Manca la cultura della montagna

Fisici molto allenati, attrezzatura al top e tecnica da campioni. Ma non basta se, come dice Hervé Barmasse, «manca la radice, l’identità, la cultura della montagna».

Manca la cultura della montagna
di Carlo Crovella

Sono almeno dieci anni (contati per difetto) che metto in guardia da questo pericolo: la montagna diventata come il Circo Barnum. L’aspetto circense non è costituito soltanto dagli aperitivi con cubiste o dalle gite in motoslitta con cena notturna in baita.

Anche l’azione sul terreno è permeata da una gran confusione. Il nettissimo salto di qualità dell’attrezzatura, sotto il profilo tecnologico, è uno dei cavalli di Troia di questo fenomeno. Gli altri due sono l’elevato livello di allenamento atletico e la possibilità di provarsi, sul piano delle tecnica arrampicatoria/sciistica, in contesti addomesticati, se non addirittura completamente artificiali.

Insomma: è troppo facile accedere ai monti. Il Circo Barnum si è innescato proprio perché si sono abbassate le barriere di ingresso al mondo della montagna. Le barriere di accesso non sono di tipo economico, ma di facilità nella fruizione. La montagna è ormai troppo comoda, come un avvolgente divano in salotto. Però non si sta sdraiati nel salotto di casa, ma ci si muove in ambiente, dove il contesto non è quello del salotto: anzi, l’ambiente si è ulteriormente ”incattivito” per le conseguenze del generale cambiamento climatico (ghiacciai più tormentati, pareti che crollano, manto nevoso più instabile…).

L’abbattimento della barriere di ingresso, e conseguente Circo Barnum sui monti, è favorito da un fattore dominante: gli “sghei”. Più gente sui monti, cioè più turisti e più materiale venduto… Peccato: anche più incidenti e più morti.

Andare in montagna, anche in una semplice sciata fuoripista, non è come fare una corsettina nel parco cittadino. Ci vuole una corroborata cultura dell’alpinismo (alpinismo: frequentare le montagne in ogni contesto e disciplina, con sci, senza sci, su roccia, ghiaccio, sentieri e ghiaioni…). Finalmente si sta diffondendo la convinzione che, per acquisire tale cultura, sia necessaria un’adeguata “formazione”. L’importante non è insegnare ad arrampicare sull’8c o a saper sciare sui 50 gradi: l’importante è insegnare a camminare su una crestina facile ma esposta, a fare lo zaino come dio comanda, a sapersela cavare sempre e comunque. L’impostazione corretta parte fin dalla scelta a tavolino dell’itinerario adeguato con le condizioni nivo-meteorologiche del momento.

Da caiano convintissimo quale sono, nel mio ruolo storico di istruttore titolato, lo sto dicendo da tempo. Mi sto battendo e, dopo aver sollevato sfottò per anni, ora inizio a percepire che la mentalità sta cambiando. Era ora!

Non sono solo le Scuole del CAI l’unico contesto per una formazione adeguata. Ottimo che si impegnino anche le Guide Alpine, che sicuramente in montagna “ci sanno andare”, ma che negli ultimi tempi spesso corrono il rischio di essere risucchiate nel business delle salite a nastro, senza neppure guardare in faccia i clienti. Ovviamente la maggior parte delle Guide ha un approccio completamente diverso e numerose sono quelle attente a far crescere i clienti da un punto di vista spirituale e di conoscenza della montagna.

Che operino le guide o le Scuole CAI, il punto cardine è che la formazione alla montagna non è cosa che si esaurisce in tre “uscitelle”, piazzate lì fra una performance individuale e l’altra. Ci vuole pazienza, è arte che si incamera lentamente, gita dopo gita, nasata dopo nasata.

Nella Scuola di scialpinismo torinese di cui faccio parte (la celebre SUCAI), il ciclo didattico che porta a maturazione un allievo è di tre anni. A volte anche di quattro per i più testoni (oltre i cinque anni non accettiamo più istruzioni). Solo in casi eccezionalmente positivi riconosciamo il distintivo (che raffigura concretamente l’avvenuta maturità) in due anni.

Ora il punto è che nell’attuale società (liquida, interconnessa e volubile) una formazione di due-tre anni è considerata una perdita di tempo o peggio una gabbia che imprigiona: molti degli alpinisti “mordi e fuggi” fra tre anni saranno già passati ad altri interessi sportivi. Per loro quindi la salsa non vale il pesce, se devono investire così tanto tempo nella formazione. E sbandierano il diritto alla libertà individuale di andare in montagna come e quando si vuole.

Non è questione giuridica, ma di natura. La Montagna (come tutta la Natura) ha le sue leggi implicite, che valgono dalla notte dei tempi. La formazione all’alpinismo deve quindi vertere sull’apprendimento di tali leggi della Natura.

Fra queste, al primo posto, gli orari: spesso, durante le gite di scialpinismo, mi capita di incontrare persone che iniziano a salire proprio quando noi stiamo tornando all’auto. Poveretti, non hanno capito niente. Se inizi a salire nel primo pomeriggio ti troverai a percorrere gli eventuali pendii critici con la neve “molle”. Gli stessi tratti se affrontati nel pieno pomeriggio hanno un grado di rischio di molto diverso rispetto a quando li affronti di primo mattino.

E’ solo un esempio, se ne possono confezionare milioni. Il concetto di base è che conoscere la montagna non ha nulla a che fare con il talento individuale nel superare difficoltà tecniche. Sono due trend che devono crescere in parallelo. Se una delle due gambe non è lunga quanto l’altra, l’approccio alla montagna è “zoppo”. E’ lì che si annida il pericolo.

Purtroppo fare appello agli italiani sul senso di responsabilità è cosa vana. Non mi dilungo sulle cause storiche e sociologiche, discorso interessantissimo ma che ci porterebbe fuori via. E’ così. L’italiano si crede furbo, fa del destreggiarsi il suo principale motivo di autoesaltazione. Non possiamo quindi ipotizzare di limitarci a sensibilizzare gli alpinisti sull’opportunità della formazione. Per il meccanismo che ho descritto sopra, quasi nessuno (fra quelli che più ne avrebbero bisogno) si adeguerà di sua iniziativa. Occorre renderla obbligatoria, con tanto di attestato finale che comprovi la frequenza con profitto della formazione. Ecco perché sono convinto che, prima o poi, si arriverà alla famosa “patente”. Non è un elemento che mi fa gioire, ma non vedo altra possibile evoluzione: sarà la stessa società securitaria che la introdurrà.

Come la pensano le guide
a cura della Redazione

Guido Azzalea: «Cosa sarebbe utile per chi fa fuoripista e fargli comprendere le difficoltà? Affrontare la discesa con l’attrezzatura di vent’anni fa».

Hervé Barmasse: «Mancano le conoscenze, la cultura della montagna. Non c’è più il radicamento fin da bambini. Le guide si sono impoverite, per loro è diventato soltanto un lavoro arrampicare o sciare. Siamo diventati molto bravi dal punto di vista tecnico, ma la sensibilità del territorio è sfuggita a molti. Da istruttore delle guide posso metterle in difficoltà proprio su questo terreno».

Un esempio? «Quando ci sono le condizioni la Nord del Cervino, parete di grande difficoltà, è quasi una palestra per alpinisti. Voglio dire che molti possono affrontarla e raggiungere la vetta, ma poi diventa quasi un incubo la discesa sulla via normale svizzera, la cresta dell’Hörnli che Whymper affrontò nel 1865. Molti sono presi dal panico perché ha tratti aerei e bisogna saper camminare con la corda in mano. Ci vuole l’esperienza di un montanaro».

Cesare Cesa Bianchi: «Non sappiamo più camminare. Qui sta il punto. Si passa dalla palestra alla montagna. Occorre fare una riflessione di grande profondità anche nell’ambito dell’Unione internazionale delle guide. È un passo urgente da fare. Capita che la guida si faccia condizionare dai clienti, che non sappia rinunciare. Dobbiamo quindi pensare a una formazione che riavvicini alla conoscenza ambientale e indichi la strada per diventare leader autorevole di un gruppo che arrampica o che fa fuoripista». E ancora: «In Francia ci sono stati parecchi incidenti in cui erano coinvolte anche guide alpine. Hanno cambiato la formazione. Adesso dobbiamo inserire a livello mondiale uno spazio di praticantato nei corsi guida, per poter affiancare i più esperti ai giovani. Vorrei anche cambiare la legge sulle guide, fare due livelli, uno per le escursioni, per chi cammina, l’altro per chi arrampica. E trovare il modo di avviare una formazione insieme con il CAI per raggiungere più appassionati possibili».

Manca la cultura della montagna ultima modifica: 2023-05-18T05:08:00+02:00 da GognaBlog

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178 pensieri su “Manca la cultura della montagna”

  1. 97 Crovella. A parte dare del ritardato mentale a chi tu decidi non capisca (con parole “delicate” ma si sa “torinesi falsi e cortesi”) vorrei sapere da dove tu desumi questo che hai scritto:
    “Innanzi tutto i numeri sono decisamente sbagliati (moltissimo sono quelli che apprezzano tali idee e magari non scrivono neppure un commento…)”
    Come fai   a presumere che sono moltissimi quelli che apprezzano ma magari non scrivono neanche un commento? Li conosci uno per uno? vedi dati che sono protetti dalla privacy e li contatti personalmente? O magari, semplicemente, te li inventi di sana pianta? Risposte dirette e chiare, non elucubrazioni, grazie.
     

