Ad inizio estate 2020 sul GognaBlog si è sviluppato un animato dibattito circa i bivacchi in montagna. Personalmente ritengo che l’invasione di nuove strutture ricettive sia ormai eccessiva e ingiustificata. Infatti le location più ragionevoli per posizionare i punti di appoggio sono ormai state sfruttate da tempo. Per cui, salvo rare eccezioni, i nuovi bivacchi sono localizzati senza una effettiva utilità pratica e ciò riduce la fondatezza delle scelte. Non dico che giungo ad essere contrario aprioristicamente a ogni nuovo bivacco, ma non sono così entusiasta, specie se la localizzazione non è funzionale e il bivacco dà più che altro l’impressione di essere un pezzetto in più di inutile antropizzazione dell’ambiente montano.
Parlo in particolare di strutture totalmente “nuove”, cioè non preesistenti: discorso molto differente riguarda invece il recupero di strutture già esistenti, come casermette abbandonate o baite in rovina ed anche l’ammodernamento/ampliamento di vecchi bivacchi ecc.
Con riferimento ai bivacchi c’è però un altro risvolto che mi pare interessante approfondire. Lo fa con efficacia il sottostante articolo di Davide Forni, socio, anzi oggi presidente in carica, della GEAT (storica sottosezione del CAI Torino).
I bivacchi sono dei gioiellini posti in ambiente ostile: esposti alle intemperie, richiedono manutenzione periodica e adeguata pulizia. A parte l’utilità pratica degli interventi, è da sottolineare l’affetto che i bivacchi riescono a suscitare nei soci delle istituzioni cui i bivacchi appartengono. Capita anche con i rifugi, ma in misura molto ridotta, perché per i rifugi esiste inevitabilmente la figura intermedia del gestore, che si occupa in prima persona della struttura: spesso la fa con efficacia e amore. Il rapporto dei soci CAI con i propri rifugi è quindi più flebile, salvo eccezioni particolari.
I bivacchi invece innescano un affetto diretto: i soci li amano perché li “sentono” come una diretta materializzazione della loro comunità. Dedicarsi amorevolmente alla manutenzione dei bivacchi è uno dei mille risvolti in cui si declina il senso di appartenenza ad un’associazione alpinistica. Niente a che vedere con gli obiettivi personali (fare questa o quella salita, “chiudere il grado”, scendere sotto certi tempi…): sono due fattispecie indipendenti e parallele. In alcuni individui è presente solo una delle due fattispecie (o la prima o la seconda), in altri soggetti esse convivono e vi assicuro che, in tal caso, l’approccio alla montagna è infinitamente più ricco e maturo (Carlo Crovella).
Quel qualcosa di importante: l’ispezione al bivacco Leonessa
di Davide Forni
(pubblicato su caitorino.it/montievalli il 31 ottobre 2017
Sono un giovane socio del CAI Torino e della GEAT, sottosezione dello stesso, appassionato di montagna da sempre e frequentatore delle altezze in ogni stagione. Quest’anno, per la prima volta, ho deciso di assumermi l’onere dell’ispezione di un bivacco.
La scelta è ricaduta sul bivacco Fratelli Lionello e Lucio Leonessa, sito in Valle d’Aosta sopra Cogne a 2910 metri di altezza, proprio al fondo della Valnontey. La struttura, presente ormai da tanti anni, è la base di partenza per le ascensioni della Becca di Montandayné e dell’Herbetet, cime di prestigio nelle vicinanze del Gran Paradiso.
Cosa significa ispezionare un bivacco e cosa mi ha spinto a prendermi questo incarico? Effettuare un’ispezione significa innanzitutto verificare che la struttura del bivacco non presenti cedimenti e non ci siano infiltrazioni; ma vuole anche dire verificare lo stato della struttura all’interno nonché il numero e le condizioni di coperte, fodere e materassi, oltre a raccogliere le quote di pernottamento versate dai frequentatori nell’apposita cassetta.
