile ma Aste è stato nelle fessure invece che sulle placche per garantirsi sempre l’uso dei chiodi, ect. ect.
Insomma , a me sembrano un pò dei commenti direi velatamente negativi, tendenziosi, che a mio avviso, ma magari mi sbaglio, denotato un certo sminuire il valore di queste vie e sopratutto della persona Armando Aste.
Quello che posso dire, dopo avere ripetuto parecchie vie di Armando Aste. Che sono tutte delle grandi e belle vie. E che Aste, magari si allenava poco, (come me, perchè allenarmi mi fa fatica) ma scalare sapeva, aveva un grande occhio per i problemi, aveva una grande tranquillità per stare in parete e viveve con serenità la montagna e l’alpinismo.
E che sopratutto ogni salita va considerata nell’epoca in cui è stata aperta.
I tempi tuoi, di quando hai ripetuto quelle vie, non sono quelli di quando Aste le ha aperte.
Bello l’alpinismo!
E’ un “campo sconfinato” di possibili discussioni.
Ieri ne abbiamo fatto una e il risultato magari qui dove si è visitato parecchio il “campo” ci sta.
Dicevamo: i grandi alpinisti si valutano guardando sempre le “cose” che han fatto, ma si confrontano le loro grandezze solo con il “come” le han fatte.
E per valutare il “come” (lo stile, il rigore, l’onestà del fare e del dire, l’inventiva e tanto altro) bisogna fare uno sforzo per vedere nell’insieme tutte le “cose” che han fatto.
Più c’è coerenza e purezza di intenti con continuità, più l’alpinista è un grande alpinista…….. cioè uno totalmente “fuori” dal mondo 🙂
Ecco, ieri siamo arrivati qui, spero di capire sempre di più.
Ciao Maurizio, visto che anche tu sei qui sono contento di poterti dire direttamente alcune cose.
Non ti conosco ma nella tua intervista ho riconosciuto molte delle idee che mi sono fatto andando da solo in montagna o in falesia che per me è lo stesso) e le lodi che ho espresso nel mio primo intervento erano assolutamente sincere.
Sapevo però dove saremmo finiti perché le voci che poi sono uscite le avevo sentite anche io senza farmene un’idea precisa non potendo e neanche volendo sapere quanto corrispondessero al vero.
Devo dirti però che per me la sola salita in free solo di “Tempi moderni” e la preparazione che necessita per allenamento e motivazione hanno sempre destato in me grande ammirazione: quella sola salita e già un’opera d’arte che vale un’ intera carriera alpinistica.
Non sta a me giudicare il tuo operato “altro” ed io ho sempre pensato che se qualcuno dice cose non vere o fa cose riprovevoli ne risponde prima di tutto a se’ stesso e tanto più in questo gioco inutile (al di fuori che per noi stessi) che è l’arrampicata penso che tradire se stessi con false verità sia un vero suicidio dell’anima.
Mi ritrovo anche quando parli dell’entusiasmo di arrampicare ora come quarant’anni fa; l’ambizione non basta per continuare ad arrampicare da soli, bisogna sentire che ti resta qualcosa, che quello che fai agisce anche dentro di te.
Per me questa è una dimostrazione che va al di là di valutazioni tecniche ed insinuazioni varie.
Cordialmente e ottime arrampicate.
sullo scontro tra te e Armando Aste per quella che poi diventò la via dell’ Irreale ho letto qualcosa anchio.
Quanto alla guida di Mariacher ne ho una copia anchio. Si è vero i suoi gradi sono stretti, un pò come i tuoi.
Tu dici di avere tenuto la sua linea di pensiero. Sinceramente sono perplesso per questa tua affermazione. Che senso avrebbe condividere una certa opinione se non la si ritiene giusta?
Evidentemente , se l’hai usata la ritenevi giusta. Altrimente perchè non usare un metro diverso.
Mi ricordo della ripetizione che feci assieme ad altri 2 amici della via della CANNA D’ORGANO di Aste. Insomma le difficoltà non tornavano. Mancavano dei tiri. Insomma via decisamente sminuita nelle difficoltà e nell’impegno sulla tua relazione. A noi sembrò più difficile della via dell’ Ideale.
Ma forse non eravamo in forma.
Altra volta sulla via Ezio Polo. Fessura dei manici di scopa data solo VI…??
Va beh…
Ciao Alberto. Rispondo con piacere alle tue equilibrate parole per confermarti che la vera passione non si misura con il livello delle proprie realizzazioni ma con la continuità, la dedizione, l’emozionalità che ne deriva. Io oggi gioisco e mi entusiasmo quando tocco la roccia come succedeva 40 anni fa e questo è un dono che considero prezioso… penso valga lo stesso per te.
Per questo motivo ho sempre pensato che le pur eclatanti imprese di Bonatti derivassero più da sfrenata ambizione (legittima) che da vera passione.
Vorrei però correggere le tue due affermazioni, pur rispettando la tua opinione. In primo luogo la scala delle difficoltà in Marmolada non l’ho inventata io; quando ho steso la mia prima guida nel 1986 ho preso riferimento da quanto era già stato fatto e scritto da Mariacher nella sua guida in tedesco, ripreso tali e quali le valutazioni da lui proposte paragonando di conseguenza tutto quanto il resto. E così ho fatto nelle successive edizioni. Nessuna mania di grandezza ma solo rispetto e presa d’esempio da chi, prima di me, aveva impostato le cose. Pur consapevole dei gradi “stretti”, non mi sembra un grave problema se questo è ben specificato nell’introduzione e se le valutazioni sono, sulla stessa parete, proporzionate fra di loro. Ma veniamo ad Aste. Dove hai letto o quando mai mi hai sentito sminuire le sue salite? La mia esperienza alpinistica l’ho costruita ripercorrendo la maggior parte delle vie aperte da alpinisti che in parete mi hanno preceduto e insegnato la strada è mai mi sognerei di criticarne l’operato. Quello che non accetto è la mancanza di rispetto, i tentativi di prevaricazione. Quanto successo al rifugio Falier moltissimi anni fa in una serena serata d’estate lo ricordo come fosse ieri e di questo ho scritto, raccontando della via “Irreale” in Marmolada. Null’altro.
Credo nelle mie convinzioni e quando prendo posizione lo faccio senza mezzi termini, in modo diretto e senza lasciarmi intimorire da nessuno. Posso sbagliare, nel qual caso non mi vergogno a chiedere scusa.
Un caro saluto
Alberto, ogni tanto mi chiedo, ora a 65 anni penso di averne viste un po’, se la “libertà” di fare dell’alpinismo sia quasi solo dei dilettanti.
Molti professionisti “devono” difendere tutto di se stessi, non ammettono di aver commesso errori, io nella mia vita ne conto tanti, la loro immagine pubblica e professionale è sempre prioritaria: possono mettersi in gioco solo su ciò che “sanno fare” molto bene, tutto il resto no ed è di solito molto di più.
Ecco, forse, il perché molti professionisti non critichino mai nulla, ma proprio niente, se non è rivolto a loro solamente, mentre i dilettanti ne fanno quasi uno scopo di vita: libertà di conoscere, sopratutto se stessi.
