Esiste un’intelligenza non novecentesca? La stiamo formando da qualche parte, in qualche scuola, in qualche azienda, in qualche centro sociale? Abbiamo ragione di pretendere che emerga in superficie nella gestione del mondo, e di pretenderlo con una rabbia pericolosa?
Mai più, prima puntata
di Alessandro Baricco
(pubblicato su ilpost.it il 9 marzo 2021)
E di questa altra morte quando parliamo? La morte strisciante, che non si vede. Non c’è Dpcm che ne tenga conto, non ci sono grafici quotidiani, ufficialmente non esiste. Però ogni giorno, da un anno, lei è lì: tutta la vita che non viviamo, per non rischiare di morire. Meno male che non la stiamo contando, che non la misuriamo in numeri: non riusciremmo a guardarli, dal disastro che racconterebbero, farebbero impallidire quelli già tragici della prima morte, gli unici che abbiamo la forza di guardare negli occhi. Contiamo i cuori che si fermano negli ospedali, ma non quelli che se ne vanno, che semplicemente se ne vanno.
E di questo commiato silenzioso, mansueto, collettivo, generale, vertiginoso, scandaloso, quando parliamo?
Adesso.
Ciò che sta succedendo è che umani capaci di vivere non lo fanno più. Non viaggiano, restano a casa, lavorano senza incontrarsi, non si toccano, non si occupano dei loro corpi, conservano pochissime amicizie e al massimo un amore; da tempo riservano al solo ambiente famigliare, notoriamente tossico, gesti come abbracciarsi, lasciarsi guardare in faccia, dividere il pane; disponendo di artisti capaci di generare emozione e bellezza, non li incontrano più; possiedono bellissime opere d’arte ma non le vanno a vedere, e musica raffinatissima che non vanno ad ascoltare; non mandano più i figli a scuola, e d’altronde neanche a fare sport, feste e gite; non escono dopo il tramonto, quando è festa si chiudono in casa. Stanno dimenticando, a furia di non farli, gesti che ritenevano importanti, o quanto meno graziosi: applaudire, urlare, andare lontano, insegnare girando tra i banchi, limonare con qualcuno per la prima volta, andare dai nonni, suonare uno strumento per un pubblico, discutere con gente di cui puoi sentire l’odore, ballare, fare una valigia, andare a sposarsi accompagnati da tutti quelli che ti vogliono bene, giocare a bowling, scambiarsi il segno della pace a Messa, uscire da casa senza sapere ancora dove andare, camminare in montagna, respirare nel buio di un cinema, tenere la mano a qualcuno che muore. Sistematicamente, e con grande determinazione, predicano la solitudine, la scelgono e la impongono, come valore supremo: lo fanno anche con coloro a cui non era destinata affatto, come i ragazzi, i malati e le persone felici. Completano questa grandiosa ritirata dal vivere facendo un uso massiccio e ipnotico di oggetti, i device digitali, che erano nati per moltiplicare l’esperienza e ora risultano utili a riassumerla in un ambiente igienizzato e sicuro. Per concludere: vivono appena.
Ufficialmente è una decisione lucida, razionale. Sorpresi da una pandemia, rinunciano a vivere per non morire. Ma non è così semplice, come l’ingorgo logico dovrebbe costringere a capire. Mi prendo la responsabilità di provare a descrivere la cosa in un altro modo: una certa ottusa razionalità meccanica si è a tal punto fissata sulla soluzione di un problema, da perdere di vista il quadro più complessivo della faccenda, vale a dire quel che chiamiamo il senso della vita. È già successo ripetutamente con le guerre del secolo scorso: l’ossessiva applicazione razionale alla soluzione di un problema (lì spesso era politico/sociale) portava regolarmente a un crollo del valore della vita umana e a una colossale mortificazione del diritto all’esperienza e alla felicità. È un errore che conosciamo, è generato dall’indugiare eccessivo su un frammento, nell’incapacità di avere uno sguardo generale, più alto, più dall’alto. Un deficit di intelligenza. Può portare a veri disastri quando si smetta di ascoltare la vibrazione del mondo, il suo respiro reale, e si finisca per fidarsi solo di quegli avatar che chiamiamo numeri. Di solito, quando ciò accade, ci si appella alla grande capacità che gli umani hanno di soffrire. Tatticamente è una mossa feroce, ma corretta. Detta un compito, inevitabile e giusto.
Così soffriamo, ubbidendo, di questo soffrire, ognuno a modo suo, in ordine sparso, ormai logorati, sempre meno lucidi. Di tanto in tanto troviamo sollievo nel pensare, nel ragionare, trovandovi una radura clemente, socchiusa in questo strano viaggio.)
Rimesse in sella dalla pandemia, le élites novecentesche se ne stanno ben salde ai tavoli di comando della cosa pubblica, dirigendo le operazioni strategiche contro il virus. Ancora una volta si stanno esibendo nel loro numero preferito: there is no alternative, il famoso TINA. Qualsiasi cosa decidano, la ragione per cui lo fanno è sempre la stessa: non c’è altra possibilità.
Ma è vero?
Per cercare un risposta, prendiamo un esempio circoscritto. Una decisione tra le altre. Chiudere le scuole. Mentre scrivo, ad esempio, in Piemonte, dove vivo, si sta decidendo di chiudere le scuole di ogni ordine e grado per le prossime tre settimane. Spiegazione: there is no alternative. Ma è vero? Più o meno credo di sapere la risposta: se costruisci la scuola in quel modo, se ti fidi di quella particolare comunità scientifica, se gestisci una Regione in quel modo, se disponi di un sistema sanitario fragile, se l’educazione ti sembra meno essenziale che la produzione del reddito, allora è vero: non c’è alternativa, devi chiudere.
E adesso concentriamoci su quel se.
La figura logica è chiara: se io sbaglio una serie di gesti, arriverà un momento in cui fare una cosa sbagliata sarà l’unica cosa giusta da fare. Traduciamola nel nostro contesto: quella che per brevità chiameremo intelligenza novecentesca non trova soluzioni che non siano obbligate perché quel che sta giocando è un suo finale di partita, la posizione dei pezzi è da tempo determinata da strategie decise nel secolo corso, i pezzi persi non si possono più recuperare, e la stessa postura mentale del giocatore non è adatta a giocare contro un avversario che, invece, muove con una tattica completamente nuova.
Risultato: there is no alternative.
Dato che la cosa porta inevitabilmente a enormi sofferenze collettive, in buona parte gratuite, diventa un gesto di necessaria rabbia sociale interrogarsi su un punto che ormai, per quel che capisco io, è diventato IL punto: esiste un’altra intelligenza, più adatta alle sfide che ci aspettano? Esiste un’intelligenza non novecentesca? La stiamo formando da qualche parte, in qualche scuola, in qualche azienda, in qualche centro sociale? Abbiamo ragione di pretendere che emerga in superficie nella gestione del mondo, e di pretenderlo con una rabbia pericolosa?
Tutte queste domande ne portano in grembo un’altra, istintiva, quasi naturale: non è che per caso l’intelligenza che stiamo cercando è in realtà sotto gli occhi di tutti, ha già preso il potere, e non è altro che quella che chiamiamo intelligenza digitale? Siamo quindi presi in trappola nella morsa tra Draghi e Zuckerberg? Is there any alternative? Vorrei provare a scrivere un testo, su queste cose.
A puntate. Poche. Questa è la prima.
(continua su Mai più, seconda puntata)
9
post scriptum. Luca Calvi, vedi commento 99 a “La natura ha il vizio di non essere democratica” ha espresso un pensiero interessante sui vantaggi della struttura a “sarchiapone” basata sul fluire delle libere associazioni. Considerazioni che condivido dal punto di vista di un osservatore esterno (infatti lui non ha partecipato alla discussione) ma forse un po’ defaticante per chi ci sta dentro o un po’ noisa e dispersiva per un lettore meno smaliziato e attento al fluire dei testi come può essere un traduttore professionista. Vantaggi e svantaggi dei diversi formati.
Matteo. Magari il numero di interventi è un po’ limitativo, eviterei. Io farei educatamente due proposte, tenendo conto dell’evoluzione dell’ultimo anno (io guardo questo blog da poco più di un anno e questo ho visto, tranne andare un po’ indietro per curiosità su certe dinamiche). Poi giustamente decide il padrone di casa. 1. 1200/1500 caratteri per intervento: tende ad asciugare il colore e gli aggettivi che spesso sono la fonte dei conflitti e focalizza le argomentazioni 2. Struttura ad albero degli interventi, non sequenziale come ora. Quello che succede nei giornali ad esempio o in Facebook o in altri blog anche di montagna. Questo permette di saltare a piè pari un filone di intervento con le relative risposte e controrisposte che non interessa e anche dal punto di vista estetico e della fruizione del contenuto evita l’effetto “spatafiata” o “sarchiapone” dando un’architettura più strutturata al dialogo. L’obiettivo è ovviamente il miglioramento non la repressione. Anche sicuramente qualcuno ha idee diverse e migliori.
Caro Roberto ti appoggio, ma l’avevo già proposto io tempo fa: limite di caratteri e di numero di interventi al giorno.
Sarebbe una mano santa!
X 73. Interessante il nickname che ti sei scelto. Immagino testimonianza autobiografica. In tutti i blog ci possono essere fenomeni di ridonzanza. È implicito nello strumento che garantisce, a differenza delle lettere ai giornali del passato, un accesso libero, senza filtri redazionali, tranne le violazioni evidenti di regole di base. E questo è il suo bello come si dice dalle mie parti. La limitazione dei caratteri ha tuttavia, a mio parere personale basato sull’osservazione, un effetto di autoregolazione contenitiva che può essere positivo ai fini della qualità della comunicazione e del clima. Per questo lo ripropongo una seconda volta, anche se “vox clamantis in deserto”. Anche Armani dice sempre : “L’eleganza si ottiene con il togliere, non con il mettere”. (A dire la verità, diceva qualcosa di simile rispetto alla scrittura anche il mio vecchio professore al liceo classico Carlo Alberto, in una città piemontese di provincia). Cerea.