Per me, che tra l’altro non ero mai stato al bivacco Leonessa, è stata davvero una bellissima esperienza. Per una volta andavo in montagna per dare una mano e portare il mio contributo per qualcosa che ci aiuta a frequentare le alte quote, fornendoci un sicuro riparo prima delle nostre ascensioni.
Spesso situati in luoghi impervi e selvaggi, proprio come il Leonessa, i bivacchi sono una grande risorsa per noi frequentatori delle altezze, dato che costituiscono un punto d’appoggio sufficientemente confortevole rispetto al dormire all’aperto, come facevano i pionieri dell’alpinismo. La bellezza del bivacco sta anche nel fatto di permetterti un forte contatto con la natura, molto più di un rifugio, potendoti calare maggiormente nell’ambiente che ti circonda.
Personalmente alcune notti vissute in bivacco non le scorderò mai e reputo che stare lassù ti avvicini davvero alla montagna… Sentire il freddo e il vento che soffia all’esterno, ma anche il calore di una struttura che ti protegge e che permette a te e ai tuoi compagni, conosciuti o incontrati lì per caso, di realizzare i tuoi sogni alpinistici.
Proprio in conseguenza della loro ubicazione i bivacchi necessitano di manutenzione per poter svolgere il loro compito al meglio; trattandosi di una struttura sempre esposta alle intemperie e non custodita è importante effettuare un monitoraggio costante delle condizioni in cui versa, intervenendo laddove necessario.
Ecco da cosa nasce lo stimolo a candidarmi per poter svolgere quest’anno l’ispezione del bivacco Leonessa. Forte di queste motivazioni ho coinvolto nella visita ispettiva anche alcuni dei miei compagni di avventura sulle Alpi ovvero Paolo, Alessandro e Andrea, ben felici di partecipare e di aiutare il CAI.
Ma veniamo al racconto dell’ispezione. Partiti da Torino sotto un cielo non propriamente dei migliori, restiamo fiduciosi del miglioramento previsto da diversi siti meteo e, fatta eccezione per una leggera pioggia presa nella zona di Ivrea, arriviamo al parcheggio della Valnontey sotto un cielo grigio ma senza una goccia d’acqua.
Di buon passo ci avviamo risalendo il lungo percorso ben segnalato che in circa 3h 30’ ci porta al bivacco, posto in posizione molto panoramica sulle cime alla testata della Valnontey. Il cielo alterna morbide velature a nubi più consistenti dall’aspetto minaccioso, facendo intravedere talvolta il sole ma senza grande convinzione; una brezza gelida poi ci accompagna da quando siamo partiti e una volta arrivati davanti alla porta del bivacco, senza neanche parlarci, ci infiliamo tutti e quattro dentro!
Infreddoliti, apprezziamo subito la qualità migliore del bivacco, ovvero la protezione contro gli agenti esterni e consumiamo un veloce pasto prima di metterci al lavoro. Per fare più in fretta ci organizziamo, dividendoci i compiti. Tiriamo quindi fuori tutti i materassi e i cuscini per farli arieggiare, esaminando in seguito lo stato delle coperte e pulendo le zone dove sono alloggiati i materassi. Rassettiamo anche la “zona pranzo” e raccogliamo le quote relative ai pernottamenti dall’apposita cassetta. Qualcuno di noi esce all’esterno per esaminare la struttura e individuare eventuali infiltrazioni; infine si fa un rilievo delle presenze dal libro del bivacco meramente per uso statistico e per capirne la frequentazione.
Al termine della visita la struttura risulterà in ottimo stato, a eccezione dei materassi e dei cuscini con evidenti segni di umidità. Integriamo il numero di coperte presenti in loco con una nuova portata appositamente da noi; in seguito sistemiamo materassi, cuscini e coperte al loro posto, preparandoci a rientrare. Il vento gelido non ha smesso di soffiare e dobbiamo scendere fino ai Casolari dell’Herbetet per poterci togliere le giacche a vento. Una breve sosta, ammirando i versanti settentrionali di montagne molto famose come la Roccia Viva e la Becca di Gay e poi ripartiamo, raggiungendo l’auto nel tardo pomeriggio.
