Loscki Bosky

Loscki Bosky
(18 settembre 2019)

Mercoledì 11 settembre 2019, nel tardo pomeriggio, arriva la chiamata alle armi: la classica mail, che di solito è proprio Matteo Pellegrini a diramare, è preceduta inusualmente dal messaggio di Salvatore Bragantini indirizzato alla stessa dozzina di destinatari. Il titolo è “Proposta dirompente”.

«Batto sul tempo la tradizionale chiamata a raccolta del Pelé perché sabato vorrei fare una bella salita con degli amici simpatici. Come sono aduso fare da ormai oltre dieci anni, vorrei festeggiare il mio ulteriore avanzamento verso la decrepitudine con una bella scalata. Il capitolato prevede una salita bella, difficile ma quanto basta, non troppo né troppo poco, bel tempo, avvicinamento rapido ma paesaggi gratificanti, e via sognando. Prometto anche un terzo tempo senza vincoli temporali (e forse addirittura con qualche eccesso, ma qui temo poi di non mantenere le incaute promesse). Aspetto adesioni e magari qualche idea di quelle che metterebbero d’accordo tutti, e che purtroppo io ora non ho… Chi ci starebbe?».

Il rifugio Selleries

In questo messaggio spicca, provocando inusitato clamore, la disponibilità del mittente a partecipare con ragionevole gioia al classico terzo tempo, abbandonando per una volta il suo proverbiale disprezzo per questo genere di debolezza: quel momento conviviale che per la maggioranza degli altri destinatari è invece parte imprescindibile della gita, senza contare quelli per i quali (e ce n’è) è probabilmente la parte più importante della giornata.

Le risposte piovono, tra iniziali adesioni, malinconiche rinunce e inaspettati quanto graditi recuperi. L’evento suscita interesse, mobilitando persone che in verità non partecipavano da un bel po’ di tempo a questo genere di uscite. Parallelamente si dipana, con fatica, un’idea di programma: cosa che in effetti serve anche per scrollare dalle loro indecisioni coloro che confrontavano la voglia d’esserci con la scarsità di allenamento o con i mugugni che tale iniziativa non avrebbe mancato di provocare nelle rispettive famiglie. Il previsto pernottamento lontani dalle mura domestiche di certo ne sarebbe stato responsabile (più del solito). Vedasi, per tutte, l’annotazione del Pelé: «ho sentito Erio: pare di capire che potrebbe anche raggiungerci per cena, sempre che la reazione della moglie comporti una quantità di violenza ragionevole… ci farà sapere».

Panorama circolare dalla vetta della Punta Cristalliera. Foto: Andrea Rolando. Clicca sulla foto per ingrandire.

Ecco l’ultimo messaggio significativo del festeggiato: «Io ho prenotato per otto, poi aumentati a nove per l’aggiunta del Crodaiolo. Mi han detto di avere una stanza da 4 e una da 6, il che farebbe 10, ma questo include i Gallizii. Se essi dormissero nel carro bestiame avremmo tre posti liberi anziché uno.
Se vengono altri, come Erio o Alfredo, bisognerebbe avvertire il rifugio, ma visto che siete tutti giovani, almeno più di me, i ritardatari potranno cercare qualche simpatico essere di altro sesso nel cui letto infilarsi, ovviamente con il consenso di costei/costui, oppure dormire sui tavoli… ma c’è sempre qualcuno che prenota e poi non si presenta… Sarà un po’ un burdel ma questo è, appunto, il bello! Hasta manana!».

Alla fine, nella giornata di venerdì, si giunge a una definizione. Andremo al rifugio Selleries, per poi il giorno dopo scalare alla Punta Cristalliera. Siamo in dieci, ai due nomi già fatti si aggiungono i coniugi Filippo e Maria Luisa Ia Gallizia, Claudio Fasin Camisasca, Davide Rogora, Alfredo Sangalli, Andrea Giggio Corradi, Daniele Crodaiolo Brunelli e il sottoscritto. Propongo per la giornata di sabato di arrampicare in un luogo che alcuni di noi conoscono già bene: il Bourcet, simpatico risalto di solatie rocce di gneiss, ricco di possibilità per tutti e sito in Val Chisone, quindi sulla strada per il rifugio Selleries. I gradi sono un po’ severucci, ma ci sapremo adattare.