“Evita di ricaderci, sappi che non gradisco e non la lascio passare indenne.”
Paurissssssima!!
Questo blog ormai si legge solo più per vedere fino a che punto si spinge CC. Rivendicando una « leadership schiacciante » ai tempi dell’asilo il picco sarà stato raggiunto? A parte il concetto (vabbè), è l’uso dell’aggettivo « schiacciante » a sublimare il tutto. Povero liceo D’Azeglio.
Ma quale Censura Crovella? Di cosa parli? Ma cosa dici?
La rottura di palle non è dovuta ai concetti, che io non condivido ma che sei liberissimo di esprimere. E’ dovuta al continuo ripropinare il tuo curriculum in ogni intervento al tuo continuo io..io..io.io…
E se tu sei libero di continuare a ripeterti io sono libero di dire che questo tuo metodo è semplicemente ridicolo e stressante.
Ho capito che ti hanno insegnato che una pubblicità ripetuta all’infinito ti spinge a comprare un prodotto e che una mediocre canzone passata di continuo sui canali radio alla lunga divrenta una hit. Anzi mi correggo, sicuramente avrai ideato tu tali metodi e li avrai insergnati ai più grandi menager mondiali.
Ma io da anni non ho ne’ antenna ne’ decoder, ascolto solo la musica che mi piace e non seguo le mode…quindi con me i tuoi metodi non attaccano e mi infastidisce molto che vengono usati continuamente in uno spazio come questo.
Esercito quindi il mio diritto di cercare di migliorare l’ambiente dove vivo e ti ripeto apertamente che i tuoi metodi hanno rotto le palle!!
P.S. potrei anche parlare delle tue velate minacce di cosa ci accadrebbe se tu diventassi capo si stato….ma stiamo veramente scadendo nel ridicolo…
Ripigliati!!! (come si dice dalle mie parti….o i sabaudi avranno inventato anche il vernacolo toscano?)
Il governo Renzi aveva proposto a Baricco il ministero della cultura e lui declinò .
Ogni aspirazione è bello che prenda corpo, ma l’aspetto dittatoriale di come ci si propone fa un po’ paura. Ricorda tempi drammatici.
Se tra 15 anni arriverai a palazzo Chigi (a te lo auguro, a me/noi, no) rimpinguerai le fila degli ultrasettantenni che occupano posti che andrebbero lasciati a gente un po’ più giovane.
Comunque: only change endures.
Per chiarezza. Io partecipo solo ad un altro blog: lavoce.it diretto da Tito Boeri. In quel caso c’è un limite di caratteri. Conoscendolo, non credo che Tito lo abbia fatto per ragioni di censura. È una scelta del fondatore/ispiratore per favorire la comunicazione, non ostacolarla. Come tutte le scelte, è discutibile nei suoi effetti.Non penso sia maleducazione proporlo, alla luce di come ognuno percepisce l’evoluzione del blog e il il possibile miglioramento della sua efficacia. Poi giustamente e legittimamente sta al “padrone di casa” decidere e ogni decisione va rispettata, anche se magari non condivisa. Tutto qui. Sine ira et studio.
@68 certo che, se un comune cittadino (quale sono io), deve ipotizzare di tirarsi su le maniche in prima persona per vedere questo Paese governato come si deve, siamo davvero alla canna del gas. Ma per il fallimento dei cosiddetti “politici”, non perché le mie idee appaiono bislacche a te.
Ma temo che tu abbia poco da ridere, qualora mai io dovessi arrivare davvero a Palazzo Chigi (e perché no? In fondo 5 anni fa nessuno sapeva chi fosse il “cittadino” Giuseppe Conte…).
Ovviamente posso vantare esperienze gestionali che vanno ben oltre quella della Scuola di scialpinismo (peraltro molto formativa in questo senso, non fosse che per i numeri che la caratterizzavano). Inoltre vanto una continuità di impegno, che io definisco civile più che politico in senso stretto (sono impegnato – gratis – a livello di circoscrizione cittadina, non mi dilungo nei particolari). Infine sto valutando un coinvolgimento nello staff per la campagna elettorale per le elezioni comunali a Torino. Non sarò fra i candidati, ma nello staff organizzativo e non occuperò certo il ruolo di responsabile della campagna: però è un primo passo nel mondo politico. Chissà, magari fra 15 anni sarò a Palazzo Chigi. Vedremo. Fossi in voi, non riderei molto. Buona giornata a tutti!
@64 certo che puoi esprimere le tue idee, ma altrettanto posso io. Non ci possono essere paletti, né nei contenuti né nelle dimensioni e nella ripetitività
Però il concetto di disintegrazione gonadi invece lo contesto apertamente, perché è molto borderline. Nel senso che se vale il “fastidio” di questo o di quel lettore (o anche di un gruppo nutrito di lettori) come variabile per decidere chi e quanto può esprimersi, allora siamo in un contesto di censura obliqua e ipocrita.
Se dici a parole: “mi stai rompendo le palle, ergo non parlare più!”, in realtà stai dicendo implicitamente: “Mi disgusta quello che dici, ergo non dirlo più”. Questa è censura. Chi ha stabilito che le tue idee sono più “sante” di quelle altrui? Inoltre poteri pretendere anche io la stessa cosa da molti di voi.
Sui muri di una città abbandonata dopo l’esaurimento della “febbre dell’oro”, vicino all’ingresso di Yosemite sul lato di Tuolumne Meadows ho visto scritto sul muro di una casa: Only change endures. Solo il mutamento dura.
Sempre è successo, sempre succederà. Solo che ora il cambiamento pare accelerare, ma quando mio padre è nato non esistevano gli aerei, quando aveva solo 60 anni l’uomo era già andato sulla Luna.
E giacché ci sono dirò che Baricco luccica, ma non è sempre oro
Roberto se riesco a fuggire dalla mia Toscana, come fece il ghibellin fuggiasco, che la perfida Albione ha rivelato essere un traditore e copione, approfitterò volentieri della tua offerta.
Anche perchè dura sará la reprimenda nei confronti della mia Firenze che usurpò il ruolo di capitale alla cittá natia del novello reggente ( per non usare altro termine).
Che la sorte ci sia propizia.
Grazie Simone del saggio suggerimento. Come puoi immaginare, da qualche ora vivo nel terrore e nell’angoscia. Ormai il Covid, che mi ha portato via due compagni di mare e di montagna, e la coppia di strerminatori di anziani Fontana e Tristizia Moratti mi appaiono quasi una liberazione di fronte alla prospettiva della pena mediante l’immersione nel cioccolato Peirano bollente. Per fortuna i miei parenti sopravvissuti, quando ero ragazzino, mi trasferirono la loro esperienza di fuga nella Val Grande ossolana e di li’ in Svizzera. Pensavano mi sarebbe potuto servire in caso di colpo di stato. Come avevano ragione. Se vuoi venire con me, al momento giusto fammi sapere, ancora mi ricordo dove si passa senza farsi beccare. Amico mio, nulla ci è risparmiato. Aurevoire. E sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re, al ricco e al cardinale che diventan tristi quando noi piangiam…..
C’è da contorcersi dal ridere.
Quando uno si propone alla guida del governo perché ha esercitato la sua leadership in una scuola del Cai e ce lo continua pure a propinare scaldandosi, siamo alla canna del gas.
Mi viene spontanea una proporzione
Il nostro sta a Mario Draghi come Baden Powell sta a Joe Biden.
Buonanotte.
59. Non so dove ti informi di solito, ma se vai qui
https://lab24.ilsole24ore.com/numeri-vaccini-italia-mondo/#
e qui
https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/#
trovi dati a sufficienza e oltre, se sfrutti tutte le possibilità offerte, per giocare con i numeri.
Caro Pasini sei un privilegiato.
Hai avuto la fortuna di essere stato avvertito e di poter procedere con un esilio volontario.
Se cosí non fosse, quando l’ organigramma dell’ aula sabauda del glorioso CAI Torino salirá al potere, sotto la ferrea guida del suo più cazzuto presidente….espierari le tue giuste pene in un gulag del Molise.
Approfitta ordunque e disperdi le tue tracce.
Addio!!
Carlo, potremo ancora esprimere la nostra opinione? Anche le critiche? il dissenso? i malumori? l’insofferenza? un leggerissimo accenno di disintegrazione gonadi?
Beninteso, non offese. Tutt’al piú un pizzico di ironia. Solo per strappare un sorriso, ché di questi tempi è già tanto.
Grazie. Con rispetto.
@53 anticipavo un’eventuale riproposizione del tuo tentativo (completamente infondato) di diagnosi che hai fatto tempo fa. Non ricordi? meglio così. Evita di ricaderci, sappi che non gradisco e non la lascio passare indenne. In ogni caso non ho nessun problema personale, mai avuti.
Se il Paese fosse stato in mano mia, già un annetto fa (come annunciato anche qui sul Blog) avrei messo l’esercito per strada con una dittatura alla cinese e in un anno ci saremmo ripuliti dal Covid anche prima dei vaccini. Invece abbiamo vissuto il 2020 con fatica sia sanitaria che economica e ora siamo sulle ginocchia e faticheremo tutto il 2021 e forse metà 2022, ma magari anche oltre chissà… Tutto questo sacrificio è stato fatto sull’altare dei diritti costituzionali di spostamento, che poi in modo obliquo sono stati cmq intaccati. Si tratta di discorsi già fatti, inutile riproporli. La vera intelligenza sarebbe stata capire un anno fa e agire di conseguenza, anziché perdere tempo in questioni superficiali.
Guarda caso Draghi ha nominato un generale degli alpini: vedremo se saprà gestire le cose in modo militaresco. Dubito, non per sua incapacità, ma perché gli metteranno infiniti bastoni fra le ruote. Il popolo italiano NON vuole cambiare e piuttosto preferisce rischiare di morire di Covid e addirittura rischiare l’estinzione culturale (di fronte ai nuovi popoli che approfitteranno della crisi economica in cui verserà il nostro paese, comperando immobili e aziende per un tozzo di pane).