  2. Non credo che si volesse in questo caso usare la tecnica del “testimone” ampiamente usata e abusata nella pubblicità e piena di rischi perché a volte il testimone può diventate imbarazzante. Penso che Gogna, come peraltro ha dichiarato nel suo intervento, volesse sottolineare che alcuni temi si fanno strada anche nel mondo dei professionisti. Sul fatto io sono d’accordo e non riguarda solo i professionisti. Poi magari il termine Cultura può indurre qualche equivoco perché sembra appunto alludere a una qualche “superiorità” intellettuale e morale dei possessori di tale cultura e indurre a pensare che c’è una Cultura unica della montagna. Forse sarebbe meglio usare il termine più neutro Conoscenza. Perché il problema è reale. L’aumento della frequentazione porta in montagna persone che hanno poca conoscenza della montagna e culture diverse dalla “cultura” nella quale sono cresciuti molti di noi. Che poi questa mancanza sia all’origine dei problemi principali della contemporaneità montanara questo è oggetto di dibattito. 

  3. @96 Neppure tu cogli il tema. Possono anche essere personaggi “discutibili” a titolo personale, ma essendo famosi hanno un impatto mediatico. Se temete che le prese di posizioni pubbliche possano indurre le autorità ad assumere delibere restrittive, dovete temete le prese di posizione dei personaggi davvero famosi, non le mie.

  4. Temo che “cultura della montagna” sia per te concetto che non riesci proprio a focalizzare. Non dico a condividere, che ci può stare che uno la pensi diversamente, ma proprio non riesci a catturarlo mentalmente (e in fondo lo ammetti tu stesso nell’ultimo commento). Dovresti rileggere attentamente l’articolo principale (comprese le parti delle guide) e anche il mio sottostante commento 58.
     
    Però quello che non capisci è che il punto sul quale sono intervenuto maggiormente è un altro. A prescindere dalla bontà oggettiva o meno delle idee esposte, tu stai chiedendo una censura che proprio non appartiene, fin dall’origine, alle scelte redazionali di questi spazi Blog. Tra l’altro ti ergi a rappresentante sindacale di una non meglio precisata schiera che (a tuo giudizio) non vorrebbe più le “puttanate” nel Blog. Innanzi tutto i numeri sono decisamente sbagliati (moltissimo sono quelli che apprezzano tali idee e magari non scrivono neppure un commento…), ma poi è questione che devi dirimere con Gogna e non con me. Dal fatto che non capisci neppure a chi ti devi rivolgere, emerge che vivi in un mondo tutto “tuo”, dove pensi che tutto si regoli secondo le tue preferenze. Se ti interessa “migliorare”, devi fare uno sforzo, altrimenti non accade…

  5. Crovella, io non citerei “certi” nomi per parlare di cultura della montagna.
    Non è che sono sempre esempi positivi, solo perchè sono famosi.

  6. @crovella, ogni tanto mi viene il dubbio che tu rilegga solo quello che tu stesso hai scritto. Che ti esalti guardandoti allo specchio godendo del fatto che ci hai ficcato una citazione in latinorum sperando che io o altri ne rimaniamo basiti come il Renzo. Ma no, non è così purtroppamente.  Preferisco Albanese come fonte di ispirazione stilistica.
    Andando avanti, ciò che più mi/ci fa inalberare è soprattutto il forte dubbio che tu non legga, e se lo fai non ascolti ed elabori per una risposta pertinente, quello che ti scrivono gli altri (e dai commenti emerge che non sono l’unico, anzi).
    Poi leggo il tuo ultimo post e il dubbio svanisce. Leggi forse a righe alterne.
    Dei commenti recepisci solo la forma, ma non entri nel merito delle questioni che ti vengo poste. Tipico. Se uno ti dice: “puttanata” tu pensi “che cafone”, ma non ti viene il dubbio che l’espressione sia adeguata al valore della tesi. E citi Barmasse e Moro per buttare fumo (mi ricorda qualcuno… ?!).
    Io non ti citerò le mie amicizie. GnéGné 
    quindi ripartiamo: cortesemente sapresti offrire a me, misero bifolco dell’alpinismo senza amici importanti una definizione di questa  “cultura della montagna” di cui vai parlando? 

  7. @91 E’ evidente che non riesci a comprendere quanto viene scritto o pubblicato. Il succo è: trattasi di scelta redazionale, quella di dare voce ai diversi autori con idee diverse anche contrastanti, non del singolo autore.
    Mi ricordi un tipo che, anni fa, in un ristorante aveva piantato una scenata isterica perché il cuoco non preparava il soffritto come piaceva al tipo in questione…  Non hanno cambiato il cuoco…
    Inoltre dovresti seguire quanto meno i canoni di un’educazione di base, quando ti rivolgi ad altri e/o fai riferimento ad altre persone. Si percepisce che non ne sei abituato, ma invece l’educazione è prassi abituale, nella società “civile”.
    Non credo proprio che le autorità arriveranno a varare l’idea di attestati per andare in montagna solo perché la leggono su un blog di montagna o in articoli vari. Piuttosto si indirizzeranno su delibere molto più semplici da adottare, come “divieti erga omnes”, che colpiranno tutti a tappeto, a prescundere dalla maturità o meno con la quale si va in montagna. Magari si tratterà di divieti limitati territorialmente (Monte Bianco ecc), ma come è successo negli anni scorsi potrebbe benissimo capitare di nuovo.
    Infine segnalo che (come da testimonianze in calce all’articolo) la considerazione che sia necessaria una maggior “cultura di montagna” (nella persona che si dedicano alla frequentazione della montagna) si sta già diffondendo fra le guide alpine e gli altri protagonisti di impatto mediatico. Nei mesi scorsi Simone Moro (ne abbiamo dato riscontro anche sul Blog) ha rilasciato diverse interviste in merito, Barmasse più o meno dice la stessa cosa, ecc ecc ecc.
     
    Ecco, se avete timore che siano le prese di posizione pubbliche ad indurre le autorità a varare certe misure, dovreste temere maggiormente le dichiarazioni di nomi del genere rispetto alle mie.

  8. @alberto
    è esattamente quello che cercavo di spiegare: se un demente propone il patentino per andare in montagna, poi il politico che deve far capire di essere lo sceriffo lo adotta e manda il vigile a chiederti il patentino. Intanto puoi costruire un albergo o fare una cava nei posti più fragili e inaccessibili del mondo. E noi rimaniamo qui a scornarci per la #puttanata di un pellegrino mentre le montagne vengono privatizzate e rase al suolo. 
    V apunae, vedi cortina vedi Val di Susa, vedi ovunque. Denunce per uno spit poi fanno la 4 corsie nel parco…
    la cultura della montagna… 

  9. peggio fanno gli interessi di qualcuno a discapito di tutti, o sacrificando le piccole realtà. 

    Vedi in Apuane. Agli arrampicatori è ststo vietato di ammpicare al Solco d’Equi per non disturbare l’aquila. Ma intanto le cave affettano i monti. Forse che le mine non la disturbano l’aquila…??

  10. @crovella,  basta, ti prego.
    E penso di scrivere a nome di 97 su 100 che leggono.

  11. Stavo pensando che la CULTURA è unica, come la LIBERTÀ, pertanto è la cultura in ogni ambito che viene a mancare. Tenendo bene a mente che cultura non significa solo sapere le cose o avere titoli. Si può avere una laurea in giurisprudenza e condannare un sindaco perché un sasso caduto da una cascata ha ucciso una persona, questo significa essere azzeccagarbugli ma estraneo alla cultura del vivere che considera l’incidente una tragica fatalità 

  12. ma politici che, come già commentato in altri post, non distinguono l’arrampicata dal crossfit! 

    Su questo non ci sono dubbi.

  13. Riky mi associo al tuo urlo di protesta. Spero che la comunità alpinistica saprà far sentire la sua voce e si ribelli alle limitazioni della libertà in montagna. Purtroppo spesso e volentieri ci mettiamo in mano a personaggi che non capiscono una minchia su quello che decidono o peggio fanno gli interessi di qualcuno a discapito di tutti, o sacrificando le piccole realtà. 

  14. @86 Sottolineo che, se tu fossi un frequentatore storico del Blog, nel tempo avresti potuto verificare di persona che le mie tesi , oltre che controbilanciate (in giornate diverse, ovviamente) da quelle antitetiche, sono state esposte ben più di una volta, con articoli firmati dal sottoscritto. Vado a memoria, ma mi pare che la pubblicazione sul Blog dei primi articoli sul tema “più montagna per pochi” risalga al 2019 (mentre le mie prime uscite pubbliche su questo ampio argomento sono addirittura del 2008-2010 circa). L’articolo di questi giorni non è quindi una novità dirompente che ha rotto un tabù. Evidentemente la linea editoriale, in essere fin dall’origine del Blog, ammette anche la presenza di articoli incentrati su tesi che, magari, ad alcuni lettori (ma non a tutti) possono risultare delle “puttanate”. Se queste sono le regole della casa, le considerazioni in merito all’impostazione diventano irrilevanti.