Lago della Manica e Punta Cristalliera. Foto: Andrea Rolando

L’incontro è al classico Burger King di viale Certosa, alle 7 del mattino del sabato. Intendiamoci, in quello spaccio di fast food non abbiamo mai messo piede, neppure di sera: non siamo in target, semplicemente è un luogo comodo per il trasloco da un’auto all’altra e per posteggiare il mezzo inutile nella fetida e vagamente oscura area sotto al cavalcavia. Il carro bestiame dei Gallizii, di un colore giallo indimenticabile, è in realtà un lussuoso van California. Procediamo con questo e con il suv leggero di Bragantini fino all’uscita autostradale di Marcallo Mesero, dove abbiamo appuntamento con gli altri sbandati, quelli che non abitano a Milano. Alla fine nel carro bestiame prendono posto, oltre ai proprietari, Davide, Alfredo, il Fasin e il Giggio.

Il festeggiato, nonché proprietario del suv (leggero), dovendo farsi la sua quotidiana dose di giornali, un complesso misto di tablet e di carta stampata che coinvolge almeno due lingue, insomma una droga non proprio alla portata di tutti, cede subito la guida al suo autista di fiducia, il Pelé (anzi, gliel’aveva già ceduta a Milano): questi guida accettabilmente bene, salvo alcuni insulti e qualche per nulla vaga minaccia di sterminio nei confronti della categoria degli stupidi. A volte, nel profferire queste smanie, l’autista si eccita più del dovuto, specialmente se giustificato da una qualche “fretta”: ne consegue una guida più agitata, ma sempre nei limiti dell’accettabile. Intanto il Crodaiolo ci racconta di come sia dimissionario dal suo coro alpino, un gruppo di appassionati di quel genere in Appiano Gentile (Como). Il racconto delle prove cui devono sottoporsi e della dovuta obbedienza assoluta al maestro è davvero esilarante. Pare sia stato il figlio a fargli realizzare quanto poco tempo avesse a disposizione per un trastullo siffatto. Daniele, quando non parla, oltre che essere un fine osservatore della realtà che lo circonda, ha la caratteristica di fischiettare, a volume discreto, svariati motivi e ritornelli. In ogni caso la sua presenza evita le usuali discussioni sulla situazione politica, da poco pacate a liti vere e proprie.

Da poco sotto alla cima della Punta Cristalliera, la sommità del Torrione Centrale. Foto: Daniele Brunelli.

Giungiamo a destinazione regolarmente e, accanto ai mezzi posteggiati, iniziano le solite domande sul chi si lega con chi, onde evitare di portare materiale non necessario o, peggio, non portarlo quando necessario.

Non è scopo di questo umile raccontino citare più di tanto le nostre prodezze al Bourcet. Facciamo vie di ordinaria amministrazione seguendo i classici spit pitturati di azzurro, segno distintivo dell’autore delle vie, Fiorenzo Michelin, che ogni tanto malediciamo per via di certe graduazioni ma che in genere lodiamo per il lavoro incredibile che ha fatto nel tempo e nei tanti luoghi. La temperatura è perfetta, ma questo non significa affatto che alla fine, tornati tutti alla base, la sete di birra sia inferiore al solito. E’ scoccata l’ora del terzo tempo, quindi non è più il momento di scherzare. Tra l’altro sapete bene che le valli piemontesi offrono un numero spropositato di bar, locande e piole che servono a modico prezzo merende lussuose. Scegliamo, scendendo la valle per 1 km, l’osteria dei Tre Scalin, a Roreto. Ciò che avevamo letto sul sito web del rifugio Selleries era molto allettante: prometteva alta cucina con materiali di origine rigorosamente documentata e il più possibile a km zero, per non parlare dei vini e delle birre. Eppure, in barba a coloro che avrebbero scelto di “tenersi” per la cena al rifugio, ai Tre Scalin consumiamo una merenda sinoira leggendaria, annaffiandola con generosità come in un vero baccanale.

Andrea Corradi sulla prima lunghezza dello Spigolo Grigio al Bourcet. In sosta è Claudio Camisasca.