Ah, dimenticavo il mio vecchio pallino dei dati non comunicati, falsi o carenti che continua a caratterizzare tutta la comunicazione riguardante Covid e vaccini.
Che è l’esatto contrario di un approccio seriamente scientifico e che sembra fatta apposta per terrorizzarci tutti.
invece di San Draghi, facciamo San Crovella.
Chi sà…?? magari Crovella e tra i consiglieri di Draghi e non lo sappiamo.
A me sembra che Baricco punti il dito su un problema reale (e forse il vero problema), che lo faccia piuttosto bene e che sia assolutamente condivisibile quello che dice.
Provo a parafrasare.
Il metodo per evitare di prendere il Covid c’è, esiste.
Io lo conosco.
E’ anche semplice da applicare e alla portata di tutti: basta smettere di respirare.
Certo, ci sono alcune controindicazioni…
Siamo sicuri di non star applicando una “cura” peggiore del “male”?
Siamo sicuri che non ci sia una forza, un interesse per il quale la “cura peggiore del male” è in realtà il concretizzarsi di una buona e desiderabile opportunità?
Qualcuna sa dirmi che senso ha chiudere le scuole (quando i ragazzi non hanno nulla da temere) ma vaccinare i professori?
E farlo con vaccini che non escludono assolutamente il contagio ma attenuano gli effetti evitando le complicazioni?
O i poliziotti prima degli ottantenni (che sono praticamente gli unici che rischiano realmente?)
Ma anche a cosa serve tenere ai domiciliari tutta Italia (colpendo sopratutto il tempo libero, peraltro), ma non preoccuparsi che per lavorare i genitori lascino i bambini ai nonni?
Ma come mai visto cotanto curriculum così a lungo sbandierato non hanno pensato a chiamare alla guida del paese un innato leader come Crovella invece di un Draghi qualunque? Ci avrebbe condotti in men che non si dica fuori da questo immenso crepaccio.
Caro signor Crovella continueremo imperterriti a ribattere ai suoi logorroici interventi finchè Lei continuerà a fracassarci i coglioni con il suo innato e narcisistico bisogno di proclamare le sue presunte doti….e se questo le causa fastidio…non ci legga!!
Alberto. Guru pericolosi soprattutto per fidanzati e mariti, vista la capacità di attrazione e lo strepitoso successo (tutta invidia! ) con signore e signorine, madame e madamine, sciure e sciurete , per non parlare dell’altra sponda del fiume….che sempre allegri bisogna stare?
i GURU lasciamo da parte che sono pericolosi.
Crovella guarda che qui non si parla di te e dei tuoi presunti problemi personali e non si fanno diagnosi o terapie. Ci mancherebbe. Tutti abbiamo i nostri e ce li teniamo per altre sedi. Non mescolare pubblico e privato. Qua si parla di posizioni, di tesi, di schemi interpretativi della realtà: quindi tuttalpiù di ‘“peccati” e non di “peccatori”. Easy dunque, nessuno mette in discussione nessuno sul piano personale. A volte è successo ( e non riapro la ferita) ma è stata una brutta cosa.
pS. Mi sono letto le tre puntate disponibili sul Post. Non c’è bisogno di aspettare. Confermo il mio giudizio soggettivo e personale. Ma non sono l’unico a pensarla così. Guardare in rete in proposito. Quando filosofeggia, Baricco si dimostra un classico filosofo che il mio maestro chiamava boulevardier, arguto, astuto , affascinante e seduttivo, brillante e abile nel mescolare temi alla moda e problemi reali, frizzante come un aperitivo ma che poi, alla fine, lascia un retrogusto leggero di bollicine. Ovviamente l’esercizio della critica è sempre molto parziale. Magari per altri è un guru. È il bello della diversità dei gusti.
@45 Spiego a tutti (non al solo 45) e NON per alimentare ulteriormente la polemica bensì solo per chiarire un punto cardine che mi pare non riusciate proprio a comprendere. Però è bene che interiorizzate definitivamente tale punto, altrimenti ogni volta si innescano le solite tiritere. Chiarisco definitivamente, poi lo mettiamo agli atti e non ci torniamo più sopra.
Cioè: non è che io, nella mia vita, “separo” ragione e sentimento (testa e pancia le chiamo io), è che proprio in me la “pancia” NON esiste minimamente. Non è mai esistita fin dall’origine, salvo forse piccoli sprazzi (come ad esempio quando scio, lì affiora un po’ di passione all’Afrodite, per il resto solo Atena).
Di conseguenza: vivo esclusivamente di testa, lavoro esclusivamente di testa, vado in montagna esclusivamente di testa, mi comporto verso gli altri individui esclusivamente di testa, in famiglia agisco esclusivamente di testa (mia moglie è infinitamente più dura di me, i miei figli lo sono altrettanto sia per DNA che per clima educativo in cui sono nati e cresciuti).
Non c’è una causa esogena che abbia determinato questa mia natura, cioè non c’è un trauma, fisico o emotivo, una situazione particolare, uno stress insostenibile. No, niente di tutto ciò: semplicemente questa è la mia natura strutturale.
Quindi è del tutto infondata ogni eventuale diagnosi, come si azzarda qualche formatore psicologo) di una malattia che mi condiziona. Nessuna malattia. E’ la mia personalità, è la mia natura. Punto.
Infatti sono così da sempre. Mia madre mi raccontava che già all’asilo esprimevo una leadership schiacciante. Addirittura le maestre faticavano a tenermi testa. Dell’asilo non ho ricordi personali. Ma dalle elementari in poi sì, perfettamente chiari. Ho sempre assunto innate posizioni di leadership, nel bene e nel male. Per esempio alle elementari ero il redattore del giornalino di classe, che stampavamo con il ciclostile (quello dei volantini politici dell’epoca…), e mi comportavo già allora come si comporta un direttore di giornale da adulto (tra l’altro il giornalino era tutt’altro che una cosa da immaturi: organizzavo articoli di inchiesta – è proprio il caso di usare questa definizione – su argomenti della suola e del quartiere). Avevo quindi meno di 10 anni. Tralascio il seguito, dalle medie al liceo, all’università ecc. Il trend si è sviluppato in modo coerente.
Lo stesso è accaduto in montagna. Non sto a farvi il resoconto di tutti questi decenni, se interessati lo potete seguire anche tramite i miei articoli, sia pubblicati qui che su altre testate. Mi limito solo ad un episodio che considero sintomatico del mio andare in montagna “di testa”: a 21 anni scarsi (appena entrato nell’organico istruttori) sono stato l’organizzatore e il responsabile dell’uscita di fine stagione durante la quale ho condotto 27 persone (20 in punta) sul Monte Bianco con gli sci dai Grands Mulets. Ho organizzato sia l’aspetto tecnico che quello logistico (prenotazioni, composizione cordate, supervisione sul terreno ecc). Il percorso NON è estremo, ma portare così tante persone in alta quota e riportarle giù tutte sane implica un modus operandi e un modus vivendi che non possono minimamente prevedere la “pancia”. Tra l’altro in piena notte un francese (slegato, anche se cliente di una guida!) scivola davanti a noi e si imbuca in un crepaccio. Per cui ci siamo fermati e, facendomi aiutare dai mie collaboratori, abbiamo montato (al buio completo) una sosta su ghiaccio e neve (quindi sia chiodi che sci e piccozze piantate), abbiamo organizzato il paranco e l’abbiamo tirato fuori. La sua guida francese manco si è accorta di averlo “perso” e non si è neppure degnata di ringraziare.
A 24 anni e pochi mesi sono stato nominato Direttore di una delle più prestigiose scuole (di scialpinismo) che, al tempo, prevedeva uscite di 200 persone abbondanti (in lieve calo a 150-170 sul fine corso, in rifugio e su ghiacciaio). Gestire 200 persone su terreno innevato, potenzialmente mortale ad ogni metro per il rischio valanghe, significa inevitabilmente avere una visione “di testa” e non di pancia. Se vai di pancia con 200 persone (affidate a te, anche se con una valido team di collaboratori) prima o poi le porti a sbattere. Tra l’altro allora con la scuola si facevano gite tecnicamente impegnative, per esempio delle traversate, magari con più ripelli e quindi “obbligo” di portare tutti e 200 ai pullman che erano in una valle completamente differente da quella di partenza… in alcuni casi ci siamo impegnati in itinerari mai percorsi in precedenza da scialpinisti o cmq mai relazionati. Non sono stato l’unico direttore di tale scuola tutti sono stati molto efficaci e capaci, ma ci sono stato anche io. A 24-26 anni. Da lì poi tutto il resto della mia esperienza in montagna.
Quindi cortesemente mettete agli atti una volta per sempre che la mia personalità ha queste caratteristiche, che le esprimo da che sono nato, che esse contraddistinguono tutta la mia esistenza, dal lavoro, alla famiglia, giù giù fino all’andar in montagna.
Essendo un individuo di sola testa (Atena), inevitabilmente disprezzo il clima emotivo di pancia (il latte & miele come l’ho chiamata in altre occasioni) da chiunque sia espresso e in qualsiasi contesto venga e di conseguenza tendo a disprezzare tutti coloro che invece vi si rotolano.
Non nego lo spazio di espressione a nessuno, quindi neppure a chi ha visioni diametralmente opposte alla mia, ma esigo però che si rispetti indiscutibilmente lo stesso diritto anche nei mie confronti. Da parte di tutti. E senza continuamente rompere le palle. Mi sto rivolgendo in generale e non necessariamente a specifici soggetti (che rientrano nella platea complessiva)
Chi sa già che trova disgustosi i miei interventi (che siano articoli o commenti) per il contenuto, le tesi esposte, lo spirito, la visione e, last but non least, per la lunghezza logorroica, può fare che saltarli a piè pari, come ho suggerito da mesi e mesi. Il concetto non è einsteiniano, per cui cercate gentilmente di metabolizzarlo.
Infine: non essendoci divieti di contribuzione al Blog a carico specifico dei soggetti con personalità di sola testa, non è fondata alcuna richiesta, più o meno velata, più o meno trasversale, di censurarmi, nemmeno se proveniente da formatori-psicologi che evidentemente si rifanno a linee di pensiero addirittura opposte alle mie (io di gente ne ho formata a migliaia, sia in montagna che nel mondo del lavoro, e i feedback sono sempre di gratitudine e di ringraziamento per l’opera che ho svolto in tal senso).