  15. @alberto in linea di principio sono d’accordo con te, quello che dici è ovviamente sensato, ma si scontra coi limiti della democrazia, la sua mala interpretazione e la stupidità umana, che permea ogni strato della società. Oltre che con un problema intrinseco nel meccanismo della dialettica che spiego in fondo. Purtroppo l’esperienza mi ha insegnato a guardare certe cose con una certa lungimiranza. Perché poi a fare le leggi o i regolamenti purtroppo non c’è Gogna o altre persone avvedute, ma politici che, come già commentato in altri post, non distinguono l’arrampicata dal crossfit! Detto questo, trovo estremamente sconveniente che nella comunità alpinistica vengono accreditate, o comunque si da spazio a idee balzane come queste, che non sonno provocazioni dei commenti, ma articoli pubblicati, e c’è una grande differenza! Nel tiro alla fune che simboleggia il processo democratico (e dal presunto compromesso), in un’epoca di impressionante ignoranza e polarizzazione, questo tipo di voci che inneggiano al controllo, alla burocrazia, al divieto sono funghi velenosi che screditano e dividono la comunità senza rappresentarla in maniera adeguata, con sproporzione tra le rappresentanze, un po’ come le voci discordanti riguardo ai vaccini nella comunità scientifica. Al di la del valore delle tesi, il risultato è stato lo screditamento di tale comunità, che si è dimostrata estremamente immatura nella comunicazione, malamente finita in mano a mass media che vendono prodotti polarizzanti e sensazionalistici per gente impreparata.
    Basti vedere il dibattito sul riscaldamento globale, per fare un altro esempio… 
    quindi se per ipotesi la mia posizione rappresentasse il 97% del pensiero, e un’altra il 3, in un dibattito aperto (che è corretto), l’output del classico uno contro uno sarebbe che metà degli scalatori la pensano come me, metà come l’atro. A meno che non ci sedessimo in 100 al tavolo, 97 di qua e 3 di la. Allora, e solo allora il fruitore (pubblico) del dibattito avrebbe un’idea precisa di come stanno le cose.

  16. Come in ambito “alpinistico” se uno mi pone l’argomento di fare un patentino per andare in montagna.

    Contro la proposta del  patentino in montagna sono il primo a scendere in piazza.
    Mi da molto noia leggere di questo, perchè la montagna dovrebbe essere un luogo di libertà.  Ma l’argomento va affrontato , quindi leggere  di questo per rendersi conto di chi vuole questo, è il primo passo.
     

  17. E’ stupefacente che un “nick” apparso poco tempo fa (e quindi presumibilmente ignaro su cosa sia il Blog, da quanto tempo esista, quali obiettivi si ponga, che impostazione ideologica abbia fin dall’origine… ecc ecc ecc – molte cose peraltro sono rintracciabili nel capitoletto “Chi siamo” in alto a sinistra) si senta autorizzato a sentenziare dall’alto su cosa il Blog dovrebbe o non dovrebbe pubblicare, perché e per come.
     
    Bisogna avere fiducia in Alessandro Gogna, che inoltre è pure il padrone di casa: è sufficientemente “scafato” (sul risvolto della montagna, dell’editoria e del buon senso generale) che sa perfettamente e in ogni momento cosa sia opportuno o meno pubblicare.

  18. Dal selezionare gli argomenti al censurarli mi pare un passo brevissimo ….troppo

  19. @80 c’è un limite al “divertisnent” e alla provocazione. Io spesso mi sono esposto con posizioni dure e difficili, conscio di suscitare reazioni uguali (in forza) e opposte in direzione. Non mi sono mai arrabbiato per la forma, anzi, ho sempre apprezzato lo stile diretto e privo di diplomaticità! Mi sono molto arrabbiato con me stesso quando qualcuno mi faceva notare di aver scritto io una puttanata! Ma c’è un limite (per me) insuperabile, nei contenuti. Se in un ambito democratico uno mi propone un articolo sul togliere i diritti alle donne, per fare un esempio estremo, non è un punto di partenza per una discussione. Con cotanta ignoranza si prova con il ragionamento privato ( e non gli si da spazio pubblico, è il ruolo del direttore responsabile), e se non si arriva a una quadra, gli si spiega che in Italia non c’è spazio per il suo pensiero. Come in ambito “alpinistico” se uno mi pone l’argomento di fare un patentino per andare in montagna. (chiaramente parliamo di ordini di grandezza diversi). Ricordo un articolo uscito a cavallo tra l’80 e il ’90 sulla RdM, in cui si prospettava un futuro in cui gli alpinisti dovevano registrarsi e chiedere ad ogni uscita il permesso per fare le vie al ministero dell’outdoor o qualcosa del genere. Credo fosse di Gobetti, ma non ne sono sicuro. Al tempo lo commentammo come “funerale” della montagna. Ma consci del suo pericolo intrinseco:  perché una puttanata del genere potrebbe piacere moltissimo ai politici/burocrati. (e infatti già viene applicata sul monte bianco, sul selvaggio blu e in altre situazioni…. che infatti trovo raccapriccianti!)

  20. Funghi velenosi magari no, ma spore di volgarità , offese garbate e non,  maleducazione, poco ascolto dei pensieri altrui……. a iosa

  21. Non vedo funghi velenosi. Piuttosto: storia, notizie, articoli, opinioni, racconti, esperienze, che si possono condividere oppure no. Insomma pluralità d’informazione che si può anche criticare. La bocca non mi sembra venga tappata a nessuno, tanto meno il pensiero.

  22. @gognablog non la vedo così: la mia metafora era a sottolineare che sei tu ad andare nel bosco a selezionare la frutta da mettere sul tuo “bancone”, e se in mezzo ci metti un fungo velenoso…. nulla di strano se i viandanti poi parlano male del tuo negozio (o dei frutti del tuo bosco, immagine oggettivamente più carina!)

  23. #76 Riky. Ammetterai che questo blog può somigliare a un bosco. Di sicuro più che a un mercato, visto che qui non si vende proprio nulla!

  24. Con gli interventi @59 @73 e il mio 18, siamo (solo) in tre x ora ad esprimere senza giri di parole quanto l’autore di queste puttanate, per quanto libero di esprimersi, potrebbe almeno contenerle nei suoi personali commenti, e non avere spazio come autore all’interno del blog. O dovremo arrivare al punto di lanciare una petizione? 

  25. comunque riguardo alla “patente”, caro Crovella, è una puttanata di dimensioni epocali, e il fatto si commenta da solo. Non ho tempo da perdere con chi della montagna non ha veramente capito un ca##o. Ps Alessandro Gogna. Va bene generare dibattito, la discussione è sempre interessante, ma tra mettere i baffi alla gioconda e farsi latore di simili puttanate ce ne passa…

  26. 61 Crovella  “Tra l’altro costui si rivela uno dei tanti che non hanno ancora capito che io non “invoco” le restrizioni, ma mi limito ad analizzare la situazione e ad elaborare delle previsioni.”
    Forse bipolare? Ma ti rendi conto che elaborare previsioni significa qualcosa come : L’anticiclone durerà due mesi, ma sono possibili intrusioni di bassa pressione in base a statistica e probabilità” mentre tu “Si deve avere l’anticiclone perché tutto il resto è sbagliato, falso, ambiguo”. Se ri rileggessi un po’ scopriresti l’altezzosità che riempite i tuoi bei discorsi patinati, la autoreferenzialità assoluta, una visione “monocromatica” del mondo e degli altri. Davvero, Carlo, un po’ di umiltà ogni tanto… Sei stato a Trento?
     

  27. La mia cultura della montagna:
    un paiolo di polenta,  salsicce sulla brace al tepore di un fuocherello acceso col patentino.
    Il fuoco disinfetta.

  28. Gli altri.
    Facendo la guida mi sento spesso rivolgere dai miei clienti la domanda: ma quelli dove vanno? Cosa fanno? Perché fanno così? Chi sono? Da dove vengono?
     C’è sempre un volersi confrontare per essere certi che si sta facendo la cosa giusta. Io rispondo sempre che non sono affatto interessato agli altri e non mi importa cosa, come e dove facciano qualsiasi cosa, a meno che non mettano in pericolo noi. Degli altri non mi importa! I turisti di ferragosto che mi salutano sui sentieri non hanno da me risposta se non li conosco. Mentre saluto io per primo chi incontro in altri periodi. Forse perché ne percepisco l’enorme differenza. Ma a parte questo, lo ripeto, a meno che non stia facendo una gara, non sono minimamente interessato agli altri mentre sono al lavoro in montagna. Questo delude i miei clienti, i quali vorrebbero sentirsi dire da me molto sugli altri. Ma io non gli dico nulla.
    Questa è la mia cultura della montagna. Prendere o lasciare.
    Il cannibalismo crovelliano mi attraversa senza lasciare traccia. 

  29. Tanti paroloni. Andare in montagna ci fa star bene, a volte/spesso/sempre da soli ancor meglio…..io la farei cosi, semplice e veritiera

  30. La tendenza di trasformare un” piacere” in un “valore” è stata studiata nel campo della filosofia morale da eminenti pensatori.
    Nel tema di questo post vediamo all’opera l’ennesimo tentativo di presentare un piacere particolare e individuale – seppur molto condiviso – , quello di andare in montagna in un certo modo, come un valore, cioè come l’unico modo che dovrebbe essere universalmente condivisibile di andare in montagna.
    E’ così che un approccio estetico emotivo personalissimo si legittima diventando “cultura della montagna”, e trasforma la mera affermazione sé in modello del fare.
    La normale insofferenza che si prova per gli altri, per il fastidio che ci provocano, viene purificata nell’ideologia, viene ricompresa in un apparato retorico nel quale la Montagna diviene una sorta di luogo mitico dove far vivere, o rivivere, alcune forze primigenie della natura umana che solo il vero alpinista conosce, e alla conoscenza delle quali solo il vero alpinista può educare.
    Pol pot è dietro l’angolo.