Ci alziamo da tavola, paghiamo a testa “ben” 7,50 euro per tutto quel ben di Dio, e voltiamo i musi delle auto verso la testata della val Chisone. All’abitato di Depot, poco dopo Villaretto, una strada asfaltata conduce con svariati larghissimi tornanti al Centro di Educazione Ambientale, ex Sanatorio Agnelli, situato a 1650 m di quota in mezzo ai boschi di conifere. I due edifici che lo compongono sono enormi, con una ricettività di oltre 300 posti. Le finestre sono aperte, ma non c’è nessuno a mitigare la malinconia di questo luogo che abbina le vicissitudini economico-finanziarie (che ne vorrebbero la chiusura) alla sua precedente e tristissima storia di dolore e di malattia.

Si prosegue sulla strada fino a oltrepassare il forte di Fenestrelle, raggiungendo così la conca di Prà Catinat. Poco prima di una caratteristica fontana in pietra, a un bivio, prendiamo la strada a destra che con circa 5 km di sterrato conduce al rifugio. Le nostre auto impolverano senza pietà alcune colonne di gitanti che stanno camminando verso la nostra stessa destinazione. Ci domandiamo se dormiranno tutti là…

Merenda sinoira ai Tre Scalin di Roreto. Foto: Daniele Brunelli.

Il rifugio è situato nella conca dell’Alpe Selleries a quota 2023 m. E’ stata la Regione Piemonte, proprietaria, a deciderne la ristrutturazione dal 2003 al 2006 e ora è rifugio aperto tutto l’anno. Trovandosi questa struttura nel cuore del Parco Orsiera-Rocciavré, è ottimo punto di partenza per le escursioni naturalistiche. I cervi, i camosci e gli stambecchi non sono i soli abitanti di boschi e praterie alpine: i numerosi cartelli affissi in sala, oltre a tessere le lodi del lupo tentando di distinguerne la realtà dalla leggenda, avvertono che con un occhio attento è possibile accorgersi della presen­za di molti altri animali, piccoli e grandi, che vivono in questo ambiente di alta montagna. E soggiungono: ai gestori piace pensare di poter offrire la possibilità di avvicinarli, con l’aiuto delle guide naturalistiche.

Interno del rifugio Selleries

I custodi sono Massimo Manavella e Sylvie Bertin, coadiuvati da alcuni bravi e giovani collaboratori. Appena entrati nella sala, incontro Marco Conte e compagna che sono molto tristi di dover scendere a casa per nutrire e accudire i loro numerosi animali e quindi perdersi lo spettacolo dal vivo di una losckofest della band dei Loscki Bosky.

La cappelletta accanto al rifugio Selleries

Incuriosito, prima del doveroso e corale aperitivo nella nebbia fuori del rifugio, vado a vedere il loro sito web. Apprendo che «Definire i Loscki Bosky non è cosa facile. Sicuramente la parola d’ordine è “divertimento”; inseguito, creato, riproposto e stravolto in cento modi differenti. Divertimento per tutti, sia per chi ascolta, sia per gli elementi della band, che spesso e volentieri sono coinvolti nella colossale bagarre che si scatena ad ogni concerto. Perché, in realtà, è molto difficile essere un semplice “ascoltatore”: normalmente si è trascinati in quella che è una gran festa, dove quello che conta è divertirsi. Il genere musicale ufficialmente è definito come “Folk and Rock-a Piemontese”: si passa con incredibile rapidità, anche all’interno della stessa canzone, dall’hard-rock al valzer, dal reggae al punk, poi tango, country, e poi ai tempi più incredibili tipo “sereno-variabile o poco nuvoloso” oppure “3/4 , 7/8 e 1/2 pollice” o il più diffuso nelle bettole “4/4 e una gassosa” e alla fine ci si ritrova a ballare una mazurca punkata, un twist e chi più ne ha più ne metta. Il tutto condito dai testi demenziali scritti da Corrado, la voce solista, in italiano ma anche in dialetto piemontese, che sono il vero motore dell’esibizione, in aggiunta ai vari travestimenti (ovviamente anch’essi ironico-demenziali).
Il gruppo nasce nel ’92… dell’ensemble originale rimane solo più il
Losko (Corrado Defendi), trascinatore di folle e animale da palcoscenico. Gli altri quattro allegri suonatori sono confluiti nel gruppo in tempi e da generi musicali differenti, dando ogni volta carica e sonorità diverse a pezzi magari già storici. Attualmente, dopo l’ultimo reimpasto, troviamo lo Slavo (Mario Vallenzisi) alla batteria, il Cobra (Bruno Veglio) al basso, il Drago (Ivan Audero) alla chitarra, e il Magu (Marco Priotti) alle tastiere».