Ormai inizia a far buio e una volta cambiati, ripartiamo alla volta di casa, verso Torino. E’ stata una lunga giornata ma sentiamo di aver fatto qualcosa di importante, per il CAI e per la Montagna (con la M maiuscola)… e anche un po’ per noi dato che quando ci capiterà di pernottare in un bivacco per un’ascensione avremo ben presente cosa vuol dire la sua presenza e soprattutto il suo mantenimento nel tempo.
Considerazioni
(a cura della Redazione)
La posizione di GognaBlog nei confronti della costruzione di nuovi bivacchi nelle Alpi e negli Appennini è nota: stop a qualunque nuova cancellazione delle poche aree wilderness rimaste.
Ciò non toglie che l’attuale patrimonio di bivacchi fissi debba comunque essere mantenuto in ordine. Pur non condividendolo al 100%, personalmente nutro il massimo rispetto per un “ideale” di bivacco e di volontariato quale Davide Forni ha così bene espresso.
13Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
3 matti sull’autobus.
-che ora è?
-giovedi
-ah, è qui che devo scendere.
la minestra non la ricordo. La ministra invece si …ma non parlo.
Alberto, non la minestra ma la ministra! Dai non fare il finto tonto, ormai ti è scappata. Dicci chi era.
La minestra ?
@23
mi trattengo dal chiederle chi fosse
Mi dispiace dissentire sul fatto che sia una cosa positiva trovare qualcosa da mangiare o da bere ad un bivacco. La mia esperienza sia come fruitore che come manutentore mi dice che qualsiasi cosa lasciata in pochissimo tempo diventa un rifiuto che nessuno si degna di portare a valle (vedi bottiglia di grappa e sono sicuro se ancora intera è ancora lì, forse vuota ma il vetro o la plastica sono ancora lì. Anch’io ho beneficiato di qualcosa, ricordo una volta al bivacco Ghiglione (che non c’è più da molti anni) in un novembre alla fine degli anni ’80, dopo un approccio faticosissimo per 50 cm di neve fresca trovai una bottiglia di vino bianco ammezzata e del purè liofilizzato aperto che preparai ai miei tre compagni. Risultato: la bottiglia l’ho bevuta io e tutti escluso me si sono sentiti male per il purè con vomito vario spazzato fuori dal bivacco perchè ghiacciato una volta che aveva toccato il pavimento ma la roba da mangiare l’avevamo comunque. Se uno parte leggero senza alimenti nella speranza di trovare qualcosa ad un bivacco in quota è uno stupido. Anche le bombolette piene non è detto che si abbia il fornello giusto per cui, vi chiedo appassionatamente: non lasciate niente e casomai portate via qualcosa a valle. Altra cosa: la tecnologia per esempio al bivacco Gervasutti (concordo con Alberto sulla bruttura del manufatto), il bivacco è fornito di pannelli fotovoltaici che alimentano varie cose: luce interna, piastra a induzione, computer con connessione . Circa tre anni fa ho pernottato con un corso (meta raggiunta Aiguille Lescaux) al Gervasutti. Ma davvero non possiamo fare a meno per una sera del computer? inoltre la piastra a induzione non andava. Le istruzioni riportano che se le batteria non sono cariche , mi sembra all’80’%, la piastra viene disabilitata. Ovviamente le batterie erano cariche ma l’induzione non andava, comunque sia secondo voi come faccio a sapere se le batterie sono cariche? Ovvio che comunque mi porto il fornello quindi induzione inutile!! anche la porte di entrata sono già difettose e la mattina presto c’era molta condensa sull’esterno. Tutto ciò per ricordare che alcuni dei bivacchi del CAAI si avviano al secolo di vita: Hess 1925, Brenva1929, Craveri 1933. Ma i bivacchi di nuova concezione sono fatti per durare 100 anni?? Ne dubito
effettivamente trovare qualcosa da mangiare per una permanenza imprevista non fa dispiacere. Mi è capitato una volta al bivacco Carnielli sotto gli Spiz di Mezzodì, posto bellissimo. A causa di un fortissimo temporale rimannemmo li bloccati per scendere il giorno dopo. Non avevamo nulla da mangiare se non un dado da brodo. Rovistando in quello che era stato lasciato trovammo un pacco di pasta e con il dado che ci era rimasto ci facemo una bella e calda ministra.