  31. Jerome, il fatto che Placido Mastronzo si sia guadagnato una risposta, al contrario di quanto accade a te, si deve al contenuto del suo commento, e dovrebbe sempre essere così. Tu hai postato una cosa inutile, fuorviante e deliberatamente provocatoria: perché risponderti?
     
    Che poi molti tra i commentatori e anche autori di questo blog pretendano che chi interviene si presenti per nome e cognome, anziché usare un nickname come sarebbe d’uso in tutti i forum del mondo (a parte Facebook), è cosa risaputa. La ritengo una pretesa sbagliata, nel senso che i commenti del cavolo sono commenti del cavolo, che siano o meno firmati, ma è la regola della casa e mi ci sono adattato rinunciando, a malincuore, al carinissimo nick che avevo inventato per me, perché non ho niente da nascondere e soprattutto perché mi fa piacere intervenire, qui e non altrove, e se la richiesta è di “metterci la faccia”, in cambio della libertà di intervenire ed essere ascoltato, è una richiesta che tutto sommato, dal mio punto di vista, ci può stare.

  32. Immagino che Severo Mastronzo qui sotto sia di gran lunga un soprannome più pregevole.

  33. Invece mi ha risposto Cominetti in persona! Che emozione! Le mie carni fremono

  34. “Jerome”, sarà che l’autore del commento 59 non ha voglia di rispondere a chi si mette da solo dei soprannomi del cazzo.
    Fattene una ragione.

  35. Io ricordo il soggetto autore del commento 59 come autore di un altro articolo apparso in questo blog, peraltro pregevole, che scadeva però nel ridicolo nella conclusione, dove pretestuosamente costui trovava il modo di parlare del periodo di confinamenti e coprifuoco vissuto fino a un paio di anni fa paragonandolo in maniera delirante al coprifuoco vissuto dai nostri nonni durante la guerra.
    Io risposi commentando in maniera provocatoria perchè, se trovasse tanto fastidioso e limitante quel ridicolo coprifuoco, non aveva tuttavia osato violarlo, assumendosene nel caso in toto la responsabilità ovviamente. Come io stesso feci trovandomene costretto al ritorno da un’uscita in montagna, traendo tra l’altro grande soddisfazione dal poter viaggiare su un’autostrada totalmente deserta. Non ho mai ricevuto risposta.
     

  36. @59 Ecco un esempio auto-esplicativo di cosa spaventa davvero le autorità. Più è diffusa (e aggressiva) questa mentalità e più le autorità (che non sono quasi mai degli alpinisti) se la fanno sotto e saranno spinte a stringere le morse.
     
    Tra l’altro costui si rivela uno dei tanti che non hanno ancora capito che io non “invoco” le restrizioni, ma mi limito ad analizzare la situazione e ad elaborare delle previsioni. In linea teorica queste previsioni potrebbero anche non avverarsi, ma invece io temo che siano molto più realistiche rispetto ad affermazioni senza controllo come quella del 59.
     
    Buona domenica!

  37. Forse non ci intendiamo sul senso delle parole. Certo che esiste una cultura dell’andare per monti come esiste una cultura dell’andare per mare. Dove c’è un gruppo sociale, una tribù, esiste un collante e questo collante è la cultura del gruppo. Oggi la montagna è frequentata da diverse tribu’ con culture diverse. Pure quelli che vanno in montagna con un approccio “sportivo” hanno una cultura basata su valori, riti e miti che influenzano i comportamenti. Io non condivido l’idea di una gerarchia tra le culture, ma sono d’accordo che alcune culture possono avere un  impatto più negativo di altre su alcuni comportamenti che si vogliono promuovere. Certamente una cultura basata sul “familismo amorale” ha un impatto più negativo sul senso di responsabilità verso la comunità sociale che non una cultura della solidarietà. Una cultura della spiaggia trasferita in montagna ha sicuramente un impatto non positivo sulla tutela dell’ambiente alpino. Io però sono convinto che per riuscire a raggiungere gli obiettivi che molti di noi condividono, al di là dei dettagli e delle antipatie personali, non bisogna “chiudere” e porsi in un atteggiamento di superiorità, io ho la Cultura della montagna tu no e quindi taci, ma perseguire una politica delle alleanze anche verso chi appartiene a culture diverse, non tutte ovviamente. Non si tratta di essere ecumenici ma realisti. E una politica delle alleanze richiede un po’ di tolleranza e di compromesso e anche un po’ di umiltà. Insomma per portare a casa qualcosa e non solo strillare alla luna bisogna costruire ponti e non muri. Siamo sempre lì, vecchi temi che hanno tormentato almeno due generazioni, ma forse sarebbe il caso di coinvolgere e lasciare spazio a chi è oggi è protagonista in prima fila e meno condizionato dalle delusioni del passato. 

  38. Crovella hai rotto i coglioni!! la patente dovrebbe essere obbligatoria ma per scrivere qui, così magari si leggerebbero un po’ meno cazzate! le tue paternali risultano stucchevoli e i tuoi auspici circa divieti e brevetti imposti per legge sono un puro rigurgito di fascismo; la montagna è libertà e lo sarà sempre.. non avrete mai ne gli uomini ne i mezzi per controllare tutti gli accessi.. se Dio vuole il territorio alpino è grande, immenso e il corpo forestale dello stato piccolo piccolo.. rassegnati, continueremo ad andar per monti come, quando e con chi ci pare; adesso vatti a rintanare in qualchè grigio caffè Torinese e smetti di ammorbarci con la tua retorica da ventennio

  39. E’ proprio quel valore non solo astratto, ma addirittura immateriale, che chi lo “riconosce” chiama “cultura della montagna”, a rendere l’alpinismo qualcosa di più di un semplice sport e, anzi, lo fa diventare “magico”. Chi percepisce tale valore immateriale constaterà che l’alpinismo (inteso come “andar in montagna” nelle sue mille sfaccettature) lo accompagnerà per tutta l’esistenza, modellandosi alle diverse esigenze anagrafiche. Non è una mia scoperta, fior di alpinisti di spicco del passato hanno focalizzato lucidamente questo concetto (da Gervasutti a Mila, per citare i primi che mi vengono in mente).
     
    Chi invece (per le più disparate ragioni) non riesce a percepire l’esistenza della cultura della montagna, per reazione ne nega l’esistenza stessa. Credo che lo spartiacque con i cannibali sia proprio sul questo tema. Così facendo costoro svuotano l’attività alpinistica di ogni valore “elevato” e la riducono a un semplice sport, come correre in un parco cittadino. Lo sport, qualsiasi sport, dopo un po’ annoia, o almeno perde di mordente: ciò accade quando ci si accorge che non si riesce più a migliorare (che sia nel dislivello o nella difficoltà superata o in qualsiasi altro risvolto “misurabile”). L’alpinismo intriso di cultura della montagna non annoierà mai, perché ha radici intime così profonde che te lo porti dietro in ogni età.
     
    Poveretti, dico io, quelli che non vedono neppure l’esistenza della cultura della montagna: poveri di spirito, intendo, e li compatisco perché vanno in montagna in modo “animalesco”, mettono semplicemente un piede davanti all’altro (o una mano più in alto dell’altra su roccia), magarti lo fanno a ritmi forsennati, ma senza godere di quella componente che, invece, è la vera ricchezza esistenziale dell’alpinismo. Tutto questo può maturare anche a livello intermedio di difficoltà: non è necessario essere dei campioni.
     
    Però qui il punto non è neppure questo. Fin qui ognuno sia libero di fare quello che vuole. Certo la scuola (scuola di pensiero prima ancora che scuola tecnica) cui appartengo da che sono nato,  insegna, da oltre 70 anni consecutivamente, l’approccio ai monti dove la cosiddetta “cultura della montagna” è il perno centrale della trasmissione didattica. Prima delle singole nozioni, prima delle performance tecniche. Non è l’unica scuola di montagna che abbia tale impostazione, anzi (la maggior parte delle Scuole CAI, specie se “grandi” e blasonate, hanno tale impostazione). Sicuramente noi l’abbiamo, e, siccome ci crediamo, non possiamo che esprimerci in modo sempre coerente con tale impostazione.
     
    Ma, come ho già accennato, il punto in gioco, all’attuale livello delle cose, non è l’opinione degli alpinisti, né quelli “vecchi” come me né i giovincelli ultimo grido. Infatti a concretizzare eventuali decisioni di contingentamento (nelle diverse modalità, non le sto a ripetere) non sono gli alpinisti, ma i soggetti che occupano le posizioni di potere e di responsabilità: sindaci, Presidenti di regione (e loro assessori), parlamentari (in eventuale sede legislativa), magistrati (ai vari livelli, teoricamente fino alla Cassazione, nell’ipotetico caso di situazioni che dovessero arrivare fino agli “ermellini”). Questi sono i soggetti che prendono le decisioni. Molto spesso (quasi sempre) questi soggetti NON sono alpinisti, magari le montagne non le hanno mai viste, neppure col binocolo.
     
    Ebbene: credete forse che l’opinione della platea degli alpinisti conti qualcosa? Forse in modo “indiretto” (cioè come elettori e/o consumatori che portano profitto a chi elegge le cariche…, però con collegamenti lunghi e vischiosi), ma non contano assolutamente nulla in termini “diretti” e immediati.
     
    Un  qualsiasi esempio? Eccolo: quando il sindaco di St. Gervais (comune presso Chamonix, nel cui territorio transita la via normale al Bianco per il Gouter) ha deliberato il numero chiuso (con la prenotazione obbligatoria in rifugio) e il divieto di bivacco su tutto il territorio (compresa la vetta del Bianco), ha forse fatto un referendum fra gli alpinisti?
     