L’aperitivo al rifugio Selleries. In senso orario (dalla sedia vuota): A. Gogna, Alfredo Sangalli, Ia Gallizia, Filippo Gallizia, il festeggiato Salvatore Bragantini, Matteo Pellegrini, Fasin Camisasca, Davide Rogora, Giggio Corradi. Foto: Daniele Brunelli.

Un litro di vino bianco (in dieci però è poca roba) va ad aggiungersi all’altro alcol ingerito ai Tre Scalin. Sul tavolo fuori del rifugio, in mezzo a una fitta nebbia serale, disquisiamo sulla liceità della bestemmia in quanto sola lode possibile alla divinità nell’unica religione che la teologia non ha mai preso in considerazione, quella che appunto potrebbe prevedere che Dio non sia Sommo Bene bensì Sommo Male.

Nel frattempo girano le fotocopie che il Pelé nelle sue ore di ufficio, e soprattutto (tiene a rimarcare) a spese dell’ufficio stesso, ha prodotto: sono cinque esemplari imbustati, ciascuno contenente una decina di fogli che illustrano le varie possibilità arrampicatorie della Punta Cristalliera. Ce ne appropriamo, facendone geloso tesoro per il giorno dopo.

Punta Cristalliera, parete sud-ovest, via Ghirardi-Gay. Gian Piero Motti nella 3a ascensione, 14 ottobre 1969

La cena è in effetti all’altezza delle aspettative. Così eccelsa da farci dimenticare che avevamo tutti finito alle 17 una merenda tremenda: i piatti scorrono uno dopo l’altro e non avanza mai nulla. Scompaiono anche un bel po’ di litri di vino. Nel locale c’è molta confusione, stiamo parlando di un centinaio di persone che vociano masticando. Alle nostre spalle, forse i più silenziosi, i membri dei Loscki Bosky e i loro amici. Siamo anche in posizione assai strategica, praticamente a ridosso di una delle due grandi casse dell’impianto di amplificazione.

Vetta del Torrione Centrale della Punta Cristalliera. Alessandro Gogna dopo la salita della terza ascensione della via Ghirardi-Gay sulla parete sud-ovest, 14 ottobre 1969.

Bastano le prime battute di saluto e poi la prima nota per innescare la scintilla che ci catapulta nell’allegria collettiva. I Loski ci promettono che sarà uno spettacolo a progressivo peggioramento, con alcune canzoni loro e parecchie cover dissacrate a dovere. “Ci piace violentare i pezzi famosi”, avvertono. Ma non ci aspettavamo Another Brick in the Wall (part II) dei Pink Floyd, quella che attacca con We don’t need no education, rivisitata in esilarante dialetto piemontese; come pure un Michael Jackson imitato alla perfezione ma deformato con movenze e balletti deliranti.

Un momento del concerto dei Loscki Bosky al rifugio Selleries

Tra pezzi come fuochi d’artificio, gag tra i componenti, travestimenti con improbabili parrucche e altri abiti veramente trash, ivi comprese le canottiere a rete che fanno finta di coprire il cospicuo e ben esibito ventre del Losko, che soprannominiamo subito “l’uomo senza culo”. Le ore scorrono e si oltrepassano di un bel po’ le 24. Alcuni sono andati a dormire, i Gallizi per esempio nel loro carro bestiame, oppure Bragantini che, prima di decidersi all’abbandono, nel bel mezzo di un trenino fatto in sala al ritmo brasiliano da una dozzina di scatenati continuava imperterrito a leggere i suoi giornali sul tablet. Di certo non ha potuto dormire.