Chi va a letto senza cena, tutta la notte si dimena. Invece rinfrancati dalla provvidenziale minestra e cullati dalla pioggia che sbatteva sulle lamiere del bicacco, ci facemmo una bella dormita.
@Guido: assolutamente no. Però mi ricordo bene che piacere mi ha fatto un paio di volte arrivare lungo o sotto la pioggia e trovare qualche cosa da mangiare lasciato da qualche anima pia!
E i vuoti li avevo anche portati via.
Penso che dovremmo amarli di più i nostri bivacchi ; fanno parte della nostra storia , sono come beni della nostra famiglia . Sarà che sono della Vergine , se esco da un bivacco mi piace lasciarlo pulito ed ordinato ,con le coperte ben piegate ed i cuscini al loro posto. Penso sempre a chi aprirà la porta dopo di me . Non sono contrario a qualche confezione di cibo intatta per emergenza, specie in luoghi come il Canzio o il Craveri, dove con forte maltempo si potrebbe rimanere bloccati per un po’. Pensiamo sempre con orgoglio alla bella figura che faremo quando una cordata di alpinisti , magari stranieri , aprirà la porta del bivacco dopo di noi. Non me ne voglia Barbolini , ma una volta in uno sperduto bivacco in quota, proprio in questo spirito ,dopo manutenzione e pulizie, ho lasciato una bottiglia di Grappa , una di ottima Barbera ( entrambe intatte ) ed una scatola di Toscanelli. Sorridevo pensando allo stupore dei prossimi visitatori…
Matteo dai forse per scontato che poi i poveretti portino a valle i rifiuti?
per Carlo Barbolini:
però bombolette di gas piene o confezioni di cibo intatte si potevano anche lasciare: mi paiono più un dono disinteressato che un segno di inciviltà.
In caso di emergenza possono essere preziose per qualche poveretto
Spero solo che il commento n 15 sia uno scherzo altrimenti veloci, forse sicuri (non è detto) ma sicuramente incivili e sudici per non dire di peggio.
“In montagna devi essere leggero, perché così sei veloce, quindi sicuro. O sbaglio?”
Si… ma ci vuole anche la civiltà. Oppure è meglio un grado in meno
In montagna devi essere leggero, perché così sei veloce, quindi sicuro. O sbaglio?
Carlo essere alpinisti anche forti, non vuol dire essere persone civili. Sulla Cintura del Procinto che ben conosci ho raccattato di tutto.