    Ma…’sto pesce! Ha deliberato e basta e, fuori dall’arrivo del trenino della Tete Rouge, ha messo i gendarmi della Brigate Blanche. Ti chiedevano l’attestato della prenotazione in rifugio. Se l’avevi, ti lasciavano passare.  Se non l’avevi, non ti lasciavano passare (parlo al passato perché tale norma era in vigore ed è scaduta, vedremo questa estate se la ripristinerà o meno: io temo di sì). Se per caso non avete idea della rudezza di comportamento dei “gendarmi” francesi, guardate i servizi in TV sui respingimenti alla frontiera italo-francese di Ventimiglia.
     
    Per evitare di finire nelle eventuali maglie di meccanismi del genere, dobbiamo concretizzare qualcosa che mitighi la propensione al rischio oggi cumulativamente espressa dalla comunità degli alpinisti (intesta in senso lato). Può essere riportare in auge la “cultura dell’alpinismo” (marginalizzando, quindi, chi non vi si riconosce e sperando che si dedichi ad altro), oppure può essere una qualsiasi altra opzione, ma non possiamo restare fermi ad assistere passivamente al trend in essere, sennò a farci rispettare le (eventuali) regole ci penseranno i “gendarmi”.

  40. Riki. L’andare in montagna riflette le tendenze delle culture più generali presenti in una determinata società in un determinato tempo. A mio parere oggi nel nostro paese prevale una cultura di tipo protezionistico, con forti critiche diffuse ad ogni ipotesi “liberista”. È proprio su questo sono caduti i vari Renzi, al di là dei loro problemi caratteriali. C’è però da dire che da noi è molto diffusa anche una cultura del compromesso e delle convergenze parallele. Molti italiani vorrebbero essere svedesi durante la settimana e californiani nel weekend. In altri termini beccarsi il meglio senza pagare troppi prezzi: liberta’ e sicurezza garantita, niente lacci e lacciuoli, però servizi di alto livello gratis nel momento del bisogno,  tutto nello stesso pacco dono natalizio. Illusione, dolce chimera sei tu o inveterata furbizia ? Da qui nascono le oscillazioni continue delle politiche anche sulle sulle cose di montagna: ogni tanto e su certe cose, liberi tutti poi invece ogni tanto e su altre cose lacci e lacciuoli. Qui dove sono io i comuni vorrebbero i cinque milioni annuali di dotazione del Parco esteso di Portofino, però senza vincoli e controlli ambientali che potrebbero infastidire gli elettori e andiamo aventi così da due anni tra ricorsi e sentenze. È il suo bello come dicono a Milano, che determina l’immobilismo delle istituzioni perché le azioni si bilanciano e rende sempre molto difficile fare ipotesi di come si orienterà l’oscillante consenso della maggioranza.  Io penso comunque che ogni ipotesi di creare aree “sprotette”senza soccorso e “scomode” non abbia alcuna probabilità di avere un ampio consenso e sia destinata a rimanere una proposta eccentrica di pochi. È probabile che il frequentatore medio che è anche l’elettore medio dica : “Non vuoi protezione e comodità. Non usarle e fatti li ca@@i tua”. Come avviene su certe vie spittate. 

  41. Personalmente ritengo che la serie di commenti evolutasi a seguito di questo articolo abbia evidenziato come la “cultura” della montagna segua punti di vista generazionali e di trend del tutto leciti se adeguatamente contestualizzati.
    Diversamente, ritengo sia invece presente una deficienza in termini di conoscenza. Determinate regole come qualcuno, giustamente, ha portato ad esempio (vedi orari di partenza per la salita di una scialpinistica)  spesso si sposano con la cultura di una montagna agonistica basata sulle conoscenze di un terreno più addomesticato in netto contrasto con i parametri da osservare in un contesto più “ostile”, spesso dovuti alla traslazione da uno sport ad un altro senza prima aver approfondito le regole di base. Qui un primo problema.
    Altro grande dramma, dal mio punto di vista, è la direzione imboccata dalla società verso una presa di posizione caratterizzata da un fenomeno di iperprotezione, probabilmente dovuto da un’eccessiva speculazione mediatica. Aspetto che, inevitabilmente, si rivela controproducente se non addirittura più pericoloso (divieti, regole emanate dalle istituzioni, patentini, ecc.).
    Inoltre, ad oggi si è portati a credere di avere il controllo su tutto, di essere protetti in ogni dove ma, non è così. L’efficienza dei soccorsi diviene poi un’arma a doppio taglio. La consapevolezza, anche inconscia, di sapere che se mi trovo in difficoltà qualcuno mi viene a recuperare porta inevitabilmente ad un’errata percezione del rischio, così come il possedere attrezzature all’avanguardia e condizioni fisiche degne di un atleta professionista senza conoscerne i limiti e senza tenere in considerazione le possibili interazioni e mutazioni dell’ambiente circostante.
    La formazione si è importante ma, attenzione al formatore. Diverse volte mi è capitato di assistere a corsi CAI o di trovarmi lungo la “strada” delle gite CAI e dover temere per la mia incolumità a seguito di alcune loro azioni (non è mia intenzione offendere nessuno e nemmeno generalizzare sul CAI che molto spesso esegue attività esemplari). Lo stesso dicasi per alcune guide…
    Aggiungerei inoltre, il fattore social che mostra l’aspetto ludico e piacevole e cela tutto ciò che lo precede (chi lo ha fatto? Sulla base di quale valutazione? Che preparazione aveva? Quali conoscenze di quel territorio?), invitando coloro che, definite “cannibali” ad intraprendere percorsi fuori dalla loro portata. È corretto dire che la montagna è di tutti ma, sarebbe bene specificare che essa non è per tutti.
    Per concludere ritengo che discutere su un aspetto culturale sia fuorviante e fine a se stesso. Questo è un aspetto sociologico che varia in funzione del propria “casta” di appartenenza. Io ad esempio sono cresciuto in montagna con gli insegnamenti di mio padre, tramandati da mio nonno, molti dei quali rasentano “l’esoterismo” (ad esempio: non si beve fino a che non si arriva in cima altrimenti ti appesantisci e non cammini più. Non si va in montagna nei giorni delle festività perché ci si fa male) che, nel mio percorso li ho analizzati e riadattati poi con l’esperienza maturata passo passo.
    Mi hanno insegnato che in montagna devi avere tutto il necessario per poter affrontare qualsiasi situazione (ma devi saper scegliere cosa portare, poiché se porti tutto diviene controproducente), mi hanno insegnato che devo conoscere e saper giudicare il terreno, che devi sempre avere una mappa e saperla leggere, che se ti vengono a recuperare per sciocchezze è un onta che difficilmente verrà dimenticata e così via.
     

  42. Roberto 
    osservazioni molto pertinenti e apprezzate le tue. La soluzione (mia) è piuttosto talebana: l’unica “cultura” che conosco è quella del rispetto della natura. E per me rispetto vuol dire che meno si tocca, meglio è. L’essere umano è una sorta di moderno Attila, le olimpiadi di Cortina ne sono esempio (mentre scrivo mi è sorto spontaneo un neologismo: ESCEMPIO, ma non perdiamoci). In tutto ciò gli aspetti culturali che andrei a stimolare sono quelli di definizione di ciò che si chiama “spazio o terreno di avventura” e della sua assoluta tutela, nei micro e nei macrocomportamenti. E con macro intendo cementificazione, di cui neanche voglio parlare.. I terreni d’avventura dovrebbero essere luoghi in cui l’essere umano ha diritto di transito e azione (trekking, arrampicata, quello che vuoi), ma in cui deve essere conscio del fatto che da li in poi sono cazzi suoi, anche nei confronti del partner. Scusate il tecnicismo legale, ma la chiarezza è importante. Facciamo un esempio di un posto X.  Finite le zone antropizzate, parte il terreno d’avventura, dove ognuno è responsabile delle sue azioni (nel senso: se si perde, affari suoi. Se il chiodo non tiene… affari suoi. Se viene una valanga… affari suoi. Se sceglie il socio sbagliato… come sopra!), deve rispettare la natura (no caccia, no fuochi, no raccogliere genepì, no spazzatura etc, cose normali) e deve vivere la sua avventura come meglio crede. punto. Sapendo di essere unico responsabile delle sue azioni, e senza speranza legale di potersi rivalere su persone o enti giuridici (altro aspetto importante parlando di cultura!). Il soccorso (almeno il tentativo) deve essere garantito (ricordo a tutti che il costo del calcetto per il ssn è infinitamente maggiore di quello del soccorso alpino, sia in termini assoluti che relativi al numero di praticanti, e anche se a me sta sulle scatole il pallone, non grido allo scandalo per i 150.000 infortuni da pronto soccorso annui nei campi da calcetto e che gravano sul SSN!).  Che ne pensate?\

  43. L’escursionista e l’escursionismo, come l’alpinista e l’alpinismo, non sono cose astratte perché la montagna è la continuazione della pianura. Chi è pirla giù in città è pirla dappertutto e ovunque frequenta esclusivamente i suoi simili perché diversamente si sentirebbe a disagio.