Un momento del concerto dei Loscki Bosky al rifugio Selleries

Verso l’una di notte la losckofest ha fine: sarà un ricordo, vi assicuro, indelebile, nel bene e nel male. Tanto che la mattina dopo io m’informerò dove hanno in programma la prossima esibizione. Massimo mi risponde che saranno a Fonte Blancio di Torre Pellice il prossimo 28 settembre. Non prima, causa il matrimonio di uno di loro. Scherzando, minacciamo Bragantini di prenotargli per il prossimo suo compleanno, il 17 settembre 2020, quella location che ospiterà un altro concerto dei Loscki Bosky.

Loscki Bosky in concerto al rifugio Selleries, 14 settembre 2019

In camera la finestra è spalancata, ma fa ugualmente un caldo innaturale. Massimo ci aveva spiegato che lui è costretto ad accendere nel pomeriggio il riscaldamento perché c’è sempre qualcuno, tra gli ospiti, che ha freddo…

Reperita una presa in corridoio dove ricaricare il mio telefono, posso alla fine sdraiarmi anche io. Fa caldo, e dallo scampanio sembra che gli armenti vogliano entrare dalla finestra. Tutti spiamo con avidità l’arrivo delle prime luci. Forse abbiamo avuto qualche difficoltà di digestione?

Al mattino noto con un vago senso di nausea e disprezzo che i miei compagni si abboffano sulle bontà della prima colazione. Mentre nelle loro fauci spariscono fette di pane imburrato con la marmellata, io mi limito a due tazze di caffè rovente, due bicchieri di succo d’arancia e una ciotolina di yogurt che il cartellino dice fatto in rifugio col latte di malga.

Nei pressi del Lago di Laus, verso la Cristalliera. Foto: Andrea Corradi.

Poi non abbiamo più scuse, dobbiamo partire. Ognuno lo fa a capoccia sua, io per esempio per la prima mezzora cammino da solo. La Punta Cristalliera 2801 m richiede un’ora e mezza di avvicinamento, prima su buon sentiero poi su una ruvida e ripida pietraia, passando per due laghi, il Laus 2259 m e il Manica 2369 m. Nella mia solitudine rifletto che oggi, 15 settembre, ricorre il triste cinquantennale dalla morte di mia madre in un ospedale genovese. Ma penso anche che io ero già stato qui, con l’amico Gian Piero Motti, sempre cinquanta anni fa, quando salimmo la via Ghirardi-Gay in terza ascensione, ed era il 14 ottobre 1969.

Vecchi tempi: in arrampicata sulla via Accademica della Punta Cristalliera.

La Cristalliera è una cima di sfasciumi e di rocce accatastate. Fu Carlo Virando il 14 giugno 1908 a salirla, lungo i gendarmi della cresta sud (la via Accademica): anche se, sicuramente, i primi veri salitori della vetta furono dei cacciatori, magari all’inseguimento di camosci e stambecchi.

Laghi di Laus e Manica dall’alto del Torrione Centrale della Punta Cristalliera. Foto: Daniele Brunelli.

E’ sul versante occidentale la struttura più evidente ed estetica, il Torrione Centrale: è una piramide rocciosa, dalle forme regolari, 250 m di serpentino ruvido e compatto. Fu salita per la prima volta dalla cordata pinerolese di Luigi Bianciotto, con A. Ceo De Servienti e Dino Genero, 1 luglio 1951. Questa via, divenuta una grande classica, sale lungo l’elegante spigolo ovest con difficoltà continue di IV grado e alcuni passi di V. In seguito, un vero e proprio capolavoro di arrampicata libera, con scarponi ai piedi, venne realizzato dalla forte cordata di Michele Ghirardi e Sergio Gay, 4 maggio 1967, su un nuovo percorso ancora oggi molto ambito. Nomi di rilievo nell’ambiente alpinistico piemontese, quali Giovanni Altavilla, Vincenzo Appiano, Luigi Bessone, Guido Bosco, Piero Dassano e L. Ferraris, posero la loro firma, in quegli anni, sulle rocce della Cristalliera.

Daniele Brunelli e Alessandro Gogna all’uscita della SuperBianciotto alla Punta Cristalliera, 15 settembre 2019. Foto: Daniele Brunelli.