Coloro i quali non mi apprezzano lo hanno espresso fin troppe volte, non si arricchisce il dibattito a ripeterlo ogni volta. Tanto io non cambio. Anche volessi (e non voglio), non potrei, perché questa è la mia natura.
Absit iniuria verbis, ma per gentilezza cercate TUTTI di non farmi più tornare su questi punti. Buona giornata.
Ho letto “novecentesca” come analogica e la successiva come digitale.
Temo che le prossime generazioni definitivamente orfane delle modalità di vita analogiche, o a misura d’uomo, non avranno altro cui riferirsi che la modalità digitale, a misura di efficienza/sudditanza/alienazione in misura moltiplicata rispetto a prima.
La societa dello spettacolo già conclamato per noi, sarà il solo ambito di direzione del pensiero.
In piccole enclave, probabilmente tra loro isolate, resisterà la critica al progresso di matrice tecnologica, di altro dall’uomo.
Qualcuno torverà anche un nome in cui rinchiudere quei nostalgici disadattati.
Personalmente, nel mio piccolo, quando vado in montagna cerco di andarci sia con la testa che con il cuore (la pancia la tacito facilmente con una buona colazione 🙂 ).
Con la testa perché alla fine gradirei tornare a casa, e col cuore perchè altrimenti in montagna non ci andrei affatto.
E, poi, che senso avrebbe vivere le nostre esperienze di montagna limitandole a una sola parte di noi stessi ?
Mi pare, tuttavia, che l’articolo di Baricco non insista più che tanto sulla presunta dicotomia ragione/emozione.
Con la pandemia tratteggiata sullo sfondo, Baricco (si) pone la domanda se esista un modo completamente diverso di approcciare i problemi rispetto a quello adottato da ciò che lui chiama “intelligenza novecentesca”. Una intelligenza possibilmente migliore (nel senso di “più adatta alle sfide che ci aspettano”).
Qualcosa, mi par di capire, di trasversale, che rimetta in gioco tutti quei pezzi che la c.d. “intelligenza novecentesca” ha già deciso da tempo di sacrificare e che, dal cul-de-sac in cui essa stessa si è posta e del quale nemmeno è consapevole, non può più recuperare (“there is no alternative”).
La domanda mi pare ben più che lecita: doverosa, oserei dire.
Vedremo quale altre considerazioni metterà in campo nelle prossime puntate e se questa domanda alla fine avrà una possibile risposta.
Merlo. Mi fai torto. Certo che è roba antica. E che si tratta del dualismo mente/corpo. E che le neuroscienze esprimono sulla base di evidenze ottenibili oggi intuizioni filosofiche dalle lontane radici. Ma era funzionale a confutare il fondamento della continua e reiterata fondazione di distinzioni sociologiche/umane/morali/antropologiche fondate su pancia e ragione che ha raggiunto il suo apice nella discussione su Valentina. Ma lasciamo perdere. È troppo difficile per me comunicare con questo strumento. Mi è quasi più facile cercare di contenere la decadenza in montagna.
ERRATA CORRIGE
1) Il dualismo cartesiano emozione / ragione è stato superato dalle neuroscienze moderne già alla fine del secolo scorso: cfr Antonio Damasio, L’errore di Cartesio2) ma almeno un po’ di modestia e di documentazione3) “pasticcere fai il tuo mestiere”Fatico a coniugare questi punti.La critica al cosiddetto dualismo cartesiano di stampo occidentale è in campo da ben prima di Damasio.Le cosiddette neuroscienze se ne arrogano – in senso stretto – da buoni scientisti la scoperta e il superamento.Come in altre occasioni non dimostrano di conoscere – leggi negano – ciò che le tradizioni millenarie dell’est e dell’ovest hanno da sempre affermato.La separazione della mente (pensiero) dal corpo (materia)– e non ragione e sentimento –, considerarli Due separate entità è all’origine di una concezione del mondo, della realtà e dell’uomo da molti criticata, alcuni, in modo consistente, ne vedono invece il vertice della supremazia del pensiero come creatore del mondo, in quanto modulato dai sentimenti e dalle emozioni che lo emettono. Un aspetto che è al centro dello studio delle neuroscienze.
si Roberto è gergo aziendale. Un gergo che a me da molto fastidio perchè equipara le persone a degli oggetti.
quanto alla testa e alla pancia mi associo a Cominetti. Ottimo l’esempio dell’arrampicata.
Di solito di chi sbaglia nel fare qualcosa si dice che ragiona con i piedi. Ma in arrampicata chi usa i piedi bene, arrampica bene perchè ha tecnica!! Ma è anche vero che il piede sta dove la mano tiene. Quindi testa e pancia, razionalità ed emozioni.
Al di là di filosofi ed epoche, il separare la ragione dal sentimento (o la pancia dalla testa) nell’agire quotidiano e in alpinismo, lo ritengo una mancata occasione di vivere pienamente le cose della vita. Addirittura considererei proprio il “saper vivere” come l’espressione massima del continuo bilanciarsi al nostro interno, di questi due risvolti di ognuno di noi stessi.
Come quando osservando una persona arrampicare, a volte sembra che i piedi non le appartengano, viene da pensare che al suo interno non vi siano collegamenti tra organi e muscoli ma solo nette separazioni decise tempo addietro da chissà quali eventi formativi. Di contro si può osservare una certa armonia di movimento in chi riesce istintivamente a usare cuore e cervello (una delle tante espressioni per definire pancia e testa, emozione e ragione, ecc) nelle giuste dosi necessarie momento per momento.
Ho citato l’arrampicata perché, oltre a conoscerla, credo che essendo un’attività che mette istantaneamente a confronto chi la pratica con la morte (paura di cadere anche istintiva), possa essere un esempio di alto contenuto emotivo non presente in altre attività in cui l’emozione, essendo legata a elementi che non sono la morte, interviene in modo minore.
Concludo RI-tirando fuori la sfruttata espressione “montagna scuola di vita” da molti, me compreso, ritenuta infondata, per utilizzarne il significato pratico e istantaneo di scuola di vita contrapposto a scuola di morte, per i motivi di cui sopra. E ora vado al cesso.
1) Il dualismo cartesiano emozione / ragione è stato superato dalle neuroscienze moderne già alla fine del secolo scorso: cfr Antonio Damasio, L’errore di Cartesio
2) ma almeno un po’ di modestia e di documentazione
3) “pasticcere fai il tuo mestiere”
Fatico a coniugare questi punti.
La critica al cosiddetto dualismo cartesiano di stampo occidentale è in campo da ben prima di Damasio.
Le cosiddette neuroscienze se ne arrogano – in senso stresso – da buoni scientisti la scoperta e il superamento.
Come in altre occasioni non dimostrano di conoscere – leggi negano – ciò che le tradizioni millenarie dell’est e dell’ovest hanno da sempre affermato.
La separazione della mente (pensiero) dal corpo (materia)– e non ragione e sentimento –, considerarli Due separate entità è all’origine di una concezione del mondo, della realtà e dell’uomo da molti criticata, alcuni, in modo consistente, ne vedono invece il vertice della supremazia del pensiero come creatore del mondo.
In quanto modulato dai sentimenti e dalle emozioni che lo emmettono. Un aspetto che è al centro dello studio delle neuroscienze.
Alberto, è gergo aziendale, etichette descrittive: una volta si diceva personale, poi copiando dagli americani si è detto Risorse Umane. Io ho sempre preferito Persone. Le tue considerazioni sulla tolleranza più o meno elevata di una categoria probabilmente nascono da esperienze personali. Nel mio lavoro ho conosciuto categorie professionali le più disparate: dai CEO delle multinazionali, ai primari ospedalieri, ai minatori sardi. Sempre difficile generalizzare. Molto dipende dagli individui. Buona notte e sogni d’oro.
Il termine RISORSE UMANE mi fa incazzare
Rifacendomi a
Mi viene da dire che i formatori non sono molto tolleranti.
Alberto non so bene cosa c’entri con la discussione ma per tua informazione e per evitare equivoci. Ho una Laurea in Filosofia e una specializzazione in Psicologia del lavoro (quando mi sono iscritto all’università non esisteva la Facoltà di Psicologia). Dopo due anni come ricercatore al CNR mi sono occupato per piu di 40 anni di gestione e sviluppo delle cosiddette risorse umane nelle organizzazioni ( ho sempre preferito “persone”). Ho fatto prima l’operativo e poi il consulente in una multinazionale della consulenza. La formazione manageriale ha rappresentato il 30% della mia attività professionale. Ciao.
Pasini , se non ricordo male, di professione faceva il formatore.
34) Roberto, ho letto e apprezzato molte volte i tuoi interventi ma stavolta percepisco un disagio che mi vien da dire “fatti un giro che ti passa”.
Io partecipo a questo blog con grande serenità d’animo. Può darsi che a volte dica delle cazzate ma mi piacerebbe sapere chi sia immune dal dirle vista la varietà degli argomenti trattati.
A dire il vero ho il sospetto che tu non me la stia raccontando giusta però rispetto la privacy e poi, detta come va detta, non sono fatti miei.
Un po’ però mi dispiace, pensavo che sotto l’ironia dei tuoi commenti ci fosse maggiore tolleranza.
Esiste la sacrosanta libertà di essere “ignoranti” e di esprimere la propria “ignoranza” su argomenti che non si conoscono adeguatamente e di costruirci sopra dei modelli interpretativi basati su premesse inconsistenti. Ci mancherebbe. Non tutti ne sono orgogliosi. Io della mia ignoranza in molte cose non lo sono e non smetto di imparare con umiltà e di documentarmi da chi ne sa più di me prima di parlare ma ognuno si regola a suo modo. The End.