  44. Riki. Se per cultura intendiamo come da manuale valori, modelli mentali e riti (a prescindere da una valutazione etica o estetica) quelli che tu hai espresso sono pezzi di “una” cultura  della montagna. Di solito in ogni epoca c’è una cultura dominante e delle varianti di minoranza. Quando ho iniziato, negli anni ‘70, le culture dell’andare per monti sulla piazza erano meno numerose. Oggi mi sembra che la forte differenziazione delle varie attività abbia moltiplicato e frammentato le culture e non ci sia una Cultura dominante, ma varie “sottoculture” che convivono, a volte in competizione/conflitto. Di solito chi è cresciuto in una cultura tende a giudicare le altre come “non culture”.  In realtà esistono e hanno una loro logica anche se ci può sembrare estranea e lunare. Poi c’è il secondo corno della questione: c’è una responsabilità maggiore di alcune culture rispetto ad altre nel generare i problemi ? Qui la faccenda diventa complicata e risente anche dei nostri pregiudizi e gusti. Ritengo che la “cultura della spiaggia” , portata in montagna e fomentata per loro tornaconto da molti operatori turistici e politici locali e nazionali,  abbia notevoli responsabilità rispetto ad alcuni fenomeni di degrado. Ma il problema principale penso sia il numero e su questo sono d’accordo con Crovella. Dove divergo è sulla strategia. Ma di questo abbiamo discusso già molte volte. La domanda è destinata ad aumentare, è un fenomeno che non si può ormai più contenere. Troppi interessi in ballo, soprattutto in zone che di turismo vivono.  La sfida è come la gestisci e certamente si tratta di una sfida che spaventa, soprattutto se non hai una cultura gestionale di grandi numeri diffusa sul territorio  (ce l’hai solo in alcune città) e hai a che fare con una cultura nazionale piuttosto refrattaria al rispetto delle regole. Però non ci sono alternative: qui si fa la Montagna del XXI secolo o si muore, ma a gestire il processo non sarà la mia generazione ne’ quella subito a ridosso. Per questo bisogna far parlare altre voci più fresche e meno zavorrate dal problema del “lascito”. 

  45. Francamente sono un po’ stufo di discorsi, categorizzazioni, profezie ed elucubrazioni che partono da “esempi numerici inventati”.
    Non credo sia un fondamento razionale o che possa condurre da qualche parte.
     
    Vorrei parlare partendo da fatti e numeri, non da un concetto indefinito (e indefinibile) come “cultura della montagna” o dai deliri di un assessore che probabilmente non è mai andato in montagna.

  46. Crovella: Però i primi a comprendere il nostro tornaconto in tutto ciò, dovremmo essere proprio noi alpinisti: se non si inverte il trend, c’è l’ipotesi (ipotesi, non la certezza) di strette d’autorità, che condizioneranno anche noi. In parole povere: se riusciamo a ridurre i cannibali in giro, avremo meno probabilità di strette anche a nostro danno. Se non ci arriviamo, quando saremo costretti in casa, ci starà solo bene .
     
    Le cose stanno così. Bisogna assolutamente invertire questo trend. E’ corretto che l’autorita’ con il tempo stringera’ sempre di piu’ gli accessi. 
    E solitamente poi si passa dalla parte opposta…prima tutti indiscriminatamente, poi proprio nessuno, anche quando si potrebbe. 
    Per esempio si passera’ da tutti vanno indipendentemente dal grado di allerta valanghe, a andrete se non c’è neve (faccio un esempio). Personalmente non vado mai quando le condizioni non sono altamente sicure (la certezza non c’è ovviamente). 
    D’altronde per quel che mi riguarda. Se arriviamo al secondo step, ci vado lo stesso e spero mi abbattano… vivere e non poter nemmeno andare a farmi una scarpinata in montagna non è vivere… è un lager …  
     
    Atra nota.. .Cla … riporta benissimo quello che è accaduto e quello che puo’ accadere… una volta sono stato ligio ai dettami ILLEGITTIMI imposti dall’autorita’ (tutti i giudici hanno archiviato le multe perchè i dcpm erano illegittimi…bastava conoscere un po’ di diritto che le nostre solerti FFOO e soccorritori volontari ovviamente ignorano, anche qui ci vorrebbe per loro un accurato esame di diritto con aggiornamenti) la prossima no signori….sparatemi che fate prima. 
     

  47. Anche entrando nella precisazioni di Pasini, non è l’età anagrafica la vera discriminante. Anzi, non c’entra proprio nulla. Conosco ragazzi che, oggi, hanno 20-30 anni e che fanno attività alpinistica molto intensa (stile quelli coinvolti nel progetto CAI Eagle Tean, anzi uno è proprio dentro al progetto). Nonostante l’età hanno una “testa” molto tradizionale, addirittura ante anni ’70. Eppure questo non impedisce a loro di essere la top tecnico.
     
    I cannibali non dipendano dall’età che hanno. E’ una loro condizione di default. Conosco cannibali che oggi hanno 20 anni e altri che, sempre oggi, ne hanno 70 e passa. I cannibali ci sono sempre stati, ma con una enorme differenza. Il numero assoluto degli accessi antropici è aumentato a dismisura rispetto a 30-40 anni fa, ma all’interno di tale aumento è aumentato in modo esagerato il numero dei cannibali. E’ questo il nocciolo del problema. Esempio numerico inventato per capirci. 40 anni fa: 1000 accessi annui, 50 di cannibali. Oggi 50.000 accessi annui  e 35-40.000 di cannibali. 
     
    Il fenomeno del consumismo si lega a stretto filo. I cannibali sono in genere attratti dal mondo magico e consumistico, cioè da cose tipo cucina stellata, impianti fino in alto, piscina jacuzzi ecc. Poi magari si scatenano e fanno 3000 m di dislivello in mezz’ora. Ma se chiudiamo le strade in basso, nessuno va più sul Breithorn. Se invece costruiamo addirittura una nuova mega funivia fin sul Piccolo Cervino (come sta avvenendo), avremo migliaia di persone al giorno (al giorno, non all’anno). Da lì, da una montagna “comodosa e consumistica”, deriva l’esplosione numerica dei cannibali, inoltre facilitata da attrezzatura tecnica molto più performante (e leggera) di 40 anni fa.
    Si potrebbe puntare a contenere il problema diffondendo una cultura sana dell’andar in montagna (oggetto delle riflessioni dell’articolo), che è il messaggio anche delle guide, almeno di quelle di cui è stato riportato il pensiero.
     
    Però i primi a comprendere il nostro tornaconto in tutto ciò, dovremmo essere proprio noi alpinisti: se non si inverte il trend, c’è l’ipotesi (ipotesi, non la certezza) di strette d’autorità, che condizioneranno anche noi. In parole povere: se riusciamo a ridurre i cannibali in giro, avremo meno probabilità di strette anche a nostro danno. Se non ci arriviamo, quando saremo costretti in casa, ci starà solo bene . 

  48. molto bene, i miei due petardi.
    Primo: la cultura della montagna non esiste. Cos’è la cultura della montagna? Quella dell’andare piano per sentieri a ingolfarci di grassi insaturi nei rifugi?
    Un’alpinismo di ripetizione solo in situazioni controllate? Ma dai, l’esplorazione richiede coraggio, sprezzo del pericolo, chiama rischio e talvolta vittime. Inevitabilmente.
    Si scrivono libri epici e chi si approccia alla montagna li legge e vuole emulare e se possibile lasciare la sua traccia. Come? Ripetendo la Bonatti al Medale?
    Non credo… Tutti abbiamo fatto ca@@ate epocali e in molti siamo sopravvissuti. Quelli che sono morti sono dei cretini, quelli che ce l’hanno fatta sono degli eroi. È sempre stato così. Vae victis! Hansojorg Auer, per dirne una, se fosse morto sul Pesce cosa avremmo detto? E non diciamo cacchiate, lo avremmo appeso in croce! Fermatevi 30 secondi e ditemi di no, se avete il coraggio! E Honnold? 
    Quindi: cos’è la cultura della montagna? I rifugi? Le ripetizioni 2 gradi sotto il proprio livello? Quella dello Speck altoatesino? Quella schizofrenica di Messner che sfida la morte ma poi predica di sicurezza (perché a lui è andata bene, ai suoi cari un po’ meno), e parla di caccia, di lupi e di orsi che in Maiella stanno ancora ridendo di quante cacchiate ha detto? 
    Quella dei professionisti che vendono la “sicurezza” a 300  al giorno, cercando di terrorizzare il mondo per avere l’esclusiva?
    Quella di tanti istruttori cai che prodi del loro 5a da secondi portano la gente a fare vie?
    Nulla di male, ognuno porta acqua al suo mulino. Che macina soldi, non cultura. Dai, basta… Se non sono soldi sono interessi. Il cacciatore, la guida, il contadino, il gestore di impianto da sci e il pastore. La cultura della montagna quando va bene è sfruttamento controllato. Altre volte neanche…
    La cultura della montagna non c’è, e nessuno l’ha definita, Se ne parla come spauracchio ma chi ne parla non sa cosa sia. E non si rende conto delle contraddizioni. La montagna per chi la pratica nel tempo libero, per chi la ama è bella, inutile e affascinante, e tutti abbiamo il diritto i goderne come meglio crediamo (nel rispetto di alcune regole base, ovviamente! Tipo niente ferrate 😉 elicotteri e strumenti invasivi per addomesticarla).
    Chi arriva adesso ha tutto il diritto e anzi il dovere di andare e fare cacchiate (esplorazione, interiore ed esteriore) per monti. Qualcuno farà esperienza (cultura? mah), qualcuno abbandonerà, qualcuno morirà. Più sono, più grandi i numeri saranno, ma sempre proporzionali. E chi li rimprovera… sono solo dei vecchi rancorosi, o qualcuno che ha paura di perdere soldi,  o dei falsi perbenisti che non si ricordano (o forse neanche hanno capito) cos’hanno fatto e quante volte gli è andata bene per arrivare a raccontare quello che raccontano. 
    E di quanto è bella la sensazione di sfidare l’ignoto, di sbagliare e magari poi farcela anziché pagare per fare i compitini di scuola… ma il suo prezzo è alto!
     