Tra gli elementi di punta del mitico gruppo di arrampicatori del Nuovo Mattino, Danilo Galante il 2 agosto 1973 realizzò Fior di Loto con Dante Vota e Paolo Lenzi, una via molto difficile che sale il diedro strapiombante subito a destra dello Spigolo Bianciotto e che innalza molto il livello delle difficoltà superate localmente in arrampicata libera. Anche Marco Caneparo, con Ponsero, salì un bellissimo e difficile diedro sulla parete sud-ovest.

Ia Gallizia si bagna nel lago della Manica

Gian Carlo Grassi merita una citazione a parte. Sono quattordici le vie da lui tracciate su queste pareti, tra il 1969 e il 1990. Da solo oppure in cordata con amici, quali Elio Bonfanti, Massimo Ala, Aldo Morittu, Dante Alpe e Claudio Battezzati per citarne solo alcuni, Grassi ispezionò ogni angolo della Cristalliera, realizzando linee di salita di rara bellezza. Anche Fiorenzo Michelin lasciò su queste pareti la sua firma, tracciando nel 1998 la SuperBianciotto, una logica variante del mitico Spigolo Bianciotto. Via molto bella, a tutt’oggi la più gettonata dagli alpinisti che vengono in visita. Marco Conti sta completando le ultime possibili aperture.

Il bagno del Crodaiolo nel lago della Manica

Rimuginando queste note storiche arrivo alla base della famigerata pietraia, che però inaspettatamente risolvo senza eccessiva fatica.
All’attacco delle vie ci ritroviamo di nuovo tutti uniti. Daniele Crodaiolo ed io volevamo salire la SuperBianciotto, ma ben due cordate di altri scalatori sono davanti a noi, legati e pronti a partire. I Gallizi, decisionisti, sono i primi ad attaccare la classica via Bianciotto. Per un momento Daniele ed io pensiamo di accodarci agli altri nostri compagni per il diedro Caneparo, con continuazione diedro Dassano e variante finale della Placca Motti: ma poi ci risolviamo a seguire i Gallizi sulla Bianciotto.

Fuilippo e Ia Gallizia, Davide Rogora e Claudio Camisasca. Foto: Daniele Brunelli.

Attacco veloce e scopro immediatamente che già alla prima sosta siamo in comune con quelli della SuperBianciotto: anzi, vivo un momento di pericolo quando il primo di cordata (genovese) sta per arrivare in sosta ma si trova bloccato dalla corda che non gli viene. Tra le urla isteriche io che gli ero sotto mi incastro a mo’ di nut umano in un fessurone. Testimoni oculari (Matteo Pelé Pellegrini) ci hanno poi riferito che il secondo gli aveva tolto la sicura pensando che il primo fosse in sosta. Insomma, una scena agghiacciante. Daniele mi segue velocissimo. Non appena la Ia parte su comando di Filippo (che ormai era alla seconda sosta), Daniele la segue, con ciò sancendo il definitivo sorpasso della cordata genovese.

Alessandro sulla quarta lunghezza della SuperBianciotto alla Punta Cristalliera, 15 settembre 2019

La salita si dipana molto gradevole, su roccia sempre stupenda e con arrampicata varia: placche delicate si alternano a rudi passaggi in fessura. Gli ultimi metri sono su un muro verticale subito a destra del canalino d’uscita del diedro Ghirardi-Sessane-Rivoira. Poi un’affilata e facile cresta fino agli sfasciumi della croce di vetta.

Un canalino franoso ci riporta alla base della parete per riprendere gli zaini, ma qualcuno di noi era salito con lo zaino dunque sceglie di scendere per il sentiero della via normale e per il Colle Superiore di Malanotte. Ci ritroviamo per un magnifico pediluvio nel lago Manica. Daniele fa anche il bagno.

Il ritorno al rifugio Selleries. Foto: Daniele Brunelli.

Il prossimo step è una magnifica birra rossa nelle nebbie del rifugio Selleries. Siamo tutti veramente soddisfatti, le battute scoppiettano una dietro all’altra. Salvatore ovviamente ha fretta di partire perché era arrivato a Milano suo fratello e vuole essere con lui a cena. Dunque per la fretta niente merenda al rifugio, anche se Pelé e il Giggio gli rubano un po’ di tempo andando a comprare il formaggio nella vicina malga. Sono già le 18 e siamo molto affamati: una coda del rientro domenicale prima di Pinerolo spegne in Bragantini le speranze di una cena al giusto orario con la moglie Lucia e il fratello Renzo.