Per chi è curioso di capire cosa sia e quanto puzzi il seirasso:
https://testicanzoni.rockol.it/testi/gipo-farassino-l-tole-d-civass-36186927
Mi costringete sempre a ripeterti quanto ho già detto mille volte. In anzi tutto che anche le “interpretazioni prive di senso” hanno diritto di manifestarsi, sennò si entra in un modello di censura strisciante. Ciò che per te è privo di senso, per me è assolutamente fondato, altrimenti non lo esprimerei. Quindi inserire un “controllo” sul contenuto e’ un modo obliquo di fare censura. Inoltre la lunghezza dei testi non c’entra nulla, è del tutto scorrelata al piacere o meno che suscita il contenuto del testi nei lettori. Se un testo ti piace come contenuto, ti piace anche se e’ lungo. Altrimenti dovresti dire che La ricerca del tempo perduto (9 volumi in originale esteso) fa schifo per definizione. Inoltre ognuno ha il suo stile. Io scrivo “tanto”, è il mio stile cosi’ come Proust aveva il suo. I miei 4 romanzi si aggirano sulle 250-300 pagine ciascuno. Non scrivo mai articoli inferiori alle 5 cartelle. La questione è come il seirasso – cantava Gipo Frassino – c’e’ chi ci fa schifo e chi ne va pazzo… Introdurre le più svariate regole arbitrarie rischia di essere un paravento ipocrita per effettue una censura obliqua. Ci può stare che vengano inseriti dei plafond ma solo se lo decide il “padron di casa”. Discutibile invece che si alzino a pretenderlo, o quanto meno a sostenerlo, questi o quei lettori. Siamo tutti ospiti del padron di casa e quindi nessuno può avanzare pretese o altro. Sennò io mi metto a dire che i pasticcieri in pensione è meglio che la smettano di fare i bigne’ perché fan venire il latte alle ginocchia… a buon intenditor, poche parole. Buona notte
Antonio Arioti. Hai colto con ragione un accento polemico. Il pezzo di Baricco, a differenza di quello dello storico israeliano Harari, mi ha ricordato un’antica espressione che si usava in un certo mondo :“mosca cocchiera”per indicare quegli intellettuali che divagavano mentre il bue tirava il carro con fatica. Primum vivere, deinde…..Eredità stalinista? Può essere. Magari la mia valutazione del pezzo è sbagliata e troppo soggettiva, in tal caso, come ho detto, mi scuso. Sul tema della competenza, non penso assolutamente che non ci si debba esprimere su temi che non si maneggiano professionalmente (anche se penso che si dovrebbero limitare i caratteri come fanno altri blog). È il modo di intervenire che fa la differenza. Non c’è bisogno di tenere il cappello in mano di fronte all’esperto come fece Renzo di fronte ad Azzeccagarbugli, ma almeno un po’ di modestia e di documentazione. Nella discussione sul Tu e il Lei, bastava ad esempio documentarsi sull’uso di questa forma nella storia della lingua italiana e prima nel latino e nel greco e ad esempio in Dante, che ha posto le basi della nostra lingua, per capire che certe affermazioni intepretative sono prive di senso. Così parlare negli anni venti di questo secolo di dualismo cartesiano ragione e sentimento come schema interpretativo di molte realtà umane sarebbe come parlare di malattia Covid senza conoscere come funzionano i virus. Non c’è bisogno di laurearsi in medicina ma basta leggersi il libricino di Mantovani im vendita a 12€ col Corriere prima di parlare. Ma la logica “sfogatoria” dei social è diversa e tende a trasformarli in luoghi di spurgo più che di dialogo e a creare dipendenza e ripetizione. Provate come ho fatto io una sera a guardare un po’ di interventi in archivio a partire dal 2013. Per questo ho deciso dopo un anno di starne lontano, salvo incursioni come l’attuale.
@30: basta saltare a pie’ pari i testi sgraditi. Guarda inoltre che ci sono tantissimi lettori che, per i più diversi motivi, non amano lasciare commenti ma che, in corrispondenze dirette con me, si congratulato e apprezzano che ci siano anche interventi come i miei. A volte si tratta di persone che conosco per la prima volta e a volte si tratta di persone con le quali esiste già una conoscenza personale magari di lunga data (in ogni caso se ti citassi alcuni nomi, faresti un salto sulla sedia per lo stupore…).
@31: concordo sul principio che se ci si può esprimere solo al seguito di specifica preparazione (“pasticciere”), tanto vale cancellare lo spazio dei commenti. A quel punto tanto vale pubblicare solo gli articoli, come fosse una rivista. È una scelta, ma di competenza del solo Alessandro Gogna.
Ehm… da razionalista convinto (e soprattutto esclusivo), temo che per noi europei puntare in futuro sulle emozioni sia davvero un azzardo. Se il futuro post Covid sarà davvero quello che io pavento, fatto di giovani cinesi, indiani, coreani e in un dopodomani africani, tutti preparatissimi, coriacei e “cazzutissimi”, proprio perché emersi da contesti duri e spietati dei loro paesi di origine, occorrerà essere molto robusti su tale fronte. Non credo che saranno le emozioni che salveranno l’Europa.
Per la forma mentis che mi contraddistingue, la nuova intelligenza di cui abbiamo bisogno dovrebbe essere incentrata sul lavoro, o meglio sul piacere dell’impegno professionale, a qualsiasi livello. Solo così ci dai dentro. Non è il profitto che dà la stessa forza, la stessa grinta. Oggi, a parte i non occupati (per scelta o per necessità), guardandomi in giro, fra gli occupati, registro principalmente individui che contano i minuti che li separano dal termine dell’orario. È in quello specifico cambio di paradigma che, a mio parere, si trova l’intelligenza di cui l’Europa avrà bisogno per continuare ad esistere. In caso contrario verrà stritolata: resterà sul piano geografico, ma Sara’una “cosa” completamente diversa dall’attuale. il rischio è che si disperderà, magari in 100 anni ma si disperderà, quella che è la bimillenaria cultura del nostro continente, quella che si usa chiamate la visione giudaico-cristiana (definizione che non ha nulla a che fare con la fede e con il frequentare sistematicamente la parrocchia).
29) Caro Roberto, ti leggo un po’ polemico.
Se il pasticcere dovesse fare il suo mestiere tanto varrebbe chiedere al buon Gogna di chiudere il blog.
Chiunque di noi avrebbe diritto di parola solo ed esclusivamente in merito a ciò di cui si occupa nella vita, preferibilmente a livello professionale.
Mi accodo a Simone Di Natale, in questo giro non ti capisco.
@Pasini Bisogna guardare avanti con curiosità e con spirito critico.
Concordo con te. Anche se certi interventi ridondanti e tautologici in maniera parossistica espressi a voce sarebbero assai peggio.
Peraltro ognuno è libero di esprimere quel che vuole, come qualcun altro è libero di dire che leggere lo stesso concetto espresso da 20 mesi ogni volta in 1200 parole può risultare neanche fastidioso, ma semplicemente ridicolo.
Ed è uno dei motivi per cui mi sono allontanato da questo blog
Appunto. A Milano si dice “pasticcere fai il tuo mestiere” ma nei social uno vale uno. A volte il mio inconscio (anche questo concetto demitizzato dalla sua aura misteriosa a 10o e più anni da Freud) mi ispira pensieri cattivi: la democrazia in certi casi è sopravvalutata.
27) Roberto
Si vede che indietro sono rimasti in parecchi.
Antonio. Solo per la cronaca. Il dualismo cartesiano emozione / ragione è stato superato dalle neuroscienze moderne già alla fine del secolo scorso: cfr Antonio Damasio, L’errore di Cartesio, 1995. Chi continua con questa teoria è rimasto un po’ indietro con la bibliografia, a quello che ha studiato al liceo probabilmente. Ma sono passati quaranta anni.
Capita che un articolo venga letto a pezzi, soffermandosi in particolare su determinati punti. D’altronde quello di fare lo spezzatino della realtà è una nostra prerogativa. A volte aiuta altre no, dipende cosa si vuole cogliere per importarlo poi nel quotidiano.
L’intelligenza novecentesca non esiste ma mi pare evidente che si tratti di una provocazione. Il punto è questo: come pensiamo di affrontare le sfide future? Con idee, modalità, mentalità vecchie o nuove?
So che non c’entra nulla con la pandemia ma quando leggo di neuroscienziati che si incapponiscono a cercare la coscienza in qualche remoto angolo del cervello colgo la necessità di un approccio nuovo, di una visione nuova.
Prendere coscienza di ciò non significa vivere nel mondo di Alice, l’istinto alla sorpavvivenza spinge ad avere comportamenti pratici e razionali. Il problema sorge quando per raggiungere l’obiettivo si dimentica che la vita non è solo una cima da conquistare.
La vita merita di essere vissuta e questo significa che ogni attimo dovrebbe essere affrontato con lo stesso spirito con cui Senna affrontava i gran premi e non con quello di Prost che faceva i calcoli per vincere il campionato del mondo. Oggi tutti si ricordano di Senna, compresi coloro che non l’hanno mai visto correre, mentre Prost viene ricordato solo dagli amanti delle statistiche.
La vita è prima di tutto emozione. Sull’altare della razionalità, per vivere il più a lungo possibile e soffrire di più (paradossale ma è così), stiamo sacrificando la nostra parte emozionale.
Quanto potrà andare avanti tutto questo? Perché se non finisce in tempo finiranno per prevalere le emozioni e non saranno certo quelle positive (cosa peraltro già accaduta in passato).
Quindi la chiave di lettura è questa. Bisogna trovare idee, forme e linguaggi che diano il giusto spazio tanto alla ragione quanto alle emozioni e questa sarà una sfida alla quale l’umanità non potrà sottrarsi.
Non mi dilungo a spiegare nel dettaglio la filosofia del rusco (tra l’altro sarebbe fuori tema rispetto al post cardine di oggi). Però è il mio pilastro ideologico di vita. E’ una specie di religione laica, di stampo calvinista. E’ probabilmente il pilastro cardine di quella che io chiamo la sabaudità (ecco perché chi non ha tale pilastro non è un vero sabaudo, a prescindere dal cognome o dall’estrazione sociale). E’ la filosofia di fare bene e a fondo il proprio lavoro e di farlo NON per profitto (il danè dei milanesi), ma per la soddisfazione stessa di aver fatto bene il proprio lavoro, il proprio dovere. Il guadagno viene da sé, non è l’obiettivo, è il sano compenso dio un sano modo di vivere. Ci saranno molti italiani che vivono e lavorano così anche in altre città, ma questa “filosofia” così diffusa è un marchio di fabbrica specifico di Torino.