Ah, dimenticavo, i professionisti criticano quasi sempre i dilettanti e quasi mai i professionisti come loro, qui da noi di sicuro.
E devono guadagnare per vivere e le regole del denaro sono micidiali per una attività “inutile” come l’alpinismo, pochissimi riescono a superarle.
Ps: coerente l’intervento del giordani, mi sembra confermi l’intervista e gran parte dell’analisi fatta da molti su di lui sia come uomo che come arrampicatore/alpinista.
Un’altra cosa volevo dirti.
Parecchi anni fa venisti a Lucca a fare una serata. Una cosa mi lasciò perplesso e non solo me:
non parlasti mai dei tuoi compagni di avventura. Dei tuoi compagni di scalata e sopratutto della tua compagna che , se non ricordo male era anche compagna di vita.
Parlasti solo di te . Come se arrampicassi da solo, ma le immagini dicevano altro, con te c’era altra gente.
Infatti un pò di tempo dopo alcuni miei amici ti trovarono, con la tua compagna, sulla via Oceano Irrazionale.
Riconoscendoti e ripensando a quella serata, si rivolsero alla tua compagna dicendo : ” ma te sei Rosana Manfrini (e poi) allora te sei Maurizio Giordani”
Magari non ci hai fatto caso. Ma un pò ti sfottevano.
Caro Maurizio, anche io ho quasi 58 anni e quasi 40 di alpinismo di certo non al tuo livello. Ognuno fa quello che può, ogni botte da il suo vino. Dire che sei un bugiardo me ne guardo bene. E chi sono io per dirlo !
Però questo lo posso dire:
– su Aste hai fatto delle affermazioni che te le potevi risparmiare, sminuendo alla grande le sue realizzazioni.
– qualche via in Marmolada l’ho fatta, magari sono di sicuro un schiappa, ma per me (e non solo) le difficoltà le hai sminuite alla grande. Però si sa il grado è soggettivo…
Ognuno è libero di interpretare l’arrampicata/alpinismo come meglio crede. Mi sono trovato completamente d’accordo con te, quando, anni fa, lessi, una tua intevista dove affermavi che si arrampica per se stessi e non per gli altri. Questo sopratutto in apertura.
“Appigli Sfuggenti” lo leggerò di sicuro.
Che tristezza alcuni interventi…
Ho quasi 58 anni, circa 40 anni di alpinismo alle spalle e ancora non mi è capitata una sola volta di incontrare qualcuno che, in modo diretto e argomentato, mi dice in faccia che sono un bugiardo, che ho raccontato balle in questa o quella occasione. Come mi divertirei a rispondergli…
Invece incrocio solo vigliacchi, pochi per fortuna, che parlano alle spalle, scrivono senza esporsi, in modo indiretto, gente che bisbiglia nell’ombra, che lancia il sasso e poi nasconde la mano, che dice senza dire.
I peggiori e velenosi, perché in totale malafede, criticano poi per sentito dire, senza nessuna esperienza o conoscenza diretta dei fatti, solo per il gusto di seminare zizzania…
Con costoro non andrò oltre questa sintetica riflessione, perché non meritano nessuna ulteriore attenzione.
Chi invece vuole conoscermi meglio e non è prigioniero dei propri pregiudizi può leggere “Appigli sfuggenti”, scritto di mio pugno, dove tutto di me è raccontato con estrema sincerità mentre chi vuole controllare e verificare di persona ha la possibilità di farlo in parete; sulla roccia prima che sulla carta sta scritta la verità, una verità che quasi mai si può cancellare o cambiare.
E se costui mi contatta sarò felice di accompagnarlo e di approfondire la reciproca conoscenza… non mi tiro mai indietro quando c’è da arrampicare e da chiacchierare con persone intelligenti.
@Stefano capisco e sono d’accordo su quello che dici. Essendo lontana dall’ambiente alpino-alpinistico esclusivo in cui si è sempre mosso Giordani ho sempre basato le mie considerazioni ( e deduzioni ) sul suo modo di vivere alpinismo/arrampicata solo su sensazioni “a pelle” ricevute dalle sue stesse parole nelle interviste.
Qualcuno dei grandi di Rovereto potrebbe raccontare.
Chissà se sta scrivendo un libro di memorie?
Ma forse Lui è troppo modesto e umile per farlo.
Di Giordani furono decisamente poco simpatici e ingiusti, gli attacchi che fece nei confronti di Armando Aste. Dove sminuì alla grande le sue realizzazioni.
” inoltre per molti frequentatori della Marmolada, me compreso, le sue sottovalutazioni delle difficoltà(vedi Guida Versante Sud) non sono servite ad apprezzare il suo Professionismo”
sulla sottovalutazione delle difficoltà, Emanuale ha ragione!
Indubbiamente Giordani ha fatto un alpinismo di Alto livello, ma questo non sempre; nel suo libro ricordo foto di vie classiche in Marmolada fatte con bivacco estivo e con staffe, inoltre per molti frequentatori della Marmolada, me compreso, le sue sottovalutazioni delle difficoltà(vedi Guida Versante Sud) non sono servite ad apprezzare il suo Professionismo ; infine questa intervista mette in evidenza la elevata ambizione ed egocentrismo, caratteristiche che a mio parere non corrispondono a quello che penso sia un Buon alpinismo.
Korra Pesce, che è uno parecchio bravo, ha ripetuto la via degli sloveni alla Torre Egger dopo 29 anni dall’apertura, in stile alpino(!!!), e ha detto che è la via più difficile che lui abbia mai salito fino ad ora.
Knetz nel suo libro scrive che l’anno dopo hanno aperto una via sul Torre che è un grado più difficile di questa (?!?!?!).
Evoluzione tecnica, regolamentare e pubblicitaria di sicuro, ma per il resto, tranne pochissimi alpinisti, quasi direi regressione alpinistica di massa, almeno qui da noi: non comprendiamo quasi più l’alpinismo di alto impegno, quindi non possiamo praticarlo.
Però siamo bravissimi a seguire e commentare entusiasti le notizie, sopratutto quelle farlocche.
Antonella: la condizione storico-sociale cui ho accennato, riguarda la codificazione che da sempre è stata sentita come necessaria o comunque si è voluto ricercare, al fine di dare un senso comune al concetto di fare alpinismo, altrimenti vista proprio la soggettività nell’intendere questa attività non ci sarebbe alcun metro di misura. Neanche la difficoltà tecnica riesce ad essere omologabile ed i gradi di difficoltà di una salita sono soggetti alla sensibilità del primo salitore e soggetti pure a conferme o rettifiche da parte dei ripetitori. E’ cambiato ad esempio negli ultimi vent’anni il concetto di “libera” o meglio si è voluto strutturarlo dandogli delle limitazioni che prendono spunto dalla salita “on-sight” (a vista) e rende bene l’idea, sul come l’arrampicata sportiva e quella alpinistica si siano fuse assieme (almeno sul grado tecnico), evolvendo il concetto di alpinismo.