  49. Delle cause e dell’andamento degli incidenti in montagna abbiamo già parlato e abbiamo visto che la risposta non è semplice ma richiede discorsi articolati e differenziati, ad esempio per escursionismo, sci-alpinismo, arrampicata indoor e outdoor, cascate, misto …Qui il tema, indotto anche dal titolo un po’ troppo ad effetto, è la mancanza di cultura della montagna come fenomeno dei nostri giorni. La mia reazione è : un momento, fermi, dipende: ci sono delle aree della frequentazione montana dove certamente questo è vero, anche se io userei forse più la parola conoscenza che cultura, e delle aree dove invece a me pare emergano frammenti di una cultura diversa da quella tradizionale (tradizionale anni ‘70). A mio parere mettere tutto insieme e generalizzare ricercando una causa unica, non fa un buon servizio alla comprensione della realtà e ad un approccio pragmatico e non ideologico alla risoluzione dei problemi. 

  50. Benassi :
    non serve essere provocatori, quella dei soccorritori sguinzagliati a pattugliare i sentieri nel periodo di confinamento è stata una squallida realtà, realtà che potrebbe ripetersi, che ne so magari chiedendo proprio il famoso patentino per portare a spasso gli scarponi. Come ho detto prima gli sbirri più bravi sono i vicini di casa. 

  51. 36, lo affermo in base al tipo di soccorso richiesto, in base al tipo di offerta che propongono i rifugi. mi pare evidente che si sia persa consapevolezza quando si chiama aiuto perché si ha freddo o si è stanchi (e sono la maggioranza del soccorso avvenuto) o quando si chiede lo spaghetto all’astice. Generalizzare è scorretto, ma credo che saranno queste mancanze a far scattare le manette o, peggio, le patenti

  52. 41 Crovella.  Poi muoiono sotto una valanga tre guide alpine e immediatamente diventa “fatalità”… Bravo l’assessore, la cui frase più indicativa è “soccorsi costosi” come se pagasse lui… 

  53. Ma se sono solo il numero delle persone a far scattare le “manette” ….chiudiamo scuole cai e guide alpine a pelar patate

  54. Non c’entra nulla il confronto fra mentalità alpinistica “vecchia” e mentalità “nuova”.
    C’entra che oggi, purtroppo, è incontenibile il numero di gente che va in montagna “ad minkiam”. E’ irrilevante la loro età anagrafica.
    Il problema NON è che tale trend infastidisce i “vecchi scarpun” come me o certe guide alpine, ma che sta espasperando le autorità competenti, le quali stanno iniziando, sempre più numerose, a esprimersi in modo molto critico verso questo modo di andare in montagna (vedi, sotto, il tweet dell’Assessore aostano dopo la valanga di aprile, con due morti in un giorno con bollettino che, in quella precisa zona, dava rischio valanghe 4 su 5).
    Per le autorità non è una questione ideologica sulla “visione” della montagna, ma è una questione di loro responsabilità. Se il trend non si inverte, prima o poi la società sicuritaria, proprio per la sua stessa natura, interverrà d’autorità, o imponendo nei divieti/numeri chiusi/contingentamenti o creando forme di scrematura qualitativa su chi accede alle montagna, con accertamenti attraverso valutazioni e successivi attestati (che possiamo chiamare genericamente “patenti”).
    Se si dovesse arrivare a tali decisioni, non c’entra nulla la visione ideologica dell’alpinista tizio o dell’alpinista caio, invece c’entra che le norme saranno coercitive per tutti e imposte da autorità legittimate a farlo.
    Non è un mio auspicio, ma una amara previsione sul futuro.
     
    Tweet dell’assessore aostano
    @LucianoCaveri
    2 aprile 2023
    È sconcertante che ci siano scialpinisti che disattendono i bollettini che indicano pericolo, esponendo i soccorritori a rischi per salvataggi assai costosi per la comunità, spesso purtroppo solo per recuperare le salme di chi è stato vittima della propria imprudenza

  55. Sarebbe interessante ad esempio andare in una palestra indoor e in una falesia e fare un po’ di interviste. Così come far parlare quelli di una scuola Cai o quelli del progetto speciale Cai e vedere cosa viene fuori. Se parliamo sempre noi, dove intendo quelli che appartengono ai boomer e alla generazione X alla fine diciamo sempre le stesse cose e rischiamo l’effetto “Pianto antico”. Io per vari motivi non posso farlo ma magari a qualcuno potrebbe dedicare del tempo. Sarebbe un bel contributo, però senza “filtrare” ma riportando le opinioni originali. 

  56. anziché sfilacciarci lo scroto con i vostri battibecchi su chi era più sbirro durante i lockdown… andiamo avanti nella discussione

  57. Trovo curioso l’affermazione di Barmasse quando dice che le guide sono istruite male….ovviamente non quelle che istruisce lui. Cultura, si certo, ma quale miglior maestra se non la montagna? Sulla Dibona alla grande arrampicano uno sull’altro, nelle Pale di San Lucano ci va ….Gogna e pochi altri… Eppure ci sono vie di pari sviluppo e difficoltà… solo che una ha avvicinamento di mezz’ora e l’altra 500mt di zoccolo . Possiamo sempre scegliere

  58. 27 Riky – Mi associo: e come lui vi chiedo, non date risposte scontate. Comunque sia, se la montagna è luogo di libertà, beh scusatemi la mia cultura della montagna vale quella di chiunque altro, famoso o meno…

  59. Carlo. Sulla base di cosa diciamo che la consapevolezza di cui parli si è persa nei nuovi “adepti” ? Forse sarebbe il caso, come sempre,  di non generalizzare e di mantenere attenzione alle distinzioni. Ripeto che diversità di valori e di modelli non significa necessariamente mancanza. 

  60. 34 Cla
    Ti piace fare il provocatore??
    Sei cascato male, cane da guardia ci sarai te.
     
     
     

  61. Si Benassi, se fai parte di quei paraculi del Socc. Alp. Che nel marzo/aprile 2020 erano in giro a fare i cani da guardia, sicuramente eri in montagna. Ma dalla parte degli sbirri! 

  62. 25. Cla.

    mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino. 

    Io giravo bellamente in montagna senza alcun problema.
    Comunque c’era anche chi era confinato in una casa da 45 mq. Quindi ritieniti più fortunato di altri.

  63. dice barmasse “manca la cultura della montagna”. Benissimo. ora la domanda: qual’è la cultura della montagna? Attendo risposte non scontate

    chidilo a Barmasse, lui sicuramente ne ha tanta.

  64. 17, 22, 23…mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino.

    e chi te la detto che non ci fossimo in montagna…?

  65. La commistione classico moderno proposta intetessantemente dal Pasini mi fa tornare quanto letto nel Fortissimo: gervasutti ha cominciato per primo sui ghiacciai ad usare quelle che sarebbero diventate le vibram , quando incrociava guide che stavano salendo lo rimproveravano per l’uso a loro giudizio sconsiderato di tali calzature, lui rispose “ma vado lo stesso”. Questo per dire che ogni generazione ha il suo modo di andar per monti e di usare le novità, ma quello che stiamo smarrendo è la consapevolezza del perché ci fa star bene andare al monte, di alzarsi letteralmente dal quotidiano. Anche andare in una pineta fa medicamente bene, ma andare al monte lo fa prima e meglio, anche se la scienza non ha ancora ben capito perché. Resta il fatto che dovremo sapere che mantenere un ambiente naturale …naturale, è egoisticamente un nostro interesse

  66. “mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino. “
    Pensa te che io non avevo nemmeno il giardino…
    comunque non me ne stavo chiuso in casa: ogni giorno, per almeno un paio d’ore ho fatto lunghi giri in bicicletta, giocando a guardie e ladri con gli sbirri. 
     
    “Non è che ora noi invecchiando ripetiamo lo stesso schema?”
    Alcuni di certo.
    Altri un po’ meno o almeno cercano di capire. Come faceva Cassin, quando diceva “peccato non avere più vent’anni” palando del free climbing e delle gare.
     
    Non bisogna mai fare di tutte le erbe un fascio.

  67. dice barmasse “manca la cultura della montagna”. Benissimo. ora la domanda: qual’è la cultura della montagna? Attendo risposte non scontate

  68. 17, 22, 23…mi piacerebbe poter riavvolgere il nastro e vedervi bellamente anarchici  in giro in montagna nel Marzo/Aprile 2020 mentre io ero confinato in giardino. 