Chi nasce e vive immerso in questo “senso del dovere” non può che avere questa visione per tutta la vita. Questo pilastro ideologico condiziona tutto il mio modo di vivere e di pensare, giungendo anche a plasmare risvolti assolutamente marginali e collaterali come l’andar in montagna (che per me è un hobby e non una scelta di vita).
Assolutamente legittimo avere altri paradigmi (=insieme di valori esistenziali), e vivere coerentemente con questi ed anche esprimerli liberamente, ma va accordato senza esitazione ogni diritto di espressione anche a chi è un “soldatino” (perché inevitabilmente ciò comporta la religione laica del dovere), anche se ciò appare manifestazione di provincialismo torinese (ma se fossi originario di Treviso o di Macerata o di Caserta, esprimerei una visione che è manifestazione di provincialismo trevigiano o maceratese o casertano… sono forse provincialismi più nobili di quello torinese?)
Più rilevante, ai fini dell’articolo, è forse una precisazione (che si lega alle considerazioni sul centro ricerche GM). Quando io, nelle valutazioni generali, parlo di nostri “figli e nipoti”, non faccio riferimento ai mie figli di sangue, ma alle complessive nuove generazioni italiane (o europee).
I miei figli sono attrezzatissimi, sotto ogni profilo, sia per impostazione che mia moglie ed io abbiamo dato loro sia per loro lucida convinzione personale. Hanno tutti i requisiti e al limite (a Covid oltrepassato) possono andare a lavorare a Londra o a Berlino o a New York senza alcuna difficoltà. Quindi io non sono preoccupato per i miei figli di sangue, ma per le migliaia di ragazzi italiani che, vuoi per un motivo vuoi per un altro, non hanno avuto la stessa fortuna dei mie figli in termini di “formazione personale” e di “preparazione” per il futuro. Questi io li vedo male di fronte ai prossimi ingegneri cinesi o indiani che lavorano pancia a terra per 10-12 ore, anche nei week end e senza protestare sul compenso…
Cominetti. Ci tengo a non passare per un censore codino e reazionario. Volevo solo dire che Baricco è un artista e il pregio degli artisti è l’intuizione, che mette insieme cose diverse che consentono di vedere prospettive che la sequenzialita’ logica di altri (sociologi, strorici, antropologi ) non percepisce. Questo è il loro valore aggiunto. A volte questo amalgama riesce bene, a volte meno. A me è sembrato che in questo pezzo l’amalgama non fosse riuscito bene e che potesse generare in questo momento più equivoci che chiarezze. Giudizio personale e soggettivo di lettore coinvolto emotivamente dalle serie e concrete difficoltà che stiamo affrontando, di tipo prevalentemente organizzativo e politico come dice Harari e in più legate alle “miserie” italiane e lombarde con il loro prezzo (vaccinate ragazze di 22 anni delle segreterie dell’università dove lavora mia moglie che non vedono e non vedranno mai uno studente). Tutto qui. Forse mi sono espresso male e mi scuso. Ciao.
Copio da Crovella: Per farmi capire, faccio un esempio concreto: nell’hinterland torinese la General Motors (GM) ha creato un centro ricerche molto avanzato, in essere già da un po’. E’ apparentemente un’ottima opportunità professionale – in territorio italiano, senza andare fino a Detroit – per i nostri figli ingegneri e informatici. Peccato che, a mio modesto parere, nei prossimi decenni i dipendenti saranno tutti presumibilmente cinesi, indiani, coreani e, successivamente, africani.
Sinceramente questo lo trovo bellissimo.
Infatti si sa che la pensiamo diversamente, ma per me che da 40 anni vivo per valli alpine dove sono visto come un “foresto” da sempre, la cosa mi colpisce. Poi tutto questo vantarsi di essere grandi lavoratori non l’ho mai capito. Sarà che preferisco lavorare il minimo per sopravvivere e avere tanto tempo per fare altro. Ricordo una signora bergamasca che aveva un’ impresa di pulizie individuale che girava con una bella macchinona piena di scope e aspirapolvere, che alla mia battuta “certo che si guadagna bene a fare le pulizie” mi rispose che lei lavorava 20 ore al giorno. Mi fece orrore e pensai (dicendoglielo e quasi litigandoci) che a guadagnare tanto lavorando tanto sono buoni tutti.
Poi sul fatto che Baricco dovrebbe limitarsi a fare lo scrittore non sono d’accordo. Personalmente lo apprezzo molto di più come saggista e filosofo perché i suoi libri non mi hanno mai fatto impazzire. Tra l’altro lo conosco di persona e trovo piacevole discorrere con lui ma non di romanzi! Quelli li lascio alle schiere di ragazzine liceali che sbavano per lui. Questione di gusti.
Tornando all’auto-lockdown di Crovella (non per contrarietà ma per esempio) e al suo muoversi a non più di 200 km da casa, si vede i frutti che da un simile ragionare. Massimo rispetto, ci mancherebbe. La mia vicina di casa di 93 anni è stata solo una volta in vita sua a Belluno (60km da qui) e poi non si è mai mossa, sta benissimo ma non impartisce lezioni di vita a nessuno spacciandole come alternative valide a tutti perché valide per lei.
Finisco ricordando che tutti i problemi di casa nostra vissuti di persona, attraverso la TV e i giornali, ecc. vengono ad alleggerirsi estremamente trascorrendo lunghi periodi lontano da casa, magari dall’altra parte del pianeta. Sinceramente, quello che più mi manca è quella sorta di DEPURAZIONE di cui godo quando me ne sto un paio di mesi dall’altra parte del globo da cui vedo casa con tutt’altro occhio. Fa benissimo, giuro!
E’ che bisognerebbe provarlo.
commento 21
“Pensa se alcune discussioni anche qui si fossero fatte con faccia e voce. Quante energie in meno sprecate”
Vien pure da farmi(farci?) un mea culpa per tutte quelle volte in cui abbiamo rinunciato ad “uscire di casa per entrare nel mondo”, presi da altre occupazioni , dalla pigrizia, da incombenze burocratiche o faccende domestiche ..o da ignavia procrastinante. Mai piu’ , in famiglia ci siamo ripromessi una ripresa a V…e procrastinazione piuttosto dell’ordinario. Vaccinazione e salute permettendo.
PS. Sempre per MG. A proposito di evoluzione culturale. Il mondo social sta evolvendo proprio per superare alcuni limiti comunicativi. Ci sono sviluppi verso la voce e l’immagine. Pensa se alcune discussioni anche qui si fossero fatte con faccia e voce. Quante energie in meno sprecate e quanti contenuti in più. La forma attuale dei blog è certamente “ tradizionale” ed è destinata ad evolvere a causa dei suoi limiti strutturali. Nelle ultime settimane ho fatto qualche esperienza interessante con Clubhouse ma siamo ancora agli esordi. Vedremo. Bisogna guardare avanti con curiosità e con spirito critico.
Ognuno esprime il contributo di cui è portatore per esperienza di vita personale. Essendo io un buon bougia-nen, da tempo immemore non mi sposto oltre i 150 km da casa mia (cittadina). Quindi di che dovrei parlare? Di Hong Kong (dove non ci andrei neppure se mi pagassero)?
In ogni caso, essendoci libertà di espressione, sia in generale nella vita nazionale sia nello specifico qui sul Blog, non comprendo perché le tesi “avverse” a certi lettori non dovrebbero avere diritto di essere manifestate. Dovete slegarvi dalla vostra simpatia/antipatia verso i singoli contributi e in particolare verso i singoli contributori. Non è che hanno diritto di parola solo quelli che dicono tesi che vi “piacciono”. Anzi, un vero appassionato di dibattiti valuta con maggior attenzione più le tesi antagoniste di quelle amiche. Per esempio, io leggo a tappeto i quotidiani di area riformista (chiamiamola così: Repubblica ecc, ci siamo capiti, ma anche Il Fatto quotidiano) piuttosto che Il Giornale. Leggere l’editoriale di Sallusti mi porta poco valore aggiunto: sostanzialmente dice quello che esprimerei io direttamente e che ho già pensato da solo nella mia testa. Viceversa leggere Gad Lerner o Travaglio o Massimo Giannini (dal passato “repubblicano” prima di ricoprire l’attuale ruolo di Direttore de La Stampa) e mille altri di quella schiera è cosa che mi fornisce infiniti spunti di riflessione. Non sono infastidito dalle tesi di costoro, anzi le analizzo con molta precisione.
Per cui sono basito che ci siano segnali di fastidio se le tesi esposte sul Blog non collimano con quelle di chi sta leggendo. Se questo è un “parlamento” e non un “organo di partito” (ho già spiegato la questione nei mesi scorsi) dovrebbe essere pacifico che c’è spazio per ogni idea, anche quelle che infastidiscono i lettori o, almeno, certi lettori. Ognuno mette l’ombelico del mondo dove gli fa piacere e occorre farsene una ragione. Buon pomeriggio a tutti!
MG. Forse non mi sono spiegato bene. Non era una censura o un rifiuto al pensare in grande e tantomento una elegia del provincialismo torinese. Ma va bene così. È lo strumento social che crea equivoci e ridondanze. È per questo che ho deciso di stare lontano dal dibattito e di limitarmi a segnalare ogni tanto qualcosa che mi sembra interessante. Ciao
Caro Pasini
preferivo la decisa ampiezza di respiro che avevi qualche mese fa. la riflessione su principi e letterati non le fa onore ( a quell’ampiezza…).
da che mondo è mondo artisti, scrittori poeti e visionari sono li per stimolare non per adempiere a un compito professionale
quanto a Torino e dintorni, è una realtà in cui ho passato molto tempo per ragioni professionali familiari sentimentali e alpinistiche.
conosco bene la realtà “sabauda’ e, pur amando torino per taluni aspetti, mi guarderei bene dall’indicarla continuamente come ina sorta di ombelico del mondo.