Ricerca dell’ignoto ed esplorazione li ho estrapolati dal tuo post (…il mistero, la sete di scoperta,…) per evidenziare come non manchino nelle salite di Maurizio ed ho citato l’alpinista che si limita a ripetere gli itinerari che altri hanno disegnato, proprio perché non è l’incognita che definisce l’avventura, concetto estremamente soggettivo ma al tempo stesso anch’esso soggetto all’opinione comune almeno nelle sue manifestazioni più evidenti.
Il rischio invece (e qui ripeititori o apritori la musica rimane la stessa) è quel fattore che da sempre viene riconosciuto come parte inscindibile dell’alpinismo e lo distingue da altre attività similari.
Più che altro, avrei dovuto premetterlo, non conosco personalmente nè le vie aperte o ripetute ecc da Giordani, né le Dolomiti in genere. Esprimevo solo sensazioni personali nate leggendo quell’intervista specifica, scusate.
Infine, come dice anche Alberto il senso, il concetto di avventura è estremamente soggettivo, ma quindi anche slegato dal tempo storico, Stefano, e non riducibile alla sola “incognita” , Giandomenico. È qualcosa di più sottile e profondo che non ho molto avvertito nel modo di “raccontarsi” di Giordani in quell’intervista.
“Questo per me è l’Alpinismo, ma sembra che siano proprio pochi a “pubblicizzarlo”. ”
L’importante è praticarlo . Non pubblicizzarlo.
Ci sono diverse persone , praticamente sconosciute, che fanno del buon alpinismo. Ma non lo raccontano.
ieri hanno pubblicato questo: http://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/ritorno-al-silenzio-arrampicata-anni-90-secondo-heinz-mariacher-e-luisa-iovane.html
Per me spiega benissimo quello che voglio dire.
Questo per me è l’Alpinismo, ma sembra che siano proprio pochi a “pubblicizzarlo”.
Probabilmente stiamo illudendoci sempre più: creiamo miti inconsistenti per mantenere vive le nostre illusioni.
Basterebbe vivere un po’ in semplicità.
Non c’è da andare chissà dove per cercare e trovare l’avventura, l’ignoto. Spesso e volentieri basta girare l’angolo di casa.
L’importante è come ci poniamo davanti a problema e quale è lo stile che intendiamo adottare.
Ho ripetuto in solitaria (assicurata e no) itinerari che già conoscevo e, pur facilitato dalla conoscenza, ho incontrato l’avventura. Perchè non c’è nulla di scontato. Tanto più quando sei da solo. Può darsi che per un’altro queste mie piccole avventure, magari sono delle cose ridicole. Ma le variabili sono tante e nonostante tutta la tua bravura, preparazione, prudenza, forza, c’è sempre un qualcosa che non puoi controllare. Qualcosa che fa parte dell’ignoto, dell’imponderabile che non puoi calcolare.
Questo imponderabile è sia fuori , nell’ambiente che ci circonda. Ma è anche dentro di noi.
Quella di Giordani sulla Marmolada è stata avventura? Credo proprio di si.
Poi ognuno di noi misura le cose in base al suo metro. Anche perchè il rappporto con l’avventura è molto personale.
Nella vita ci sono dei flash che rimangono scolpiti indelebilmente nella memoria. Uno di questi flash fu per me la foto scattata a Maurizio Giordani sul passaggio chiave di Tempi Moderni, valutato VII (non so se questa valutazione sia ancora attuale).
Vedere quella piccola sagoma slegata, in spaccata su una parete immensa e impegnata in un passaggio che per l’epoca non era assolutamente banale (stiamo parliamo del 1985, quando la prima gara di Bardonecchia vide impegnati gli atleti su un tiro di 7b) mi lasciò di stucco.
Io non conosco l’uomo se non attraverso qualche articolo e intervista e, pertanto, non posso esprimere giudizi di tipo personale. Certo che se non fu avventura quella..
L’avventura, a mio avviso, deve sempre contenere un pizzico d’ignoto ma quest’ultimo si può manifestare in tanti modi. Salire in free solo una parete come quella della Marmolada non è sempre un viaggio verso l’ignoto? Secondo me sì, anche se si tratta di fare una ripetizione.
Giovanni Massari risponderà per conto suo, ma leggere quest’ultimo commento mi lascia perplesso.
La montagna come fine o come mezzo…?
Magari sarebbe il caso di capire, aldilà delle interpretazioni personali, i significati di arrampicata sportiva (e non solo: arrampicata) ed alpinismo.
Esistono da sempre delle codificazioni e in alpinismo queste sono dinamiche, non statiche ovvero l’alpinismo risente ampiamente delle condizioni storiche e sociali ed il concetto stesso di fare alpinismo si trasforma anche e soprattutto in base a queste. L’alpinismo eroico degli anni ’30 lo evidenzia bene come lo evidenzia bene anche quel movimento di stile piuttosto localizzato che fu il Nuovo Mattino.
Mezzo e fine si fondono insieme e quale sia uno o quale sia l’altro nel periodo storico di appartenenza si comprendono solo guardando a ques’ultimo.
Ricerca dell’ignoto, esplorazione?
Siccome si parla di Giordani, direi proprio che imputargli una scarsezza da questo punto di vista denota o scarsa conoscenza del mondo alpinistico degli ultimi quarant’anni o malafede. Propendo per la prima ipotesi.
Evito elenchi che sono noiosi e tristi… ma basta dare un’occhio alle vie presenti sulla sud della Marmolada per comprendere, e comunque un alpinista che fa solo ripetizioni cos’è… un pirla?
Negli ’80 la sportiva prese una strada per conto suo che l’ha portata oggi al sintetico ed alle olimpiadi, l’alpinismo fortificato dall’allenamento derivato dalla pratica sportiva ha superato i limiti di difficoltà sia pura (il grado) sia oggettiva (pareti considerate impossibili fino a quel momento).
Il rischio è il fattore prinicpe che distingue le due attività ed è sancito come concetto da quando nel ’85 ci furono le prime gare a Bardonecchia.
Sulla bravura poi di chi ci ha anticipato… beh… nulla da togliere ma il mondo evolve… e direi che evolve bene, dal momento che le grandi tragedie del mito bonattiano o prima ancora di Comici sono per fortuna scomparse dai canoni attuali, così come le grandi direttissime per la cima ad ogni costo (ci mancava che spianassero la parete colle mine per passare…) ed oggi sono “il passato”.
La deriva dei record di corsa attuali è certamente un fattore momentaneo come lo furono i grandi concatenamenti anni ’80… finito il terreno di gioco, finiti i record… e credo che un importante concetto che sta lentamente emergendo è quello del rispetto per l’ambiente che ospita le nostre, queste sì personali, evoluzioni alpinistiche e forse diventerà il prossimo schema per la definizione moderna di alpinismo, senza tralasciare la voglia di primeggiare e l’accettazione del rischio che però dove si può va calcolato e non sfidato (come in passato)!
L’attrazione per l’incertezza non coinvolge chi non sa come investirla di interesse personale, qualunque esso sia.