  69. Vedo che giriamo intorno sempre allo stesso punto e allora ripropongo alla discussione una domanda che mi pongo spesso. Sicuramente troviamo in giro persone senza cultura dell’andare per monti. Quelli che Crovella chiama i cannibali. Improvvisati e a volte pure irresponsabili. Tuttavia ci sono in giro anche persone che forse si ispirano ad una cultura della montagna diversa da quella diciamo classica, dove per classica non intendo quella anni 30 ma quella che si è venuta affermando dagli anni ‘70, un misto di tradizione e modernità, nella quale si sono formati molti di noi. Non sarebbe forse il caso di non mettere tutto insieme e di non confondere diversità con mancanza ? Mi spiego con un esempio. Sono cresciuto in un’epoca di transizione. Nella scuola di roccia e ghiaccio che ho frequentato erano presenti due culture, quella classica (davvero classica) e quella che stava muovendo i primi passi. La divisione era chiaramente presente tra gli stessi istruttori e si trasferiva anche a noi allievi. Ricordo molto bene cosa dicevano i “classici” dei “moderni” e dei valori, visioni e modelli di comportamento a cui si rifacevano questi ultimi. Non è che ora noi invecchiando ripetiamo lo stesso schema? In ogni caso forse, come qualcuno ha proposto in modo un po’ provocatorio, non sarebbe il caso di dare più voce a questi nuovi segmenti? Così tanto per conoscere, prima di giudicare e poi magari essere smentiti dall’inevitabile evoluzione delle culture, che non è sempre solo involuzione, anche se a volte lo è, innegabilmente. Aggiungo anche che pure in altri campi, mi è capitato di vedere ex alfieri della modernità diventare più consevatori di quelli che sono nati conservatori. Sarà un processo inevitabile dell’evoluzione individuale? Non ne sono convinto, anche se molti indizi, studiando in po’ la storia delle culture sembrano andare in questa direzione. 

  70. Sarei il primo ad andarmene in montagna senza patente, bellamente, anarchico.Venitemi a prendere.

    io il terzo!!
    Sarebbe divertente giocare a guardie e ladri con Crovella in divisa, alla Aldo Fabrizi, che c’insegue.

  71. “Sarei il primo ad andarmene in montagna senza patente, bellamente, anarchico.
    Venitemi a prendere.”
    E io il secondo…magari ti becco! 🙂

  72. Redazione al #15: grazie per la precisazione, e le mie scuse a Crovella per avergli erroneamente attribuito l’uso capzioso delle citazioni.
     
    Se posso, faccio però notare che è impossibile capire che una parte dell’articolo non è stata scritta da Crovella.

  73. @ Cla all’8. La spiegazione la puoi leggere nel post Scuola Gervasutti: Corso Trad 2022 al commento 32 a cura di lorenzo merlo.

  74. Domanda alla redazione.
    Premesso che sto ancora aspettando le risposte di Crovella alle mie domande sulla stesso argomento (post di qualche tempo fa), di conseguenza non entrerò nel merito del contenuto. Possibile che invece della solita brodaglia indigeribile e riscaldata enne volte e preparata da un boomer che ripete da anni le stesse identiche cose (molte delle quali irrealizzabili, vedi patentino), non si possa pescare dal web qualche lettura più interessante possibilmente frutto di qualcuno della nuova generazione. Ci sono molti giovani alpinisti che scrivono testi dai contenuti cento volte più interessanti di quello proposto oggi e probabilmente anche loro non sarebbe dispiaciuti di avere maggiore visibilità, ne guadagnerebbero tutti.
    Poi se i lettori del blog si sentono più a loro agio a commentare sempre le solite assurde fregnacce di Crovella, allora alzo le mani e mi arrendo.

  75. Sarei il primo ad andarmene in montagna senza patente, bellamente, anarchico.
    Venitemi a prendere.

  76. Informons, formons, OUI
    Patente, NON.
    Sinon,  patente pour toute activité en montagne, même pour une petite promenade  !
    Ridicule !

  77. #13 Placido Mastronzo. I commenti delle GA Azzalea, Barmasse e Cesa Bianchi sono stati aggiunti dalla Redazione NON per corroborare la tesi di Crovella al riguardo delle “patenti” (è notorio che la Redazione non è d’accordo con questa idea), bensì per sottolineare quanto il problema sia grande e “sentito”, al di là delle problematiche interne delle guide.

  78. Molte cose correte e in parte vere. La patente no! Se mettono la patente non sarà più la montagna che conosco quell’ambiente Anarchico dove serve sale in zucca ed esperienza e sbatterci la testa e tornare e brigare per imparare. In ogni modo bisogna investire sulla formazione della cultura montana. E si le guide dovrebbero guardare un po’ di più al piede alpino e ad una corposa attività e non troppo al grado. Non sono d’accordo sull’accessibilità più semplice alle montagne. Dipende sempre dove vai. Accessibili sono quegli ambienti addomesticati. Dove da sempre ti ritrovi il genio che vuol salire il bianco con le tennis dopo aver preso la funivia ma dove ci sono ore di avvicinamento con passo da atleta e zero punti di appoggio io vedo mica tanta gente ..

  79. Crovella da un lato continua ad affermare che la “famosa patente non è un elemento che lo fa gioire”, ma al contempo non perde occasione per scrivere articoli dove rimarca che l’unica strada sarebbe quella della patente.
    Delle due l’una.
    Inoltre, come già detto da altri, “usa” i commenti delle GA Azzalea, Barmasse e Cesa Bianchi (tra l’altro senza citarne la fonte, che è un articolo pubblicato su lastampa.it) per corroborare la propria tesi, quando è invece evidente che detti commenti si riferiscono alla situazione interna delle guide.
    Personalmente sono assolutamente convinto dell’importanza dell’educazione e dell’esperienza, così come sono assolutamente convinto della nocività di un patentino obbligatorio.

  80. Raffaella al #10 scrive:

    Cominciamo col far pagare gli interventi del soccorso quando non veramente necessari, qualcuno ci penserebbe forse due volte prima di scegliere l’uscita della domenica.

    Raffaella, sei male informata.
    Il costo degli interventi che richiedono un ricovero in PS o in ospedale sono interamente a carico del SSN (con delle eccezioni: alcune regioni chiedono comunque un contributo).
    Il costo degli interventi che NON richiedono ricovero in PS o in ospedale sono a carico dei recuperati. Ogni regione o PA ha le sue tabelle di costo.
    Rimando a questo ottimo articolo per tutti i dettagli:
    https://alpinismofiorentino.caifirenze.it/2020/11/soccorso-alpino-quanto-costi/

  81. Il Cai è da sempre associazione politica e si è sempre venduto alle mode (vedi cambio di linea, anni fa, sulle mountain bike). Non credo che possano davvero fare la differenza: scrivono tesi e documenti, ma quando si tratta di mettersi davvero di traverso di fronte ad evidenti violazioni dell’etica di base, spesso stanno a guardare.
    Cominciamo col far pagare gli interventi del soccorso quando non veramente necessari, qualcuno ci penserebbe forse due volte prima di scegliere l’uscita della domenica.

  82. Direi bravo Crovella ad aver individuato il problema, ottimo Benassi sulla soluzione. 
    Si impara in montagna ANDANDOCI. 
    E non è questione di corso o meno.. .tu puoi fare tutti i corsi che vuoi e poi non applichi un fico secco… E’ questione di materia grigia…o ce l’hai o non ce l’hai.
    Mai fatto un corso, sempre andato da solo (o quasi) mai successo niente. Quando ero con altri anche esperti sono sempre sorti casini…
    Valuto tutto, meteo con sole o nubi, temperature, stagione, esposizione della parete, presenza di nevicate nei giorni precedenti e temperature dei gg precedenti, stato fisico mio…
    Una guida per fare escursione??? ma non siamo mica paraplegici.. camminare è la cosa piu’ istintiva che ci sia..
     

  83. a sapersela cavare sempre e comunque

    Mi domando come si fa ad insegnare questo???
    Questo lo s’impara da soli, sulla propria pelle. Non te lo può insegnare nessuno.
    E’ questo il messaggio che dovrebbe passare.

  84. D’accordo, ci vuole formazione.
    Utili le scuole, le uscite con le guide o con persone esperte, ma alla “maturità” alpinistica ci si avvicina con l’attività personale. Provi, sbagli, torni indietro, impari dagli errori, cresci. 
    Sono contrario all’idea di una “patente” alpinistica (che potrà al più certificare la conoscenza di nozioni e tecniche) perchè per me montagna è sinonimo di libertà.
    È vero, la tecnologia ha semplificato l’approccio all’ambiente, ma alla fine sono la disponibilità alla fatica e l’accettazione di un lungo percorso di crescita a operare la selezione. 
    Puntiamo sulla responsabilità personale, meno sui regolamenti e proviamo a guardare avanti.
     

  85. Per quanto tempo ancora dovremo leggere queste fregnacce crovelliane? Cosa ci azzecchi poi il suo commento con le considerazioni successive, dove si parla, senza alcun approfondimento, di guide alpine, è inspiegabile.

  86. Purtroppo è accessibile a tutti per questione economica così si rovina la bellezza della maestosa montagna aime

  87. Articolo interessante, condivisibile e con presa di coscienza. Si cita l’italianità del rapporto col monte, mi sorge la curiosità di sapere l’approccio degli altri paesi alpini. Come funzionano i corsi “cai”? E il “sentire popolare” è molto diverso dal nostro? Nell’articolo si cita una certa propensione ad esagerare da parte delle guide francesi, in Slovenja ed austria mi par di vedere un approccio meno performante da parte delle guide. Se ne vedono molte, molte in età, accompagnare persone anche su facili percorsi. Credo che anche le tariffe siano più bassi. ( Via bomber al triglav 200 euro per le guide slovene studlgrat al  gran campanaro 300 per quelle carinziane,  mentre per la breve grande di lavaredo mi pare si chieda 400 da parte italiana. Forse è anche per questo che i clienti chiedono di più alle guide??
     

  88.  
    Purtroppo l’unica foto a corredo dell’articolo mostra due vandali in bicicletta sul sentiero della montagna. Il sole dell’avvenire che appare radioso all’orizzonte illumina proprio quel mondo dell’artificio e della tecnica  che giustamente Crovella deplora.

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