Ovviamente non posso che essere contento che qualcuno si preoccupi dei bivacchi esistenti. Sono circa 12 anni che mi occupo della manutenzione di alcuni dei bivacchi del Club Alpino Accademico Italiano sia come lavoro che come socio. Si tratta spesso di lavori impegnativi e difficili per più motivi: logistici, operativi, faticosi. Quelli più semplici possono essere effettuati a piedi ma molte volte per interventi complessi è necessario l’uso dell’elicottero. Approfitto dell’argomento per cercare (forse inutilmente) di sensibilizzare la platea di lettori su una questione che mi sta particolarmente a cuore. Non c’è stata una volta che non si sia dovuto portare via sacchi di spazzatura di tutti i tipi, nazionalità e relativi a periodi storici diversi. Abbiamo trovato di tutto: bombolette di gas anche piene, sacchetti, buste di liofilizzati, bottiglie di plastica e vetro, stoviglie, preservativi (nuovi) e chi più ne ha più ne metta. Ma il top del ritrovamento è stato lo scorso settembre durante l’intervento al bivacco Craveri al Monte Bianco (https://www.clubalpinoaccademico.it/index.php/news-2/item/411-bivacco-craveri-un-vero-nido-d-aquila-sulla-cresta-integrale-di-peuterey) dove abbiamo trovato e portato via, oltre alla spazzatura consueta (tre sacchi grandi), 8 paia di scarpette di arrampicata più una singola che gli alpinisti hanno abbandonato dietro al bivacco perchè dopo la sosta al bivacco per continuare la Cresta di Peuterey non necessitano più… A quel bivacco non arrivano i gitanti della domenica ma solo alpinisti di ottimo livello e preparazione. Ciò significa che anche tra gli alpinistoni ci sono i sudici poco o niente rispettosi dell’ambiente. Poco serve che poi a casa si faccia la raccolta differenziata quando poi in un contesto così delicato ci si comporti in questo modo. Per assurdo meglio sarebbe gettarli sul ghiacciaio almeno dopo qualche decina d’anni arrivano a valle. Vi invito a visitare la sezione relativa ai bivacchi del CAAI del sito (https://www.clubalpinoaccademico.it/index.php/chi-siamo/bivacchi).
Un saluto a tutti i lettori
Bravo a Davide Forni e compagni ma anche per tutti i volontari G.E.A.T. Torino che in passato hanno fatto sì che il bivacco fosse sempre in perfetta efficienza D’accordo per il “no” a nuove strutture ma per l’efficiente mantenimento di quelle esistenti.
Secondo la Treccani è un verbo difettivo: manca il participio passato e quindi mancano i tempi composti; il passato remoto è poco comune prudé o prudette.
Per arrivare a pruso però ci vuole una bella perversione!!! 🙂
Tra le coperte del bivacco Varrone mi presi la scabbia che poi trasmisi alla mia fidanzata. Dopo esserci grattati per settimane, prima di ammettere a noi stessi che non erano punture di zanzara, ci curammo e i pruriti sparirono. Tuttavia non ho mai capito quale sia, credo, il gerundio passato del verbo prudere. Ci chiedevamo: ti ha più pruso? Ma non sono certo sia corretto….
Condivido la riflessione di Daidola per alcuni vecchi bivacchi. Ad esempio nel vecchio Gervasutti tra le sue logore tavole si respirava la storia. Il nuovo invece è un cazzotto nello stomaco.
Ma oggi come oggi di bivacchi ce n’è abbastanza e ci sono luoghi liberi da infrastrutture dove si respira una naturale spiritualità proprio per la loro purezza. Li non c’e bisogno di bivacchi.
Hanno già tutto
Bellissimo il concetto espresso da Giorgio Daidola…..ma la quota slm non conta. Poi per me i rifugi alla Svizzera mortificano la “MONTAGNA ”
Grazie di cuore a Davide Forni per l’ispezione al bivacco Leonessa e il bell’articolo e a Giorgio Daidola per la preziosa riflessione sul valore spirituale dei bivacchi.
Bel pezzo, equilibrato. Per me i bivacchi oltre che un valore storico hanno anche un valore spirituale, ricordano le persone di cui portano il nome, sono come dei chorten, delle cappelle votive, dei luoghi sacri che inducono a meditare e a non dimenticare. Meglio per questo se sono in alto, in luoghi panoramici. Parlando di bivacchi di montagna non ho mai capito la funzione dei bivacchi a bassa quota, dove preferisco degli accoglienti rifugi alla svizzera.
Bisogna demolire.
Concordo con Gogna.
Di furbetti ce n’è tanti.
Comunque io sono d’accordo con Gogna basta nuove strutture.
Bello, e bello fare qualcosa con un idea di “aiuto” alla comunità, che sia anche solo quella dei frequentatori dei bivacchi…
E per quanto riguarda il commento di Marco.. Beh… ha preso due piccioni con una fava!! 😉
Buono in questo periodo avere un’ottima scusa per farsi un giro alla barba dei lucchettari