Nel confronto con la morte potenziale ognuno investe secondo la propria esigenza e creatività.
@Giovanni Massari personalmente non ho detto che Giordani sia “colpevole” di eventuale presunzione , edonismo ecc. Non si tratta di vedere delle colpe. Semplicemente si tratta di valutazioni basate sul mio modo soggettivo di vedere e intendere la montagna. Si partiva da un’intervista a Giordani non basata su menzioni di fatti oggettivi, ma in cui,nelle sue risposte, venivano appunto espresse idee, sensazioni e concetti riguardo il proprio mondo interiore di alpinista..
Il mio commento dunque non avrebbe potuto basarsi sulle imprese oggettive, ma proprio, giustamente sul suo modo di vivere la montagna, l’arrampicata. E dato che il confronto è sempre costruttivo oltre che libero, ho solo espresso considerazioni su quanto SECONDO ME emerge da quelle righe . Senza demonizzare nè l’uomo né l’alpinista. Certo che nel suo modo estremo di vivere le salite in solitaria non manca affatto l’avventura, anzi ! Ma anche in altre attività umane si vive questa a piene mani …Anche per chi si butta da un dirupo con la tuta alare c’è avventura.
Semplicemente intendevo fare un distinguo fra avventura alpinistica e sportiva. L’accento che lui mette soprattutto sui concetti di perfezione , ambizione, sentirsi sul gradino più alto per essere al top ecc. me lo fanno vedere più vicino alla seconda che non alla prima . Se l’alpinismo ha (sempre avuto) come primo motore motivazionale la ricerca e la scoperta dell’ ignoto, di ciò che è misterioso, sconosciuto, lontano, più in alto .., a causa di questo si va ad esplorare , a salire anche se le condizioni della roccia e del ghiaccio non sono ottime e/o perfette, perché non si è spinti dall’avventura sportiva ma dalla voglia di scoperta ( non solo di sé stessi ma anche e soprattutto della montagna ) A meno che anche l’alpinismo sia diventato uno sport come altri. La storia alpinistica è pervasa e dominata dalla scoperta di pareti e cime , orizzonti nuovi, a fianco di ovvie motivazioni anche di ambizione e autostima. Dimostrare bravura e coraggio, essere i primi ad arrivare, ok, ma se non vi fosse stata prima di tutto la tensione verso il mistero,la sete di scoperta, soprattutto quando salire cime e vie mai salite e con mezzi che adesso fanno ridere,era veramente pericoloso in tutti i sensi chi gliel’avrebbe fatto fare ? Piuttosto avrebbero cercato successo in qualcosa di meno rischioso per la vita. Secondo me la differenza fra arrampicatore e alpinista sta sinteticamente nel fatto che per il primo la montagna è un mezzo , per il secondo il fine .
Ma se, e a questo punto direi invece, Giordani non avesse fatto le cose di cui è accusato e che sono arrivate fino a me dall’altra parte delle Alpi?
A me sinceramente l’intervista è piaciuta e non lo ho trovato ne’ eccessiva ambizione ma la giusta dose, nessun edonismo ma scelta di itinerari in un certo stile, è una colpa? Doveva schiantarsi sul friabile così tutti contenti?
Neppure mancanza di avventura perché l’avventura è partire senza sapere come finirà andando verso l’ignoto e se qualcuno è salito a 10 m da terra slegato conoscendo o meno la via, o con una protezione assai distante, sa perfettamente di cosa parlo.
Alpinismo o Arrampicata? Boh?
Perché vale di più essere nobile alpinista o miserabile arrampicatore?
Andare in montagna “soltanto” come mezzo di consapevolezza di se’? Mi sembra una bella possibilità
Cercare la perfezione una colpa?
Per me quello è lo stile perfetto anche se non sempre si può ragionevolmente raggiungere, un po’ come un religioso che attraverso la preghiera(arrampicata)cerca la santità o l’illuminazione.
Un arrampicatore/alpinista queste cose le fa, innanzitutto, per se’ e poi sono altri che ci scrivono o ricamano sopra…
Concordo con Valerio.
Tra linguaggio criptico, illazioni, congetture e allusioni non si capisce nulla.
Vi prego: parlate in modo chiaro.
Paolo sul principio che l’uomo venga prima credo siano in molti ad essere d’accordo.
Sul resto prendo atto che un dialogo fra chi sa e chi non sa, soprattutto se basato su fatti specifici, è un’esercizio impari. Infatti ne sono rimasto fuori.
A livello metodologico, e penso di non essere il solo, gradirei interventi più sintetici ma soprattutto di più facile comprensione se no va a finire che la partecipazione a questo blog risulta accessibile solo a pochi.
Giandomenico, mi sento tirato in causa, per me prima c’è l’uomo e poi tutto il resto. Un uomo, fosse anche solo una volta, che non ha rispettato i suoi simili e magari nemmeno la loro vita per i suoi interessi, da me non merita nessuna considerazione.
Come dicevo di giordani riconosco solo alcune salite.
Hai ragione Stefano e penso di capirti, ma io voglio sempre conoscere e distinguere gli uomini che incontro e spero di poter ancora esprimere le mie opinioni e prendere sempre una posizione, talvolta in maniera educata, altre scherzandoci sopra, comunque forse esagero per troppa passione……. non si può però all’accademico e vicinanze dove sembra che il politicismo all’italiana del prestigio dei brocchi ormai imperi e censuri scandalizzato.
Gli interventi di Stefano Michelazzi, che sul tema in oggetto costituiscono l’eccezione che conferma la regola, rafforzano ciò che ho detto prima. In ambito alpinistico si mettono insieme fatti, cose e persone senza seguire un filo logico.
Esempio. Se io mi sveglio una mattina dicendo che sono sceso a 200 metri di profondità in assetto variabile se tutto va bene vengo ignorato mentre se dico di essere stato sul K2 in solitaria quando invece mi sono asserragliato in casa per un mese facendo credere di essere partito può darsi che qualcuno mi dia credito.
Sto’ esagerando, lo so, ma lo faccio per far comprendere che i record di apnea sono certificati mentre in alpinismo non esiste nulla di tutto ciò. Cosa voglio dire? Molto semplicemente che in ambito alpinistico posso mettere insieme elementi che in altri contesti vengono visti separatamente.
Torniamo a parlare di Maurizio Giordani perché tanto si è partiti da lì. Velatamente, e poi neanche tanto, è saltato fuori di tutto. Ma tenere separati i vari aspetti no? Nel calcio è abbastanza normale tenere separato il Maradona calciatore dal Maradona uomo. Invece in alpinismo si deve sempre fare un melting pot tutte le volte che si affronta un determinato argomento, così in questo modo tutti possono dire tutto e portare acqua al proprio mulino. Non mi pare un buon sistema.
Così facendo si mettono insieme elementi oggettivi (tempi, stili di salita, materiali, ecc.) e soggettivi (umanità, altruismo, ricerca interiore, ecc.) spostando il criterio di valutazione a seconda della convenienza. Se uno mi sta’ sulle balle, nonostante abbia fatto cose oggettivamente egregie, posso sempre dire che umanamente parlando è un pezzo di merda e viceversa.