Ma a lè nen an prinsi? E alura, fasa il prinsi!
Carino, aneddoto molto “sabaudo” (che, come vedete, è concetto che non necessariamente ha a che fare con gli altolocati, anzi…).
Torino, già prima di me ma anche quella in cui mi sono formato io (dai ’70 in poi), è la citta del rusco fiatino (rusché: lavorare a testa bassa) e questo spiega la mia particolare sensibilità sul tema lavoro per l’Europa post Covid. Se ci salviamo dal Covid, ma “perdiamo” il lavoro (a favore dei giovani dei nuovi popoli), è come se il Covid ci sterminasse tutti. L’intelligenza che ci tornerà utile è quella che ci permetterà di salvare il futuro dei nostri figli e nipoti.
Caro MG ti racconto una storia/leggenda torinese che piacerà a Crovella (non è l’unico che conosce la cultura sabauda) poi mi dedico al mio impegno di cittadinanza attiva nel Levante ligure dove vivo da un anno (cura dei sentieri). Gli Agnelli della prima generazione non erano particolarmente avvenenti e per ragioni eugenetiche, da un lato, e di promozione sociale, dall’altro, ( Venivano da Villarperosa, non da Parigi o Vienna) erano usi combinare matrimoni con esponenti dell’Aristocrazia. Anche all’avvocato, come a suo padre, fecero sposare una principessa, molto bella peraltro. Una delle figlie del fondatore sposò un avvenente principe di casa Furstenberg. Al matrimonio lo sposo, attraverso alcuni amici, fece arrivare al Senatore la richiesta di avere un ruolo in azienda. Il Senatore rispose in dialetto (lo dico in italiano perché non so fare lo spelling) “ Ma non è Principe? E allora faccia il Principe”. Ecco io, (si parva licet….) direi a Baricco: ma non sei letterato? Scrivi dei bei racconti che lo sai fare e non ti allargare troppo “esageruma nen”. Ammetto che sono peggiorato come selettività, per quando riguarda il pensiero, non certo gli affetti. Aurevoir.
L’articolo verte su un tema che, in soldoni, è “dobbiamo forse cercare un’altra intelligenza”?
Io ho espresso un parere personale sul tema, ma per renderlo più “comune” (cioè più facilmente comprensibile alla comunità dei lettori) premetto sempre un prologo delle mie esperienze di vita. Non necessariamente è manifestazione di protagonismo, più che altro serve per far capire come mai ho maturato certe idee piuttosto che altre.
Sottolineo che è mia prassi abituale agire così. Per esempio anche nei mie scritti di economia (che nulla hanno a che fare con la montagna) premetto sempre un prologo sul mio pregresso, altrimenti le mie conclusioni risultano ancor più incomprensibili ai più (in parole semplici se io fossi un milanese – con la vita da milanese e l’andi dinamico e “viaggiatore” tipici dei milanesi – sarebbero del tutto incoerenti le conclusioni espresse nel mio primo intervento. Perchè i lettori possano più facilmente “capire” le mie conclusioni, ammesso che le si voglia capire, occorre che io contestualizzi le mie idee nel quadro “torinese” in cui vivo e agisco, con assoluta serenità, da 60 anni).
Normalmente, in ambienti professionali, la mia premessa metodologica suscita sempre apprezzamento d’intenti, non per l’obbligatoria condivisione con il contenuto delle mie tesi, ma proprio come approccio metodologico. Devo dire che, lavorando in tal modo da decenni e decenni (e avendo tendenzialmente ricevuto feedback positivi su tale metodologia), mi viene genuinio e spontaneo agire così anche qui. Io non ci vedo nulla di male: se infastidisce o, peggio, se è oggettivamen e sbagliato come modo di fare, beh…abbiate un po’ di indulgenza… A essere sinceri di commenti particolarmente sconclusionati sia nei contenuti che nella forma che nella metodologia, se ne leggono a vagonate (parlo in generale , non su questo specifico post) che sinceramente non mi pare che i miei difetti siano degni della pena di morte…
Chiarito ciò (che vale non solo per questi commenti, ma in genberale), andiamo al sodo. L’articolo verte in soldoni sulla domanda esistenziale: “dobbiamo cercare un’altra intelligenza?” Anche io rispondo di sì, ma sottolineo “attenzione alla direzione in cui sviluppare tale nuova intelligenza e, quindi, attenzione agli obiettivi strutturali che identifichiamo”. Altrimenti si rischia di cambiare cavallo ma di andare comunque a sbattere.
Faccio una rapida metafora calcistica. L’Occidente, in particolare le “vecchia” Europa (diversissimo è il discorso per USA e UK, che non caso si è distaccata dall’EU), è come una squadra di calcio in crisi di risultati che sta valutando di cambiare allenatore. I dirigenti della squadra si pongono la domanda “Dobbiamo cambiare allenatore?” ma spesso è una domanda sbagliata. La domanda giusta è: “Quale nuovo allenatore dobbiamo identificare e assumere per raggiungere i “nostri” veri obiettivi?” Questa domanda presuppone, a sua volta, una domanda a monte “Quali sono veramente i nostri obiettivi strutturali?” (es: vincere lo scudetto oppure vincere la Champions League oppure far divertire i tifosi con il “bel” gioco…). In assenza di idee chiare e determinate sui veri obiettivi, non si sceglie bene il “nuovo” allenatore e si rischia di cambiare l’attuale con un altro allenatore ugualmente inadatto , per cui si avranno altri insuccessi e frustrazioni.
La metafora applicata al tema del giorno ci porta a identificare il tema sotteso: “Quali sono i veri obiettivi dell’Europa post Covid?”. Identificati questi, si identificherà, abbast5anza in automatico, la “nuova” intelligenza.
Circa gli obiettivi dell’Europa post Covid, prima o poi dovremo aprire un dibattito continerntale (non qui sul Blog, a livello politico e socio-culturale dell’intero continente). Non tutti avranno la stessa esigenza e quindi gli stessi obiettivi. Io sento come prioritario “difendere” il modello di vita europeo a tutela dei nostriu figli e nipoti nei confronti della concorrenza spietata che i figli dei nuovi popoli (cinesi, indiani, coreazani, in un dopo-domani africani) porteranno nel mondo del lavoro.
Per farmi capire, faccio un esempio concreto: nell’hinterland torinese la General Motors (GM) ha creato un centro ricerche molto avanzato, in essere già da un po’. E’ apparentemente un’ottima opportunità professionale – in territorio italiano, senza andare fino a Detroit – per i nostri figli ingegneri e informatici. Peccato che, a mio modesto parere, nei prossimi decenni i dipendenti saranno tutti presumibilmente cinesi, indiani, coreani e, successivamente, africani.
Se non facciamo nulla, questo è il destino “fisiologico”. Io sono convinto che la ricerca dell’intelligenza sarà quella che ci permetterà di offrire un futuro ai nostri figli e nipoti. L’accettazione passiva della mescolanza, invece, li spazzerà via, perché non hanno la tempra e la coriacità dei loro coetanei cresciuti in sistemi molto competitivi fra individui.
Questa è la “mia” personale idea di ricerca della prossima intelligenza. Non è detto che sia l’unica né la migliore, ma almeno è un’idea, una proposta, mentre l’Europa sul tema si volta dall’altra parte, come ha fatto sui contratti di approvvigionamento dei vaccini (e ne vediamo gli effetti).
CAro PAsini
ho apprezzato entrambe le letture, non definirei fuffa Baricco, che ho amato nei suoi primi scritti (seta, oceano mare, la leggenda del pianista, tanto epr capirci…) e che ho visto rapidamente e inesorabilmente declinare.
tuttavia in questo pezzo trovo che esprima con molta efficacia energie e visioni condivisibili.
il costo umano di questo anno è micidiale per chiunque e certamente non solo per il numero dei morti. .
nella vita accade di morire, accade a tutti prima o poi. personalmente non ambisco di arrivare ad ottantanni in questo modo, preferisco andarmene quando mi toccherà passeggiando liberamente per i miei monti, pensando con la mia testa e non respirando come un cretino con una mascherina da solo per le strade della mia città (in ossequio a disposizoni palsemente stupide, inutili e inefficici).
MA se la narrazione che non andando in un bosco, non varcando il confine del comune o della regione e del vostro giardino a seconda dei periodi avrete salva la vita vi rassicura fate pure.
mio nonno non è mia entrato in un rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale, temeva di fare la fine del topo come diceva lui e che la probabilità che una bomba lo colpisse mentre se ne stava nei boschi di Soliera era decisamente remota e assai meno rischiosa dell’angoscia che quei luoghi gli provocavano…
la discussione è interessante, mi auguro che la solita logorrea di taluni non la mandino in malora.
Grazie Simone. Non mi si è ristretto il punto di vista. Anzi. Il dolore mi ha portato a cercare di vedere le cose in prospettiva. Sono diventato più selettivo nell’uso del tempo e delle risorse e cerco di non farmi intrappolare dalla “coazione a ripetere” che vedo molto diffusa. Se vuoi leggere non fuffa ma un contributo di riflessione di livello ti segnalo questo (è di lettura libera , non è necessario essere abbonati.
Financial Times,Yuval Noah Harari: Lessons from a year of Covid | Free to read–Yuval Noah Harari–Read the full article at:https://on.ft.com/2NK3pWx
Crovella in questo articolo non si parla di Lei, della sua persona e delle sue tre idee con le quali ci sta sfinendo. Neanche si inneggia ai viaggi intercontinentali fatti per andare a mangiare un croissant a Parigi partendo da Chicago.
Si parla di azzeramento della relazioni dei giovani che stanno saltando a piè pari gli anni migliori della loro vita, si parla di azzeramento di una parte importante della cultura, come i concerti, il cinema, il teatro…che non sono solo un inutile sperpero di tempo e denaro ma sono un importante veicolo di idee ed emozioni. Si parla di tutta una serie di relazioni interrotte…perchè comunicare tramite la rete non è come farlo di persona. Si parla di una situazione nata come emergenziale e che sta invece diventando la “normalità” per chi non avrà la forza di reagire.