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Loscki Bosky ultima modifica: 2019-09-27T05:52:39+02:00 da GognaBlog

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9 pensieri su “Loscki Bosky”

  1. La convivialita’ picaresca  sembra essere  risvolto preponderante rispetto all’impresa avventurosa. Oppure due facce della medaglia.
     Visto compiere le tre  fasi ( degustazione vino e  scialpinismo e canto )in contemporanea: uno skialper  Austriaco anzianotto, risaliva  la  Forca Rossa  con saloppette aperta e sotto in cannottiera lercia, tracannando vino da un fiascone da 2 litri legato a tracolla con una cordicella. Cantava ” e si son palliden come una strassen, finazzen finazzen un fuaski de fin”Scambiate due  parole  disvelo’il suo piano:”discesa per la  Antermoia,arrivo a Malga  Ciapela,  salita in funivia alla Margrrrmolata, discesa sul kiacciaio ,  ritorno a casa in pullman “.Ad ogni virgola, una ansimata,  un sorso con rivoli sfuggiti e assorbiti dalla canotta di lana  grezza  .      Siccome stavano scendendo nuvole basse che, congiuntamente al riverbero,   disorientavano parecchio pure indiscesa a Fuchiade , tentammo inutilmente di dissuaderlo.Lo lasciammo con un “Tankti aukuri!”e .per alcuni giorni consultammo giornali locali…ma nessuna notizia grave, ce l’aveva fatta ( forse ,o nessuno si accorse della sparizione..mistero!”)

  2. Nel 2015 al Rifugio Pian dei Fiacconi in Marmolada dei superstiti dei Pitura Freska si esibirono con la loro nuova band che si chiama Vino del Mar. Noi, i Frozen Rats da Corvara, suonammo subito dopo utilizzando il loro impianto e molto intimoriti dalla loro fama. Prima di attaccare i Jack alle chitarre ci chiesero cosa avremmo suonato, e noi quasi vergognandocene rispondemmo: qualcosa dei Pink Floyd… I pinfloi? Ci risposero entusiasti. E si sedettero in prima fila invitandoci a più non posso per tutta la serata. Suonammo benissimo e il loro supporto ci fu molto piacevole. A proposito di concerti in montagna….

  3. Semplicemente bellissimo ed anche istruttivo per chi non
    conosce la storia alpinistica della zona. Bravo Alessandro !
    Quanto al complesso, dalle mie parti esistevano i Pitura Freska,  un gruppo musicale reggae italiano, attivo tra il 1978 e il 2002. Caratteristica dei Pitura Freska era la composizione di brani di genere reggae e talvolta rock, con testi quasi sempre in veneziano; la scelta linguistica si lega all’origine dei musicisti, tutti nativi di Venezia e legati a Marghera.
    Un saluto al Pellagra e  a Davide; al sig. Bragantini sinceri complimenti ed auguri!!! 

  4. Il colpevole sono me; non colpevole,  però, del concerto super trash, esperienza per me indimenticabile. Comunque, a quota 76, alzavo una media già di per sé assai elevata…

  5. Non potrò mai più ascoltare “Another brick in the wall” senza pensare a quell’assurdo “Hey, Tony” che sostituisce l’originale “Hey, teachers”. Demolita parte della colonna sonora della mia vita. 

  6. Marcello, se ti riferisci al concerto nessun prato è stato rovinato e nessun animale ha sofferto (beh, certo, se si esclude il Salva, ovviamente!) perché eravamo al chiuso

  7. Tipico e adorabile racconto-polpettone (è un complimento: quello ai fagiolini è uno dei miei piatti preferiti)  alla Gogna in cui riescono a coesistere argomenti che fanno a pugni tra loro e con alcuni recenti dello stesso blog. La classe non è acqua!

  8. Ma senza nemmeno dire l’età del Salva?
    O almeno accennare all’età media della compagnia di bestie, che essendo il più giovane sui 45 era più che notevole?

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