Sia chiaro, un simile atteggiamento lo si può riscontrare in tutti i contesti ma in ambito alpinistico viene esasperato e questo, lo ribadisco, perché mancano e soprattutto non si vogliono inserire criteri oggettivi di valutazione.
Questo è quanto, tutto il resto sono chiacchiere. Poi per carità, è bello anche chiacchierare, l’importante è avere le idee chiare su come ci si vuole relazionare.
Paolo, come detto ne parleremo a voce!
Di vie di Maurizio ne ho ripetute diverse e ne ho apprezzato le linee e quello spunto artistico che non tutti hanno… Poi di tutto e tutti si può osannare o denigrare… l’alpinismo per sua natura o meglio gli alpinisti vivono di grandi epiche lotte col drago ma senza il drago stesso… Barbier insegna!
Qui l’intervista è sulle solitarie, sulle motivazioni, sulle emozioni… e sono fatti personali… ognuno le interpreta a suo modo lui le interpreta così… non smitizza né mitizza… le vive a modo suo… magari con una punta di orgoglio personale ma… io pietre non ne scaglio…
Stefano, io non stimo il giordani, ma rispetto alcune sue salte, di certo Leoni è stato un alpinista di un’altra classe, molto più PIÙ.
Per ridere su questi tristi ragionamenti, ne racconto una dov’è lui non c’entra per nulla e poi un’altra dove tanti hanno sperimentato la tecnica.
Un giorno sento uno raccontare di una salita che diceva di aver fatto con me. Io non lo conoscevo e allora mi sono presentato.
Messner su un 8000 aveva fotografato nella tempesta un chiodo giapponese per dimostrare di essere stato là. Spesso sento scalatori che nella nebbia fanno vie, una volta c’ero anche io con uno di loro, ma non l’ho visto, e dicono di non aver potuto fare foto, e nessuno li vede salire o scendere, però capita anche a chi sale gli 8000.
Stefano No, mi spiegherò quando ci vedremo, però vai a fare un po’ delle sue vie in Marmolada, dove ci stava per tanti mesi.
Larcher, che non è un santo, ma scala forte, ha forse dato le dimissioni dall’accademico per gli ultimi fatti……..
Sempre meglio stiamo andando!
Ma Maurizio vi sta sulle balle?
Il forte alpinista (arrampicatore preferisco chiamarlo) è piombato e si è spacchettato… allora ci dev’essere di sicuro un trucco!
Peccato…! Peccato che qualche anno dopo un Signore (la S non è casuale) molto modesto, poco o per nulla conosciuto al di fuori di un certo ambiente, abbia allegramente scalato quei dieci metri (non cento eh… dieci…) e dimostrato che erano serenamente scalabili… Si chiamava Paolo Leoni!
Unica ripetizione integrale, dove molti astri incensati erano deviati o miseramente piombati in cengia, quel Signore era passato senza problemi, complimentandosi col primo salitore.
Spirito, filosofie, masturbazioni cerebrali… ma perché scalate?
Io non lo fo’ per piacere a dio ma lo fo’ per piacer mio! E se questo piacere significa condividere e sentrisi fighi… ma che vi viene di meno in tasca?
Tra critiche varie e pure, perché no… trucchetti smascherati… è vero… famosa la diretta di Fiore di Corallo alla Mandrea (in ogni caso che dir si voglia… : un capolavoro!) Maurizio è stato e rimane un grandissimo alpinista che ha scritto pagine di storia dell’alpinismo, specie dolomitico!!!
Condivido non condivido… ma che cosa c’è da condividere? Ognuno la pensa come vuole in ciò che vede nel suo modo di salire e specie in solitaria… quanti dei critici (o criticoni) hanno mai lasciato tutto a casa e si son buttati su una parete sconosciuta solo con la consapevolezza di essere? E dico di Essere… non la montagna, non filosofie new age… ESSERE… sentirsi umani e di conseguenza accettare la sfida oppure… lanciarla noi stessi!
Non è certo eroismo e nelle parole di Maurizio non leggo alcun concetto che gli somigli, ma voglia di viversela o di morirsela come cavolazzo ti pare e magari sgnare il passo… perché? Il celebre ed osannatissmo quasi SANTISSIMO Bonatti la pensava diverso?
Acquesantiere ce n’è per tutti! Largo ai benpensanti che si devono bagnare… poi c’è anche altro… altra gente… altre dimensioni!!!
Peace and love!!!
In mezzo a qualche marziano che usa termini che esprimono l’opposto di ciò che intende , per fortuna c’è Paolo che sembra ben sintonizzato nel mio/nostro stesso pianeta ! E con un bagaglio non solo di concetti astratti , ma di esperienze vissute da portare a sostegno di idee e pensieri!
La più grandi imprese possono essere mosse anche dai sentimenti più “negativi” : la grandezza dell’impresa penso sia dar soprattutto dallo spirito con cui la si fa. E, leggendo quell’intervista, quei reiterati principi basati sull’ambizione , l’essere sul gradino più alto ecc , io vi leggo proprio quello spirito “egoico” che qualcuno vede invece in altri ( ma chi? ) Altro che avventura ! Il bisogno di sentirsi perfetti, esserlo a tutti i costi , l’eterna insoddisfazione nasce da senso di mancanza, di incompletezza e inferiorità.
Per me non è una questione di balle, di ambiente, di giurie o di prestazioni.
Nelle mie valutazioni degli alpinisti non riesco a prescindere da una valutazione dell’uomo: prima questa poi tutto il resto.
Se trovo la mancanza di rispetto degli altri, fino al non rispetto della loro vita, e nessun senso di sacrificio altruistico, allora quell’uomo per me non merita nessun riconoscimento di grandezza, anzi lo scarto.
Per tutto il resto mi faccio delle opinioni.
Grandissimo uomo e alpinista Bonatti, basta ricordare il Pilone, anche se aveva un caratteraccio e se come arrampicatore su roccia era scarsino.
Da quello che scrive Paolo, e non ho motivo per non credergli (di cose raccappriccianti ne ho viste anch’io), pare che si stia vivendo in una balla collettiva (e forse è vero).
Credo che però si debba fare un distinguo, nel senso che certe considerazioni valgono soprattutto per una ristretta cerchia di persone.
E’ vero, bisognerebbe sempre dire la verità, almeno in teoria, perché nella pratica risulta difficile trovare un virtuoso senza macchia.
Vengo al punto, da cui in parte si è svicolato. Maurizio Giordani, ma non solo lui, sembrerebbe non averla raccontata giusta, almeno con riguardo a una parte delle sue realizzazioni. Vero? Falso? Personalmente non ho elementi per poter accertare la verità ma quand’anche gli stessi fossero in mio possesso non potrei che prendere atto della sproporzione fra le mie capacità tecniche e psicologiche dei miei momenti migliori e le sue. In poche parole, e supponendo che Giordani abbia mentito su alcune sue realizzazioni, in qualunque momento potrebbe dirmi “Va bene, non ho sempre detto la verità ma tu quello che ho fatto io saresti capace di farlo?”.