A questo giro Pasini non concordo neanche con te. Sei sicuramente stato colpito duramente da questa sistuazione ma hai ristretto troppo il tuo campo visivo e forse anche emotivo. Spero che qualcuno a te vicino riesca a scuoterti e ridarti nuova energia, perchè sono convinto che hai ben altro da dire e dare.
la globalizzazione intesa come appiattimento, cancellazione delle diversità culturali E’ un PERICOLO ma non per il solo mondo occidentale, per l’uomo tutto.
L’uomo si è sempre spostato, emigrato alla ricerca di mondi migliori, di nuove possibilità. L’ Italia, la sua cultura, è il risultato dell’incontro e della fusione di tante altre diverse culture venute qui. Non siamo nati così, non siamo sempre stati così. Nella storia dell’uomo è naturale e necessario trasformarsi, mischiarsi. La nostra stessa ricchissima e variegata cucina è il risultato di mille influenze arrivate qui da altri mondi.
Credo che l’uomo, per la sua stessa sopravvivenza, abbia un bisogno fisico di mescolarsi.
E se così fosse? se il pericolo venisse da fuori? Come facciamo a combatterlo Ci rinchiudiamo come nel medioevo?
Non mi sembra che sia questo il pericolo che suggerisce Baricco in questo suo ottimo articolo.
Un intelligenza digitale o potremmo dire un’intelligenza ARTIFICIALE che ci sostituisca. Un’intelligenza artificiale nelle mani di qualcuno…
Vedremo le altre puntate se non c’ho capito nulla.
Mentre gli intellettuali della provincia italiana se la menano con la cultura non novecentesca la gente muore (40.000 morti aggiuntivi solo in Lombardia in un anno secondo le stime sul Corriere di oggi) la stampa internazionale con sintetica brutalità fotografa i nostri veri problemi. Dal New York Times di oggi “Bureaucratic hurdles and logistical problems have undercut vaccination efforts in Italy, preventing older and vulnerable Italians from getting shots, while hundreds of doses of Covid vaccines are at risk of going to waste.
Italy has the highest rate of daily deaths from Covid-19 among Europe’s major powers, in a country that has the continent’s oldest population. Fewer than one in five people over 80 have received two doses of a vaccine, and less than 5 percent of those 70 and over have gotten their first shot.”
Bella e lucida l’analisi della situazione che attualmente sta limitando le nostre esistenze (almeno per la maggior parte di noi). Non parlerei però di “intelligenza novecentesca”, come credo non si possa parlare di “intelligenza ottocentesca” e così di seguito… E d’altra parte l’intelligenza non si crea. L’intelligenza dell’uomo è sempre la stessa, cambiano le esperienze vissute e anche le reazioni ad esse, condizionate dalle cosiddette “condizioni al contorno”.
sul web:”Baricco lezione 21″..ricerca per immagini.Quel veliero immerso tra la neve in val Canali..una geniata che avrebbe meritato collocazione stabile.
In effetti vista l’alba oggi sarebbe piu’giornata da partenza ore 5.30, giornata nelle vicine Dolomiti ampia scelta massimo 2.30 ore di viaggio ma anche molto meno e ritorno a casa a sera riforniti di veri formaggi e burro o permanenza in b&b.Sempre meglio che interessanti letture ed escursioni nei blog adatte a giornate di pioggia e nebbia. Ci vorrebbe un ristoro di anni di vita, da aggiungere al momento x. Sarebbero bastati in montagna e viaggio in auto i 3 fondamentali atteggiamenti: mascherina, distanza e igiene..invece ci hanno ricamato miriadi di distinguo e commi e sottocommi.Sprecata 1 cartuccia stampante ed una risma di fogli per le autodichiarazioni.Meglio aver sprecato che essere incorsi in blocchi, e lasciati a libere interpretazioni di magari gia’ positivi a loro insaputa.
Adesso siam tra color che stan sospesi per una chiamata o prenotazione di vaccinazione e quando sara’ arrivato il momento..coda e un plico di 11 fogli di informativa(? ) che per essere letta impiega 15 minuti minimo..un iniettatore. e decine di scribi antecedenti..Speriamo bastino per il tutto 10 minuti promessi..e nuove cure e antivirali per pillola.
Comunque nel ripensare al ‘900 ed al futuro ed alla dad, mi e’ stato proposto da un saggio sulla”Economia della Conoscenza”il concetto di RIDONDANZA..NELLA FORMAZIONE DEGLI STUDENTI.Programmi faraonici , ogni allievo DOVREBBE eccellere come singolo in tutte le materie o almeno avere la sufficienza, ma con la nebbia che avvolge il suo futuro lavorativo. Se e quando vi entrera’, si rendera’conto di aver faticato parecchio per dimenticare subito dopo l’esametto…e che sarebbe servito “meno quantita’ ma fondamentale formazione e anche MOTIVAZIONE a continuare i formazione culturale permanente.”..assieme al lavoro e non in conflitto con esso.
Articolo di spessore, non c’è che dire.
Per Simone. In rete ci sono altre due puntate e si accenna ad una continuazione. Provvederemo quanto prima alla pubblicazione su Totem&Tabu.
A livello comportamentale (em in modo strettamente personale), io NON patisco il regime di lockdown. Per il semplice fatto che lo seguo da che vivo, in modo particolare da 30 in qua (su 60). Seguo quel regime per indole e scelta lucida, per preferenza ideologica di cui sono molto convinto. E’ un “vestito su misura” per la mia visione della vita. Prima dei mie 30 anni vedevo di persona più gente sia per un minimo di maggior esuberanza individuale e di propensione alla socialità, sia perché allora non esisteva la tecnologia dei nostri giorni. Mi ricordo che andavo alla lezione teorica della Scuola (mercoledì sera) i il giovedì sera in Sezione CAI, mica tanto per vedere di persona gli altri (in realtà un briciolo anche), ma soprattutto per combinare la gita della domenica successiva… Oggi tutto ciò è tecnicamente sostituito da Whatsapp. altrettanto per le riunioni di lavoro (oggi in videoconferenza) e per lo smartworking al posto della presenza fisica in ufficio. Mi sono dedicato allo smartworking (in un mio ufficio personale) dal circa 15 anni, molto prima del CoVid. A livello di viaggi e vacanze, da bravo torinese sono un bougia-nen all’ennesima potenza: ho a disposizione l’intero arco alpino occidentale a meno di due ore di auto, al mare vado in Liguria a poco più di un’ora da casa, in campagna ho riferimenti sempre in regione. Insomma, salvo eccezioni particolarissime, saranno vent’anni che non mi sposto a più di 200-250 km da casa (tra l’altro puntate così non capitano più di una-due volte l’anno, per il resto rimango entro i 100-150 km da casa). Vivo benissimo e sono molto sereno. Uno stile di vita diverso, per esempio con viaggi intercontinentali, sarebbe una forzature e mi arrecherebbe infelicità anziché gioia e godimento.
Con tutte ‘ste premesse sulle mie scelte molto personali, è ovvio che non percepisco lo stesso pericolo illustrato da Baricco. L’articolo è molto bello, molto avvincente e me lo sono divorato in un battibaleno, ma non la penso come lui. Anzi penso che il pericolo sia proprio la globalizzazione, intesa come grande minestrone di beni, persone e idee. La globalizzazione appiattisce lem differenze, pialla, ugualizza, e rende più facile per i giovani dei popoli “nuovi” (cinesi in primis, ma poi indiani, coreani e, a seguire, gli africani subsahariani) di giungere facilmente da noi (a Covid superato) e di “conquistarci”, economicamente, politicamente, ideologicamente.
Di conseguenza anche io sono molto pessimista sulla sopravvivenza dell’Occidente e della “sua” intelligenza storica, almeno come l’abbiamo conosciuto e come piace a me, ma non credo che la “malattia” consista nel distanziamento sociale e nel raffreddamento dei rapporti umani, bensì proprio il contrario. Infatti oltrepassato il Covid, quando si potrà riprendere a spostarsi liberamente, più che europei che vanno in altri continenti, io vedo i giovani agguerriti che dagli altri continenti arrivano qui e fanno piazza pulita dei nostri figli e nipoti. Lo faranno non con i carri armati in senso diretto, ma attraverso il mondo del lavoro, la competizione esagerata cui loro sono abituati, mentre i nostri figli e nipoti (a stragrande maggioranza) sono abituati allo Stato-mamma che inventa per loro forme varie di sussidi. I nostri giovani, a maggior ragione se perdura a lungo la situazione di “scuole chiuse sostituite dalla dad”, sono i corrispondenti moderni dei giovani romani che gozzovigliavano sui triclini mentre ai confini si profilavano le orde barbariche. Li hanno spazzati via.
Questo è il vero problema cardine. L’intelligenza, novecentesca o da terzo millennio non importa, dovrebbe preoccuparsi ora di evitare il problema o almeno di attenuarne gli effetti. Invece tutti se ne sbattono del vero problema e sono tutti con centrati sulla limitazione alle libertà costituzionali dei DPCM…
Articolo molto bello. Capo, pensi di pubblicare anche le altre puntate? Altrimenti me le devo andare a cercare 😉
Seguo con attenzione. È sempre un piacere e uno stimolo leggere Baricco. In questo caso ha espresso in modo chiaro quello che è il pensiero di molte persone. Per lo meno molte di quelle che ho la fortuna di frequentare, che so essere una minoranza….
Clap clap clap.
Anche se personalmente avrei scritto razionalismo meccanicista, il suo “una certa ottusa razionalità meccanica” dimostra comunque che arrivati a raschiare il barile, tutta la base della cosiddetta intelligenza, più spesso innocentemente chiamata buon senso, quella che celebra esperti e si affida a consulenze specializzate è fuffa nei confronti della vita, dello spirito, della “vibrazione”, della bellezza, della creatività, della realizzazione necessaria ad essere alla pari con le paure, a dirci chiaramente qual è la nostra via.