Con questo cosa voglio dire? Molto semplicemente che tutto questo casino nasce dal fatto che l’alpinismo si presta molto bene, come dice Marcello, alle balle. E il motivo per il quale si presta alle balle deriva dal fatto che gli alpinisti si sottraggono volutamente a qualsiasi forma di giudizio obiettivo.
In un famoso film comico (mi pare fosse “il sottomarino rosa”)Toni Curtis diceva “nel torbido si pesca bene”. Appunto, nella torbidezza dell’alpinismo pescano un po’ tutti, dai primi della classe agli ultimi degli sfigati. Ma in fondo pare che vada bene così. Lo spettacolo deve continuare e le chiacchiere, spesso e volentieri da bar sport, devono costituire il sale di tutto questo baraccone.
Fino a quando l’alpinismo, o meglio gli alpinisti, non si affrancherà dalla sua falsa purezza e dal suo isolazionismo si continuerà a mescolare la realtà con la fantasia e alla fine della fiera continueranno ad emergere coloro i quali si sanno vendere meglio e al miglior offerente.
Esistono delle regole nell’alpinismo? Non mi pare, ciascuno ragiona coi piedi propri. L’etica? Quale? Cos’è l’etica. Se non ci sono regole chiare e possibilmente scritte, oltre a lasciare infinito spazio a chiunque voglia fare ciò che gli pare, va a finire che si mischiano i cavolfiori con i cocomeri.
Per me la soluzione sarebbe molto semplice. Vuoi essere un alpinista di punta e magari vivere di ciò che fai? Bene, ti sottoponi al giudizio obiettivo di qualcuno, arbitro, giudice, commissione, quel che si vuole, e accetti delle regole chiare e definite.
Chi non vuole essere un professionista faccia ciò che gli pare, basta che almeno si sforzi di rispettare l’ambiente.
Ma non credo ci si arriverà mai, non c’è la volontà. E’ più comodo continuare a pescare nel torbido.
Alberto, se si facessero dei nomi, molti alpinisti super mediatizzati e strapremiati cadrebbero come pere cotte impiastricciando dappertutto.
Talvolta leggo dei libri di storia dell’alpinismo italiano e resto meravigliato, perché certi fatti dove ero presente ora sono cambiati: ora la storia si crea, nel senso che si inventa a seconda degli interessi.
Il nostro alpinismo è specchio della nostra società e dei nostri principi morali buonisti, raramente si incontrano alpinisti con un’etica ferrea, ma forse basterebbe la sincerità.
In Libia siamo stati buttati fuori dagli inglesi mentre coltivavamo gli ulivi o le vigne, ma solo dopo che il famoso geologo super osannato e vincitore come capo aveva trovato il petrolio.
Allora quelli che da noi gestiscono il potere hanno venduto baracca e burattini, intascando bei soldini……. e lui……. e altri …..
“-Uno molto forte sale, cade, si fa male, e dice che per lui la via con quei gradi di lì non passa, ci vogliono almeno due gradi in più, chi poi la ripete passa da un’altra parte: gli apritori erano passati? Di solito no.”
Larcher, forse ?
Oggi mi sento bene e Antonella mi ha provocato molto bene!
Un giorno di tanti, tanti anni fa, da giovane.
-Ma cosa ci fai con i chiodi a pressione e il bucaiolo su questa via che non ne ha? : “non si sa mai.” ………..Si perde sempre il pelo ma mai il vizio!
-Hanno chiesto aiuto: “No non vengo, ognuno deve essere autosufficiente.”
……….miseria e solitudine disprezzabile!
Giorni quasi recenti.
-Leggo tiro di 6c e lo saliamo con grande fatica, su 50 metri c’era solo un chiodo all’inizio e un cordone alla fine. A casa scopro che è stato aperto a cliff e poi liberato dal secondo, ora mi dicono ci siano 10 chiodi….Boria!
-Il primo di cordata apre, il secondo “schioda”, il terzo magari libera, ma è quello che dà il grado…… Bullaggine!
-Soste attrezzate per calate in doppia. Dopo la seconda non abbiamo più trovato una sosta attrezzata e abbiamo dovuto bivaccare: 25 tiri/10 minuti per fare e disfare la sosta= 4 ore perse almeno…. e chi aveva tutto il materiale?!?!?! ……Pirla io, ma cosa è chi l’ha scritto?
-“Bisogna rispettare le linee delle vie e non intersecarle, bisogna starsene lontani!” ……… molte vie sembrano un patteggiamento fra politici.
Alcune volte quando non c’ero, ma una volta ho filmato.
-Di qua e di là, poi fuori da una vecchia via. Il giorno dopo giù in doppia solo per un pezzo e poi su fino in cima: via nuova!…….. Castrazione!
-Uno molto forte sale, cade, si fa male, e dice che per lui la via con quei gradi di lì non passa, ci vogliono almeno due gradi in più, chi poi la ripete passa da un’altra parte: gli apritori erano passati? Di solito no.
-Sul tiro critico ho visto appostata la compagna con una corda così se ci fossero stati problemi avrebbe lanciato la corda: solitaria!…. Falsità!
-Nel fare la solitaria non è uscito dalla via originale, ma da un’altra e ha saltato quasi un terzo della via…… Auto compiacimento da incapace!
-La settimana prima erano saliti d’inverno altri, ma erano scesi, allora si parte subito seguendo le tracce nella neve fonda e si arriva in cima, ma in alto si va su un’altra via più facile: prima invernale!….. Egoismo!
Questi sono alcuni esempi sempre ricorrenti, in 40 anni, di alpinisti che non devono mai essere chiamati grandi alpinisti e nemmeno pensati come tali.
Come uomini li ritengo dei poveri frustrati.
Viva la gioia dell’avventura in montagna.
“L’ossessività dell’ambizione personale” che forse qualcuno riconosce nelle parole dell’intervista, personalmente l’ho interpretata come reiterata dichiarazione di un’autentica motivazione alla solitarie.
La “compulsiva ricerca di perfezione”, non l’ho vista. Ho visto reiterare del concetto di perfezione, che ho interpretato nuovamente come la dichiarazione di una sua autentica motivazione.
Entrambe le espressioni non sono loro che conducono “ad una creatività”, ma l’inverso.
(“Nel senso purista del termine”, non so cosa sia.)
L’accesso al sé (forse arzigogolato ma sono senza alternative) è la condizione di espressioni creative. Come la limitazione all’ego facilmente comporta l’accomodarsi sui piani dell’autoreferenzialità, per loro natura ripetivi.
Non so se e quanto Giordani possa corrispondere ad una persona dalla “ripetitività coatta di comportamenti a vari livelli anche spregiudicati in ogni senso per ottenere lo scopo” e neppure qui interessa. Le mie considerazioni scaturiscono limitatamente a quanto si legge nell’intervista.
“Vera creatività che deriva dal semplice ma potente desiderio di scoperta”. Come non so quale sia quella pura non so neppure quale sia quella vera. Condivido che il desiderio di scoperta tenda a provocare percorsi personali. Ma penso che quel desiderio, se inconsapevolmente farcito di pretese egoiche, più facilmente spinga in direzioni già note.
Al momento della lettura dell’intervista ho pensato che Barbara Holzer fosse persona giovane (mi scuso fin d’ora) e che Maurizio Giordani tornasse a ripetersi per due motivi.
Uno, perché la signora Barbara forse non coglieva (mi scuso fin d’ora) quanto lui voleva esprimere;
due, perché nessun altro argomento che avrebbe potuto riferire gli pareva superiore a quelli che ci teneva a precisare.
In merito allo “spirito dell’alpinismo”. A seconda di come facciamo, esprimiamo uno o l’altro spirito. Ognuno dei quali implica la creazione di mondi differenti.
Se “per Giordani la montagna è il mezzo”, ben venga, soprattutto se ne é consapevole.
Non mi riferisco allo specifico di questo articolo ma l’alpinismo é strapieno di balle, perché si presta particolarmente bene.
“Per me ognuno è libero di fare quello che vuole, ma deve raccontare il minor numero di balle possibile, se ne scopro tante allora c’è qualcosa che non va.”
Paolo, diciamo pure che le BALLE non si devono raccontare, PUNTO!!
Anche perchè l’alpinismo, oltre che sull’avventura è basato sulla fiducia.
E poi se racconti balle oltre ad essere bugiardo con gli altri, sei bugiardo anche con te stesso.
P.S L’ossessività dell’ ambizione personale e la compulsiva ricerca di perfezione non possono portare ad una creatività nel senso purista del termine ma ad una ripetitività coatta di comportamenti a vari livelli anche spregiudicati in ogni senso per ottenere lo scopo. E ciò non ha a che fare con la vera creatività che deriva dal semplice ma potente desiderio di scoperta, Lorenzo Merlo, secondo me.
@Lorenzo Merlo , forse, Marcello in fondo aveva ragione: d’accordo di non scrivere banalità ( io stessa cerco sempre le parole e le espressioni più adatte per esprimere un’idea , un sentire ) ma se poi queste ( parole ) diventano troppo astratte e arzigogolate finiscono per diventare un po’ troppo staccate dagli stessi e non rappresentarli in maniera efficace
@Paolo Panzeri grazie per la, anzi le puntualizzazioni e per la comprensione del mio ( modesto ma sentito ) commento.
A parte la reiterata immodestia espressa dalla ridondante ed egocentrica ( Lorenzo ) ripetizione dei concetti di perfezione e ambizione espressi nell’intervista da Giordani ( sentimenti in contrasto con la purezza dello spirito alpinistico tanto propugnata negli interventi di Merlo altrove )…a parte questo che non è poco, a parte le cose in più che ci lascia intuire Paolo , io sento la negatività e la mia non condivisione di “quel” modo di essere e sentire la montagna un po’ ovunque nell’intervista, e l’assenza dell’avventura totale sostituita totalmente dall’avventura sportivo-edonistico-egocentrico-competitiva
Il tutto potrei riassumerlo così: Per l’alpinismo la montagna è il fine, l’obiettivo. Per altri , fra cui appunto Giordani la montagna è il mezzo.
Grazie Paolo per le belle considerazioni che spiegano bene pur non raccontando tutto.
Capisco.. O forse no.
Che si debba stare attenti a ciò che si dice e soprattutto a ciò che si scrive è assolutamente vero ma questo vale sia da una parte sia dall’altra. Esiste la querela ma anche la contro querela.
Scusatemi, sono invecchiato e ho troppi ricordi.
Provate a salire tante vie e ascoltate tanti commenti di chi le ha salite, capirete molto bene le differenze.
In Italia certe cose non si possono scrivere, si viene come minimo censurati, e normalmente si viene accusati di calunnia.
Poi quando uno muore inizia sempre il processo di santificazione, ma anche prima.
Da noi la verità viene tramandata solo per via orale e piano piano scompare, ma poi riappare sempre improvvisamente.
Ciò che si legge è sempre strumentalizzato e quindi bisogna scrivere sempre “belle cose” e solo quelle, non si può essere critici, si deve restare superficiali e buonisti.
Non è questione di amici o nemici, è che da noi chi racconta i dettagli completi dei fatti accaduti viene accusato in vari modi (in molte spedizioni si doveva firmare il silenzio a vita, ora non ci sono quasi più spedizioni).
Tanti alpinisti conoscono i fatti, basta incontrarli e farseli raccontare.
Per me ognuno è libero di fare quello che vuole, ma deve raccontare il minor numero di balle possibile, se ne scopro tante allora c’è qualcosa che non va.
Peccato, forse siamo una società troppo ipocrita, o ci sono troppi furbetti.
Comunque la verità non esiste, ma si può valutare la sincerità.
Mi rattristo e faccio troppa fatica a pensare a ciò che considero come un male.
Emancipazione dalla superstizione delle idee.
Distinzione degli interessi dell’ego da quelli del sé.
Riconoscimento delle inconsapevoli pretese che alimentano l’ego e consapevolezza necessaria per prenderne le distanze.
Modulazione di scelte e comportamento in funzione dell’intima condizione del momento.
Da quanto leggo nell’intervista, sembra che la tenaglia delle cosiddette forme-pensiero sembra non aver vincolato la sua azione.
Poche cose sono più alte in un uomo.
mi sembra che Paolo qualcosa sappia, anche se parla in maniera più o meno… velata:
” non riesco a spiegarmi certe belle realizzazioni in mezzo a moltissime “truccate”.”
E siamo infine dove pensavo saremmo giunti…
Il mio primo commento era una lode teorica della free solo in quanto tale come mezzo di ricerca personale e ne ribadisco il concetto ma sapevo che sarebbero venuti fuori ben altri spunti che, puntuali, sono arrivati…
Alla fine ha ragione Giandomenico: chi sa parli
Allora, senza tanti giri di parole, Maurizio Giordani ha fatto ciò che dice di aver fatto o ha raccontato delle gran balle? Chi sa esattamente come siano andate le cose lo dica in modo che tutti sappiano la verità.
Giandomenico, dici che ti basi sui suoi racconti, ma non ci si può fare una opinione di una persona solo basandosi su quello che dice.
Antonella non hai fatto giri di parole, io ne ho fatti troppi.
Chissà cosa racconterebbe Bassi di una sua giornata famosa se fosse ancora vivo e pure i grandi alpinisti della sua zona.
Per me un alpinista deve essere capace di muoversi su tutti i terreni con i mezzi del suo tempo, deve avere un etica tutt’altro che accomodante a seconda dei casi, deve rispettare e riconoscere chi lo aiuta e sopratutto deve avere tantissima umiltà perché sa che gioca con la morte e c’è sempre chi è più bravo di lui.
Parlavo di frustrazione e ambizione, non l’ho mai capita come motivazione, forse il vivere per mesi ogni anno sempre negli stessi posti, forse un limite culturale, e mi dico la propria natura: non riesco a spiegarmi certe belle realizzazioni in mezzo a moltissime “truccate”.
E passare una vita con una ambizione fortissima senza riuscire a raggiungere una “continuità etica e di stile” deve essere molto frustrante.
Mi dico che ognuno ha dei limiti, ma non capisco perché qualcuno spesso per superarli semplicemente nasconda i fatti: facendo così rafforza i suoi limiti.
Peccato, per me fare dell’alpinismo è ancora bellissimo, ho imparato che posso solo essere me stesso con la mia intelligenza per “capire”, non posso pensare e dire di essere ciò che non sono, né tanto meno raccontare di aver fatto ciò che non sarò mai capace di fare.
Ah, ecco, forse c’è anche l’invidia che attanaglia molti di noi, ma è un’altro stimolo che considero negativo, osservo, ma tendo a escludere.
Forse sarò un superficiale o forse non conoscerò certi retroscena ma con riguardo a Maurizio Giordani tutte queste elucubrazioni non riesco a farle.
Premetto che non conoscendolo di persona mi baso esclusivamente sui suoi racconti e sulle sue interviste ma a me è sempre sembrata una persona abbastanza coerente. Poi si potranno condividere o meno le sue scelte di vita ma questo è un altro discorso.
Aldilà di tutto ho sempre considerato con un occhio di riguardo chi si cimenta nel free solo, a prescindere dalle difficoltà tecniche. Preferisco di gran lunga chi scala delle pareti di grado magari non eccelso senza utilizzo di mezzi al di fuori delle scarpette e della magnesite a chi tenta e ritenta di liberare tiri di corda, volando e rivolando, ma sempre iper protetto, fino a quando non ce la fa.
Intendiamoci, preferire non significa criticare. E’ giusto che ciascuno segua la propria strada, preferibilmente nel rispetto dell’ambiente in cui ci si muove.
Tutto bello tutto perfetto: solo pareti di ottima roccia , belle giornate bel divertimento, salite perfette , salite invernali in free solo audaci ai massimi gradi …Ma anche un po’ scontati certi concetti reiterati con ostentata immodestia : il giusto equilibrio, la sintonia, il capire “da dentro” quando è il momento perfetto a livello fisico ma soprattutto psichico, l’assenza o comunque la tenuta a freno totale della paura come condizione ottimale…Insomma tutte cose che chiunque in salita in montagna a qualsiasi livello e grado ha sicuramente vissuto e sperimentato profondamente in sé stesso anche senza essere Maurizio Giordani ..
In complesso comunque la scelta di un certo tipo di pareti e non di altre , le motivazioni primarie espresse nell’intervista ( appunto i concetti di armonia con la roccia , il senso di sicurezza , l’ambizione ,la bellezza e perfezione dell’arrampicare ecc.) a mio avviso denotano semplicemente un gusto e un senso quasi esclusivamente sportivo edonistico dell’arrampicata..Insomma le parole di un climber BIT . NON di un alpinista ! Manca totalmente il senso dell’avventura, dell’incognita spazio temporale , del tipo di roccia , dell’ambiente estremo, @L.Merlo , sostituito totalmente da quello di perfezione fin troppo ridondante
Ps anche a me piace anche il gesto estetico , il gusto del sentirsi agili aderenti, eleganti nel salire . Anch’io come tutti nel mio piccolo ho ambizione di superare – migliorare i miei miei limiti, ma la motivazione principale non è questa.
Bravo e perfetto finché si voglia non lo condivido.
Ora quasi nessuno sale l’Ideale fino alla fine, esce dal Pesce.
È come questa tante altre salite.
Giovanni, no, per me non sono belle cose.
Qualcuno non racconta mai tutto, ho provato a spiegare.
È qualcosa che ho visto e talvolta anche filmato.
Ma tutti siamo uomini.
E fin da quando si è giovani si può riconoscere.
Per me non bisogna confondere gli uomini anche se hanno fatto delle grandi cose.
Ah ok…
Avevo già percepito qualcosa nel commento di Paolo (sempre apprezzabile fonte di riflessione nelle sue esternazioni) e poi Marco è stato più chiaro.
Io sono rimasto, almeno nelle arrampicate, un po’ del genere omnia munda mundis e poco mi importa andare oltre gli eventuali dubbi suscitati. Mi preme però dire che se il livello tecnico delle realizzazioni in free solo può essere importante in assoluto per ovvie ragioni (storia, sponsor, like, follwers), esso risulta secondario nell’utilizzo della solitaria integrale come mezzo (insieme a tanti altri) di crescita e di ricerca dentro di se’.
Imprese incredibili.
Alex Honnold al Capitan, Alex Huber sulla Cima Grande, Stecky all’Eiger hanno preparato le ascensioni sapendo prima che non sarebbero tornati indietro. Per questo potevano andare senza corda.
Giordani invece ci provava al momento. Un livello di sfida superiore. E un autocontrollo fuori dal comune. Eppure fuori dall’ambiente nessuno lo conosce.
Alberto, ognuno di noi non può non seguire, o meglio deve seguire la propria natura.
Gli animali hanno però nature molto più specializzate di noi umani.
Non voglio però dire che un individuo specialista di qualcosa sia molto più simile a un animale che a un umano.
Però l’uomo nel regno naturale è l’essere più capace di adattamento.
C’è chi vive in un solo territorio ben definito per lungo tempo e si adatta ottimamente a quello, bisogna poi vedere se è capace di uscire e adattarsi ad altre realtà.
Ciascun individuo, chi più, chi meno, però si specializza in qualcosa, magari seguendo esempi o aiutato da persone vicine a lui.
“L’individuo sembra talvolta perseguitato dalla sua natura.”
Paolo, l’individuo in genere o l’individuo Giordani ?
Un bel racconto delle cose grandi che si sono perseguite e un po’ fatte.
L’invecchiare fa restare vive le cose belle e sembra cancellare quelle brutte, o forse solo dimenticare il racconto completo.
Ma tutto questo magari è strettamente legato alla propria ambizione e alle proprie frustrazioni.
L’individuo sembra talvolta perseguitato dalla sua natura.
Spinta interiore, ricerca progettuale, regole etiche, preparazione fisica e psichica, paura controllata, contatto intimo e alla pari con la natura, consapevolezza di se’ e una passione smisurata portano i loro gustosi frutti innanzitutto “dentro” di noi, solo dopo arriva l’eventuale plauso ma è solo rumore…
Bel l’esempio di dedizione e di come un uomo seguendo un suo percorso senza compromessi possa attingere ad attimi di infinito e di perfezione.
Non è una cosa da poco. 🙏🔥⚡️
Le parole di Maurizio Giordani a proposito della sicurezza che viene da dentro, dell’armona che si percepisce e che è necessaria per sentire quella sicurezza, dell’irrevocabilità della scelta di tornare se si sente paura, della motivazione necessaria per avviare un progetto e altro ancora, sono emblematiche di quanto è nelle nostre potenzialità.
Di contro, lo è anche per rappresentare quanto affidarsi ad espedienti a noi esterni le castri.
Ovvero, l’uomo creativo e quello ripetitivo.